Il presepe nellarte e nella tradizione italiana

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Il presepe nell’arte e nella tradizione italiana Giacomo de Antonellis

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ella tradizione cristiana l’idea di onorare il Bambino Gesù attraverso la ricostruzione dell’ambiente ove nacque (in latino praesepium significa “mangiatoia”) viene attribuita a san Francesco, che ricorse a personaggi viventi per inventarsi questo spettacolo nel paesino di Greccio in Umbria. L’idea prese subito piede diffondendosi in tante contrade della penisola. E per oltre un secolo si andò avanti così prima che prevalesse la stanchezza o venissero meno le forze: forse il decadimento dell’usanza fu imposto da difficoltà di reperimento dei personaggi oppure dalla pesantezza dei costi allestitivi. Non si può parlare di scenografia perché la tecnica era del tutto sconosciuta nei paesi, a quei tempi. Comunque il germe era stato gettato e ben presto riprese a fruttificare sotto forme statiche benché rilevanti dal punto di vista artistico. Per impulso di

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grandi scultori. L’esempio più rilevante, e più antico, ce l’ha offerto Arnolfo di Cambio con il gruppo marmoreo che possiamo ammirare in Santa Maria Maggiore di Roma ove si conserva pure una reliquia di culla che la leggenda attribuisce alla Sacra Famiglia: altre testimonianze si trovano in chiese di Napoli (San Giovanni a Carbonara), Scicli in Sicilia (san Bartolomeo), Varallo e Varese (Sacri Monti). Gruppi statuari bellissimi, ma pesanti e chiaramente inamovibili, che si facevano ammirare soltanto dai frequentatori di quei monumenti. Intervenne allora la fantasia italiana che puntò alla riduzione delle sagome rendendole facilmente trasportabili e godibili agli occhi di tutti. Artigiani liguri, lucani, pugliesi, romani, campani, calabresi e siciliani cominciarono a sviluppare, con tecniche specifiche e materiali originali, un genere produttivo che tutto il mondo ci avrebbe invidiato. Il Settecento costituì il periodo d’oro dell’arte presepiale, ed è facile spiegarne il motivo. Era l’epoca dell’esaltazione coreografica sia in tema di abbigliamento che di arredamento. Era l’epoca delle grandi famiglie patrizie che potevano investire a piacimento notevoli somme di denaro. Era l’epoca delle rivalità nello sfarzo e nel lusso. Era anche l’epoca – fattore determinante – di una religiosità diffusa e popolare che nell’adempimento dei riti riusciva a collegare assieme tutti quei ceti sociali tanto distanti nella quotidianità della vita. Napoli e Genova ben presto prevalsero con proprie “scuole” produttive nelle quali si impegnavano valenti operatori, coadiuvati da semplici quanto ottimi operai. Al Nord, dalla Liguria al Trentino, era diffuso l’utilizzo della cera e del legno. Al Centro si prediligevano ceramiche e stucchi. In Sicilia si lavorava il rame con il corallo. A Napoli, dove il presepio diventava ben presto di “consumo” famigliare, in tempo natalizio presente

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in ogni casa e in ogni chiesa (e ben conservato per il resto dell’anno) si inventavano le tipiche figurine con parti del corpo in terracotta, affusti di paglia, e panni sartoriali. Non solo, ma si andò espandendo anche la consuetudine di porre le figurine in ambienti assai simili a quelli reali: di qui la realizzazione di fondali dipinti e stelle pendenti, colline di sughero e cartapesta, case con luci ed osterie affollate, ruscelli con greggi all’abbeveratoio, ponticelli, commercianti e viaggiatori, cavalli e animali da cortile. Un mondo autenticamente vivo a corona di quell’umile stalla con un asino e un bue, la Madonna e Giuseppe in adorazione del Figlio. E, attorno, personaggi d’ogni tipo, contadini, donne e soldati, servi negri e suonatori ambulanti, frati e scugnizzi, per finire con il corteo cammellato dei Magi. Tutti immancabilmente denominati, secondo una radicata tradizione, con l’appellativo popolare di “pastori”. A forgiarli, schiere di artigiani che rispettavano tratti e forme su disegni da artisti famosi – Bottiglieri, Celebrano, Gori, Ingaldi, Mosca, Policoro, Sammartino, Somma, Vaccaro, Viva – alle cui opere si guarda con ammirazione e stupore. Oggi le grandi collezioni sono diventate rare. A parte poche (e inesplorate) raccolte private, gli esempi più belli risaltano in Palazzo Rosso a Genova e nella Reggia borbonica di Caserta. La mostra più esaltante e completa viene offerta dal Presepio Cuciniello (prende nome da un eccentrico patriota, letterato e drammaturgo che a fine Ottocento si dette alla parossistica passione per gli allestimenti napoletani) che si trova nel Museo di San Martino a Napoli: la scena primaria occupa un grande salone con centinaia di figure e ambientazioni, tra monti e colline che danno la sensazione di spazi immensi e di realismo espositivo; originalmente, il nucleo del cosiddetto Mistero non è posto in una grotta, ma in un Foro

