Il pellegrinaggio

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iaggio di devozione mal intesa: così nella celebre Enciclopedia dell’epoca dei lumi il Diderot († 1784) qualificava il pellegrinaggio. Oggi invece, superando la “devozione mal intesa” e la polemica anticattolica, nel pellegrinaggio un po’ tutti riconoscono un comportamento umano che va al di là del mondo antico, del mondo biblico e della storia della chiesa: si pensi all’obbligo per ogni mussulmano del pellegrinaggio alla Mecca una volta nella vita. Pellegrinare - da “per ager”, cioè (andare passare) al di là del (proprio) campo - consiste appunto nell’abbandonare il luogo di residenza per dirigersi verso un altro luogo che un tempo è stato toccato da una manifestazione di Dio (teofania o ierofania) e della sua potenza (cratofania); dirigendosi là si ritorna in qualche modo alle sorgenti della vita e si ritrovano le proprie radici attraverso la ripetizione di atti compiuti dai predecessori. Come molti fenomeni umani, anche i pellegrinaggi hanno attraversato periodi altalenanti passando dall’intensità al quasi abbandono. Dal punto di vista cristiano negli ultimi anni si è passati da un affievolimento nel dopo concilio a una ripresa attuale e se allora il ridimensionamento permise di ritrovare ciò che era essenziale nel culto cristiano, alla ripresa di oggi è necessario un buon discernimento per gestire il fenomeno evitando ritorni all’indietro o nuove deviazioni. Un rilancio tutto particolare viene poi dal quasi presente Giubileo del 2000. La Bolla di indizione ricorda infatti che “l’istituto del giubileo nella sua storia si è arricchito di segni che attestano la fede e aiutano la devozione del popolo cristiano; tra questi bisogna ricordare, anzitutto, il pellegrinaggio”: dunque il pellegrinaggio è in un certo senso la prima e più caratteristica delle pratiche giubilari. Insieme alla citata Bolla, due altri documenti del 1998 uno della Santa Sede e uno della CEI, più teorico il primo e più concreto il secondo hanno inteso nuovamente descrivere e fondare teologicamente e pastoralmente il pellegrinaggio. Non sono documenti isolati, ma corrispondono a un crescente interesse anche scientifico e su di essi in parte ci si baserà per le annotazioni che seguono.

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LA RIFONDAZIONE: LA STORIA E LE SCRITTURE Equivoco politico a parte, la parola che meglio esprime il compito dei cristiani di oggi nei riguardi del pellegrinaggio è: rifondazione. Una rifondazione che passa per tre strade obbligate: ripercorrere la storia, scrutare le Scritture, comprendere il presente per inserirlo nella continuità della storia cristiana e delle Scritture. Molti libri, ma molto più autorevolmente i documenti citati, tentano una rifondazione del genere. Seguiamoli cominciando dalla storia. A parte fenomeni isolati implicanti un cambiamento di residenza, si riconosce che cristianamente il pellegrinaggio vero e proprio inizia circa nel quarto secolo quando “cessate le persecuzioni dell’impero romano, i luoghi del martirio vengono aperti alla venerazione pubblica”; dopo la conquista araba di Gerusalemme del 638, dalla Terra santa le mete dei pellegrini si spostano in occidente: Roma, san Giacomo di Compostella, Loreto ecc. Il medioevo registra una connessione sociale, militare, politica, commerciale del pellegrinaggio con il movimento crociato, connessione che sarà all’origine di critiche e ridimensionamenti, ma anche un impulso più spirituale dalla predilezione di san Francesco verso i luoghi santi e dalla costituzione del primo Giubileo a Roma nel 1300. Con il periodo moderno il pellegrinaggio è ridimensionato dalle severe critiche della riforma protestante e in particolare di Lutero; in ogni caso “il pellegrino, nella frantumazione dell’immagine classica dell’universo, si sentiva sempre meno viandante nella casa comune del mondo ora suddivisa in Stati e Chiese nazionali. Si delineavano così mete più ridotte e alternative come quelle dei Sacri Monti e dei santuari mariani locali”. Da segnalare infine il fenomeno delle apparizioni mariane dello scorso e attuale secolo con un movimento pellegrinante mai venuto meno. Sia chiaro: non si è tracciata la storia dei pellegrinaggi, ma un tentativo di valutare quanto accaduto. Se dalla storia si passa alle Scritture, soprattutto per l’Antico Testamento il documento della Santa Sede raggruppa i vari dati in uno schema suggestivo: il pellegrinaggio di Adamo vagante senza meta lontano dal giardino dell’Eden (Gen 3,23-24); il pellegrinaggio di Abramo; il pellegrinaggio dell’esodo; il pellegrinaggio a Gerusalemme per le tre grandi feste (Pasqua, Pentecoste, Capanne) (Es 34,24), accompagnato dai Salmi 120-134 denominati “canti delle ascensioni”; il pellegrinaggio messianico previsto dai profeti per tutti i popoli “verso Sion, luogo della Parola divina, della pace e della speranza”. Quanto a Gesù Cristo, i genitori ogni anno si recavano a Gerusalemme e qui avvenne la sua manifestazione tra i dottori del tempio (Lc 2,41-50); Gesù continuò a

