Conciliazione dell’intelligenza col cuor e
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ome è noto, la pratica del santo rosario è stata introdotta nella Chiesa dall’Ordine Domenicano, e resta tuttora una pia pratica particolarmente cara alla Famiglia Domenicana. L’invenzione di tale pratica religiosa può sembrare strana in un Ordine -come quello Domenicano- che apprezza in modo speciale i valori dell’intelligenza e della cultura, che il Domenicano si studia di porre in accordo con i dati della fede e di utilizzare per l’approfondimento, la diffusione e la difesa delle verità divinamente rivelate. Infatti, il rosario parrebbe a tutta prima provenire da un mondo d’interessi assai lontano, per non dire quasi contrario a quello che dà luogo allo sviluppo delle virtù intellettuali o alla ricerca filosofico-teologica. Il rosario sembra una pratica dettata assai più da fattori emotivo-sentimentali, adatta alle persone non istruite e di intelligenza limitata, più che ad un Ordine nel quale -in linea di massima- si richiedono per chi vuole entrarvi, se non particolari doti intellettuali o titoli accademici, quanto meno uno speciale amore per la verità, verità soprattutto evangelica o teologica da apprendere, da studiare, da diffondere, da difendere e da ottenere da Dio mediante un’assidua preghiera. A che scopo, dunque, il rosario nell’Ordine Domenicano? Qual è il suo senso ed il suo valore? La risposta a queste domande apparirà chiara, se teniamo presente che il possesso del sapere o della cultura non è privo di pericoli morali. Il sapere, infatti, soprattutto se ampio e profondo, come normalmente interessa al Domenicano, è una “ricchezza”, che può essere accostata alle ricchezze materiali, e può quindi costituire il bersaglio della famosa minaccia di Gesù contro i “ricchi”. E’ noto il perché di tale minaccia: ogni tipo di ricchezza, materiale o culturale, soprattutto se ottenuta mediante l’impiego di spiccate doti personali, porta facilmente all’orgoglio,
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per il quale l’uomo, consapevole di quanto vale, tende a sopravvalutarsi, a pareggiarsi con Dio o a sostituirsi a Dio, considerando se stesso come Dio. In ciò consiste il pericolo morale che proviene dalle ricchezze. Indubbiamente, in se stesse sono buone. Il problema è che quando esse sono in abbondanza, colui che le possiede è portato a pensare che la sua salvezza e la sua felicità dipendono da esse e dalle sue forze che gli hanno consentito di accumularle. Da qui la tentazione a dimenticare Dio e a confidare esclusivamente in se stesso. Il possesso del sapere non sfugge a questo pericolo. Per questo S. Paolo ha pronunciato la famosa sentenza: “la scienza gonfia” (I Cor 8,2). Ora, la pratica del rosario, essendo effettivamente questa preghiera accessibile anche ai piccoli, ai semplici e agli indotti, costituisce un esercizio di umiltà che fa da “correttivo” alla tendenza alla superbia che facilmente si pone in atto quando si possiedono spiccate doti intellettuali e si possiede molto sapere. Ovviamente sono tante le vie per acquistare la virtù dell’umiltà, né -in linea di principio- la recita del rosario è una pratica indispensabile per tutti gli intellettuali o le persone colte che vogliono praticare la virtù dell’umiltà. Tuttavia difficilmente si può giustificare la trascuratezza nei confronti di questa preghiera da parte dello studioso domenicano, soprattutto se religioso, tenuto quindi ad esercitarsi in modo speciale nell’umiltà. Quale, infatti, più odiosa contraddizione può darsi nella vita cristiana di un frate, deputato per il suo stesso stato di vita a dar esempio di umiltà, il quale viceversa sia borioso, vanitoso o pieno di se stesso, per quanto possa essere colto e istruito? Esiste, nel cristianesimo, e anche in altre religioni, una forma di sapere assai nobile, perché attinente alle realtà divine ma anche normativo per la condotta umana, un sapere che per sua natura si trova al riparo dalla superbia, perché intrinsecamente legato alla carità, che a sua volta inscindibile dall’umiltà, e questo sapere è quello che la Bibbia e tutti i grandi maestri spirituali dell’umanità chiamano “sapienza”, ma una sapienza che non è tanto -come la “scienza”- frutto di speciali doti intellettuali o riconosciuta da titoli accademici, ma che è invece soprattutto dono di Dio e luce che viene dall’alto. E’ questa la scienza che sa conciliare l’intelligenza col cuore, la ragione col sentimento, il pensiero con l’emozione, la speculazione con l’amore, lo sguardo ardito volto al cielo con l’umile e amorevole piegarsi a servire i poveri della terra.
