Motivazione contesto spunti innovativi della rvm

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speciale: il Rosario oggi


In questo numero dedicato al Rosario desideriamo anzitutto presentarvi un libro che ci parla di questa preghiera: Il rosario tra devozione e riflessione. Riportiamo la presentazione del curatore, Riccardo Barile, e alcuni brani del contributo di Sua Eccellenza Monsignor Domenico Sorrentino, Vescovo di AssisiNocera Umbra-Gualdo Tadino. Speriamo così di invitarvi alla lettura di questo volume, che ci aiuta a conoscere meglio il Rosario. E la conoscenza, si sa, apre orizzonti nuovi: anche l’orizzonte del nostro pregare potrà così diventare più aperto, più ampio e, speriamo, più ricco di frutti spirituali.

Presentazione Il presente testo vuole sfatare il luogo comune secondo cui il rosario sia unicamente semplice. Invece, partendo dalla semplicità iniziale, si è tentato di risalire ad analisi più complesse per ritrovare di nuovo la semplicità, ma in un insieme di prospettive, di ricchezze e di problemi armonicamente connessi. Si potrebbe illustrare il procedimento a partire dall’atto del respiro. Respirare è semplice e spontaneo. Così può essere semplice dire il rosario una volta che lo si è detto con qualcuno che ce lo ha insegnato quasi per simbiosi orante. Respirare può e deve diventare una tecnica con tanto di apprendimento per chi – ad esempio – canta, per chi suona uno strumento a fiato, per chi parla in pubblico, per chi esercita uno sport. Così il rosario ha delle risorse di tecnica basate su di un fondamento antropologico e biblico non sempre praticate e conosciute, ma che possono arricchire questa preghiera. Qui la semplicità diventa un po’ meno semplice. Il respirare, poi, diventa l’oggetto di una specifica disciplina medica con complesse analisi e studi per comprenderne il funzionamento e curarne la patologia: la pneumologia medica. Così il rosario può diventare oggetto di studio nei suoi fondamenti antropologici, storici e teologici. Riccardo Barile Riccardo Barile, sacerdote dell´Ordine dei Predicatori, Licenziato in Teologia all´Angelicum, è stato collaboratore del periodico “Settimana” per diverso tempo. I suoi interessi di studio e di ricerca si concentrano soprattutto sulla spiritualità, con particolare attenzione alla dimensione liturgica ed esegetica. Attualmente è Priore della Provincia S. Domenico in Italia.

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Motivazione, contesto, spunti innovativi della Lettera Apostolica Rosarium Virginis Mariae Mons. Domenico Sorrentino Qualche ombra... Credo che se tra il 2001 e il 2002 si fosse fatta un’indagine tra i teologi, chiedendo la loro opinione circa un possibile documento della Chiesa sul Rosario, pochi lo avrebbero ritenuto opportuno. Ancor meno avrebbero scommesso sulla previsione di un’iniziativa papale “forte” come quella di un Anno del Rosario. Quanto è avvenuto il 16 ottobre 2002, con la Lettera Apostolica Rosarium Virginis Mariae (appresso RVM) e l’indizione di un Anno interamente dedicato a questa preghiera, ha costituito una sorpresa che nemmeno da un Papa come Giovanni Paolo II, capace di iniziative “sorprendenti”, ci si poteva attendere. Lo stesso Pontefice, a conclusione del documento, lasciava trasparire la preoccupazione che la Lettera Apostolica potesse cadere in un clima non troppo disposto. Si rivolge ai vescovi, sacerdoti, diaconi, ed operatori pastorali, invitandoli a fare esperienza personale della bellezza del Rosario e ad esserne solerti promotori . Fa appello poi ai teologi, perché praticando una riflessione al tempo stesso rigorosa e sapienziale, radicata nella Parola di Dio e sensibile al vissuto del popolo cristiano, facciano scoprire, del Rosario, “i fondamenti biblici, le ricchezze spirituali, la validità pastorale”. Il motivo delle preoccupazioni emerge, in qualche modo, dal n. 4 della lettera, quello riguardante le “obiezioni al Rosario”. Il Papa constata la crisi di questa preghiera. Accenna poi ad alcune obiezioni ricorrenti: la centralità della Liturgia, della quale il Rosario potrebbe impropriamente apparire concorrente, e la preoccupazione ecumenica, basata in realtà su una concezione del Rosario poco attenta al cuore cristologico di questa preghiera. Due obiezioni sintomatiche, ma altre se ne potrebbero aggiungere a livello pastorale. Sta di fatto che il Papa ha visto l’opportunità della sua Lettera Apostolica e dell’Anno del Rosario anche considerando l’urgenza di fronteggiare la crisi strisciante di questa preghiera. Bisognerebbe forse ricordare che essa, in realtà, per molti cristiani semplici e devoti, resta una preghiera amata e praticata, anche se il più delle volte un po’ alla buona. Le obiezioni e le perplessità serpeggiano proprio negli ambienti della teologia accademica e degli operatori pastorali. Perplessità elitarie, se si vuole, ma che pesano: è chiaro infatti che una preghiera poco compresa, e ancora meno promossa, da chi ha il compito di studiare e animare, rischia, soprattutto nelle nuove generazioni, se non la scomparsa, l’emarginazione e comunque una pratica poco consapevole e vitale.