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recarvisi più volte durante la vita pubblica (Gv 11,55-56) e infine “mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato tolto dal mondo, si diresse decisamente verso Gerusalemme” (Lc 9,51). È per conseguenza normale che gli scritti apostolici trasferissero tale categoria nei cristiani rivolgendosi ad essi come “ai fedeli dispersi nel Ponto, nella Galazia, nella Cappadocia, nell’Asia e nella Bitinia” (1Pt 1,1), esortandoli “come stranieri e pellegrini” (1Pt 2,11), dal momento che “non abbiamo quaggiù una città stabile, ma cerchiamo quella futura” (Eb 13,14). Al di là del viaggio fisico, il Vaticano II vede il popolo di Dio impegnato in un “pellegrinaggio verso l’eterna beatitudine”, ricordando che “anche la beata Vergine ha proceduto nella peregrinazione della fede”. Se lo spirito profondo delle citazioni bibliche sempre illumina il pellegrinaggio, non tutte possono essere accolte oggi: ad esempio le grandi feste cristiane non sono più pellegrinanti ma vanno normalmente celebrate nella chiesa locale (parrocchia o diocesi) e l’esodo biblico non coincide con l’attuale mobilità. Sembra invece che sia più vicino all’attuale pellegrinaggio il rapporto dei patriarchi con alcuni santuari forse ad essi preesistenti ma rifondati da una manifestazione o promessa di Dio. Sichem è il luogo della prima manifestazione di Dio ad Abramo giunto nella terra promessa (Gen 12,6-7) e anche Giacobbe, ritornando nella stessa terra, erige ivi un altare (Gen 33,18-20); Betel è il luogo del sogno di Giacobbe all’inizio di un viaggio (Gen 28,10-22) e luogo di culto al ritorno da un altro viaggio (Gen 35,1-5); a Mamre Abramo si ferma dopo un lungo peregrinare (Gen 13,18) e lì il Signore gli si manifesta accompagnato da due angeli (Gen 18,1ss.); a Bersabea Dio si manifesta ad Isacco e lo benedice (Gen 26,23-25) e ivi avviene l’ultima manifestazione di Dio a Giacobbe prima di scendere in Egitto per rassicurarlo con la promessa del ritorno (Gen 46,1-4). Questi e altri secondo la Scrittura erano luoghi di culto costituiti dai patriarchi e ricordavano un avvenimento passato, come tale non più ripetibile. In seguito ci si recava tuttavia in pellegrinaggio per ricordare le meraviglie di Dio, ripetere in qualche modo i gesti dei patriarchi e comunicare con la stessa forza di Dio, rinvigorire la speranza che Dio nel presente sarebbe intervenuto in modi diversi, ma con la stessa forte e amorosa provvidenza. Qualcosa del genere è vicino all’attuale pellegrinaggio cristiano, che ancora oggi “comporta, per così dire, una grazia del luogo, come grazia mediata da persone, avvenimenti, cose, ambienti”.

