Il santo rosario arma per guarire le piaghe della socit

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Il “Salterio di poveri e analfabeti” affidato da Maria a san Domenico per fermare la diffusione del male

Il santo rosario, arma missionaria potente “per guarire le piaghe della società”

Oggi è questo, per ogni battezzato, il senso della missione: perché predicare “a tutte le genti la conversione ed il perdono dei peccati”, come dice il Catechismo della Chiesa Cattolica, significa recitare le decine con vera fede, tenendo la Corona stretta tra le mani.

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econdo il Catechismo della Chiesa Cattolica, andare in missione ha un significato preciso: “Cristo ha inviato i suoi Apostoli, perché 'nel Suo nome', siano 'predicati a tutte le genti la conversione ed il perdono dei peccati” (Catechismo, n. 1122). Non quindi per lottare contro povertà e fame oppure per costruire ospedali e scuole. O meglio, tutto questo va bene, nella misura in cui sgorghi però da una dimensione del cuore caratterizzata da una preoccupazione cardine, quella dell'evangelizzazione e dell'annuncio, finalizzata ad un obiettivo specifico: guarire le anime e convertirle al Vangelo, rivolgerle cioè alla vera luce, quella di Cristo. Insomma, la Chiesa non è la Croce Rossa, per intenderci, e non è chiamata a fare della semplice, benché importante filantropia. Lo ha spiegato bene Papa Benedetto XVI al n. 31 dell'enciclica Deus Caritas est, laddove scrive: “È molto importante che l'attività caritativa della Chiesa non si dissolva nella comune organizzazione assistenziale, diventandone una semplice variante”, ma – pur rispondendo a quanto costituisca “la necessità immediata” con “competenza professionale” – si distingua e si contraddistingua in termini di “umanità” e di “formazione del cuore”, quell'umanità e quella formazione del cuore che sole sgorgano dall'”incontro con Dio in Cristo”. La Chiesa è chiamata pertanto a svolgere quella che Papa Benedetto XVI nell'enciclica “Caritas in Veritate” definisce una “missione” sì, ma “di verità”. Del resto, che l'annuncio di Cristo rappresenti espressamente il primo e principale fattore di sviluppo lo chiarì già Paolo VI nella Populorum Progressio prima e nell'esortazione apostolica Evangelii nuntiandi poi, evidenziando in modo chiarissimo come “tra evangelizzazione e promozione umana”

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ci siano “legami profondi” ed individuando anzi le cause precise del sottosviluppo non tanto nell'ordine materiale quanto nel disordine spirituale, a partire dal tradimento del concetto di solidarietà e dalla “mancanza di fraternità tra gli uomini e tra i popoli”. Mentre i sacerdoti, in virtù del sacramento dell'Ordine, sono proiettati – come recita il Catechismo al n. 1565 – verso una “missione di salvezza”, che non è “limitata e ristretta”, bensì “vastissima e universale”, ovvero – come spiegano gli Atti degli Apostoli (At 1,8) – fino “agli ultimi confini della terra”, anche i laici – avendo ricevuto “i sacramenti dell'iniziazione cristiana” ovvero Battesimo, Comunione e Cresima – sono chiamati ad “evangelizzare il mondo” (Catechismo, n. 1533).

A partire dai nostri cari in famiglia, dai colleghi sul lavoro e via via, secondo le occasioni posteci sul cammino. Un esempio concreto: il noto scrittore cattolico Eugenio Corti, autore di diverse opere di successo quali il romanzo Il Cavallo Rosso o la tragedia Processo e morte di Stalin, ha detto chiaramente e senza giri di parole di considerare la sua attività come una “milizia”, riprendendo così l'espressione per lui coniata da Caprara, l'ex-segretario di Togliatti. Ciò, ad indicare come ancora oggi sia possibile evangelizzare con efficacia, quindi vivere la missione in mille modi, non solo trasferendosi in mondi lontani e presso popoli sconosciuti, bensì anche attraverso l'esercizio della scrittura: “Missione dei fedeli laici – precisa Papa Benedetto XVI al n. 29 della Deus Caritas est – è pertanto quella “di configurare rettamente la vita sociale” secondo “carità”. Per svolgere saldamente tale compito, tutt'altro che semplice, e combattere così la “Buona

