Maria presso i Santi Padri (parte I)
P. R o b e r t o C o g g i
MARIOLOGIA
Mariologia Pa r t e I I I
MARIA PRESSO I SANTI PADRI L’argomento dello sviluppo della dottrina mariana nel pensiero patristico è assai ampio, e può essere affrontato in vari modi. Ad esempio secondo i vari temi, oppure esaminando singolarmente i diversi Padri dell’Oriente e dell’Occidente. È questa la via seguita dal Melotti1, ed è anche quella che seguiremo noi, naturalmente senza alcuna pretesa di completezza, ma soffermandoci soltanto sulle figure più rappresentative. Il periodo patristico può essere diviso in quattro parti2. Iniziamo con l’esame della prima.
DALL’INIZIO DELL’ERA PATRISTICA ALLA FINE DEL SECONDO SECOLO S. IGNAZIO DI ANTIOCHIA (+ 107) È una delle figure principali dell’antichità cristiana ed è il primo Padre apostolico che ci parla di Maria. Egli ne afferma decisamente la maternità divina e la verginità. La vera maternità di Maria è garanzia della verità dell’Incarnazione (contro il docetismo e l’incipiente gnosticismo): «Tappatevi le orecchie se qualcuno vi parla di Gesù Cristo in modo diverso da noi: egli è della stirpe di Davide, egli è da Maria; egli veramente nacque, mangiò e bevve, veramente fu perseguitato sotto Ponzio Pilato, veramente fu crocifisso e morì, veramente risuscitò dai morti»3. «Rimase occulta al principe di questo mondo la verginità di Maria e il suo parto, come pure la morte del Signore: tre clamorosi misteri che si compirono nel silenzio di Dio»4.
«Queste prime affermazioni intorno alla verità di Maria Santissima appaiono come un’incipiente riflessione teologica sulle affermazioni mariane contenute nella Sacra Scrittura. La concezione e il parto appaiono legati alla cristologia, come il modo dell’entrata del Verbo nel nostro mondo, che tocca radicalmente la verità della sua carne e la sua relazione con il genere umano; il mistero della verginità appare strettamente legato con altri misteri custodi1
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L. MELOTTI, Maria, la madre dei viventi, Elle Di Ci, Torino 1986, pp. 50 ss. A questo Autore e alla sua bella trattazione mi ispiro molto in queste pagine dedicate ai Santi Padri. G. JOUASSARD, Marie à travers la patristique, in Maria, I, Beauchesne, Parigi 1949, pp. 69-157. S. IGNAZIO DI ANTIOCHIA, Ai Tralliani 9, PG 5, 681 ID. Agli Efesini 19, PG 5, 660.
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ti nel silenzio di Dio e direttamente riferiti alla sua volontà salvifica riguardo agli uomini»5. S. IRENEO (+ c. 200) S. Ireneo, Vescovo di Lione, è giustamente ritenuto da molti come «il padre della mariologia». La sua teologia è una dottrina della storia della salvezza, che avviene mediante una «ricapitolazione», con cui si ristabilisce l’ordine violato dal peccato (aspetto di riparazione) e si supera l’abbozzo iniziale (aspetto di compimento e di superamento). In questa ricapitolazione domina ovviamente l’antitesi Adamo-Cristo, ma ha un’importanza fondamentale anche l’antitesi Eva-Maria (già abbozzata da Giustino). Secondo Ireneo la funzione di Maria è necessaria alla logica del piano divino. Vediamo il testo fondamentale6. Dopo aver enunciato le grandi linee del disegno di Dio, Ireneo vi ricollega la funzione di Maria con un consequenter (di conseguenza) così audace, così sconcertante che i traduttori molto spesso lo evitano:7 «Di conseguenza (...) troviamo Maria, la Vergine obbediente (...). Eva disobbedì quando era ancora vergine (...) e divenne per sé e per tutto il genere umano causa di morte (...); Maria invece divenne con la sua obbedienza, per sé e per tutto il genere umano, causa di salvezza (...). Vi è una ripresa retroattiva di Maria su Eva (una recirculatio). Infatti ciò che è legato non si scioglie se non seguendo l’ordine inverso del legamento (...). Per questo Luca, iniziando la genealogia del Signore, la portò fino ad Adamo, poiché non quegli antenati diedero la vita a lui, ma egli fece rinascere essi nel vangelo di vita. Parallelamente il nodo della disubbidienza di Eva fu sciolto dall’obbedienza di Maria, e ciò che la vergine Eva aveva legato con la sua incredulità, Maria lo sciolse con la sua fede».