QUANTI TIPI DI PELLEGRINAGGIO? Un minimo di chiarezza del discorso esige di catalogare vari tipi di pellegrinaggio per vedere in quale di essi ci si situa. - C’è un pellegrinaggio apostolico, cioè il muoversi per comunicare la fede. Si potrebbero citare i faticosi viaggi di Paolo (2Cor 11,26-27) e di tanti altri apostoli (in

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particolare san Domenico), che però non appartengono al pellegrinaggio che ci interessa. - Il pellegrinaggio penitenziale si costituì nel medioevo e, attesi i disagi del viaggiare e la santità del traguardo, era considerato un’opera per la remissione dei peccati. Ancora oggi, sia pure in senso diverso, si potrebbe ricuperare tale dimensione. - Sia nell’antichità che nei secoli seguenti il pellegrinaggio devozionale fu il più comune, caratterizzato dalla visita ad un luogo per risvegliare la propria vita cristiana ed è sostanzialmente il pellegrinaggio attuale. - Oggi è nato il pellegrinaggio turistico, o meglio la dimensione turistica del pellegrinaggio, dimensione non del tutto ignorata dalle Scritture come testimonia il seguente testo sapienziale: “Chi ha viaggiato conosce molte cose, chi ha molta esperienza parlerà con intelligenza. Chi non ha avuto delle prove, poco conosce; chi ha viaggiato ha accresciuto l’accortezza. Ho visto molte cose nei miei viaggi; il mio sapere è più che le mie parole” (Sir 34,9-12). Torneremo sull’argomento. Quale che sia la tipologia del pellegrinaggio, è essenziale il riferimento a Cristo, che è lo stesso pellegrinaggio: “io sono la via, la verità e la vita” (Gv 14,6); che è la meta del pellegrinaggio essendo il santuario e il tempio: “(...) distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere (...), ma egli parlava del tempio del suo corpo” (Gv 2,19-21); che è l’ideale di ogni itinerario: “sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo, ora lascio di nuovo il mondo e vado al Padre” (Gv 16,28); anzi in Cristo c’è “un capovolgimento del senso stesso del pellegrinaggio” in quanto “il cammino di Dio - il Verbo che pone la sua tenda tra noi - precede quello dell’uomo e lo rende possibile”. Per il cristiano rinvigorire la fede attraverso la grazia di questo o quel luogo, di questa o quella mediazione (della Madonna o di un santo) deve sfociare nel vivere il pellegrinaggio in Cristo secondo quanto appena ricordato.

IL DISCERNIMENTO PER L’OGGI Anzitutto “l’evangelizzazione è la ragione ultima per cui la chiesa propone e incoraggia il pellegrinaggio”. Se questo umanamente costituisce “un parziale e quasi simbolico appagamento del bisogno di sospendere la routine quotidiana”, nonché la tensione “verso una realtà inspiegabile ma nello stesso tempo appagante”, per il cri-

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stiano “il santuario verso cui egli si dirige deve diventare per eccellenza la tenda dell’incontro, come la Bibbia chiama il tabernacolo dell’alleanza”. Non sarà inutile chiarire e chiarirsi la dimensione del pellegrinaggio: individuale, familiare, di gruppo. Un diverso clima spirituale sarà altresì da perseguire tenendo conto delle destinazioni: i luoghi del Signore (terra santa), i luoghi degli apostoli (Roma), i santuari mariani, i santuari legati alla memoria dei santi e infine “i moderni luoghi di profonde esperienze spirituali”. In concreto si terranno presenti le fasi di ogni pellegrinaggio per impostarne bene la dimensione pastorale: la partenza, il cammino o viaggio, la visita al santuario e il ritorno. La partenza esige di orientare o rinvigorire la decisione del pellegrinaggio e può opportunamente essere santificata dalla benedizione degli itineranti, prevista dal nuovo libro del Benedizionale in corso (e anche dal rituale domenicano in corso). Il cammino o viaggio, dati i mezzi rapidi di spostamento, oggi rischia di essere risucchiato dall’arrivo al santuario e ciò è profondamente deviante. Per ricuperare il cammino, oltre che momenti di catechesi e preghiera nel viaggio, “viene suggerito di fare sempre un percorso a piedi, anche solo per un breve tratto, da suggellare davanti al santuario con un appropriato rito della soglia (...). Camminare a piedi (...) oltre che segno di penitenza è anche strumento di conversione”. La visita al santuario (o ad altro luogo significativo) è, come già ricordato, entrare nella tenda per incontrare Dio e ritrovare in modo nuovo ciò che già si trova nella normale esperienza cristiana: la parola, la conversione, l’eucaristia, la Vergine e i santi, i fratelli nella fede ecc. Meno codificate ma molto praticate sono da valorizzarsi alcune azioni tipiche e sensibili come: vedere, toccare, camminare, pregare, bere o lavarsi, fare penitenza (cioè accettare il ritmo delle giornate e i disagi, offrire denaro ecc.). Il ritorno può ugualmente essere santificato usando le previste formule del Benedizionale.

