Missioni e adozioni a distanza

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Intervista a Padre Mariano Foralosso, missionario in Brasile

Missioni e adozioni a distanza

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he cos’è il Brasile? Di che cosa ha bisogno? Papa Benedetto XVI, in occasione del suo recente viaggio nel Paese col maggior numero di cattolici al mondo, ha mostrato di avere le idee ben chiare. E, nella cattedrale di San Paolo, ha proposto senza mezzi termini una fotografia della situazione attuale nell’omelia agli oltre 400 vescovi della nazione: “La vita sociale sta attraversando momenti di smarrimento sconcertante – ha detto – viene attaccata impunemente la santità del matrimonio e della famiglia, cominciando dal fare concessioni di fronte a pressioni capaci di incidere negativamente sui processi legislativi; si giustificano alcuni delitti contro la vita nel nome dei diritti della libertà individuale; si attenta contro la dignità dell’essere umano; si diffonde la ferita del divorzio e delle libere unioni”. Per questo, è urgente e “necessario formare nelle classi politiche ed imprenditoriali un genuino spirito di veracità e di onestà. Coloro che assumono un ruolo di leadership nella società devono cercare di prevedere le conseguenze sociali, dirette ed indirette, a breve ed a lungo termine, delle proprie decisioni, agendo secondo criteri di massimizzazione del bene comune, invece di cercare profitti personali”. Ma la ricetta non sta tutta qui. Se ci si dovesse limitare ad “aggiustatine” di carattere pratico, sarebbe tutto sin troppo facile. Basterebbero governanti capaci, programmi efficienti, alleanze strategiche ed il gioco sarebbe fatto! Invece no, non sono sufficienti. Serve qualcosa in più, qualcosa di “oltre”… Il Santo Padre lo ha detto a chiare lettere ai vescovi: “Laddove Dio e la Sua volontà non

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sono conosciuti, dove non esiste la fede in Gesù Cristo e nella Sua presenza nelle celebrazioni sacramentali, manca l’essenziale anche per la soluzione degli urgenti problemi sociali e politici”. Inutile illudersi: non si liquidano le questioni aperte con una semplice tribuna elettorale… Allora, che fare? Il Sommo Pontefice non lo ha rivelato ad un consesso di politici, nelle austere sedi istituzionali, al parlamento riunito… No, lo ha rivelato alle suore Clarisse, impegnate presso la “Fazenda da Esperança” di Gauratinguetà, un centro di recupero per giovani tossicodipendenti ed alcoolisti. “Dove la società non vede più alcun futuro o speranza – ha affermato – i cristiani sono chiamati ad annunziare la forza della Resurrezione. Bisogna, infatti, edificare, costruire la speranza, tessendo la tela di una società, che - nello stendere i fili della vita – perde il vero senso della speranza. Questa perdita – secondo San Paolo – è una maledizione che la persona umana impone a se stessa: «persone senza cuore» (cfr. Rm 1,31)”. Capito? Per cambiare le cose, non serve la rivoluzione, non bastano i piani quinquennali, né i documenti di programmazione economico-finanziaria… Si parte dalla Chiesa. Per questo, Benedetto XVI ha invitato i vescovi ed i sacerdoti tutti a donare alla propria gente la “fedeltà al primato di Dio” attraverso la missione – tanto verso i cattolici allontanatisi, quanto verso “coloro che conoscono poco o niente Gesù Cristo”–, attraverso l’accoglienza, attraverso una catechesi permanente, attraverso la partecipazione alla santa messa, alla confessione ed, in generale, ai sacramenti. Quanto all’ecumenismo, certo è una bella cosa, anzi “un compito sempre più urgente”. Ma, a fronte della “moltiplicazione di sempre nuove denominazioni cristiane” e di fronte a “certe forme di proselitismo, frequentemente aggressivo”, anche l’impegno ecumenico ”diventa un lavoro complesso”. Non si improvvisa, anzi. Richiede studio, preparazione, discernimento per la “difesa dei valori morali fondamentali, trasmessi dalla tradizione biblica, contro la loro distruzione in una cultura relativistica”. Insomma, non va bene tutto, indistintamente. Ciò, senza troppi giri di parole, perché – ha precisato Benedetto XVI – “la Verità suppone una conoscenza chiara del messaggio di Gesù, trasmessa grazie ad un linguaggio inculturato comprensibile, ma necessariamente fedele alla proposta del Vangelo”. Niente trucchi, insomma. Ecco perché, aprendo i lavori della quinta conferenza del Celam, il Papa ha richiamato l’essenzialità dell’annuncio cristiano. Ha affermato che oggi, in America Latina, “è in gioco l’identità cattolica”. Ed ha invitato a “ripartire da Cristo in tutti gli ambiti della missione”, identificando in ciò – e