Attingendo anche ad altri passi di S. Ireneo possiamo presentare il quadro seguente8: Eva Maria - vergine decaduta. - Vergine che ricapitola Eva - vergine sedotta - Vergine evangelizzata dall’angelo ribelle. dall’angelo fedele. - vergine disobbediente. - Vergine obbediente. - vergine causa di morte - Vergine causa di salvezza per sé e per il genere umano. per sé e per il genere umano. - vergine condannata. - Vergine avvocata di Eva.
J. L. BASTERO DE ELEIZALDE, María, madre del Redentor, Edizioni Università di Navarra, Pamplona 2004, p. 40. 6 S. IRENEO, Contro le eresie, III, 22 (PG 7, 958-960). 7 L’osservazione è del LAURENTIN, La Vergine Maria, Paoline, Roma 1983, p. 61. 8 Cf. L. MELOTTI, Maria, cit., p. 52 5
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Conclude il Laurentin:9 «Giustino e soprattutto Ireneo esplicitano un elemento dello sviluppo dottrinale, mettendo in risalto il significato di Maria nel piano della salvezza. Maria ha una funzione inaugurale analoga a quella di Eva: ciò implica tutta una teologia della donna, che non è passiva e di secondo piano, ma, sotto molti aspetti, attiva e di guida. In S. Ireneo questa linea si afferma con un vigore che non sarà mai superato. Gli scrittori posteriori allargheranno le basi del raffronto, ma sino ai nostri giorni nessuno l’ha espresso in modo più denso e più profondo».
DALLA FINE DEL II SECOLO AL CONCILIO DI NICEA (325) ORIGENE (+ 253) Con Origene siamo di fronte al più grande maestro della scuola alessandrina, e a una delle più grandi figure cristiane di tutti i tempi. La sua teologia mariana è caratterizzata soprattutto da tre punti: il concepimento verginale, la divina maternità e la verginità perpetua. Egli difende il concepimento verginale contro il pagano Celso, dicendo che non si tratta di un mito, ma di un fatto storico. Quanto alla divina maternità, che Dio sia nato da una donna non è disdicevole per Dio, tanto più se chi lo accoglie è la Vergine pura, adombrata dallo Spirito Santo. Sembra che Origene abbia usato il titolo di «Madre di Dio» (Theotókos), sebbene ciò non risulti direttamente dai suoi testi che ci sono rimasti. Il punto su cui egli però insiste maggiormente è quello della perpetua verginità di Maria; Maria è ai suoi occhi il modello della vita verginale femminile, come Gesù lo è di quella maschile. È celebre questo suo testo: «Io credo ragionevole che la primizia della purezza casta degli uomini sia Gesù, e delle donne Maria: non sarebbe infatti pio ascrivere ad altra che a lei la primizia della verginità».10
Maria comincia a essere vista come modello di virtù, e in particolare della verginità consacrata, secondo quella linea di pensiero che avrà in Occidente il suo più grande rappresentante in S. Ambrogio. Maria risplende poi per la sua fede e la sua carità. Per la sua fede («Beata colei che ha creduto», Lc 1, 45), anche se, a parere di Origene, la «spada che trafiggerà la sua anima» indicherebbe un venir meno di Maria nella fede ai piedi della croce (interpretazione questa che avrà un certo seguito presso alcuni Padri orientali). Per la sua carità, in quanto ella si presenta come modello di spiritualità e di apostolato, in particolare nella visita a Sant’Elisabetta, salendo «in fretta» (Lc 1, 39) verso le vette della santità. 9 10
R.LAURENTIN, La Vergine Maria, cit., pp. 62-63. ORIGENE, Commento a Matteo, X, 17, PG 13, 877.