IL TURISMO RELIGIOSO Oggi si è costituito il “turismo religioso”, che “ha motivazioni culturali e ricreative e fa riferimento alla religione solo in quanto fruisce di spazi e oggetti ad essa pertinenti”, mentre il pellegrinaggio “è ispirato da consapevoli motivazioni di fede”. Anche solo osservando i visitatori di una chiesa, ci si accorge se sono unicamente turisti o se colgono qualcosa di più. Quella del turismo religioso è una dimensione da affrontare diversamente nella accoglienza dei turisti o nell’organizzazione dei pellegrinaggi. Tralasciando il primo caso, è evidente che un pellegrinaggio va organizzato e presentato in una dimensione di fede. Ma con scontato buon senso pastorale il documento CEI rileva: “l’esperienza mostra che motivazioni e atteggiamenti propri del pellegrinaggio e quelli tipici invece del turismo religioso spesso convivono” nelle persone e nei gruppi, per cui “anche il

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pellegrinaggio più devoto può avere componenti turistiche e culturali o di relax” e viceversa anche le forme turistiche “possono celare intenzioni collegabili alla fede”. Non sembra quindi scorretto inserire in un pellegrinaggio un momento di turismo o di relax legato alle risorse del luogo, ma a precise condizioni che potrebbero essere: la discrezione di tempo nell’insieme del programma; la vigilanza a che si tratti di cultura o di relax e non mai di distrazione mondana; una discreta guida a trovare il Signore e relazionarsi con Lui anche all’interno di simile momento, operazione abbastanza facile di fronte alla vera arte o alle bellezze della natura.

*** Giunti al termine, da una parte il pellegrinaggio vero e proprio è opportuno per riscoprire a livello di segno il cammino della vita cristiana; dall’altra il frutto del pellegrinaggio tende a divenire una mentalità, un modo di vivere che perdura oltre il ritorno. Ad esempio nell’anno giubilare la visita ai fratelli in difficoltà allo scopo di lucrare l’indulgenza può essere vissuta “quasi compiendo un pellegrinaggio verso Cristo presente in loro”; ad un altro livello Newman insegnava che “vivere è cambiare ed essere perfetto è aver cambiato spesso” e per Origene chi scruta le Scritture dimora non in una casa, ma come in una tenda e “di là, come levando la tenda, si dirige a luoghi più alti, e di nuovo di là trova altri sensi spirituali senza dubbio spalancati di seguito ai sensi precedenti, e così sempre protendendosi a quello che è davanti (Fil 3,13)” sino a raggiungere la vera patria.1 Riccardo Barile

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Testi citati o dei quali si è tenuto particolarmente conto: GIOVANNI PAOLO II, Bolla di indizione del Giubileo dell’anno 2000 Incarnationis mysterium (29.11.1998), n. 7 * PENITENZIERIA APOSTOLICA, Decreto Disposizioni per l’acquisto dell’indulgenza giubilare (29.11.1998) * PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA PASTORALE PER I MIGRANTI E GLI ITINERANTI, Il pellegrinaggio nel Grande Giubileo del 2000 (25.4.1998), nn. 1, 4-8, 14, 16, 32-42 * CEI COMMISSIONE PER LA PASTORALE DEL TEMPO LIBERO TURISMO E SPORT, Il pellegrinaggio alle soglie del terzo millennio (29.6.1998), nn. 5, 10, 14, 16, 19, 34 * LG 8.58 = EV 1/334.1463 * Benedizionale, Benedizione dei pellegrini - Benedizione di chi intraprende un cammino 315-371 * NEWMAN J. H., An Essay on the Development of Christian Doctrine * ORIGENE, Omelie sui Numeri 17,4.

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