Perch le apparizioni e come riconoscerle

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Il Card. Dias: “Sono irruzioni mariane nel pieno delle ostilità tra la Vergine e il diavolo”

Perché le apparizioni? E come riconoscerle?

I “segni” sono importanti, anche nella Scrittura. Per questo, la Congregazione per la Dottrina della Fede ha fissato le norme per il discernimento. Capisaldi utilissimi, secondo i quali le apparizioni non devono aggiungere, superare o correggere in nulla la Rivelazione, bensì introdurre nuovi accenti, far emergere nuove forme di pietà o approfondirne di antiche. Ed attenzione ai falsi profeti...

’è un’attualità nelle apparizioni della Madonna? C’è, eccome. Esse rientrano nella “lotta permanente – e senza esclusione di colpi – tra le forze del bene e le forze del male, cominciata all’inizio della storia umana e che proseguirà sino alla fine”: lo ha dichiarato l’8 dicembre di cinque anni fa, giorno dell’Immacolata Concezione, il Card. Ivan Dias, Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli. Fu proprio lui, nella veste d’inviato speciale del Papa all’inaugurazione del Giubileo per il 150° anniversario di Lourdes, a spiegare come oggi questa lotta “sia ancora più accanita che ai tempi di Bernadette”, poiché “il mondo si trova terribilmente irretito nella spirale di un relativismo, che vuole creare una società senza Dio, che erode i valori permanenti e immutabili del Vangelo, nonché di un’indifferenza religiosa, che resta imperturbabile di fronte al bene superiore delle cose che riguardano Dio e la Chiesa”. Già Karol Wojtyla, pochi mesi prima d’esser eletto Sommo Pontefice, dichiarò: “Noi siamo oggi di fronte al più grande combattimento che l’umanità abbia mai avuto. Penso che la comunità cristiana non l’abbia ancora compreso del tutto. Noi siamo oggi di fronte alla lotta finale tra la Chiesa e l’anti-chiesa, tra il Vangelo e l’antivangelo”. Parole definite profetiche dal Card. Dias, a fronte della “rovina spirituale di certi Paesi, l’affievolimento della fede, le difficoltà della Chiesa e l’aumento dell’azione dell’anticristo, con i suoi tentativi di rimpiazzare Dio nella vita degli uomini”. Proprio per questo, ha proseguito il porporato con parole che val la pena riprendere, “è discesa dal cielo una Madre preoccupata per i suoi figli, che vivono nel peccato, lontani da Cristo”. Parole chiarissime. Gelerebbe il sangue, se non ci fosse nei Cattolici questa capacità di affidarsi fiduciosi a Dio, se non si avesse la certezza del “Non praevalebunt”... Prosegue, in proposito, il Card. Dias: le apparizioni sono “vere e proprie irruzioni mariane nella storia del mondo, che segnano l’entrata decisiva della Vergine nel pieno delle ostilità tra Lei e il diavolo, come è descritto nella Genesi e nell’Apocalisse”. La Madonna “sta tessendo una rete di suoi figli e figlie spirituali, per lanciare una forte offensiva contro le forze del maligno e per preparare la vittoria finale del suo divino figlio Gesù Cristo”. Ella, invitandoci a non abbassare mai la guardia, “ci chiama anche oggi

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ad entrare nella Sua legione, per combattere contro le forze del male”, servendosi – quali armi – della “conversione del cuore, una grande devozione verso la Santa Eucaristia, la recita quotidiana del Santo Rosario, la preghiera costante e senza ipocrisie, l’accettazione delle sofferenze per la salvezza del mondo. La vittoria finale sarà di Dio. E Maria combatterà alla testa dell’armata dei suoi figli contro le forze nemiche di satana, schiacciando il capo del serpente”. La posta in gioco è alta, altissima, come si può ben capire. Per questo, per evitare errori di valuta-

zione pericolosissimi, la Chiesa ha sentito la necessità di individuare delle regole precise. Ciò che codificò nel documento Normae de modo procedendi in iudicandis praesumptis apparitionibus ac rivelationibus, messo a punto dalla Congregazione per la Dottrina della Fede già il 25 febbraio 1978. In esso sono specificati, passo dopo passo, i criteri da seguire, per giudicare del carattere delle presunte apparizioni o rivelazioni, nonché gli interventi da assumere successivamente ad opera delle autorità competenti, precisando anche quali esse siano ovvero, in crescendo, il Vescovo, la Conferenza Episcopale regionale o nazionale, la Sede Apostolica, senza dimenticare il ruolo specifico proprio della Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede. Queste “Normae”, approvate da Paolo VI, come detto, han già più di 34 anni, sono quindi già in vigore da tempo, eppure non sono mai state pubblicate ufficialmente riguardando i soli Pastori della Chiesa; ne sono già circolate diverse traduzioni in altre lingue, nessuna delle quali però autorizzata. Solo recentemente la stessa Congregazione ha ritenuto opportuno renderle pubbliche. Perché? Lo ha spiegato il suo Prefetto, il Card. William Joseph Levada: sarebbe oggi opportuno “dare conveniente attenzione” ai “fenomeni soprannaturali”, come del resto già convenuto nell’ottobre del 2008 dalla XII Assemblea Ordinaria del Sinodo dei Vescovi sulla Parola di Dio e come evidenziato