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non in altro – il compito della Chiesa. Ben conoscendo ed individuando i mali da cui l’America Latina è affetta, chiamati per nome: ingiustizie, fame, povertà, droga, corruzione,... Eppure – ha detto –, “se la Chiesa cominciasse a trasformarsi in soggetto politico non farebbe di più per i poveri, semmai farebbe di meno, perché perderebbe la sua indipendenza e la sua autorità morale”… “La questione fondamentale, ineludibile per la Chiesa in questo Paese - spiega Padre Mariano Foralosso op, missionario in Brasile – consiste nel capire come sia possibile parlare della dignitá dei figli di Dio a questo popolo. Per farlo, è indispensabile e doveroso ritornare al Cristo vero, al Verbo di Dio che si è incarnato ed è venuto a piantare la Sua tenda tra di noi. Di fatto, Gesù non ha mai fatto politica, ma è diventato un problema «politico» per chi aveva interessi da difendere. Questo continua a succedere anche oggi, qui in Brasile”. Il Sommo Pontefice ha invitato la Chiesa ad un rinnovamento profondo, che – da una parte – rispetti “la sana laicità”, ma – dall’altra – suggerisca anche “i grandi criteri ed i valori inderogabili, orientando le coscienze ed offrendo un’opzione di vita”. In sostanza, sui valori – vita, famiglia, oggi particolarmente a rischio anche nel “continente della speranza” – non si transige... Che spazi ha la Chiesa per un confronto schietto e propositivo con la società, con la politica, con i mezzi di informazione del Brasile? “La Chiesa del Brasile di oggi è una Chiesa di martiri! Migliaia di cristiani laici, sacerdoti, religiosi, vescovi – sono stati eliminati, perché «pericolosi». Sono loro che insegnano con il loro esempio alla Chiesa universale a quale Cristo ci si debba convertire e da quale Cristo si debba partire, per annunciare il Vangelo al mondo”. Parliamo della realtà delle “favelas”, in merito alla quale l’opinione pubblica è convinta di sapere tutto, per aver letto qualche articolo di giornale. Di cosa si tratta, in realtà? Quali i principali problemi? “Le favelas – spiega Padre Mariano – sono il frutto e il termometro dei mali del continente e anche del Brasile. Esse sono anche un monumento dell’arte di arrangiarsi per sopravvivere, di questo immenso «popolo in più»! Sarebbe impossibile restare indifferenti di fronte a questa realtá. L’azione della Chiesa in Brasile si articola in due dimensioni fondamentali: aiutare le popolazioni a prender coscienza della propria condizione ed a migliorarla. Insegnare loro a pescare. Esistono molte iniziative per dare una risposta urgente alla fame, che non aspetta. Si è creata una rete di organizzazioni sociali e di centri educativi, spazi di accoglienza e di incontro, per offrire alla gente la possibilità di riscattare la propria identità, la sua dignità, il suo potenziale immenso di valori e

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di cultura. Ciò, soprattutto per offrire alle nuove generazioni – bambini, adolescenti e giovani – un futuro differente e toglierli dalla tentazione della delinquenza e della droga”. Quali e quanti Centri Sociali sono stati realizzati? Come si svolge la vita al loro interno? Di quali strumenti vi servite, per preparare ed assicurare in qualche modo l’inserimento di questi ragazzi, un domani, nel mondo del lavoro? “Quanti sono questi centri? Impossibile dirlo. Sono tanti, ma è certo che essi rappresentano una goccia nell’oceano di necessità, in cui ci troviamo. Ma noi sappiamo che l’oceano è fatto di gocce. Queste opere hanno il valore e la funzione di segni profetici, per mostrare che “un mondo differente è possibile”, per alimentare la speranza della nostra gente”. A fronte di tale situazione, quale la risposta possibile attraverso le adozioni a distanza? Quale il vantaggio derivante dal mantenere i bambini all’interno del contesto familiare, sociale e culturale d’origine, aiutandoli “sul posto”? “Le adozioni a distanza rappresentano un grande aiuto per i nostri Centri della Gioventú e sono anche un modo concreto per costruire la cultura dell’amore e della solidarietá tra popoli diversi. I nostri bambini ed i nostri adolescenti stabiliscono un «ponte» di amicizia con persone, che vivono lontano dalla loro realtà, ma che vogliono loro bene e con la loro generosità aiutano il Centro ad accoglierli ed a farli crescere sani, a prepararsi alla vita. Essi hanno modo così di toccare con mano che in questo mondo non esistono solo egoismo, esclusione e violenza, ma anche amore, generosità, amicizia. È un’esperienza positiva, che porteranno nel cuore per tutta la vita e che li aiuterà a diventare buoni cittadini e buoni cristiani. Approfitto dell’occasione per mandare a tutti i «padrini» e le «madrine», anche a nome dei nostri bambini e dei nostri adolescenti, un caro saluto ed il piú vivo ringraziamento per la loro generosità”. Tornano alla mente le parole di Papa Benedetto XVI, quell’invito a non disperare, mai. A non lasciarsi vincere dalla tristezza dell’anima. Perché – come ha ricordato il Pontefice – si deve aver fiducia: “La Chiesa è santa ed incorruttibile”. Non in virtù del proclama di qualche leader, né di qualche manifesto di partito, no… Bensì alla luce della fede. Così, citando le “Enarrationes in Psalmos” di sant’Agostino, il Santo Padre ha ricordato come, “visto che Cristo non vacilla”, la Chiesa sia destinata a restare “intatta fino alla fine dei tempi”. Allora, forza! È ora di rimboccarsi le maniche. E fare, ciascuno di noi, la propria parte. Non sui palchi dei comizi, ma nella vigna del Signore! Mauro Faverzani

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