Misteri della vita nascosta

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I misteri della vita di Cristo contemplati alla scuola della B. Vergine Maria II parte


Proseguiamo la lettura del libro Il rosario tra devozione e riflessione, che abbiamo presentato nei numeri precedenti di Rosarium, proponendovi la seconda parte dell’articolo di Vincenzo Battaglia. Il volume è in vendita presso l’ESD: via dell’Osservanza 72, 40136 Bologna tel. 051582034 e-mail:acquisti@esd-domenicani.it I misteri della vita nascosta di Gesù Nel presentare Maria quale modello della Chiesa nell’esercizio del culto divino e quale maestra di vita spirituale per ogni cristiano, Paolo VI insiste soprattutto su quattro aspetti di questa esemplarità: Maria è la Vergine in ascolto, che accoglie la parola di Dio con fede; è la Vergine in preghiera; è la Vergine Madre; infine, è la Vergine offerente. Questi aspetti ne connotano fortemente il cammino di fede che, come insegna Giovanni Paolo II, ha comportato una particolare fatica del cuore, unita a una sorta di “notte della fede”… quasi un “velo” attraverso il quale bisogna accostarsi all’Invisibile e vivere nell’intimità col mistero. È infatti in questo modo che Maria, per molti anni, rimase nell’intimità col mistero del suo Figlio, e avanzava nel suo itinerario di fede, man mano che Gesù «cresceva in sapienza… e grazia davanti a Dio e agli uomini» (Lc 2,52). Ci soffermiamo ora a considerare alcuni tratti della sua esperienza spirituale narrata dai vangeli dell’infanzia, focalizzando l’attenzione soprattutto sui misteri dell’Annunciazione e della Visitazione e sull’atteggiamento con cui lei, la Vergine dal cuore sapiente, piena di grazia e di Spirito Santo, ha contemplato e testimoniato il mistero del suo Figlio Gesù. Maria accoglie il Figlio di Dio nella storia Meditando insieme a Maria il «vangelo» che le è stato comunicato e donato nell’ora dell’annunciazione (Lc 1,26-38), la riflessione si concentra sul «nome nuovo» con cui l’angelo la saluta: «piena di grazia» (kecharitoméne: Lc 1,28). È il nome datole da Dio, che denota lo stato in cui si trova davanti a Lui nel momento stesso in cui le viene rivelata la sua vocazione/missione. La forma verbale – un participio perfetto passivo – sta a indicare il risultato di un intervento compiuto da Dio su di lei. Egli ha provveduto a colmarla, a riempirla di grazia. L’ha resa santa, tutta bella e amabile ai suoi occhi. Oggetto di un favore divino straordinario, di un amore del tutto speciale, Maria di Nazaret è invitata dall’angelo a gioire, ad esultare: questo è il senso esatto del verbo greco kaire. Dio l’ha scelta, e, quindi, l’ha preparata per accogliere, innanzitutto, e poi per adempiere la missione alla quale ora la «chiama». La missione è spiegata nell’intervento successivo con cui l’angelo risponde all’iniziale, comprensibile turbamento manifestato da Maria. L’intervento è introdotto da un ulteriore rimando all’atteggiamento amoroso e benevolo con cui Dio ha «guardato», da sempre, quest’umile donna di Nazaret: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio» (Lc 1,30). Stavolta l’angelo si rivolge a lei con il suo

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nome terreno, il nome con cui era conosciuta dai familiari, dallo sposo Giuseppe e dagli abitanti di Nazaret. Ma al contempo le svela che Dio l’ha inserita nel progetto salvifico, nella storia dell’alleanza che comporta la promessa fatta a Davide di una discendenza che non avrà fine, legata alla provenienza del Messia dalla sua stirpe. E la missione per la quale è stata scelta è diventare la madre del Messia (Lc 1,31-32). Così, se il nome Miryâm dice l’appartenenza dell’umile donna di Nazaret alla comunità umana e al popolo di Israele, il nome Piena di grazia ne suggerisce l’appartenenza esclusiva a Dio, nel senso che Egli si rivela come il Signore che ha per lei una predilezione fuori dall’ordinario, in quanto l’ha chiamata a divenire