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romano che fissa il passaggio dall’antica alla nuova religione. In altre sale del museo sono esposti altri importanti lasciti come il Ricciardi e il Sartorius oltre a teche con gruppi minori, gli arredi, gli animali, le suppellettili, i mendicanti, gli incredibili pastori deformi della collezione Carrara. Tutto ciò costituisce senza dubbio la testimonianza più alta ed affascinante sulla produzione di “pastori” nel Settecento. Tra i tanti personaggi spiccano i Re che vengono dall’Oriente che rappresentano il viaggio del sole che sorge astronomico dal buio per rendere omaggio al sole divino del Natale: gli stessi colori degli addobbi servono a sottolineare le fasi della luce emergente: il bianco per l’aurora, il rosso per il mezzogiorno e il nero per la notte. Non è questione di folclore, ma di sguardo sulla storia. Nel cammino dei nostri astrologi spicca la cometa, grande stella, che guida i passi di tutti coloro che vanno alla ricerca della verità. Ovviamente, in tema di presepi, ogni parte del mondo cristiano presenta le sue molteplici interpretazioni sia in fatto di materiali, sia come interpretazione etnica sotto il profilo della fabbricazione. Ce ne sono di bellissimi provenienti dalle Americhe, dalle terre calde dell’Africa e dell’Asia, dalle terre del Nord e del ghiaccio perenne. Da qualche tempo i centri missionari si prodigano nel presentare lavori che vengono da lontano, e ce li fanno conoscere attraverso mostre d’arte e vendite promozionali a sostegno delle popolazioni che si industriano in tale attività. E la varietà dei manufatti non finisce mai di stupire, facendosi occasione di gioia per i piccoli e diventando momento di riflessione per i grandi. In fondo il presepio serve anche ad elevare il senso religioso in ciascuno di noi. La Natività è simbolo di splendore creativo e miracoloso che si contrappone alla freddezza morale e fisica (siamo in dicembre) dell’ambiente ester-

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no. E nel presepio sentiamo unirsi in un solo afflato tanti elementi spirituali e tanti elementi materiali. Comunque, davanti a questa magica grotta, gli uomini e donne del ventunesimo secolo costantemente distratti dal consumismo e dalle preoccupazioni personali dovrebbero chiedersi che cosa fare per rendersi utili nell’odierna società . Quel silenzioso Bambino, nato in povertà , ma ricco di forza morale, ci risponderebbe con semplici parole che basta mettere da parte ogni ansia secolare per vivere bene il nostro breve tempo. In spirito di pace, come il Natale insegna.

Ancora oggi a Napoli esistono piccoli artigiani che costruiscono e restaurano presepi perpetuando una tradizione secolare. Queste botteghe si concentrano soprattutto nelle vie del centro storico e in particolare in via S. Gregorio Armeno e in via S. Biagio dei Librai, ove si possono ancora vedere esposizioni all’aria aperta.

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Intorno al Presepe

Padre Claudio Truzzi ocd

Guido e il Natale Guido aveva 12 anni e frequentava la prima media. Era già stato bocciato due volte. Era un ragazzo grande e goffo, lento di riflessi e di comprendonio, ma benvoluto dai compagni. Sempre servizievole, volenteroso e sorridente, era diventato il protettore naturale dei bambini più piccoli. L’avvenimento più importante della scuola, ogni anno, era la recita natalizia. A Guido sarebbe piaciuto fare il pastore con il flauto, ma la maestra gli diede una parte più impegnativa: quella del locandiere. Comportava poche battute e il fisico di Guido avrebbe dato più forza al suo rifiuto di accogliere Giuseppe e Maria. La sera della rappresentazione c’era un folto pubblico di genitori e parenti. Nessuno viveva la magia della santa notte più intensamente di Guido.

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E venne il momento dell’entrata in scena di Giuseppe, che avanzò piano verso la porta della locanda sorreggendo teneramente Maria. Giuseppe bussò forte alla porta di legno inserita nello scenario dipinto. Guido il locandiere era là, in attesa. “Che cosa volete?” – chiese Guido, aprendo bruscamente la porta. “Cerchiamo un alloggio”. “Cercatelo altrove. La locanda è al completo”. La recitazione di Guido era forse un po’ statica, ma il suo tono era molto deciso. “Signore, abbiamo chiesto ovunque invano. Viaggiamo da molto tempo e siamo stanchi morti”. “Non c’è posto per voi in questa locanda” – replicò Guido con faccia burbera. “La prego, buon locandiere, mia moglie Maria, qui, aspetta un bambino e ha bisogno di un luogo per riposare. Sono certo che riuscirete a trovarle un angolino. Non ne può più!”. A questo punto, per la prima volta, il locandiere parve addolcirsi e guardò verso Maria. Seguì una lunga pausa, lunga abbastanza da far serpeggiare un filo d’imbarazzo tra il pubblico. “No! Andate via!” – sussurrò il suggeritore da dietro le quinte. “No!” – ripeté Guido automaticamente. “Andate via!”. Rattristato, Giuseppe strinse a sé Maria, che gli appoggiò sconsolatamente la testa sulla spalla, e cominciò ad allontanarsi con lei. Invece di richiudere la porta, però, Guido il locandiere rimase sulla soglia con lo sguardo fisso sulla miseranda coppia. Aveva la bocca aperta, la fronte solcata da rughe di preoccupazione, e i suoi occhi si stavano riempiendo di lacrime. Tutt’a un tratto, quella recita divenne differente da tutte le altre. “Non andar via, Giuseppe!” – gridò Guido. “Riporta qui Maria!”. E, con il volto illuminato da un grande sorriso, aggiunse: “Potete prendere la mia stanza!”. Secondo alcuni, quel rimbambito di Guido aveva mandato a pallino la rappresentazione. Ma per gli altri, per la maggior parte, fu la più natalizia di tutte le rappresentazioni natalizie che avessero mai visto... Gesù bussa alla porta del tuo cuore. Lo farai entrare? Buon Natale!