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TERTULLIANO (+ dopo il 220) È uno dei primissimi scrittori cristiani di lingua latina. Nella sua dottrina mariana egli ritorna sul parallelismo-antitesi fra Eva e Maria, di cui loda la fede esaltandone il significato salvifico.11 Egli afferma chiaramente la concezione verginale di Maria, ma dice che il suo fu un parto normale (nega cioè la verginità nel parto), e forse nega anche la verginità dopo il parto (cioè afferma che Maria ebbe altri figli). Nega poi la perfetta santità di Maria. Commentando Mc 3, 43 e i passi paralleli («Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?»), egli vi vede quasi un ripudio di Maria da parte del Figlio, in quanto ella non avrebbe fatto parte dei suoi veri discepoli.12 Come si vede, Tertulliano non ha ancora colto tutte le conseguenze santificanti della maternità divina. Inoltre occorre tener presente che egli spesso si lascia guidare dalle sue idee personali più che dalla tradizione della Chiesa, anche a motivo dell’influsso rigorista dell’eresia di Montano, alla quale egli aderì negli ultimi anni della sua vita.
DAL CONCILIO DI NICEA AL CONCILIO DI EFESO (431) È il periodo d’oro della patristica. Sarà qui necessario distinguere i Padri dell’Oriente da quelli dell’Occidente. a) In Oriente Per quanto riguarda la verginità di Maria dopo il parto sembra che alla fine di questo periodo essa non sia ancora riconosciuta da tutti. Però ha dei grandi difensori in Atanasio, Epifanio, Giovanni Crisostomo. S. ATANASIO (+ 373) Partecipò come diacono al Concilio di Nicea e poi divenne vescovo di Alessandria. È denominato giustamente «il pilastro della Chiesa» e «il padre dell’ortodossia». Il suo pensiero mariano ha avuto influssi in campo dogmatico, liturgico e ascetico. In campo dogmatico S. Atanasio è il grande difensore della divinità del Verbo, «consostanziale» al Padre. Il riflesso in campo mariologico è ovviamente quello di un’accentuazione della maternità divina di Maria. È lei che ha dato al Verbo una vera natura umana, uguale alla nostra. In campo liturgico sembra che a lui appartenga la prima omelia mariana, in 11 12
TERTULLIANO, La carne di Cristo 17, CCL 2, 905. Cf. ibid., 7, CCL 2, 888 ss. A questo punto il Melotti, op. cit., p. 55, fa notare che «in questo periodo (prima metà del III secolo, a eccezione del concepimento verginale, l’idea che ci si fa della santità di Maria è tutt’altro che unanime, senza provocare lo scandalo del popolo cristiano, e senza suscitare reazioni da parte dell’autorità religiosa. All’inizio del IV secolo la situazione non sarà cambiata».
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cui tesse l’elogio di Maria ispirandosi al Magnificat: «Veramente la tua anima magnifica il Signore e il tuo spirito esulta in Dio tuo salvatore: in futuro ti loderà per tutta l’eternità ogni generazione (...). Te loda Adamo, chiamandoti “madre di tutti i viventi”. Te loda Mosè, contemplandoti come arca della nuova alleanza, da ogni parte rivestita d’oro. Davide ti acclama beata, dichiarandoti “città del gran Re”, “città del Dio degli eserciti”. Anche in futuro ti loderanno tutte le generazioni umane».13
Ma dove S. Atanasio si distingue in modo particolare è nel campo ascetico. Proseguendo sulla via già tracciata da Origene, egli vede in Maria il modello di tutte le virtù. È celebre questo suo ritratto della Beata Vergine, che anticipa quello di S. Ambrogio: «Maria era una vergine pura, di animo equilibrato (...). Amava le opere buone (...). Non desiderava essere vista dagli uomini (...). Pregava Dio da sola a Solo (...). Non gridava, e stava attenta a non sparlare di alcuno e a non ascoltare altri dir male di altri (...). Non si inquietava; non invidiava; non si vantava, ma era umilissima; non aveva alcuna malvagità nel cuore (...). Ogni giorno avanzava e progrediva (...). In luogo di pani visibili si riforniva delle parole di verità; al posto del vino teneva gli insegnamenti del Salvatore e in quelli si dilettava (...). Ecco l’immagine della verginità! E di fatto Maria fu tale»14.
