Il rosario preghiera domenicana

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Il rosario preghiera domenicana

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pesso si legge e si sente dire che l’Ordine domenicano è un Ordine “mariano”. Che lo sia, data la sua provata devozione alla Vergine Maria fin dalle sue origini e poi ininterrottamente continuata nei secoli successivi, è innegabile. Non ci sentiamo però di affermare che essa sia una sua caratteristica esclusiva. L’Ordine può certo definirsi mariano; ma al pari di esso, sia pure con fonti devozionali diverse, possono vantarsi di esserlo tanti altri Ordini religiosi, per non dire tutti, dato che non è concepibile essere cattolici senza una profonda devozione alla madre del Verbo Incarnato e Corredentrice dell’umanità. Proprietà o caratteristica essenziale dell’Ordine sono invece il suo culto ed il suo apostolato del Rosario. Attribuitane l’origine, a ragione o a torto, allo stesso Santo Padre Domenico, esso fu innegabilmente fatto conoscere e divulgato in tutta la cristianità dai Domenicani e tutta una serie ininterrotta di Papi lo riconobbe ripetutamente come retaggio dell’Ordine, riconoscendo fra l’altro in esclusiva al suo Maestro generale la facoltà di istituirne in tutto il mondo le fraternite e ai suoi religiosi il privilegio di benedirne le corone con l’annessione di particolari ricchissime indulgenze. E in ogni chiesa dove sarà venerata una immagine della Madonna del Rosario e vi si vorrà istituire la corrispondente fraternita, sarà d’obbligo anche la figura di S. Domenico nell’atto di ricevere da lei la corona. Sicché, proprio per questo suo carattere rosariano, la corona del Rosario entrerà giustamente a far parte dell’abito dell’Ordine (LCO 50) quale segno, non del tutto accessorio, della sua speciale e specifica consacrazione ed adornerà una delle tradizionali forme del suo stemma. Ma, a parte le origini e i legami storico-giuridici che da sempre l’hanno legato all’Ordine - e per i quali rimandiamo il lettore agli studi specialistici in materia (Cfr. ad esempio: D’Amato, La devozione a Maria nell’Ordine domenicano, ed. Studio Domenicano, Bologna 1984) - il Rosario è talmente connesso e congeniale alla sua spiritualità da poter affermare ch’esso è scaturito nel nostro Ordine, non senza certo un’azione dello Spirito Santo che dirige secondo i bisogni la storia della Chiesa, proprio come un logico naturale sviluppo del suo particolare carisma: “contemplata aliis tradere”. Di tale legame col carisma dell’Ordine ce ne porge una prima ragione il n. 67 delle Costituzioni dei frati - ripetuto quasi alla lettera dal n. 91, II di quelle delle

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monache - quando, dopo aver esortato i religiosi alla recita quotidiana del Santo Rosario, aggiungono: “Questa forma di orazione conduce alla contemplazione del mistero della salvezza, nel quale la Vergine Maria è intimamente unita all’opera del suo Figlio”. Il Rosario, infatti, adeguandosi perfettamente alla natura dell’uomo, che è materiale e spirituale insieme, non è soltanto né principalmente una preghiera vocale, ma è una preghiera che, mentre le dita sgranano la corona e le labbra sono occupate nella lode materiale di Maria in quanto madre del Redentore, porta la mente alla contemplazione dei misteri della nostra fede. Lo conferma autorevolmente anche Paolo VI nella “Marialis cultus” (n. 47): “La contemplazione è un elemento essenziale del Rosario, senza della quale esso sarebbe un corpo senza anima e la sua recita rischierebbe di diventare una ripetizione meccanica di formule e di contraddire così all’ammonimento di Gesù: ‘Quando pregate non siate ciarlieri come i pagani, che credono di venir esauditi in proporzione della loro loquacità (Mt 6,7)’. Per sua natura la recita dal Rosario esige un ritmo tranquillo e quasi un indugio pensoso che favoriscano nell’orante la meditazione dei misteri della vita del Signore, visti attraverso il cuore di colei che al Signore fu più vicina e ne dischiudano le insondabili ricchezze”. Strumento, o meglio, via alla contemplazione, il Rosario si inserisce, così, perfettamente nel carisma dell’Ordine domenicano che della contemplazione, insieme alla predicazione, ha fatto il suo fine. Ma, pur non ignorando che i misteri che il Rosario propone alla nostra meditazione sono quindici, le nostre Costituzioni preferiscono - come si è visto - vedere nel Rosario una via alla contemplazione del “mistero della salvezza”. Anche se suddiviso in quindici tappe, l’itinerario del Rosario ci deve cioè portare alla visione globale di quel mistero della salvezza che inizia nell’Eden con la promessa di