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Che cosa è il Natale Mancavano pochi giorni a Natale e tutti gli animali del creato fecero una riunione. La volpe chiese allo scoiattolo: “Che cos’è per te Natale?”. Lo scoiattolo rispose: “Per me è un bell’albero con tante luci e tanti dolci da sgranocchiare appesi ai rami!”. La volpe continuò: “Per me naturalmente è un fragrante arrosto d’oca. Se non c’è un bell’arrosto d’oca non c’è Natale!”. L’orso l’interruppe: “Panettone! Per me Natale è un enorme profumato panettone!”. La gazza intervenne: “Io direi gioielli sfavillanti e gingilli luccicanti. Il Natale è una cosa brillante!”. Poi fu il turno del ghiro: “Dormire, riposarsi! Per me il Natale è il momento del dolce far niente!” “Ma va là! – disse la formica – È una festa come le altre! Natale o no per me l’importante è lavorare!” “Divertimento! – disse la cicala. Per me il Natale è il momento di divertirsi e di viaggiare!”. I miei pulcini! – ribadì la chioccia. Il Natale per me è stare con tutti i miei pulcini!” Anche il bue volle dire la sua: “È lo spumante che fa il Natale! Me ne scolerei anche un paio di bottiglie”. L’asino prese la parola con foga: “Ma siete tutti impazziti? Bue, sei impazzito? È il Bambino Gesù la cosa più importante del Natale! Te lo sei dimenticato?”. Vergognandosi, il bue abbassò la grossa testa e disse: “Ma…, ma questo gli uomini lo sanno?”. Per quale motivo festeggi il Natale?

Due asini a Betlemme Un contadino stava ritornando a casa. L’aspettava Betlemme. Era tardi, e dato il suo carattere rozzo e prepotente, continuava ad incitare due asini carichi... come somari, con parolacce e bastonate. Il silenzio della notte s’interruppe improvvisamente: un coro di Angeli ed un bagliore sulla collina dirimpetto lo fecero fermare all’improvviso. Si dimenticò persino di bastonare i due asini. Che cosa stava succedendo? Il coro celeste svanì, ma il

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bagliore continuava. E nell’oscurità egli intravvide molte ombre che si dirigevano verso la fonte di quella luce. La curiosità fu più forte della titubanza, e con due randellate sulla groppa dei due poveri asini indicò la nuova strada. Dovevano dirigersi anche loro verso quelle ombre. Ne raggiunse alcune e sentì la straordinaria notizia: era nato il Messia, il Re dei Re, colui che avrebbe portato sulla terra la pace e la gioia. Là si recavano per onorarlo. Chissà se non avrebbe esaudito qualche loro desiderio... Anche i due asini udirono quelle parole e, senza aver bisogno di altre legnate, accelerarono il passo. Si ritrovarono dinanzi alla grotta: una mamma, un papà ed un bambino. S’inchinarono anche loro, e se ne stettero per un po’ estasiati dinnazi alla scena. Il piccolo regalò loro un sorriso. Ma un paio di imprecazioni del padrone li riportarono alla realtà. Si voltarono ed iniziarono la discesa, sotto il carico che spezzava loro la schiena. Il primo asino era triste: camminava stentando ed a testa bassa. Il secondo, invece, gli trotterellava dietro sereno. Ad un certo punto il secondo asino chiese al primo: “Perché sei così triste?”. “Il fatto è che non è vero niente di ciò che si diceva sul Messia: che era buono, che sarebbe stato generoso con chi gli avesse espresso un desiderio...”. “Perché dici questo?”. “Gli avevo chiesto di liberarmi da questo padrone, o almeno di rendermi leggera questa soma che mi sta sfiancando la schiena. Ma invece è tutto come prima, se non peggio! Ma tu, mi sembri più contento: ti ha esaudito? Che cosa gli hai chiesto?”. “Oh, io gli ho solo chiesto di darmi la forza di portare il tutto!”. Nel servizio sono utilizzate foto di presepi moderni e foto del presepe settecentesco Cuciniello conservato presso il Museo del Presepe della Certosa di San Martino, Napoli.

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