Andate e predicate in tutto il mondo

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Andate e predicate in tutto il mondo Dorotea Lancillotti laica domenicana

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l modo per essere ascoltati presentando la verità ai popoli, è di presentarla loro in modo che la colgano e che sia alla loro portata, al loro livello e cosa bisogna fare per questo? Predicare con l’esempio. Se vuoi che io pianga, inizia a piangere tu stesso, diceva l’oratore anziano. Se volete che io sia convinto, dimostratemi che lo siete anche voi, dimostratemelo con i vostri atti. Quali atti? Con la povertà, mendicando il proprio pane come in passato? No, si indignerebbero contro di noi considerandoci degli approfittatori, come chi mangia il pane dei veri poveri. Attraverso l’umiltà esteriore? La disprezzano. La pietà apparente? Ne ridono. Le grandi cerimonie? Non ci va più nessuno. La penitenza? La castità? Le sbeffeggiano, proclamandole contro natura. Come dunque? Mettendosi all’altezza e a livello del suo tempo, dando al secolo l’esempio di ciò che stima e di ciò che ama. Che cosa dunque? La carità. Una grande, una inesauribile, una instancabile carità. Tutto il resto ai suoi occhi non prova nulla. La devozione, la povertà, l’umiltà, la penitenza tutte queste cose sono delle facile contraffazioni, e ogni giorno ancora se le sorprende negli ipocriti; ma la carità, questa carità dolce, calma, capace di gestirsi e di prodigarsi in ogni ora, per qualsiasi persona, ecco ciò che l’ipocrita non saprebbe imitare o che non imiterebbe per molto tempo. Ecco la sola virtù alla quale il nostro secolo e il nostro paese rendono veramente omaggio.” (Sermone 204. Lezione ai novizi professi, 1865) Queste parole sono state pronunciate nel 1865 in una lezione tenuta ai suoi frati studenti dal beato fr. Jean Joseph Lataste O.P. fondatore delle Domenicane di Betania. Se la nostra predicazione, qualsiasi essa sia, non è in grado di raggiungere la persona nel suo contesto, se il nostro mondo è un mostro da combattere e convertire, vana è la nostra parola. Lo ha ben sperimentato San Domenico con l’oste, e dopo di lui molti suoi figli tra cui il beato p. Lataste a contatto con quattrocento donne rinchiuse nel carcere di Cadillac (Francia). Se quel suo saluto:”Carissime sorelle”, pronunciato un mattino del settembre 1864 nel carcere, ha cambiato la vita delle detenute, ha certamente cambiato la vita del frate predicatore. “Sono mie sorelle in Adamo e mie sorelle in Cristo” diceva di loro p. Lataste. Questo è ancora oggi lo spirito con il quale incontriamo le donne detenute nel

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carcere, per noi quello di Torino, per le altre nostre sorelle i vari carceri di Francia, Svizzera ecc. Andiamo come sorelle che incontrano altre sorelle. Incontriamo le donne che scelgono di voler incontrarci in quel contesto. Chi sono le donne che incontriamo? Sono madri di famiglia, molte di paesi stranieri, donne che si ritrovano a crescere da sole i loro figli, giovani che l’illusione di un amore ha imbrogliato. Sono straniere in fuga da miseria, guerra e arrivate sulle nostre strade, nelle nostre case, o donne italiane la cui vita è un’altalena di esclusione e devianza. Alcune delle donne che vediamo in carcere passano giorni di permesso nella nostra comunità e la predicazione diventa la vita che respirano, la fraternità non giudicante. Cosa vuole dire predicare in quel contesto? Essenzialmente ascoltare. Ascoltare le loro storie, le loro fatiche, le loro rabbie, a volte le loro gioie. Parlare di un Dio che non giudica, che non guarda al passato, di una vita che può ricominciare, lo si fa ascoltando. Ascolto libero da pregiudizi, da risposte pronte. Chi sta davanti a noi è una persona che come tale va trattata e riconosciuta. San Tommaso oggi ha ancora ragione: esiste la persona e esistono gli atti che lei compie. Esiste una differenza tra il dire: “sei un ladro”, oppure dire “sei una persona che ruba?” La differenza c’è ed è liberante perché c’è ancora spazio per la risalita e la rinascita. La persona può, se trova l’opportunità, rinascere a vita nuova, proprio a partire da quel gesto delittuoso che ha compiuto. Se Dio avesse rinchiuso l’uomo dentro i suoi atti dove saremmo ora? Se esiste una predicazione domenicana in carcere, deve avere il sapore della liberazione della persona, deve avere la potenza del grido di Domenico e la sua passione per la misericordia. Deve essere voce di un Dio che sta sempre dalla parte del povero, dell’escluso; ma deve anche essere la voce di chi non ha voce. “I più grandi peccatori le più grandi peccatrici hanno in sé ciò che fa i più grandi santi: chi sa se non lo diventeranno un giorno”, diceva il beato padre Lataste. Oggi più che mai l’umanità racchiusa dentro un carcere ha bisogno di speranza, di accoglienza da parte della società civile e religiosa. Il carcere è lo specchio della società, le stesse dinamiche, le stesse ingiustizie. Se hai soldi, hai un buon avvocato che ti farà uscire presto o spesso nemmeno varcare la porta di quel luogo. Se hai degli affetti solidi, alle spalle, vuole dire ricevere visite, pacchi viveri, soldi per far la spesa dentro il carcere. Se non hai tutto questo la tua pena ha un sapore ancora amaro spesso devastante. La predicazione al femminile: è Maddalena che chiamata per nome da Gesù va e annuncia a Pietro e ai suoi fratelli, sono le donne a che appena si ricordano, delle sue parole vanno e annunciano agli apostoli. È una predicazione che sa riconoscere il passaggio della Vita, che sa far memoria, che sa alzarsi in fretta e partire.

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