madre del suo Figlio, mediatore della nuova alleanza. La combinazione di questi due nomi fa intuire come lei sia, a un tempo, la rappresentante del popolo eletto, «la figlia di Sion», e la prima rappresentante del popolo della nuova alleanza, della Chiesa. In riferimento alla «figlia di Sion», l’evangelista Luca istituisce un raccordo letterario e tematico con alcuni testi dei profeti, soprattutto con Sof 3,14-17, che è probabilmente la fonte di Gioele (2,21-23.26-27) e I misteri della vita di Cristo contemplati alla scuola della Vergine Maria di Zaccaria (2,14-15; 9,9): il profeta Sofonia si rivolge al popolo di Israele esortandolo ad attendere con fiducia la venuta del Messia, il quale porterà rinnovamento e felicità. Con il terzo e ultimo intervento dell’angelo viene rivelata, oltre alla modalità verginale del concepimento del figlio – con il rinvio all’intervento decisivo dello Spirito Santo – anche la sua identità divina: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio» (Lc 1,35). Il testo, assai denso dal punto di vista pneumatologico e cristologico, afferma che Maria è inserita pienamente nel mistero del Figlio di Dio Gesù Cristo in virtù dello Spirito Santo, tramite il dono della maternità verginale che costituisce il contenuto e la forma della «grazia» da lei ricevuta. Lei risponde manifestando tutta la propria fede, e una fede perfetta. Infatti, oltre a dichiarare la propria incondizionata disponibilità ad attuare quanto Dio ha stabilito, auspica che nella sua vita la Parola di Dio si compia interamente (cf. Lc 1,38). Lei, la donna «Piena di Grazia», cioè «amata da Dio», mette in atto la sua dipendenza radicale nei riguardi di Dio come obbedienza libera, voluta, attiva; è obbedienza amorosa, è amore pienamente disponibile, aperto al dono di sé. Maria è pronta ad accogliere il dono che Dio Padre le fa per mezzo dello Spirito Santo: il Figlio Unigenito, e lei lo accoglie nel cuore e nel corpo con ineffabile amore, a nome di tutta l’umanità. Maria di Nazaret dà il proprio assenso alla volontà di Dio perché ha capito chiaramente, grazie alla sapienza che viene dallo Spirito, sia l’oggetto della volontà di Dio, sia il modo in cui il disegno divino si sarebbe realizzato in lei. E se risponde all’angelo: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola» (Lc 1,38), lo fa con la piena consapevolezza di avere anche la capacità di poter obbedire, essendo la donna umile, la cui vita è totalmente «fondata» su Dio. Infatti lei sa bene che «nulla è impossibile a Dio» (Lc

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1,37). Sono dati narrativi e teologici che fanno comprendere ancora meglio l’effetto dell’intervento dello Spirito Santo in lei. Ma, al contempo, fanno comprendere che Maria non avrebbe potuto acconsentire ed obbedire se non fosse stata perfettamente integra, innocente e santa fin dal primo istante del suo concepimento. Questa integrità, innocenza e santità stanno alla radice della sua libertà e del suo amore totalmente oblativo: è perfettamente libera di volere e di realizzare ciò che Dio vuole. E ha scelto di comportarsi così perché per lei questo era il gesto di amore puro con cui ricambiare l’amore di Dio, quell’amore di predilezione di cui si sentiva ricolma. L’amore di Maria nella prospettiva dello Spirito Santo Se, giustamente, il mistero dell’Annunciazione ha una precisa componente trinitaria, un tema da approfondire riguarda la relazione tra lo Spirito Santo e Maria, soprattutto per quanto attiene l’esercizio dell’amore da parte di colei che si è proclamata la Serva del Signore. In questa sede, mi limito a qualche annotazione di fondo. Lo Spirito – il quale è la Persona/Dono e la Persona/Amore – imprime all’evento dell’Incarnazione del Figlio di Dio l’impronta essenziale dell’amore della santa Trinità: amore sommamente gratuito, sapiente e onnipotente, incommensurabile nel dono e nella gratuità, finalizzato all’alleanza eterna con gli esseri