Misteri della vita di cristo

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I misteri della vita di Cristo contemplati alla scuola della B. Vergine Maria I parte


Proseguiamo la lettura del libro Il rosario tra devozione e riflessione, che abbiamo presentato nel numero precedente di Rosarium, proponendovi l’articolo di Vincenzo Battaglia. Il volume è in vendita presso l’ESD: via dell’Osservanza 72, 40136 Bologna tel. 051582034 e-mail:acquisti@esd-domenicani.it

Vincenzo Battaglia frate minore, è professore ordinario di cristologia alla Pontificia Università Antonianum. Attualmente è Decano della Facoltà di Teologia della medesima Università e Presidente della Pontificia Accademia Mariana Internazionale. La sua pubblicazione più recente: Gesù Cristo luce del mondo. Manuale di cristologia, Edizioni Antonianum, Roma 2008 (ristampa). L’esposizione, inscritta nel contesto del rapporto tra riflessione teologica ed esperienza spirituale, è orientata verso la dimensione mariana della spiritualità cristiana. Per la trattazione dell’argomento centrale, oggetto del presente contributo, è stata adottata la metodologia coerente con il modello narrativo storico-salvifico che caratterizza la tradizione biblica e, in particolare, il vangelo quadriforme. I misteri della vita di Cristo nell’esperienza spirituale Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me… Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena» (Gv 15,4.9-10). Il verbo rimanere che domina il brano giovanneo porta con sé, allo stesso tempo, la forza del desiderio e la certezza del dono. Mentre palesa senza mezzi termini il desiderio di poter legare a sé, per sempre, i discepoli che solo da lui possono ricevere la vita eterna, Gesù promette e garantisce loro il dono di un’unione che nasce ed è giustificata dalla relazione d’amore – l’agape – che caratterizza il suo rapporto con il Padre. L’amore che egli prova per i discepoli affonda le radici nell’amore che il Padre nutre per lui e, nello stesso tempo, ne è il prolungamento e la rivelazione storica; rivelazione che è costituita da quanto ha detto e ha fatto nel corso della sua vita terrena e che sta per portare a compimento, poiché si sta preparando ad affrontare l’«ora» della passione. Sarà l’«ora» in cui, consumando il dono supremo di sé con la morte di

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croce, mostrerà di aver amato i suoi «fino alla fine» (Gv 13,1), di essersi donato interamente. Infatti «nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» (Gv 15,12). Ogni volta che un discepolo intende conoscere la fisionomia autentica dell’amore – dell’agape – con cui il Signore lo ama, per percepirne e gustarne la presenza nella propria interiorità e nella propria vita, deve fare riferimento, prima di tutto e necessariamente, alla Parola di Dio, alle narrazioni evangeliche; deve mettersi in ascolto del Maestro, il Verbo della vita «pieno di grazia e di verità» (cf. Gv 1,14-17). L’evento dell’Incarnazione culminato nella Pasqua garantisce il valore assoluto e normativo che va riconosciuto all’esistenza «nella carne» che l’Unigenito Figlio di Dio ha assunto dalla Vergine Maria, per opera dello Spirito Santo Il Signore Gesù, dovunque si trova – presso Dio, presso il mondo e presso la Chiesa – vi si trova con tutto il suo «mistero» di cui la Chiesa fa memoria, nell’attesa della sua venuta, celebrando e contemplando i «misteri» della sua vita, di cui è resa partecipe dallo Spirito Santo. I mysteria carnis Christi sono sia gli avvenimenti – dai racconti dell’infanzia fino alla Pasqua – sia la predicazione, i miracoli, gli atteggiamenti: tutti dati storici che gli evangelisti hanno trasmesso attraverso le loro narrazioni in quanto sono dotati di un particolare significato rivelativo e salvifico, e, pertanto, sono stati ritenuti necessari e insostituibili per condurre alla fede e alla salvezza. Questo criterio è stato enunciato autorevolmente dal quarto evangelista: Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome (Gv 20,30-31). Scrive Schönborn: “Tutti i misteri della vita di Cristo hanno in comune tre caratteristiche fondamentali: sono rivelazione del Padre, mistero di redenzione e mistero della rinnovata ricapitolazione (recapitulatio) di tutte le cose sotto un unico capo. A questi tratti fondamentali corrispondono per noi tre modi di partecipare ai misteri di Gesù: la vita di Gesù è il nostro modello, Gesù la ha vissuta per noi e fa sì che viviamo in lui tutto ciò che egli ha vissuto, ed egli vive in noi”. È appena il caso di ricordare che il contatto con i misteri della vita di Cristo – e con la grazia ad essi propria – avviene, nel tempo della Chiesa, specialmente attraverso la liturgia e il ciclo dell’anno liturgico. In particolare, come insegna la Sacrosanctum Concilium, la Chiesa distribuisce l’intero mistero di Cristo nel corso dell’anno, dall’incarnazione e dalla natività fino all’ascensione, al giorno della pentecoste e all’attesa della beata speranza e del ritorno del Signore. Ricordando in questo modo i misteri della redenzione, essa apre ai fedeli i tesori della potenza e dei meriti del suo Signore, in modo da renderli come presenti