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... o una “chance” Il motivo di fondo per cui il Papa ha preso l’iniziativa della Lettera Apostolica sul Rosario non è tuttavia da vedere principalmente nell’intenzione di contrastare una crisi, quanto, in positivo, nel desiderio di cogliere una “chance” spirituale e pastorale. Il contesto teologico-pastorale di questo inizio di Millennio, e anche lo sviluppo della percezione teologico-spirituale di questa preghiera, reclamavano una sua riscoperta e un suo rilancio. Vediamo perché, a partire dalla prospettiva stessa del Pontefice. Il nostro tempo Nel risveglio religioso e spirituale del nostro tempo ci troviamo di fronte all’imporsi di un’esigenza meditativa e contemplativa. Vi contribuisce la reazione a una modalità di esistenza affannosa, tipica della nostra società dai ritmi stressanti. L’ideale di una vita anche ecologicamente sana invita a un rapporto con la natura capace di fruizione della sua bellezza, suggerisce il ritorno al silenzio e l’incontro pacato con il Creatore in una preghiera profonda Si pone tuttavia il problema di “modalità” accessibili, direi di una pedagogia di popolo della preghiera profonda. Giovanni Paolo II rilancia il Rosario come una risposta a questa esigenza. La centrazione cristologica Chi legge l’Enciclica Novo Millennio Ineunte vi trova uno “slogan” che designa una scelta strategica della pastorale d’inizio Millennio: “Ripartire da Cristo” che rimette con forza il “volto” di Cristo al centro della vita e della contemplazione ecclesiale: Volto del Figlio, Volto dolente, Volto del Risorto. È proprio ciò che nella RVM viene riproposto attraverso il Rosario. La teologia dei misteri È noto che, tra gli evangelisti, soprattuttoMarco presenta il cammino di Gesù nella coscienza dei suoi discepoli e delle folle che lo attorniano come un itinerario verso la profondità del suo mistero. Gesù interroga, e non soltanto quando a Cesarea di Filippo pone l’interrogativo: «La gente, chi dice che io sia?» (Mc 8,27). Tutto il suo essere interroga. Le sue parole e i suoi gesti interpellano. Alla vista dei suoi miracoli o dei suoi gesti di misericordia, ritroviamo la domanda che gli apostoli si fanno nel miracolo della tempesta sedata: «Chi è mai costui, che perfino i venti e il mare gli obbediscono?» (Mt 8,27). È vero che il mistero di Gesù viene colto pienamente solo alla luce del mistero pasquale. Il Risorto è la chiave del mistero di Gesù. Paolo, nell’incontro con il Risorto, coglierà tutto l’essenziale del Gesù secondo la carne. Tuttavia appartiene alla dinamica dell’incarnazione che il punto finale illumini il mistero, ma senza abolirne il suo dispiegamento nel tempo. Per questo la comunità cristiana primitiva, pur galvanizzata dall’evento della risurrezione, nella quale è concentrato lo stesso “kerigma”, è spinta a “ricordare” l’intera vita di Cristo, fino a risalire, con Matteo e Luca, all’infanzia, e con Giovanni al prologo meta-storico. È una conseguenza stringente: se la Risurrezione ha pienamente rivelato il Cristo nel suo divino splendore, questo non va inteso come una “attribuzione” ex novo, ma come una “esplicitazione” e una “conseguenza” di ciò che appartiene al Cristo fin dal suo concepimento nel grembo materno. La cristologia cosiddetta “dal basso”, a partire dall’umanità di Gesù, trova la sua legittimità e i suoi confini nel principio dell’unione ipostatica: non c’è una

