Il Rosario è veramente una preghiera universalmente stimata
... il rosario resta un’esperienza quanto mai vivente nell’Ordine. Con questa lettera vorrei proporre una semplice meditazione sul rosario dal punto di vista della memoria, della riflessione teologica e della religiosità popolare.
La memoria Permettetemi di evocare alcuni ricordi personali, sperando che questi ne susciteranno altrettanti in voi. I ricordi sono importanti per forgiare la nostra identità, dare carne e sangue alle nostre idee e permetterci di rivivere e reinterpretare gli eventi-chiave della nostra vita. Il mio primo ricordo del rosario risale agli anni giovanili quando ero al collegio Champagnat dei Maristi a Buenos Aires, con la prima corona che ebbi nelle mani. I fratelli ci ispiravano un vero amore a Maria in quanto Madre che ci ama incondizionatamente e intercede per i suoi amati figli e figlie, a Maria come risulta dal vangelo di Giovanni. Ovviamente c’era il mese di Maria con processioni, rosari e litanie. Da giovane portavo in tasca una “decina”. La ripetizione del Padre nostro, dell’Ave Maria, del Gloria al Padre ha profondamente ancorato questa preghiera nella mia vita. Oggi amo specialmente pregare con il rosario mentre cammino. Questa preghiera mi accompagna da un paese dall’altro, mentre viaggio o mentre sono in
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città. È la “contemplazione della strada” di cui parlava fra Vincent de Couesnongle. Adagio adagio questa preghiera segna il ritmo dei miei passi, mi fa prendere presa sul mondo in costante trasformazione. Essa mi permette di donare anima, vita e cuore alla città o al luogo che talvolta mi limito ad attraversare, agli incontri che mi attendono con le loro gioie, speranze, luci, ombre. Di recente, in un giorno dei nostri ritiri, il consiglio generalizio meditava sul mistero della morte. Uno dei frati ha evocato come i frati agonizzanti richiedano quasi sempre il loro rosario, anche solo per tenerlo in mano. Mi viene in mente il film “Battesimo di sangue” che racconta la storia dei nostri frati brasiliani torturati negli anni ’70 sotto la dittatura. Il nostro frate Tito de Alencar, nel momento in cui viene portato fuori del convento, grida a un frate di andargli a cercare il rosario. Che senso aveva per lui in quel momento di terrore? E voi quali ricordi associate al rosario? Quale è il senso di questa memoria per voi? per me? che cosa possono dirci il nostro studio e la nostra riflessione teologica? La riflessione teologica Credo che questi ricordi ci parlino della prossimità di Dio. Il mistero dell’Incarnazione non concerne soltanto la nascita del Signore in un passato millenario, ma l’incarnazione della grazia, ossia la nascita di Dio nella nostra vita quotidiana. Gesù vive e il suo Spirito continua nei nostri confronti a guarire, insegnare, perdonare, consolare e stimolare. Non è una vana astrazione, ma si manifesta nelle immagini associate ai misteri del rosario. La conoscenza dell’Incarnazione si sviluppa nella misura in cui lasciamo che queste immagini si intreccino con la nostra vita quotidiana. Così il rosario è profondamente legato all’Incarnazione, è biblico, cristocentrico e contemporaneo. Il rosario – ci mancherebbe! – è mariano. Ma facciamo un po’ di chiarezza su che cosa significa questa asserzione. In Maria il divino si unisce all’umano, la creatura si unisce al Creatore. In Maria noi riconosciamo la nostra identità e insieme il nostro destino. Vediamo questa santa comunione di “Dio con noi” e di “noi in Dio”. Riconosciamo che Dio è il “Dio per noi”, redentore e salvatore, santificatore e glorificatore. Maria è una figura centrale nella nostra vita di fede. Mentre la consideriamo figlia del Padre, madre del Figlio e sposa dello Spirito Santo, siamo anche chiamati a vedere in lei una credente nella valle di lacrime, una credente che continua a sperare a fronte di una situazione di disperazione. Si può pensare a lei come a una patrona delle donne incinte che partoriscono nella povertà, a una patrona di coloro che emigrano verso terre straniere per sopravvivere, a una madre che porta il dolore per il figlio arrestato, torturato, ucciso. Infine in tutto questo possiamo scorgere il trionfo della fede, della speranza, della carità. Giovanni Paolo II ci invitava a contemplare il volto di Cristo con gli occhi di Maria. Che cosa significa tutto questo per noi? Come Maestro dell’Ordine sono un missionario che sostiene fratelli e sorelle dispersi per il mondo. Ascolto la loro storia e osservo la loro situa-
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zione. Rivedo i volti delle famiglie cristiane gravemente ferite a Bahawalpure in Pakistan nel 2001; i vicini delle nostre suore nei quartieri più miserabili di Kinshasa nel Congo; i ragazzi che continuavano a seguirci in Cameroun e quelli della Piazza della guerra civile a Campodos (Tibú) in Colombia; le famiglie a pesca nelle canoe al largo di Gizo nelle Isole Salomone o sulla riva dell’Urubamba nell’Amazzonia peruviana. Queste immagini accompagnano i misteri e il rosario diventa la mia personale intercessione insieme all’intercessione di Maria, mentre depongo tutti i feriti ai piedi del Signore Gesù. Il nostro mondo sembra perpetuamente diviso dalla guerra. Mi si presenta alla mente innanzitutto l’Irak lacerato e poi la continua effusione di sangue tra Israeliani e Palestinesi. Il secolo XX è stato un secolo di guerre e di devastazioni planetarie. Nei momenti peggiori, le genti si sono