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a tutti i tempi, affinché essi possano venirne a contatto ed essere pieni della grazia di salvezza. Data quest’ottica liturgica, diventa rilevante sottolineare che l’esperienza spirituale – la vita in Cristo secondo lo Spirito – trae forza e alimento soprattutto dalla celebrazione dei sacramenti, con al culmine l’Eucaristia, come pure dalla preghiera contemplativa e dal contatto quotidiano con la Parola di Dio, accostata, nella sua ricchezza inesauribile, secondo la dottrina dei quattro sensi. A tale riguardo, dalla magistrale ricostruzione fatta da Henri de Lubac si evince che, oltre al significato letterale/storico, fondamentale e irrinunciabile, gli autori dell’epoca patristica e del medioevo hanno valorizzato anche il significato spirituale o mistico. Quest’ultimo si è ramificato in tre direzioni, dando luogo all’allegoria (che ha per oggetto le verità relative al Cristo e alla Chiesa), alla tropologia (che si riferisce alla regola di vita e all’atteggiamento spirituale dei credenti) e all’anagogia (si tratta del senso escatologico, relativo al compimento ultimo della storia della salvezza). Il dato essenziale e unificatore resta sempre il Mistero del Cristo, «prefigurato o reso presente nei fatti, interiorizzato nell’anima individuale, giunto a compimento nella gloria»; Mistero nel quale si deve scorgere, con uno sguardo unitario, anche il Mistero della Chiesa. Per questa ragione – per la presenza di Cristo nella sacra Scrittura (cf. SC 7) – l’ascolto e l’accoglienza della Parola di Dio conducono alla celebrazione dell’Eucaristia, centro e forma della vita della Chiesa. In verità, come si legge nelle proposizioni finali elaborate dal Sinodo dei Vescovi dedicato al tema della Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa: “La parola di Dio si fa carne sacramentale nell’evento eucaristico e porta al suo compimento la sacra Scrittura. L’eucaristia è un principio ermeneutico della sacra Scrittura, così come la sacra Scrittura spiega e illumina il mistero eucaristico... Senza il riconoscimento della presenza reale del Signore nell’eucaristia, l’intelligenza della Scrittura rimane incompiuta”. La Beata Vergine Maria tipo e modello della Chiesa La costituzione dogmatica Lumen gentium del Concilio Vaticano II insegna che la Vergine Maria, Madre del Figlio di Dio, figlia prediletta del Padre e dimora dello Spirito Santo, «è riconosciuta anche come membro sovreminente e singolarissimo della Chiesa, sua figura (typus) e modello eccellentissimo nella fede e nella carità». La stessa tesi viene riproposta più avanti, nella terza parte del capitolo VIII, incentrata sul rapporto tra la beata Vergine Maria e la Chiesa. Riprendendo una frase di sant’Ambrogio, i padri conciliari hanno insegnato che la Madre di Dio è figura della Chiesa nell’ordine della fede,