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“persona” del Cristo diversa dalla persona del Verbo incarnato, senza che ciò minimamente pregiudichi l’integrità della natura umana. Ne viene di conseguenza ciò che era ben chiaro nella teologia classica dei “misteri” di Cristo: ogni momento e aspetto della vita di Cristo è espressione del suo mistero, e in ognuno dei misteri si rivela il carattere salvifico della sua vita, che avrà nella morte e risurrezione il suo vertice. La teologia dei misteri è stata una delle riscoperte della teologia contemporanea nell’orizzonte del cristocentrismo. Ne è conferma la liturgia che, pur ruotando intorno al mistero pasquale, si snoda tuttavia nell’anno liturgico proprio intorno ai singoli “misteri” di Cristo. Lo testimonia anche, tra le preghiere non liturgiche, proprio il Rosario. A partire da questa problematica, si coglie ancora di più il senso dell’iniziativa della RVM. Il Papa ha riproposto con forza alla Chiesa non una generica “cristologia” o una semplice cristologia del mistero pasquale, ma appunto la teologia dei misteri di Cristo: il mistero “nei” misteri. Il fatto che non si sia limitato a rilanciare il Rosario nell’articolazione tradizionale dei tre cicli, ma, accogliendo istanze che negli scorsi decenni si erano moltiplicate in tal senso, abbia aggiunto il nuovo ciclo dei misteri della luce, ne è una riprova. I cinque misteri desunti dalla vita pubblica di Gesù completano alla mente dell’orante l’intera fisionomia del Cristo. Ne esce confermato ed esaltato il carattere del Rosario come “compendio” del Vangelo. La “via” e la “scuola” di Maria Focalizzando in modo più puntuale il rapporto tra l’aspetto mariano e quello cristologico del Rosario, uno degli aspetti particolarmente sviluppati dalla RVM è la presentazione di Maria come la grande maestra della contemplazione di Cristo. Nella percezione corrente, il carattere mariano del Rosario, dovuto soprattutto alla consistente ripetizione dell’Ave Maria, viene interpretato come se il Rosario fosse una devozione rivolta a Maria. Di qui le difficoltà per la sensibilità ecumenica, e anche il pretesto che da questa convinzione viene offerto a quanti sono poi tentati di ridimensionare l’importanza del Rosario in nome del primato di Cristo e della centralità della liturgia. La RVM caratterizza il Rosario come: «preghiera dalla fisionomia mariana, dal cuore cristologico» (RVM 1). La fisionomia mariana è nel fatto che la contemplazione del mistero di Cristo viene operata, ampiamente, attraverso la luce che su di esso proietta il “saluto” angelico. È interessante tuttavia che, proprio a partire da questo elemento, Giovanni Paolo II sottolinei il significato cristologico del Rosario. Dice infatti: «Ma proprio alla luce dell’Ave Maria ben compresa, si avverte con chiarezza che il carattere mariano non solo non si oppone a quello cristologico, anzi lo sottolinea e lo esalta» (RVM 33). La motivazione è