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anche dal regnante Pontefice, Benedetto XVI, nell’Esortazione apostolica post-sinodale Verbum Domini del 30 settembre 2010, laddove al n. 14 è scritto: “L’economia cristiana, in quanto è l’Alleanza nuova e definitiva, non passerà mai e non è da aspettarsi alcun’altra rivelazione pubblica prima della manifestazione gloriosa del Signore nostro Gesù Cristo. La specificità del Cristianesimo si manifesta nell’evento Gesù Cristo, culmine della Rivelazione, compimento delle promesse di Dio e mediatore dell’incontro tra l’uomo e Dio. Egli, che ci ha rivelato Dio, è la Parola unica

e definitiva consegnata all’umanità”. Concetto, questo, già espresso con chiarezza da san Giovanni della Croce nel volume Salita al Monte Carmelo (II, 22): “Dal momento in cui ci ha donato il Figlio Suo, che è la Sua unica e definitiva Parola – scrisse questo Dottore della Chiesa – ci ha detto tutto in una sola volta in questa sola Parola e non ha più nulla da dire... Infatti, quello che un giorno diceva parzialmente ai profeti, l’ha detto tutto nel Suo Figlio, donandoci questo tutto che è il Suo Figlio. Perciò chi volesse ancora interrogare il Signore e chiederGli visioni o rivelazioni, non solo commetterebbe una stoltezza, ma offenderebbe Dio, perché non fissa il suo sguardo unicamente in Cristo e va cercando cose diverse e novità”. A questo punto potremmo anche compiere una breve riflessione sul ruolo ed il significato dei “segni” nella Sacra Scrittura. Segni, che – da un lato – rappresentano in qualche modo il sintomo della mancanza di fede tra il popolo, tanto da spingere Gesù ad affermare: “Se non vedete segni e prodigi, voi non credete” (Gv 4, 48). Ed è Lui stesso a invitarci a superare la loro esigenza, la loro necessità, per andare piuttosto al cuore del senso religioso: “In verità, in verità vi dico, voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati” (Gv 6,26). D’altra parte, essi sono anche parte integrante dell’annuncio: “Dio testimoniava con segni e

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prodigi e miracoli d’ogni genere e doni dello Spirito Santo, distribuiti secondo la Sua volontà” (Eb 2,4). Anzi, preannunciano gli stessi tempi ultimi: “Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, mentre gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte” (Lc 21,25-26). Il problema sta nell’interpretarli correttamente, senza affidarsi e far conto sull’errore, che in questo campo potrebbe essere letale: “Sorgeranno falsi cristi e

falsi profeti e faranno segni e portenti, per ingannare, se fosse possibile, anche gli eletti. Voi però state attenti! Io vi ho predetto tutto” (Mc 13,22-23). Per questo, a un certo punto, la Chiesa ha ritenuto opportuno codificare le modalità di discernimento riguardanti apparizioni e rivelazioni. Concetto ribadito e spiegato ancor meglio anche nel Catechismo della Chiesa Cattolica, al n. 67: “Lungo i secoli ci sono state delle rivelazioni chiamate «private», alcune delle quali sono state riconosciute dall’autorità della Chiesa. Esse non appartengono tuttavia al deposito della fede. Il loro ruolo non è quello di «migliorare» o di «completare» la Rivelazione definitiva di Cristo, ma di aiutare a viverla più pienamente in una determinata epoca storica. Guidato dal Magistero della Chiesa, il senso dei fedeli sa discernere e accogliere ciò che in queste rivelazioni costituisce un appello autentico di Cristo o dei suoi Santi alla Chiesa. La fede cristiana non può accettare «rivelazioni» che pretendono di superare o correggere la Rivelazione, di cui Cristo è il compimento. È il caso di alcune religioni non cristiane ed anche di alcune recenti sette, che si fondano su tali «rivelazioni»”. Precisazioni chiarissime ed opportune. Per non farci rincorrere segni che non esistono, falsi profeti e chimere inconsistenti, anzi fuorvianti: esemplare, in questo senso, il riferimento alle sette. A questo punto, incalza la Congregazione per la Dottrina

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della Fede con le sue Normae: “Il criterio per la verità di una rivelazione privata è il suo orientamento a Cristo stesso. Quando essa ci allontana da Lui, allora essa non viene certamente dallo Spirito Santo, che ci guida all’interno del Vangelo e non fuori di esso. La rivelazione privata è un aiuto per questa fede e si manifesta come credibile proprio perché rimanda all’unica rivelazione pubblica. Per questo l’approvazione ecclesiastica di una rivelazione privata indica essenzialmente che il relativo messaggio non contiene nulla che contrasti la fede ed i buoni costumi; è lecito renderlo pubblico ed i fedeli sono autorizzati a dare ad esso in forma prudente la loro adesione. Una rivelazione privata può introdurre nuovi accenti, far emergere nuove forme di pietà o approfondirne di antiche. Essa può avere un certo carattere profetico e può essere un valido aiuto per comprendere e vivere meglio il Vangelo nell’ora attuale. È un aiuto, che è offerto, ma del quale non è

obbligatorio fare uso. In ogni caso, deve trattarsi di un nutrimento della fede, della speranza e della carità, che sono per tutti la via permanente della salvezza”. Affermazioni, che forse deluderanno qualcuno, in attesa di chissà che cosa. Tutto quanto ci doveva esser detto ci è già stato detto. Le apparizioni, quelle riconosciute dalla Chiesa, rappresentano per noi un richiamo, una sottolineatura importante, un’accentuazione benefica di ciò che però già possediamo. E che forse troppo spesso sottovalutiamo o dimentichiamo, per rincorrere le iperboli della fantasia, senza mantenerci saldamente ancorati piuttosto alle certezze della fede. Quelle certezze, le uniche, che possono salvarci l’anima. Mauro Faverzani

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