Mariologia - Parte I P. Roberto Coggi
MARIOLOGIA
Maria nel Vecchio Testamento
CAPITOLO I
MARIA NELL’ANTICO TESTAMENTO
Premessa L’Antico Testamento parla di Maria Santissima? Questa domanda ha ottenuto varie risposte anche da parte degli studiosi cattolici. Si va da una posizione estrema, per cui «tutta la Scrittura parla di Maria», come affermava lo Pseudo-Bernardo1, a un’altra, di segno opposto, per cui Maria sarebbe assente dall’Antico Testamento, o almeno le allusioni a lei sarebbero così implicite e indirette da non poter costituire nemmeno un abbozzo di teologia mariana. È chiaro che per uno studioso non credente il problema non si pone. Egli potrebbe al massimo ammettere che Maria di Nazaret è sorta dal popolo e dall’ambiente culturale di Israele, che la spiegano. In questo senso si potrebbe dire che l’Antico Testamento l’ha «preparata». Se però uno studioso è credente, non potrà negare che tutte le Scritture sono orientate verso Gesù Cristo. Maria Santissima ha un senso in funzione di questo fine. Essa è il compimento dell’Antico Testamento, l’inizio e l’esemplare del Nuovo e la Madre del Messia. Per vedere se e in che modo l’Antico Testamento parla della Madre di Gesù, è bene ricordare brevemente quali sono i sensi della Sacra Scrittura. Vi è innanzitutto il senso letterale, che è quello inteso direttamente e prima di tutto dall’autore. Questo senso però può essere proprio o metaforico, cioè figurato. Il senso proprio è quello ovvio delle parole e delle frasi usate, quello metaforico o figurato è quello che viene preso secondo una somiglianza. Per esempio quando dico: «L’uomo ride», il verbo ridere è preso in senso proprio; quando dico: «Il prato ride», lo stesso verbo è preso in senso metaforico, cioè secondo 1
PSEUDO-BERNARDO, Sermo 3 in Antiphonam Salve Regina, PL 184, 1069.
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una somiglianza o analogia. Si tratta però sempre di senso letterale. Oltre al senso letterale c’è quello tipico, che riguarda non più le parole, ma le cose: esso si ha quando delle cose o dei fatti (non più delle parole, quindi), riferiti nella Scrittura secondo l’intenzione di Dio, Autore principale, significano insieme un’altra verità più alta e nascosta. In altri termini: le realtà diventano figura di altre realtà note solo a Dio. Così si dice, ad esempio, che il passaggio del Mar Rosso è figura del nostro battesimo, che Adamo è figura (tipo) di Cristo, e così via. Da questo punto di vista, il lettore l’avrà già intuito, si potrà dire che Eva, la madre di tutti i viventi, è figura (tipo) di Maria, la madre di tutti i viventi in Cristo. Gli esegeti moderni hanno indicato un altro senso possibile della Sacra Scrittura, detto senso pieno (sensus plenior) o profetico. Esso è come un prolungamento del senso letterale, ed è quel senso che non era percepito e inteso ancora dall’autore umano, almeno chiaramente, ma era inteso da Dio, Autore principale della Sacra Scrittura. Esso viene colto da noi quando leggiamo il testo biblico alla luce della rivelazione successiva. Dopo questa necessaria premessa possiamo affrontare il nostro problema: l’Antico Testamento parla di Maria? E, in caso di risposta positiva, dove e in che modo ne parla? Il Concilio Vaticano II, nella Costituzione dogmatica Lumen Gentium, si esprime in maniera molto precisa e prudente: «I libri dell’Antico Testamento descrivono la storia della salvezza, nella quale lentamente viene preparandosi la venuta di Cristo nel mondo. Questi primi documenti, come sono letti nella Chiesa e sono capiti alla luce dell’ulteriore e piena rivelazione, passo passo mettono sempre più chiaramente in luce la figura di una donna: la madre del Redentore. Sotto questa luce essa viene già profeticamente adombrata nella promessa fatta ai progenitori caduti in peccato, circa la vittoria sul serpente (cf. Gen 3, 15). Parimenti, questa è la Vergine che concepirà e partorirà un Figlio, il cui nome sarà Emanuele (cf. Is 7, 14; cf. Mi 5, 2-3 e Mt 1, 22-23). Essa primeggia tra gli umili e i poveri del Signore, i quali con fiducia attendono e ricevono da Lui la salvezza. Infine con Lei, eccelsa Figlia di Sion, dopo la lunga attesa della promessa, si compiono i tempi e si instaura una nuova economia, quando il Figlio di Dio assunse da Lei la natura umana, per liberare coi misteri della sua carne l’uomo dal peccato»2.
Alla luce di questa autorevole precisazione possiamo dire che vi sono nell’Antico Testamento almeno tre riferimenti sicuramente mariani (Gen 3, 15; Is 7, 14; Mi 5, 2-3). Cominciamo dunque con l’esaminare questi testi. 2
Lumen Gentium, n. 55.