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della carità e della perfetta unione con Cristo. Infatti nel mistero della Chiesa, che a buon diritto può anch’essa chiamarsi madre e vergine, la beata vergine Maria è andata avanti per prima, fornendo un modello eminente e singolare di vergine e madre. In forza della sua presenza materna, richiamata in modo particolare dal numero 62, e per la sua funzione di figura (typus) e modello (exemplar) della Chiesa – il binomio è menzionato nei due brani citati –, la Madre del Figlio di Dio coopera alla generazione e alla formazione dei fedeli con amore materno, si legge ancora nelle ultime righe del numero 63. Alla luce di queste asserzioni, e per logica conseguenza, il testo conciliare si sofferma a indicare in che modo la Chiesa è impegnata ad imitare le virtù di colei che riconosce quale sua madre spirituale. La prima indicazione è l’invito a considerare attentamente «l’arcana santità» della vergine Maria, a volgere gli occhi a lei «che rifulge come modello di virtù davanti a tutta la comunità degli eletti», a ripensare piamente a lei e a contemplarla «nella luce del Verbo fatto uomo». Così facendo, la Chiesa penetra con venerazione e crescente comprensione nell’altissimo mistero dell’incarnazione e si conforma sempre più al suo Sposo. Maria infatti, per essere entrata così intimamente nella storia della salvezza, in qualche modo compendia in sé e irraggia le principali verità della fede. Cosicché quando la si predica e la si onora, ella rimanda al Figlio i credenti, li chiama al suo sacrificio e all’amore del Padre. Nello stesso tempo, vengono segnalati i presupposti epistemologici e i frutti di questa contemplazione. Innanzitutto, essa deriva ed è guidata dalla fede nel Figlio di Dio incarnato (valore assoluto/primato della mediazione cristica) ed è in funzione del rapporto con Lui (finalità cristocentrica). In secondo luogo, la contemplazione induce a collocare, a pensare la presenza della Vergine Maria nel cuore della storia della salvezza, e, quindi, aiuta ad immergersi sempre di più nel meraviglioso disegno salvifico di Dio, perché fa vedere l’intimo nesso esistente tra le principali verità della fede. Sulla base di queste precisazioni dottrinali, il numero 65 del testo conciliare pone al centro dell’imitazione della Vergine Maria la pratica delle virtù teologali, l’adesione alla volontà di Dio e l’impegno a svolgere la missione apostolica con l’atteggiamento e i sentimenti suggeriti dall’amore materno. A partire da queste brevi note tratte dal capitolo VIII della Lumen gentium che consentono di valorizzare nel modo dovuto la dimensione mariana della spiritualità cristiana, la riflessione si volge ora verso l’atteggiamento più idoneo che la esprime: l’affidamento filiale alla Madre di Dio, la quale – insegna Giovanni Paolo II – resta per sempre «testi-

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mone eccezionale del mistero di Cristo», come lo fu agli albori della Chiesa, «per tutti coloro che costituivano il germe del “nuovo Israele”». Nella medesima enciclica si legge: “La dimensione mariana della vita di un discepolo di Cristo si esprime in modo speciale proprio mediante tale affidamento filiale nei riguardi della Madre di Dio, iniziato col testamento del Redentore sul Golgota. Affidandosi filialmente a Maria, il cristiano, come l’apostolo Giovanni, accoglie «fra le sue cose proprie» la Madre di Cristo e la introduce in tutto lo spazio della propria vita interiore, cioè nel suo “io” umano e cristiano. «La prese con sé». Così egli cerca di entrare nel raggio d’azione di quella «materna carità», con la quale la Madre del Redentore «si prende cura dei fratelli del Figlio suo», «alla cui rigenerazione e formazione ella coopera» secondo la misura del dono, propria di ciascuno per la potenza dello Spirito di Cristo. Così anche si esplica quella maternità secondo lo spirito, che è diventata la funzione di Maria sotto la Croce e nel cenacolo”. Quanti si affidano a lei e si mettono alla sua scuola imparano da lei – Madre, Discepola e Serva del suo Figlio Gesù Cristo – a seguire, amare ed imitare sempre più intensamente l’unico Signore e Maestro, sotto la guida dello Spirito Santo. Una scuola, quella di Maria, tanto più efficace, se si pensa che Ella la svolge ottenendoci in abbondanza i doni dello Spirito Santo e insieme proponendoci l’esempio di quella «peregrinazione della fede», nella quale è maestra incomparabile. Di fronte a ogni mistero del Figlio, Ella ci invita, come nella sua Annunciazione, a porre con umiltà gli interrogativi che aprono alla luce, per concludere sempre con l’obbedienza della fede: «Sono la Serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto». Pertanto, la preghiera del Rosario, che insegna a meditare i misteri della vita di Gesù Cristo, conduce a Lui facendo ripercorrere «la via di Maria», donna di fede, di silenzio e di ascolto. Paolo VI aveva già richiamato con l’esortazione apostolica Marialis cultus il valore della dimensione contemplativa: «per sua natura la recita del Rosario esige un ritmo tranquillo e quasi un indugio pensoso, che favoriscano nell’orante la meditazione dei misteri della vita del Signore, visti attraverso il Cuore di Colei che al Signore fu più vicina, e ne dischiudano le insondabili ricchezze». Con la preghiera del Rosario, afferma Giovanni Paolo II, si accresce l’intimità con il Signore Gesù: la vita cristiana è un cammino di conformazione crescente a Lui, che porta ad avere un comportamento sempre più coerente ai suoi sentimenti (cf. Fil 2,5), per cui nel percorso spirituale del Rosario, basato sulla contemplazione incessante – in compagnia di Maria – del volto di Cristo, questo ideale esigente di conformazione a Lui viene perseguito attraverso la via di una frequentazione che potremmo dire “amicale”. Essa ci immette in modo naturale nella vita di Cristo e ci fa come “respirare” i suoi sentimenti.

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