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volte verso il rosario pregando per la pace. E d’altra parte non era questo il messaggio centrale della devozione di Fatima per la conversione della Russia e non si invoca la Madonna come Regina della pace? Contestualmente, non minimizziamo le “guerre fredde” che possono svilupparsi in seno alle famiglia, alla comunità, nel nostro stesso cuore e nella nostra stessa anima. Il rosario non potrebbe forse condurci alla pace? Quest’anno festeggeremo il cinquantesimo del conferimento del Premio Nobel della Pace al nostro frate belga Dominique Pire che aveva fondato le “isole di pace”. Avrà egli trovato l’ispirazione di questo progetto meditando il rosario per chiedere la pace? Le parole delle preghiere che accompagnano le mie meditazioni parlano del Regno di Dio, del pane quotidiano, di essere liberati dal male; parlano del frutto delle viscere, dei peccatori, dell’ora della morte. Il regno di Dio è giustizia e pace, la volontà di Dio non si accorda con l’oppressione, il pane lo si spezza insieme e il perdono lo si dà. Il frutto benedetto del ventre materno è sacro. Sì, il rosario – le parole bibliche e la nostra meditazione – è una preghiera profetica tanto quanto è contemplativa, una preghiera che insieme annuncia e denuncia, consola e trasforma. Le parole che glorificano la Trinità ci invitano a vivere in comunità senza falsa sottomissione e con apertura e disponibilità verso l’altro. Sì, la “volontà di Dio” sarà compiuta: è per questo che non perdiamo mai la speranza. La nostra predicazione è piena di speranza perché «ciò che era fin da principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato» è «il Verbo della vita» (cf 1Gv 1,1). Vivendo in compagnia di Gesù, come lo fu Maria, noi ci convertiamo nel discepolo e nell’apostolo dei quali il mondo ha bisogno e che Dio desidera. La pratica religiosa popolare Dopo il Vaticano II è invalsa la tendenza a minimizzare l’importanza della “religiosità popolare”. A giusto titolo, si insisteva sullo studio della Bibbia e sulla accresciuta partecipazione alla liturgia. Ma, così facendo, si minimizzavano anche le espressioni popolari che prima permettevano al sentimento religioso di manifestarsi: per esempio, le esposizioni del Santissimo, le processioni, i pellegrinaggi ai santuari, le devozioni al rosario ecc. Oggi, forti di una esperienza di quarant’anni, constatiamo che i giovani come i meno giovani hanno bisogno di queste espressioni per «ravvivare il carisma di Dio che è in te» (2Tm 1,6). Questo tipo di religiosità popolare continua ad affermarsi dappertutto nel mondo nei grandi santuari mariani. Quest’anno festeggiamo i 150 anni di Lourdes (Francia) e i 90 anni di Fatima (Portogallo), due santuari che attirano milioni di persone ogni anno. Si può anche riandare con il pensiero a Guadalupe (Messico), Czestochowa (Polonia), Knock (Irlanda), Chiquinquira (Colombia), Coromoto (Venezuela), Lujan (Argentina), Manaoja (Filippine) e via di seguito. Quasi ogni popolo di questo mondo ha un santuario nazionale dedicato alla Vergine, che raduna in un abbraccio materno i fedeli da ogni dove.
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Si vedono ancora delle medaglie di S. Cristoforo nelle automobili e dei rosari appesi allo specchio retrovisore, dei piccoli altari nelle case e delle statue nei giardini. Il rito della imposizione delle Ceneri all’inizio della Quaresima e quello delle Palme all’inizio della Settimana Santa ci insegnano molto sul desiderio e sul sentimento religioso del popolo. Sono dei riti che introducono un certo ordine, una stabilità, un certo ritmo e una dimensione dell’incarnazione nella vita della gente, permettendo di vivere più profondamente questi eventi religiosi. E noi Domenicani non potremmo ritrovare la pietà popolare che ci caratterizza, cioè il rosario? Ho scoperto che il rosario è veramente una preghiera universalmente stimata. In Italia come in Ucraina, in Messico o negli USA, nelle Filippine o in Viêt-Nam, in Kenia come in Nigeria, il rosario è recitato e amato. Ritengo che una ragione di questo attaccamento è che si tratta di una realtà di orazione tangibile. Quasi tutti i cattolici hanno una corona del rosario. La si regala. È un rito che si celebra da soli o in gruppo. È un oggetto che si può toccare, tenere, stringere tra le mani nei momenti difficili della nostra vita; è come stringere le stesse mani di Maria. Il rosario è posto nelle nostre mani «nell’ora della nostra morte» e nel giorno della nostra consegna alla terra. Le preghiere che compongono il rosario sono un riassunto della nostra fede. Impararle è come imparare a parlare, è l’inizio della nostra vita di preghiera e ne è anche il compimento: «sia fatta la tua volontà», «adesso e nell’ora della nostra morte». Ci viene offerto un rosario in gioventù, riceviamo un rosario vestendo l’abito domenicano, un rosario ci accompagnerà quando saremo deposti nella terra. fra Carlos Azpiroz Costa Maestro dell’Ordine
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