S. EFREM (+ 373) Fu denominato «la cetra dello Spirito Santo». Canta in modo impareggiabile la santità di Maria, la sua verginità, la sua dignità e il suo ruolo nella storia della salvezza, aggiungendo elementi nuovi al parallelismo Eva-Maria. La Vergine è per lui senza alcuna macchia: «Tu solo (o Gesù) e tua madre siete di una bellezza che supera tutti: perché in te non c’è macchia alcuna e nessuna ombra in tua madre».15
Tuttavia, secondo S. Efrem, Maria dovette progredire nel cammino della fede, che non fu esente da prove e da dubbi. Con questo Autore inizia l’era dell’innografia mariana. In un inno dedicato al Natale leggiamo: «Maria effondeva il suo cuore con inimitabili accenti e cantava il suo canto di culla: “Chi mai diede alla solitaria di concepire e dare alla luce colui che insieme è uno e molti, piccolo e grande, tutto in me e tutto dovunque? Il giorno in cui Gabriele entrò presso di me povera, in un istante mi ha fatto signora e ancella. Perché io sono ancella della tua divinità, ma anche madre della tua umanità, o Signore e Figlio mio!”».16
Come canta il Natale, così S. Efrem ci dà anche una preziosa testimonianza, S. ATANASIO, Omelia sulla santa Vergine Madre di Dio, Le Muséon 71 (1958), 209-239. ID., Sulla verginità, CSCO 151, 58-62. 15 S. EFREM, Carmi nisibeni 27, 8, CSCO 219, 76. 16 ID., Inni sul Natale 5, 19-20, CSCO 187, 41-42. 13 14
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mantenutasi nella tradizione bizantina sino a oggi, dell’apparizione di Gesù risorto alla Madre: «Come Maria fu presente al primo miracolo, così ebbe le primizie della risurrezione dagli inferi». 17
I PADRI CAPPÀDOCI S. Basilio (+ 379), suo fratello S. Gregorio Nisseno (+ 394) e l’amico S. Gregorio Nazianzeno (+ 390) costituiscono un gruppo di Padri che ebbero un’importanza e un influsso eccezionali sul progresso del dogma e del pensiero teologico. Per quanto riguarda la mariologia, S. Basilio insiste in modo particolare sulla perpetua verginità di Maria, che pur non essendo indispensabile al progetto salvifico di Dio, tuttavia ne promana, secondo il senso comune dei fedeli. S. Gregorio Nazianzeno, detto «il teologo» per eccellenza, afferma con la massima decisione che Maria deve essere detta Madre di Dio: «Se uno non crede che Maria santissima è Madre di Dio (Theotókos), è escluso dalla divinità».18
Per lui poi Maria è tutta santa, e si colloca al vertice del cammino di perfezione. S. Gregorio Nisseno, «il mistico», «usa forse per primo l’analogia tra il parto verginale di Maria e la generazione eterna del Verbo come argomento contro le dottrine ariane: come infatti, nascendo da Maria, Cristo non corruppe la sua verginità fisica, ma nacque senza dolori di parto, così, anzi infinitamente di più, nascendo eternamente dal Padre il Verbo non indusse nel Genitore alcuna “passione” o situazione che l’abbia mutato (...). In tal modo Gregorio mostra che a quel tempo la dottrina del parto verginale era accettata dai cattolici e dagli ariani».19 EPIFANIO DI SALAMINA (+ 403) Questo Autore ha una grande importanza nel campo della mariologia sia per la strenua difesa della perpetua verginità di Maria, sia anche, e questo è il suo apporto più originale, perché affronta per primo il tema della fine terrena della Beata Vergine. Quanto al primo punto egli afferma che presso il popolo cristiano Maria è «la Vergine» per eccellenza: «Vi fu mai qualcuno che osasse nominare Maria santissima senza aggiungervi di proprio il titolo di “vergine”? Con tali appellativi si sogliono indicare le qualità personali. A ogni giusto infatti fu attribuito un nome che a lui conveniva. Ad
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ID., Spiegazione del Vangelo concordato (Diatèssaron), 20-28, CSCO 145, 232-236. S. GREGORIO NAZIANZENO, Lettera a Cledonio, PG 37, 177. E. TONIOLO, Voce «Padri della Chiesa» in NDM, p. 1062.