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un salvatore - cui ci richiama, per capirne il perché, il primo mistero gaudioso - per terminare, attraverso la redenzione operata da Cristo e alla quale sua madre è intimamente associata, al traguardo della gloria dei santi, presentataci nel quinto mistero glorioso. Ebbene, anche sotto questo aspetto di preghiera a sfondo teologico di ampiezza universale, il Rosario ben si inquadra nella spiritualità domenicana che ha nell’intellettualismo una delle sue caratteristiche principali (Cfr. Lippini, La spiritualità domenicana, Bologna 1958, pp. 135 ss.). Diversamente dal sentimento, è proprio infatti dell’intelletto avere un oggetto universale, la verità, da indagare e scoprire fino al giorno in cui la possederà tutta nella visione dell’infinita Verità di Dio in paradiso. Orbene, più che a suscitare sentimenti e commozioni - cosa cui sembra invece tendere, ad esempio, la pratica della Via Crucis, devozione sviluppatasi non per nulla in ambiente francescano, la cui teologia e spiritualità sono invece caratterizzate dal volontarismo - il Rosario fa spaziare l’intelletto non su un singolo mistero, ma sul mistero della Redenzione che li comprende tutti. Sull’esempio di Maria, che in quanto associata ai misteri del Figlio “serbava tutto nel suo cuore” (Lc. 2,51) illuminandone e sostenendone la propria condotta quotidiana, anche il domenicano, consapevole di essere lui pure associato per il battesimo e per la sua speciale consacrazione alla vita e alla passione di Cristo, recitando il Rosario saprà calare ed applicare i misteri alla propria vita e alla propria missione, sapendone scavare illuminazione, insegnamenti, aiuto e conforto nell’ascesa quotidiana verso la perfezione. La meditazione dei misteri, in tal modo, non contribuirà soltanto a dilatare in lui e ad approfondire l’oggetto materiale della sua fede come se si trattasse di una riflessione teologica, ma si trasformerà in una vera crescita di fede come adesione amorosa a Colui che di quei misteri è il protagonista e l’oggetto, facendolo in pari tempo progredire in quelle

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virtù’, e fra tutte le carità, che in ciascuno di essi appare praticata in maniera sublime. In quanto scuola di vita evangelica, che perciò evangelizza e forma il Predicatore facendone un contemplativo ed un santo, il Rosario si ricollega, così, indirettamente al secondo elemento del fine dell’Ordine, la predicazione, che nella spiritualità domenicana è sempre stata vista come necessario frutto della santità e della vita contemplativa del Predicatore. Ecco perché, oltre che ai frati e alle monache dell’Ordine, la recita quotidiana del Rosario viene caldamente raccomandata anche ai Laici Domenicani (Direttorio Naz. 13, 11; Dichiarazioni del Maestro dell’Ordine, n. 7): perché anche “La loro propria e specifica vocazione è ad un tempo contemplativa e apostolica” (Regola 10, d.). Ma proprio perché “il Rosario mariano è una via che conduce alla contemplazione dei misteri di Cristo e una scuola di formazione evangelica... e in esso viene esposta la dottrina della fede sotto l’aspetto di partecipazione della beata Vergine Maria al mistero di Cristo e della Chiesa”, le nostre Costituzioni affermano che esso “deve essere ritenuto una forma di predicazione rispondente allo spirito dell’Ordine” e ci esortano di conseguenza “a divulgarne la pratica con fervore.. e a promuoverne le Associazioni” (LCO 129). Viene, così, autorevolmente affermato che il Rosario è legato alla predicazione, fine dell’Ordine, non solo indirettamente in quanto utile strumento per formare il predicatore facendone un contemplativo, ma anche perché per sua natura è già esso stesso una forma di predicazione e quindi, anche sotto questo aspetto, preghiera perfettamente conforme allo spirito dell’Ordine dei Predicatori, in seno al quale si è sviluppata e al quale la Chiesa stessa l’ha autorevolmente affidata. Il Rosario, infatti - come già è stato notato - non è soltanto né principalmente una preghiera vocale, ma è preghiera mentale che, attraverso la contemplazione dei quindici misteri, offre all’orante lo spunto per ripassare ed approfondire tutto

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il mistero della salvezza e per confrontare la sua vita sugli esempi di Cristo e di Maria. Se ben recitato, il Rosario può quindi paragonarsi ad una Summa Teologica accessibile a tutti, in cui tutti, in proporzione alla loro cultura e alla loro sensibilità ed elevatura spirituale, possono rileggere le verità da credere e le virtù cristiane da praticare. Il divulgarne la recita è già quindi una forma di predicazione, perché equivale a divulgare quelle verità della fede che, in forza del suo carisma, l’Ordine è invitato a predicare in ogni forma e ad ogni ceto. Ma il Rosario può inoltre diventare per il predicatore una delle occasioni più belle per adempiere alla sua missione, per cui l’uso, forse risalente alle origini e mai tramontato, di alternare la recita vocale con la spiegazione orale del mistero corrispondente, è una forma di predicazione non solo consona alla natura del Rosario ma anche rispondente allo spirito dell’Ordine. Per il quale ogni sforzo ed ogni attività devono sempre avere di mira l’evangelizzazione. Ben si comprende, allora, come Pio XI potesse affermare che “Il Rosario di Maria resta il principio e il fondamento sul quale si regge, l’Ordine di S. Domenico, per la perfezione della vita spirituale dei suoi membri e la salvezza delle anime” (in Gillet, La devozione e l’apostolato del Rosario, p. 18). E Paolo VI, scrivendo al Maestro generale Padre Aniceto Femandez, potesse a sua volta ribadire: “Il Rosario è una preghiera propria della Vostra Famiglia e che mai dovete abbandonare” (30-6-1965) e “per la loro ardente devozione, i religiosi e le religiose domenicane, lungo il corso dei secoli sono divenuti figli e figlie della beata Vergine del Rosario” (24-5-1970), e nella Marialis cultus (n. 43): “I figli di S. Domenico sono per tradizione custodi e propagatori di così salutare devozione”. Sarebbe perciò enorme che noi, i custodi ufficiali del Rosario, fossimo secondi a qualcuno nella devozione e nella diffusione di esso! † P. Pietro Lippini o.p.

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