ovviamente nel fatto che, attraverso il saluto angelico, si contempla l’incarnazione del figlio di Dio. Il Papa continua: «Il ripetersi, nel Rosario, dell’Ave Maria ci pone sull’onda dell’incanto di Dio: è giubilo, stupore, riconoscimento del più grande miracolo della storia». E continua poi, mettendo a fuoco il nome di Gesù: il baricentro dell’Ave Maria, quasi cerniera tra la prima e la seconda parte, è il nome di Gesù. Talvolta, nella recitazione frettolosa, questo baricentro sfugge, e con esso anche l’aggancio al mistero di Cristo che si sta contemplando. Ma è proprio dall’accento che si dà al nome di Gesù e al suo mistero che si contraddistingue una significativa e fruttuosa recita del Rosario» (ivi). Il carattere mariano del Rosario, in questa prospettiva, si esprime non tanto nel fatto che esso si rivolga a Maria – cosa che avviene soltanto nel saluto angelico, peraltro da vivere con la menzionata accentuazione cristologica – ma piuttosto nel fatto che in questa preghiera ci uniamo alla preghiera di Maria, mettendoci alla sua scuola nella contemplazione del mistero di Cristo. Si tratta di guardare Gesù con lo sguardo di Maria, amarlo con il suo cuore, nello spirito che Giovanni Paolo II illustra nel secondo capitolo, in cui Maria viene additata come modello di contemplazione (RVM 10). Seguendo le immagini evangeliche, noi seguiamo i suoi ricordi, “impariamo Cristo” da lei, ci conformiamo a Cristo con lei, affidandoci alla sua intercessione materna, che ci ottiene l’effusione inesauribile dello Spirito (RVM 15). «Mai come nel Rosario la via di Cristo e quella di Maria appaiono così profondamente congiunte» (ivi). Ed infine, la stessa supplica ha nel Rosario il conforto proprio dell’intercessione potente di Maria (RVM 16). Il “ritmo della vita umana” Insistendo sul carattere contemplativo del Rosario, Giovanni Paolo II non dimentica che la contemplazione cristiana segue il movimento stesso di Dio: se da un lato è capace di immergere nell’intimità della vita trinitaria, dall’altro, proprio in forza dell’unione con Dio, si lascia coinvolgere nell’“esodo” di Dio, nel suo aprirsi al mondo fino a farsi Dio-con-noi. La contemplazione dei misteri di Gesù diventa così, nel Rosario, meditazione sul disegno di Dio per l’uomo e supplica a Dio per i bisogni dell’uomo. Con un’espressione molto felice, Giovanni Paolo II dice che il Rosario “batte il ritmo della vita umana”:... il nostro cuore può racchiudere in queste decine del Rosario tutti i fatti che compongono la vita dell’individuo, della famiglia, della nazione, della Chiesa e dell’umanità. Vicende personali e vicende del prossimo e, in modo particolare, di coloro che ci sono più vicini, che ci stanno più a cuore. Così la semplice preghiera del Rosario batte il ritmo della vita umana (RVM 2). Questa prospettiva, in qualche modo implicita nel Rosario, può essere utilmente esplicitata. Di qui le indicazioni che Giovanni Paolo II dà a proposito della giaculatoria finale che suole concludere ogni decina. Egli suggerisce che ciascun mistero si concluda «con una preghiera volta a ottenere i frutti specifici della meditazione di quel mistero» (RVM 35). In particolare la Lettera Apostolica sviluppa la consolidata tradizione che lega il Rosario alla causa della pace e della famiglia. È illuminante l’articolata riflessione che il Papa dedica al Rosario come “preghiera orientata per sua natura alla pace”, non soltanto per il fatto che ne chiede il dono, ma per le seguenti tre ragioni “intrinseche”: a. per il fatto stesso di essere contemplazione di Cristo “nostra pace”;

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b. per il suo carattere meditativo, che esercita sull’orante un’azione “pacificante”; c. per l’impulso che dà non solo a contemplare Cristo nei misteri della sua vita storica, ma a cercarlo e a servirlo nel volto dei fratelli sofferenti. Il Rosario, conclude il Papa, lungi dall’essere una fuga dai problemi del mondo, ci spinge a guardarli con occhio responsabile e generoso, e ci ottiene la forza di tornare ad essi con la certezza dell’aiuto di Dio e con il proposito fermo di testimoniare in ogni circostanza la carità (RVM 40). Altrettanto diffusa è la riflessione che Giovanni Paolo II dedica al Rosario come preghiera “della famiglia e per la famiglia”. «La famiglia che prega unita, resta unita». Pertinente la riflessione che il Papa fa anche a proposito della società della comunicazione, che riempie la mente di immagini offerte dalla televisione e da internet, le quali tante volte “separano” i membri della famiglia. Il Rosario costituisce un antidoto, immettendo le immagini del Redentore e della sua Madre santissima, riproducendo in qualche modo in famiglia il clima della casa di Nazaret (RVM 41). Un cammino pedagogico Un intero capitolo è dedicato all’approfondimento del Rosario come “metodo” di preghiera. È il capitolo III, intitolato con le parole di Paolo “per me vivere è Cristo”. Il discorso parte rispondendo alla obiezione che, con il suo metodo ripetitivo, il Rosario risulterebbe “una pratica arida e noiosa”, mentre in realtà tale metodo va inteso “come espressione di quell’amore che non si stanca di tornare alla persona amata”. Il fondamento è il fatto che, in forza dell’incarnazione, Dio ha assunto un “cuore di carne”, ama e vuole essere amato con tutte le “vibrazioni dell’affetto” umano. Il Papa insiste: il Rosario è “un metodo per contemplare”. Un metodo valido, ma che può essere migliorato. Ed è qui che la Lettera Apostolica offre uno dei contributi più significativi al Magistero sul Rosario, portandosi sui singoli elementi di questa preghiera. a. L’enunciazione del mistero: «enunciare il mistero, e magari avere l’opportunità di fissare contestualmente un’icona che lo raffiguri, è come aprire uno “scenario” su cui concentrare l’attenzione»: è l’incontro con il volto umano di Cristo per coglierne il mistero divino. b. L’ascolto della Parola di Dio: Giovanni Paolo II propone che, sullo sfondo dell’enunciazione, venga proclamata la Parola di Dio corrispondente: un passo che, a seconda delle circostanze, può essere più o meno ampio. Alla base di questo elemento, c’è l’importante considerazione che la Parola di Dio ha un’efficacia sua, insostituibile, diversa da quella di ogni altra parola.


