il “corpo” dell’orazione
la meditazione - II
Nel precedente articolo abbiamo esaminato la preparazione alla preghiera, preparazione dalla quale dipende in gran parte la riuscita della preghiera stessa. Terminata la preparazione si entra nel vivo della preghiera mentale, in quello che viene chiamato il “corpo” dell’orazione.
ui vi sono tanti metodi, tante vie. Sarebbe molto bello esaminare almeno i più importanti di questi metodi, in modo che ciascuno, dopo un’adeguata esperienza di essi, possa scegliere quello in cui si trova meglio, nel senso che la preghiera gli risulta più facile e più fruttuosa. Occorre dire però che questi metodi non differiscono fra loro sostanzialmente, poiché l’essenza della preghiera mentale è sempre la stessa. Si tratta di parlare con Dio, pensare a Dio amandolo, contemplare amorosamente Dio. E’ celebre la definizione della preghiera mentale
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che dà S.Teresa d’Avila, la grande maestra dell’orazione: «Per me – ella dice – l’orazione è un intimo rapporto di amicizia, uno scambio a tu per tu con Colui dal quale sappiamo di essere amati». Di solito per entrare nel vivo della preghiera, cioè di questo scambio, conviene avere un materiale già preparato che serva come argomento per l’orazione. I maestri spirituali consigliano addirittura di fissare l’argomento la sera prima. Qui non c’è che da provare… Di solito l’argomento della meditazione è dato da un libro. S. Teresa d’Avila confessa che per una quindicina d’anni non le riusciva di fare l’orazione senza servirsi di un libro. Il libro aiuta a fissare l’attenzione, impedendo alla fantasia (che Santa Teresa chiama la “matta di casa”) di svolazzare qua e là. Trovare il libro adatto è molto importante. Alcuni si servono della liturgia del giorno (letture della Messa o dell’Ufficio Divino), oppure direttamente della Sacra Scrittura. C’è invece chi si trova meglio con un libro di meditazioni già fatte, divise in punti. Comunque i momenti della preghiera sono sostanzialmente tre: lectio, meditatio, contemplatio (lettura, meditazione e contemplazione, cioè colloquio affettivo). Quando, dopo aver letto alcune righe, la mente e il cuore cominciano a sentirsi toccati, è bene chiudere il libro e soffermarsi a pensare a quanto si è letto, suscitando in noi sentimenti di fede, di pentimento, di ammirazione, di lode, di speranza, di amore e così via. Questa è la preghiera mentale vera e propria. Questo è in senso stretto il “cuore” della preghiera.
LA CONCLUSIONE DELLA PREGHIERA La conclusione della preghiera è molto importante. Si tratta di “tirare le fila”. La conclusione comprende il proposito e, almeno secondo il metodo di San Francesco di Sales, il cosiddetto “mazzolino spirituale”.
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Il proposito deve essere formulato in modo concreto. Per esempio, supponiamo che io abbia meditato sul raccoglimento di Maria Santissima. Per tutta la giornata mi sforzerò di non lasciare andare la fantasia e di rinunciare ad ogni parola inutile. Oppure, se ho meditato sulla carità, mi sforzerò di essere gentile e sorridente con tutti quelli che incontro, in particolare con quella persona che a volte mi tratta male. E chiederò l’aiuto del Signore per riuscirci. Il “mazzolino spirituale” consiste nel raccogliere uno o più pensieri, una o più parole, come dei fiori da un giardino, in modo da poter, durante la giornata, sentendo il profumo di quei fiori, rivivere la bella esperienza che ho fatto visitando quel giardino. Ciò ha il vantaggio di far sì che l’orazione mentale non rimanga chiusa in se stessa, come un cassetto che si apre e si tiene chiuso fino al giorno dopo, ma riempia tutta la giornata, e così trasformi tutta la nostra vita quotidiana.
LE DISTRAZIONI E L’ARIDITÀ Chiunque si impegna nella vita di preghiera si troverà prima o dopo a dover affrontare le distrazioni. E’ importante a questo punto distinguere le distrazioni volontarie e quelle involontarie. Le prime possono e devono essere evitate, nella misura consentita dalla nostra debolezza umana, mentre le seconde vanno sì evitate, ma non è possibile, di solito, eliminarle completamente. Le distrazioni involontarie possono essere notevolmente ridotte se la preghiera è stata adeguatamente preparata (si veda l’articolo precedente). Le distrazioni totalmente involontarie non sono un peccato e non compromettono il valore della preghiera. L’aridità è un fenomeno assai frequente nella vita di preghiera (San Giovanni della Croce parla della “notte oscura”). Chi si trova in tale stato deve chiedere al Signore di liberarlo, se questa è la Sua volontà, deve prendere tutti gli accorgimenti necessari per ravvivare la sua preghiera, ma non deve avvilirsi o scoraggiarsi. San Francesco di Sales porta questo esempio molto consolante. Anche le statue in chiesa, dice, sono fredde e non provano alcun sentimento, eppure con la loro semplice presenza danno lode a Dio. Anche noi, se possiamo, nell’aridità non lasciamo mai la preghiera, ma stiamo davanti al Signore. Egli ci ricompenserà, a suo tempo, di questa nostra perseveranza e fedeltà.
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L’ORAZIONE MENTALE E IL ROSARIO Chi vuole intraprendere un cammino spirituale veramente serio deve essere fedele alla meditazione quotidiana (di solito per lo spazio di mezz’ora). Ma non può mancare anche il rosario quotidiano (almeno una corona). L’orazione mentale permette di dire meglio il Rosario (con più attenzione ai misteri), e d’altra parte il rosario crea quel clima spirituale che facilita l’orazione mentale. Quindi i due tipi di preghiera si aiutano reciprocamente. Quando per esempio al primo sabato del mese si medita per almeno un quarto d’ora sui misteri del rosario (come chiede la Madonna), la recita della corona che contiene quei misteri viene come trasfigurata, ed è incomparabilmente più bella e più fruttuosa. Ma il legame fra la preghiera mentale e il rosario sta anche nel fatto che il rosario è anch’esso, sia pure a suo modo, una certa preghiera mentale. Infatti l’anima del rosario sta nella “contemplazione” dei misteri: ora, la contemplazione è proprio l’atto caratteristico della preghiera mentale. Certamente l’unire la preghiera mentale con quella vocale (la recita delle Ave Maria) può comportare delle difficoltà. Per questo alcune anime si trovano a disagio con la recita del Rosario (valga per tutti l’esempio di Santa Teresa di Gesù Bambino). Ma sono casi piuttosto rari. Il rosario detto bene e con calma facilita la contemplazione. L’anima che dice il rosario si trova immersa via via nei singoli misteri, che le sono familiari e nei quali si trova a proprio agio. Il rosario è una preghiera spiritualmente riposante. Portiamo anche qui un esempio: il Papa Giovanni Paolo II, che è stato una grande anima contemplativa, affermava con la massima semplicità: «il rosario è la mia preghiera preferita». P. Roberto Coggi o.p.
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