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Alcuni testi sicuramente mariani 1) GENESI 3, 15 (IL PROTOVANGELO) Riportiamo il testo nella traduzione della CEI: «Io porrò inimicizia fra te e la donna, fra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno». Sono le parole che Dio rivolge al serpente, cioè al diavolo, che aveva sedotto Eva. Si parla di una lotta fra la donna e il serpente, e fra la stirpe della donna e quella del serpente. Ci sarà un vincitore in questa lotta? Nella traduzione CEI appare chiara la vittoria della stirpe della donna sulla stirpe del serpente. Ma non tutti sono d’accordo sulla traduzione, poiché i due verbi «schiacciare» e «insidiare» sono per la verità espressi dall’unico verbo ebraico shuf. In tal modo si parlerebbe della lotta senza indicare il vincitore. E nemmeno ci si potrebbe basare, per indicare la vittoria, sulle rispettive posizioni della testa e del calcagno, benché la posizione della testa sotto il calcagno sia una posizione di inferiorità. Infatti, in Genesi 49, 17, si conferisce a Dan, capo e personificazione di una delle tribù di Israele, l’onore di essere «un serpente che morde il cavallo al calcagno», ottenendo così la vittoria, poiché «il cavaliere cade all’indietro». La lotta testa-calcagno è umiliante per la testa, ma pericolosa per il possessore del calcagno. La speranza sta però in questo: la stirpe dell’uomo rimane in piedi, a differenza del serpente. Dio rimane in dialogo con l’uomo dopo la sentenza. Professa una preoccupazione paterna, simboleggiata dalle tuniche di pelle con le quali riveste Adamo ed Eva (Gen 3, 21), mentre maledice il serpente3. Oltre a ciò bisogna tenere presente la mente dello scrittore sacro. Tutta la narrazione infatti si inquadra nella storia della salvezza, e questo primo oracolo divino si inserisce in una prospettiva vittoriosa del bene sul male. Sembra dunque chiaro che nella mente dell’agiografo è presente il trionfo totale e assoluto della stirpe della donna sul serpente. 3
Cf. R. LAURENTIN, Maria nella storia della salvezza, Marietti, Torino 1972, pp. 12-13.
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Ma chi è esattamente che vince il serpente? La stirpe della donna: il senso sembra quindi collettivo, con riferimento ai discendenti della donna. Tuttavia il serpente, che indica il diavolo, è uno solo: non sarà quindi più verosimile interpretare la discendenza come riferita singolarmente a un discendente particolare? Così infatti hanno pensato i Settanta, cioè i traduttori dell’Antico Testamento in lingua greca, poiché la stirpe viene da essi tradotta con sperma, che in greco è neutro, mentre chi schiaccerà la testa al serpente è indicato con autòs, cioè «egli», al maschile. Il senso è quindi apertamente messianico: il vincitore del demonio sarà il Messia, discendente dalla donna. Rimane a questo punto da chiederci chi è la donna. La risposta sembra immediata: la donna è Eva. Ma Maria non è in nessun modo implicata? Se il vincitore del serpente è il Messia, come non vedere implicata in questa vittoria anche la madre del Messia? Per questo, accanto ad alcuni autori i quali ritengono che nella donna sia indicata esclusivamente Eva, ve ne sono altri che vi vedono indicata anche Maria. Secondo alcuni la donna è Eva in senso letterale e Maria in senso tipico; secondo altri sarebbe Maria in senso letterale immediato; secondo altri ancora sarebbe Eva in senso letterale immediato, e Maria in senso pieno. Quest’ultima è la tesi oggi prevalente presso gli studiosi cattolici. Valga per tutti questa citazione di Jean Galot4: «Eva è designata in senso letterale. Però Maria è intesa implicitamente, ed è forse questo il senso più importante, poiché è la vittoria sul serpente che interessa l’autore sacro»5.
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J. GALOT, L’Immaculée Conception, in Maria, vol. 7, Beauchesne, Parigi 1964, pp. 28-32. Riportiamo a conclusione di questo paragrafo la nota della TOB (Traduzione ecumenica della Bibbia) a Gen 3, 15. Vi troviamo riassunto quanto abbiamo sin qui visto: «Questo passo viene inteso in vari modi. Per alcuni annunzierebbe una lotta a morte e senza fine tra la discendenza della donna e quella del serpente; questo combattimento senza esito farebbe parte del contesto penale disposto dal Signore. La versione TOB (Questa ti contunderà la testa e tu la contunderai al tallone) può anche essere così interpretata. Secondo altri, il passo permette invece di intravedere un risultato favorevole nel combattimento perché si riferisce prima di tutto al serpente. La discendenza del serpente sarà colpita alla testa, mentre quella della donna lo è solo al calcagno. Anche l’espressione mangiare la polvere è simbolo di sconfitta (Mi 7, 17). È il punto di vista adottato dalla traduzione italiana, che sceglie il senso “schiacciare” del verbo ebraico (Gb 9, 17). La tradizione cristiana, alla luce degli altri libri biblici, ha spesso visto in questo testo il “Protovangelo”, l’annunzio cioè della vittoria che riporterà il Messia, nato da una donna. È quanto suggeriva già la versione greca, traducendo il pronome femminile del testo ebraico con quello maschile; vale a dire riferendo il passo a un determinato personaggio. La tradizione cattolica ha riconosciuto qui un dato importante intorno al ruolo della madre del Messia, da cui la traduzione ipsa (cioè la donna) conteret (calpesterà) della Volgata». E da qui, aggiungiamo noi, la raffigurazione dell’Immacolata come di colei che schiaccia la testa al serpente.