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Abramo fu dato il titolo di “amico di Dio”, né esso potrà mai venir meno. Giacobbe ebbe il soprannome di “Israele” (...). Così Maria Santissima è detta “ la Vergine”: mai tale nome le sarà mutato».20
Epifanio non ammette in Maria alcuna mancanza o debolezza. Ella è piena di grazia sotto tutti gli aspetti. Per quanto riguarda la sua fine terrena, la testimonianza di Epifanio è fondamentale, come fa notare il Laurentin, il quale scrive:21 «Egli pone per primo la questione della fine del destino terreno di Maria. Lo fa in modo del tutto occasionale, nella sua famosa lettera ai cristiani d’Arabia, che inserì nel suo Panarion nel 377.22 Cosa curiosa, questo testimone perfettamente informato delle più minute tradizioni palestinesi, si confessa sprovvisto di qualsiasi elemento di risposta. Non ha sentito parlare di una tomba di Maria a Gerusalemme, né della sua morte in questo luogo. Non sa neppure se Maria sia morta oppure no. Comprende solo che la sua fine fu degna di lei e intravede che ciò dovette implicare qualche prodigio. Ma, in assenza di ogni dato, preferisce imitare il silenzio dei libri santi. Infatti in essi non si trova, scrive Epifanio, «“né la morte di Maria, né se essa sia morta, né se sia stata seppellita, né se non sia stata seppellita (...). La Scrittura ha mantenuto un silenzio completo a causa della grandezza del prodigio, per non colpire con uno stupore eccessivo lo spirito degli uomini. Per parte mia, non oso parlarne. Conservo tutto ciò nel mio pensiero e taccio”».
Epifanio, continua il Laurentin, «dopo aver mostrato che Lc 2, 35 inviterebbe a pensare che Maria sia morta martire, e Ap 12, 14, al contrario, che sia stata trasferita viva in cielo», così prosegue: «“È possibile che ciò si sia compiuto in Maria. Non l’affermo, tuttavia, in modo assoluto, e non dico che essa rimase immortale. Ma non decido neppure che essa sia mortale. La Scrittura, infatti, si è posta al di sopra dello spirito umano e ha lasciato questo punto nell’incertezza, per riverenza verso questa Vergine incomparabile, per tagliar corto a ogni pensiero basso e carnale a suo riguardo. È morta? Lo ignoriamo”».
Conclude il Laurentin: «La lezione è che i veri servitori della fede non furono gli autori dei libri apocrifi, che improvvisarono delle risposte a forza di racconti mitici, in cui tutti i particolari della morte di Maria venivano raccontati, bensì il probo Epifanio, che pose il problema con un senso acuto del mistero e, più tardi, i teologi che passarono al vaglio dei criteri dogmatici i racconti leggendari della dormizione».
EPIFANIO DI SALAMINA, Contro le eresie 78, 6, PG 42, 705. R. LAURENTIN, La Vergine Maria, cit., pp. 72-73. 22 EPIFANIO DI SALAMINA, Panarion, haer. 78, 10-11 (PG 42, 716 AD). 20 21
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Gli articoli pubblicati su “Rosarium” sono tratti dal libro “La Beata Vergine TRATTATO DI MARIOLOGIA” di P. Roberto Coggi o.p. in vendita presso Edizioni Studio Domenicano Via Dell’Osservanza, 72 - 40136 Bologna Tel. 051/582037 - Fax 051/331583 esd@esd-domenicani.it 17