umani amati da sempre e per sempre, e per questo chiamati alla vita. Pertanto, l’invio e il dono del Figlio avvenuti nella pienezza del tempo (cf. Gal 4,4)34, mentre rivelano l’amore incommensurabile del Padre verso l’umanità (cf. Gv 3,16), ne rivelano, in primo luogo, l’amore incommensurabile verso Maria di Nazaret. In lei, per prima e in modo singolare, si compie la dichiarazione fatta nell’inno della Lettera agli Efesini: in Cristo il Padre «ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità, predestinandoci a essere per lui figli adottivi mediante Gesù Cristo, secondo il disegno di amore della sua volontà, a lode dello splendore della sua grazia, di cui ci ha gratificati nel Figlio amato» (Ef 1,4-6). Come dice Giovanni Paolo II nel mistero di Cristo ella è presente «già prima della fondazione del mondo» come colei che il Padre “ha scelto” come Madre del suo Figlio nell’incarnazione – ed insieme al Padre l’ha scelta il Figlio, affidandola eternamente allo Spirito di santità. Si deve allora ammettere che il dono, la grazia elargiti da Dio a Maria sono la misura del suo amore verso colei che appartiene al resto santo di Israele, che «è la prima tra gli umili e i poveri del Signore». Dal momento che questo dono e questa grazia coincidono con l’Incarnazione del Figlio Unigenito, ne deriva che l’amore attuato da Dio nei riguardi di Maria per opera dello Spirito Santo è il massimo amore riversato su una creatura umana. Secondo la prospettiva tematica sin qui delineata, l’indagine sul rapporto tra lo Spirito Santo e Maria porta ad approfondire il dato che Maria, essendo stata ricolmata di grazia fin dal primo istante del suo concepimento, è la donna pienamente consacrata al servizio di Dio dallo e nello Spirito Santo. Questo servizio – per cui ha ricevuto dallo Spirito Santo doni e virtù appropriati – si identifica essenzialmente con la maternità divina e verginale. In secondo luogo, si

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prolunga e si esprime, senza soluzione di continuità, nell’esperienza di essere discepola del Figlio e nel cooperare alla salvezza in modo del tutto singolare e con una generosità che non ha pari. Inoltre, questo servizio implica anche la maternità spirituale verso tutta l’umanità, specialmente verso i discepoli del suo Figlio Gesù. Maria proclama le opere di Dio: il “Magnificat” Resa feconda dallo Spirito Santo e ricolmata interamente della presenza del Figlio di Dio diventato ormai anche suo figlio – quel figlio totalmente amato, che occupa ormai tutto lo spazio della sua mente, del suo cuore e del suo grembo –, Maria fa visita a Elisabetta (Lc 1,39-56). Rifacendosi ancora una volta ad episodi e temi della storia di Israele, il terzo evangelista ricalca in questo caso il trasferimento dell’arca dell’alleanza a Gerusalemme compiuto da re Davide e narrato nel secondo libro di Samuele (2 Sam 6). L’autore sacro intravede in Maria, che porta in grembo il Figlio di Dio, l’Arca santa della Nuova Alleanza, la Dimora incorruttibile di Dio in mezzo al suo popolo. Dopo aver ricevuto, e per prima, il «vangelo» della Nuova Alleanza, Maria reca ora il lieto annuncio alla cugina Elisabetta. Dal canto suo, Elisabetta gode della gioia comunicatale dalla presenza del suo Signore, presenza che le viene manifestata attraverso Maria, la quale, per la gravidanza in atto, vive quell’indicibile scambio di vita e di amore con il suo Figlio Gesù che la rende sempre più bella e attraente, agli occhi di Dio come agli occhi degli uomini. Da qui nasce lo stupore che invade Elisabetta: stupore non tanto per aver ricevuto una visita inattesa, quanto piuttosto perché sperimenta una «presenza» che mai avrebbe potuto immaginare di ricevere in dono, quella del Messia Salvatore. «Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: “Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me?”» (Lc 1,41-44). La gioia che la invade è dono che viene dallo Spirito, al quale si