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Battaglia” cui san Paolo ci chiama quotidianamente, la Provvidenza ci ha dotati di armi adeguate: innanzi tutto, una “testimonianza di vita” fedele e coerente, utile per “attirare gli uomini alla fede e a Dio” (Catechismo, n. 2044); poi, potentissimo, il santo rosario, definito il “Salterio dei poveri e degli analfabeti”, affidato dalla Vergine Maria a san Domenico quale vera e propria arma spirituale per rafforzare la fede dei cattolici, favorire la conversione degli eretici – in particolare, in quel periodo, i crudelissimi albigesi – e fermare la diffusione del male nella società. La devozione si diffuse miracolosamente presso il popolo dei fedeli, il che non mancò di produrre

frutto, tanto nella “cura animarum” quanto in ambito temporale con incredibili vittorie. Esemplare in tal senso la famosa battaglia di Lepanto, vinta il 7 ottobre 1571, in un giorno peraltro tradizionalmente dedicato dalle Confraternite del rosario alle devozioni. Il senato veneto attribuì il trionfo felicemente ed in modo diretto alla Madonna del rosario: “Non virtus, non arma, non duces, sed Maria Rosarii victores nos fecit” ovvero “non il valore, non le armi, non i condottieri, ma la Madonna del rosario ci ha reso vincitori”. A Lourdes Nostra Signora apparve con la corona del rosario in mano, lo stesso accadde nel 1917 a Fatima, dove insistette molto sulla recita quotidiana del santo rosario, indicandolo quale unico mezzo efficace per combattere il male allora pronto ad abbattersi sul XX secolo, nonché quale unico rimedio “per la pace nel mondo”. La richiesta della Vergine non venne onorata e la guerra ebbe inizio proprio nella festa di Nostra Signora del rosario. Lo stesso Leone XIII, nell'enciclica Supremi apostolatus del 1 settembre 1883, specificò come “dal rosario” si possa “ottenere tutto” in quanto – come precisò santa Teresa del

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Bambin Gesù – “lunga catena che lega il cielo e la terra: una delle estremità è nelle nostre mani, l'altra in quella della Madonna. Finché il rosario sarà recitato, Dio non potrà abbandonare il mondo, perché questa preghiera è onnipotente sul suo Cuore”. Ma lo stesso san Pio X affermò come, “dopo la santa Messa”, non ci fosse “preghiera più efficace del santo rosario” contro “i pericoli del mondo”, secondo la formula utilizzata da Sisto IV. Non a caso lo scorso mese di maggio il santo Padre Benedetto XVI con tutti i Vescovi italiani, riuniti in Assemblea Generale, ha recitato il santo rosario, in occasione delle celebrazioni dell'unità

nazionale. Non certo un Te Deum, bensì l'occasione per affidare l'Italia alla Madonna. Ce n'è bisogno... Lo stesso Leone XIII nella già citata Supremi apostolatus, evidenziava come “il fatto più doloroso e più triste di tutti” sia “che tante anime, redente dal sangue di Gesù Cristo, come afferrate dal turbine di questa età aberrante”, vadano “precipitando in un comportamento sempre peggiore” e piombino “nell'eterna rovina”. Scenario non dissimile da quello attuale... “Il bisogno dunque del divino aiuto non è certamente minore oggi di quando il glorioso san Domenico introdusse la pratica del rosario mariano per guarire le piaghe della società”. Ecco, questa è allora la nostra missione, oggi: pregare con la corona tra le mani, proprio “per guarire le piaghe della società”. Mauro Faverzani

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