speciale: la preghiera in famiglia
La preghiera, soprattutto il Rosario, è sempre stata considerata un antidoto ai mali della famiglia
La preghiera in famiglia
C’
è una cattiva notizia: l’attacco alla famiglia – alla famiglia come luogo degli affetti, come segno di comunione, come nucleo fondante la società – prosegue, incessante, vigoroso. Dopo le macro-battaglie – divorzio, aborto, ora anche eutanasia –, che di fatto ne hanno intaccato e ne intaccano alla radice la natura tanto quanto la struttura, compromettendone l’equilibrio e la serenità dei rapporti interni, ora anche degeneri campagne di sensibilizzazione, soprattutto mediatiche, tentano di minarne le fondamenta, proponendo col “vestito della festa” modelli e schemi sociali in realtà deviati, capaci di solleticare latenti pretese di autonomia o ambizioni libertarie sempre presenti nel singolo, come il modello Zapatero in Spagna tristemente insegna. Par quasi che vi sia la paura dell’impegno, di considerare eterno l’amore giuratosi il giorno delle nozze, il dono reciproco degli sposi; sembra che altre forme di convivenza siano addirittura da preferirsi alla famiglia, perché “più comode”… C’è però anche una buona notizia: la famiglia ha l’antidoto per reagire a tutto questo. E salvarsi. E tale antidoto è la preghiera. Scrive Giovanni Paolo II nell’Esortazione Apostolica “Familiaris Consortio”: “Solo pregando insieme con i figli il padre e la madre, mentre portano a compimento il proprio sacerdozio regale, scendono in profondità nel cuore dei figli, lasciando tracce che i successivi eventi della vita non riusciranno a cancellare”. E, all’interno della preghiera, il Magistero individua in modo ripetuto ed insistente il Santo Rosario quale forma di orazione privilegiata e da privilegiarsi. Per mille motivi, sintetizzati da Papa Pio XII nell’espressione, ad esso riferita, di “compendio di tutto il Vangelo”. Ben lo ha evidenziato Giovanni Paolo II nella Lettera Apostolica “Rosarium Virginis Mariae”, laddove constata proprio come “la famiglia, cellula della società” sia “sempre più insidiata da forze disgregatrici a livello ideologico e pratico”, forze “che fanno temere per il futuro di questa fondamentale ed irrinunciabile istituzione e, con essa, per le sorti dell’intera società. Il rilancio del Rosario nelle famiglie cristiane si propone come aiuto efficace, per arginare gli effetti devastanti di questa crisi epocale” in quanto “preghiera della famiglia e per la famiglia”. Subito dopo Papa Wojtyla aggiunge, con forza e fervore: “Bisogna tornare a pregare in famiglia ed a pregare per le famiglie” (n. 41). Già Pio XII evidenziava nella Lettera Enciclica “Ingruentium Malorum”, quanto vano sia cercare “di portare rimedio alle sorti vacillanti della vita civile, se la società domestica, principio e fondamento dell’umano consorzio, non sarà diligentemente ricondotta alle norme dell’evangelo”. Resistere, resistere a tale stato di cose vuol dire porsi in atteggiamento di umile e supplice ascolto
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del Signore: “La famiglia cristiana si presenta come una Chiesa domestica – scriveva Paolo VI nell’Esortazione Apostolica “Marialis Cultus” – se i suoi membri innalzano in comune supplici preghiere a Dio: ché, se non ci fosse questo elemento, le verrebbe a mancare il carattere stesso di famiglia cristiana”. Nell’orazione, invece, si riattualizza quella stessa atmosfera spirituale viva e fervente ch’era tipica delle prime comunità cristiane, del popolo dell’Antica Alleanza, si ripropone il clima spirituale della Casa di Nazareth. Non perché qui i problemi mancassero, non perché fosse tutto rose e fiori. Ma perché qualsiasi difficoltà, qualsiasi imprevisto era condiviso coi fratelli, anche nelle preci quotidiane, come ponendo tutto ciò di fronte agli occhi ed al giudizio del Signore, come
a ricevere da Lui la giusta soluzione, la retta risposta, “perché si pone Gesù al centro, si condividono con Lui gioie e dolori, si mettono nelle Sue mani bisogni e progetti, si attingono da Lui la speranza e la forza per il cammino” (n. 41 “Rosarium Virginis Mariae”): “Ogni giorno tutti insieme frequentavano il tempio e spezzavano il pane in casa,… lodando Dio” (At 2, 46). Grazie a questa testimonianza ardente, “coloro che erano fuori, restavano attratti e chiedevano di unirsi a loro per essere salvati” (At 2, 48). Se oggi i cosiddetti “lontani” non provano più quest’attrazione, v’è da interrogarsi dunque sulla genuinità della nostra fede e sulle ragioni che abbiano conseguentemente determinato la perdita di tale forte carica evangelizzatrice. Come pregare? Insieme. Su questo punto il Sommo Pontefice è stato molto chiaro e determinato: “La famiglia che prega unita, resta unita. Il Santo Rosario, per antica tradizione, si presta particolarmente ad essere preghiera, in cui la famiglia si ritrova. I singoli membri di essa, proprio gettando lo sguardo su Gesù, recuperano anche la capacità di guardarsi sempre nuovamente negli occhi, per comunicare, per solidarizzare, per perdonarsi scambievolmente, per ripartire con un patto di amore rinnovato dallo Spirito di Dio”. Non solo pregare. Ma pregare, contemplando. Giovanni Paolo II parla espressamente della recita del Rosario come di ciò ch’è in grado di portare “al cuore
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stesso della vita cristiana, offrendo un’ordinaria quanto feconda opportunità spirituale e pedagogica per la contemplazione personale” (n. 3 della citata Lettera Apostolica). In silenzio. Soprattutto, se silenzio interiore, affinché “le nostre voci non ‘coprano’ quella di Dio, il quale parla sempre attraverso il silenzio, come ‘il sussurro di una brezza leggera’ (I Re 19, 12). Quanto è importante allora curare questo silenzio pieno di Dio sia nella recita personale che in quella comunitaria!”. Ed ancora: “Il Rosario, per essere preghiera contemplativa, deve sempre emergere dal silenzio del cuore come risposta alla Parola, sul modello della preghiera di Maria” (Benedetto XVI, Meditazione alla recita del Rosario a Pompei). Tanto nell’intimità della propria anima col suo
Signore, quanto comunitariamente, col coniuge, con i figli, con altri fedeli riuniti in gruppo. Del resto, ha evidenziato Benedetto XVI nell’omelia a Pompei, “il Rosario è preghiera contemplativa accessibile a tutti: grandi e piccoli, laici e chierici, colti e poco istruiti”. Al centro vi sono, dunque, problemi interrelazionali: “Molti problemi delle famiglie contemporanee dipendono dal fatto che diventa sempre più difficile comunicare. Non si riesce a stare insieme e magari i rari momenti dello stare insieme sono assorbiti dalle immagini di un televisore. Riprendere a recitare il Rosario in famiglia significa immettere nella vita quotidiana ben altre immagini, quelle del Mistero che salva: l’immagine del Redentore, l’immagine della Sua Madre Santissima. La famiglia che recita insieme il Rosario riproduce un po’ il clima della casa di Nazareth: si pone Gesù, al centro, si condividono con Lui gioie e dolori, si mettono nelle Sue mani bisogni e progetti, si attingono da Lui la speranza e la forza per il cammino”. Con una certezza, quella offertaci in una propria riflessione dal beato Bartolo Longo: che cioè “chi propaga il Rosario, è salvo”. Mauro Faverzani
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