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2) ISAIA 7, 14 (LA PROFEZIA DELL’EMMANUELE) «Pertanto il Signore vi darà un segno. Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele». Il profeta Isaia aveva ricordato al re Acaz che la salvezza sta nella fede nel Signore: «Se non crederete non avrete stabilità» (7, 9). Propone quindi al re di chiedere un segno, ma Acaz si rifiuta di chiederlo (poiché ciò lo obbligherebbe a cambiare i suoi piani). Non vuole «tentare Dio». Isaia lo rimprovera e dice appunto: «Il Signore stesso vi darà un segno...». L’interpretazione di questo passo è difficile, e ha suscitato e suscita molte discussioni. Una sintesi molto chiara è data dalla nota della Bibbia di Gerusalemme, che riportiamo: «Il segno che il re Acaz ha rifiutato di chiedere gli è dato da Dio. È la nascita di un figlio, il cui nome, Emmanuele, cioè “Dio con noi” (cf. 8, 8. 10), è profetico (cf. 1, 26) e annunzia che Dio sta per proteggere e benedire Giuda. In altri testi (9, 1-6; 11, 1-9) Isaia svelerà con più precisione certi aspetti della salvezza apportata da questo figlio. Queste profezie sono un’espressione del messianismo regale, già abbozzato dal profeta Natan (2 Sam 7) e che sarà ripreso più tardi da Mi 4, 14; 5, 3; Ez 34, 23; Ag 2, 23 (cf. Sal 2; 45; 72; 110). È mediante un re, successore di Davide, che Dio darà la salvezza al suo popolo; è sulla persistenza della stirpe davidica che riposa la speranza dei fedeli di Jahvè. Anche se Isaia ha in vista immediatamente la nascita di un figlio di Acaz, per esempio Ezechia (come sembra probabile a dispetto delle incertezze della cronologia, e come sembra aver compreso il testo greco leggendo al v. 14: “Tu gli metterai nome”), si intuisce dalla solennità data all’oracolo e dal senso forte del nome simbolico dato al figlio che Isaia intravede in questa nascita regale, al di là delle circostanze presenti, un intervento di Dio in vista del regno messianico definitivo. La profezia dell’Emmanuele sorpassa quindi la sua realizzazione immediata, e legittimamente gli evangelisti (Mt 1, 23, citando Is 7, 14; Mt 4, 15-16 citando Is 8, 23 - 9, 1), poi tutta la tradizione cristiana, vi hanno riconosciuto l’annunzio della nascita di Cristo». Secondo la Bibbia di Gerusalemme possiamo dunque dire che il segno dato ad Acaz è secondo il senso letterale immediato la nascita di Ezechia, ma nel senso pieno o profetico, già intravisto dallo stesso profeta, è la nascita del Messia. Altri autori invece sostengono, con buoni argomenti, che il segno si riferisce al Messia già secondo il suo senso letterale immediato. La differenza fra le due diverse interpretazioni (che però, come abbiamo visto, sono concordi nell’affermare il valore messianico del testo) si ripercuote anche sul senso che viene dato alla parola «vergine», in ebraico almah.
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Sentiamo come si esprime su questo punto la Bibbia di Gerusalemme. La nota citata così prosegue: «La traduzione greca porta “la vergine”, precisando così il termine ebraico almah, che designa sia una giovane sia una donna appena sposata, senza esplicitare ulteriormente. Ma il testo dei Settanta è un testimone prezioso dell’interpretazione giudaica antica, che sarà consacrata dal Vangelo: Mt 1, 23 troverà qui l’annunzio della concezione verginale di Cristo». Quindi possiamo dire che anche su questo punto il senso proprio di «vergine» apparterrebbe al senso pieno e profetico del testo, esplicitato dallo stesso Vangelo: la concezione verginale del Messia è espressa così già nell’Antico Testamento, letto secondo il suo senso pieno. Anche qui però vi sono degli autori che vedono il senso forte della parola «vergine» contenuto nel testo di Isaia letto anche secondo il senso letterale immediato. Essi insistono sul fatto che la parola almah implicherebbe sempre, almeno indirettamente, la verginità6. Possiamo concludere questo punto affermando che il testo di Is 7, 14, secondo il senso pieno, ma forse anche secondo il senso letterale immediato, si riferisce al Messia e al suo concepimento e nascita da una Vergine. Maria è quindi certamente implicata. Roberto Coggi o.p. (continua)
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Si veda, ad esempio, la trattazione di J. L. BASTERO DE ELEIZALDE, in Marìa, Madre del Redentor, Edizioni Università di Navarra, Pamplona 2004, pp. 90-92.
Questo testo è tratto dal volume di P. Roberto Coggi o.p.
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