deve anche l’esultanza del bambino che Elisabetta porta nel grembo. Allo stesso modo, è lo Spirito che la ispira e le fa pronunciare la lode-benedizione gioiosa che lei – e in lei la comunità cristiana – rivolge al Signore Gesù e a sua madre. Nelle sue parole si fa manifesta la venerazione dei credenti verso colei che è la madre vergine del Re messianico, il Signore di tutti. «Allora Maria disse: “L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore”» (Lc 1,36). In questo cantico – sorto molto probabilmente in ambito liturgico e in una comunità giudeo-cristiana – confluiscono l’esperienza della salvezza di cui la comunità dei credenti ora gode e l’esperienza di cui ha goduto Maria, gratificata dall’amore di predilezione di Dio, il quale «ha guardato l’umiltà della sua serva» (Lc 1,48). Sullo sfondo sia della liberazione dalla schiavitù egiziana e, più in generale, delle opere che Dio ha compiuto a favore di Israele, e con un linguaggio intriso di reminiscenze bibliche, viene celebrata la salvezza operata da Dio che è potente, santo, misericordioso e che interviene a favore degli umili e dei poveri. Lo sguardo contemplativo si volge dal passato al

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presente, e dal presente – ormai segnato dalla venuta del Messia Salvatore – verso il futuro, verso quel compimento escatologico della salvezza atteso per il giorno della Parusia, di cui la Risurrezione di Gesù Cristo è garanzia e promessa. Ma come la storia della salvezza e dell’alleanza di Israele si apre con l’elezione e l’obbedienza di Abramo, padre nella fede (cf. Rm 4,16-18) – menzionato nella frase conclusiva del cantico (Lc 1,55) –, così questa storia è giunta ormai a compimento per la fede di una donna, vera discendente di Abramo, perché anche lei «ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto» (Lc 1,45). Pertanto, con grande acume sapienziale l’evangelista ha menzionato esplicitamente Maria in apertura del cantico, facendolo sgorgare dal suo cuore di donna piena di grazia e tutta santa. Lei resta per sempre, nella Chiesa e per la Chiesa, modello del credente che, mosso e ammaestrato dallo Spirito Santo, vuole rendere lode a Dio Salvatore e vuole esprimere la speranza che il Regno di Dio si compirà pienamente in e per mezzo di Cristo Gesù. Maria donna dal cuore sapiente Se la lettura contemplativa del Magnificat può essere occasione e motivo per cogliere aspetti essenziali dell’esperienza spirituale fatta da Maria, allora si può dire che dalle strofe del cantico emerge la figura esemplare della donna resa sapiente dallo Spirito Santo. Maria è la perfetta credente, esperta nel custodire dentro di sé la storia della salvezza che, ormai, aveva raggiunto il tornante decisivo con l’Incarnazione del Figlio Unigenito di Dio. Si industriava per custodire dentro di sé tutto ciò che riguardava il Figlio Gesù, come pure tutto ciò che lui diceva e faceva. Quel Figlio amatissimo che Dio le aveva donato e affidato, coinvolgendo in questa missione anche Giuseppe, lo sposo che le aveva messo al fianco, l’uomo «giusto» (cf. Mt 1,19), il quale, aderendo alla volontà del Signore, aveva preso «con sé la sua sposa; senza che egli la conoscesse, ella diede alla luce un figlio ed egli lo chiamò Gesù» (Mt 1,24-25). Oltre a custodire, Maria meditava assiduamente nel suo cuore eventi e parole (cf. Lc 2,19.51), impegnata a comprendere e ad assimilare ogni giorno di più il mistero del Figlio, la cui gloria divina era nascosta entro la chenosi di una condizione di servo, riconosciuto in tutto simile agli uomini (cf. Fil 2,6-8). Dal canto suo, il terzo evangelista ci guida su un tracciato meditativo in cui gli avvenimenti si intrecciano in modo armonioso e progressivo. Sono avvenimenti che avevano segnato e segneranno, indelebilmente, la personalità, l’atteggiamento credente e la sensibilità affettiva di Maria. All’esperienza straordinaria avuta a Betlemme – il parto verginale e la visita dei pastori – si aggiungevano sia quanto era accaduto e quanto aveva ascoltato durante la presentazione di Gesù al tempio, sia le considerazioni e i pensieri suscitati da quello che accadeva ogni giorno a Nazaret. La sua riflessione era una vera e propria contemplazione fatta con il cuore traboccante di fede, alla luce di ciò che apprendeva sia dal contatto con Gesù, sia dalle Scritture e dalla preghiera, sia, infine, dal dialogo e dal confronto che, certamente, accompagnavano il rapporto con lo sposo Giuseppe. Il testo lucano dice che «meditava» nel suo cuore: il verbo sym-