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Il santo rosario favorisce l’acquisto di questo sapere, detto “scienza dei santi” e a sua volta è fatto per coloro che gustano e posseggono questo sapere, perché il rosario è preghiera rivolta a Maria, “Sede della Sapienza”, quella sapienza che è Cristo, Verbo divino, Immagine perfetta del Padre, Verità assoluta e sussistente. La recita del rosario sollecita Maria a ottenerci da Cristo e dal suo Spirito, che è lo Spirito della Verità e della Sapienza, lo stesso dono divino della sapienza, per il quale accordiamo perfettamente le esigenze del cuore e quelle dell’intelletto, superando quel doloroso dualismo interiore che invece tutti sentiamo come figli d’Adamo peccatore. Il dono della sapienza concessoci dallo Spirito per la preghiera di Maria a sua volta implorata da noi col rosario, ricrea quindi in noi l’armonia tra intelletto e volontà compromessa dal peccato originale, consentendo a queste due attività essenziali del nostro spirito di collaborare tra loro per la conquista della virtù e della santità. L’acquisto della sapienza dono dello Spirito consente a sua volta alla cultura -per chi la possiededi non servire alla superbia, che a sua volta acceca l’intelletto impedendogli di vedere la verità, soprattutto quella salvifica, ma di servire alla carità nell’umiltà; infatti il dono della sapienza orienta la scienza non alla propria gloria ma alla glorificazione di Dio e all’amore per il prossimo; orienta la scienza non al desiderio di potenza che facilmente cede alla tentazione della magia, ma alla contemplazione affettuosa della bontà divina e dei benefici del Signore, contemplazione che è appunto frutto del dono della sapienza, come insegna luminosamente Tommaso d’Aquino. La devozione rosariana impedisce dunque all’intelletto di evadere in vuote o pretenziose astrazioni, orientandolo alla sua funzione propria, che è quella di servire all’amore e di gioire per la verità divina. In ciò la mente è guidata da Maria, che le consente di riconoscere la parte dovuta alla dimensione affettiva, dimensione nella quale Maria come donna eccelle e può far da maestra, onde creare quella sintonia e collaborazione tra mente e cuore, che prima di essere esigenza della santità cristiana, è bisogno profondo e inestirpabile di ogni uomo. Ma nel contempo la recita del rosario non può e non deve essere fumoso sentimentalismo o gretto pietismo, perché ad ogni mistero del rosario la mente è chiamata a sollevarsi alla considerazione o alla contemplazione dei principali misteri della salvezza in un’ottica mariana, per cui l’esercizio dell’intelligenza e della stessa considerazione speculativa o teologica non solo è consentito o è il benvenuto -per chi ne è capace-, ma è certamente assai opportuno e consigliabile. Questa sintesi di cuore e di mente, che fruttifica nella santità, e che è strettamente connessa alla devozione mariana e particolarmente favorita dal rosario, non è pura teoria o un pio desiderio, ma è realtà concreta, testimoniata nei secoli da tutti i Santi Domenicani che hanno saputo conciliare la cultura con le virtù cristiane, e tutti sono stati devoti della vergine Maria e della pratica rosariana. Chi desidera dunque unire cultura e santità, senza correre il rischio di deviare verso un presuntuoso intellettualismo, potrà trovare nella pia pratica del rosario, che tanto strettamente ci unisce a Maria e quindi a Cristo, un aiuto e una garanzia supercollaudati da otto secoli di storia dei Santi Domenicani. P. Giovanni Maria Cavalcoli o.p.
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