c. Il silenzio: da praticare in una breve pausa di meditazione dopo la lettura della Parola di Dio. d. Il Padre nostro: visto come il naturale svolgimento della contemplazione del mistero: Gesù ci porta al Padre. e. L’Ave Maria: come si è già notato, le considerazioni che Giovanni Paolo II fa sull’Ave Maria sono illuminanti anche per ciò che riguarda il carattere cristologico del Rosario. La stessa Santa Maria è riletta sulla base del rapporto di Maria con Cristo: dallo specialissimo rapporto con Cristo, che fa di Maria la Madre di Dio, la Theotòkos, deriva, poi, la forza della supplica con la quale a Lei ci rivolgiamo nella seconda parte della preghiera... (RVM 34). f. Il Gloria: la dossologia trinitaria è presentata come il “culmine della contemplazione”. La contemplazione di ciascun mistero porta sempre alla glorificazione della Trinità. g. La giaculatoria finale. Pur lasciando spazio a una legittima varietà, la RVM privilegia l’orientamento di concludere con una «preghiera volta ad ottenere i frutti specifici della meditazione di quel mistero. In questo modo il Rosario potrà esprimere con maggiore efficacia il suo legame con la vita cristiana» (RVM 35). h. La corona: di essa si evocano tre aspetti simbolici: la convergenza verso il Crocifisso; il movimento circolare, a significare un “cammino incessante”; il suo essere una “catena”, e come tale evocativa dell’unione con Dio (catena “filiale”) e dell’unione fraterna. i. Quanto all’avvio e alla chiusa del Rosario, la RVM lascia la varietà degli usi correnti, fino alla preghiera per il Pontefice, la Salve Regina e le Litanie lauretane. l. Una significativa riflessione è fatta infine sulla distribuzione del Rosario nel tempo, per chi non lo recita intero ogni giorno. Rispettando l’uso corrente, la RVM innova solo con il giovedì, destinato ai misteri della luce, portando al sabato la seconda contemplazione settimanale dei misteri della gioia. Si lascia tuttavia una “conveniente libertà”, a seconda delle esigenze spirituali e pastorali e delle coincidenze liturgiche. Come si vede, per la prima volta il Magistero della Chiesa ha dedicato tanta attenzione di dettaglio alla metodologia del Rosario, per rilanciarlo in una forma che, senza essere liturgica, si avvicina tuttavia alla forma liturgica. Ciò che è veramente importante è che il Rosario sia sempre più concepito e sperimentato come itinerario contemplativo. Attraverso di esso, in modo complementare a quanto si compie nella Liturgia, la settimana del cristiano, incardinata sulla domenica, giorno della risurrezione, diventa un cammino attraverso i misteri della vita di Cristo, e questi si afferma, nella vita dei suoi discepoli, come Signore del tempo e della storia.

Il rosario tra devozione e riflessione. pp. 352 - formato mm 150x210 - brossura - € 26,00 Il libro è in vendita presso: Edizioni Studio Domenicano - via Dell’Osservanza - 72 40136 Bologna Tel. 051/582034 - Fax 051/331583 - e mail: esd@esd-domenicani.it

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