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ballo qui usato rinvia a un lavorìo interpretativo realizzato mettendo a confronto e cercando di collegare tra loro eventi e parole di diverso genere, per poter comprendere sempre di più e sempre meglio. Comprendere il mistero del Figlio nel modo giusto, corrispondente cioè alla volontà di Dio che lo Spirito Santo le aveva fatto conoscere e accettare in piena libertà. Comprendere per adeguarsi a quanto andava scoprendo di nuovo sia riguardo a lui, sia riguardo alla missione che lei doveva portare a compimento. A tale proposito, non si può non menzionare il tratto pedagogico insito nell’incontro avuto al tempio di Gerusalemme con Simeone e, segnatamente, nelle parole profetiche che questi le aveva rivolto, facendo ricorso al simbolo della spada che le avrebbe trafitto l’anima (cf. Lc 2,34-35). Secondo la spiegazione data da Serra – sulla base della tradizione giudeo-cristiana – la spada è figura, prima di tutto, della Parola di Dio; in secondo luogo, rinvia al dolore che Maria dovrà sperimentare a mano a mano che procederà nel cammino, alla sequela di Gesù. La Parola di Dio, in verità, era ormai penetrata fino in fondo nella mente e nel cuore di Maria e ne aveva fecondato la persona e la storia sotto l’impulso dello Spirito datore di vita. Afferrata interamente dalla Parola di Dio nella persona del Figlio Unigenito che da lei aveva assunto la carne, ha provato dentro di sé, insieme all’ansia e al dolore che hanno accompagnato l’affannosa ricerca di Gesù dodicenne a Gerusalemme (cf. Lc 2,48), anche il beneficio procurato dal dover «comprendere» la parola rivelatrice che il figlio le affidava seminandola nel suo cuore. Questa parola di rivelazione la poneva di fronte alla missione che lui avrebbe dovuto compiere: occuparsi delle cose del Padre suo (cf. Lc 2,49-50). Per poter comprendere questa rivelazione, che le fa intravedere il teocentrismo radicale verso cui Gesù è ormai definitivamente orientato, Maria avrà bisogno di tempo. È il tempo richiesto affinché il seme della Parola di Dio possa crescere e portare frutto. A lei, quindi, si addice in modo del tutto speciale la tipologia del terreno buono: «Quelli sul terreno buono sono coloro che, dopo aver ascoltato la Parola con cuore integro e buono, la custodiscono e producono frutto con perseveranza» (Lc 8,15). Alimentata dal solido nutrimento della Parola di Dio e sostenuta dalla grazia dello Spirito Santo, Maria sarà impegnata – insieme allo sposo Giuseppe – ad accompagnare, anche come educatrice, la crescita di Gesù «in sapienza, età e grazia, davanti a Dio e agli uomini» (Lc 2,52). Compito naturale, scontato per certi versi: lei è la madre di Gesù, e le tradizioni in vigore nella Palestina del primo secolo assegnavano alla madre un ruolo importante per l’educazione religiosa dei figli, come si desume – per esempio – dalle prescrizioni riguardanti la liturgia domestica. Ma questo compito pedagogico rivestiva un carattere eminentemente soprannaturale, per cui non si può non riconoscere che alla pienezza di grazia corrispondeva, come effetto e requisito, anche una maturità umana e spirituale, un equilibrio affettivo e psicologico, una solidità di «sentimenti» e una santità di vita tali da consentirle di pensare e di agire veramente secondo Dio. (continua)

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