I mass-media oggi ci propongono spesso falsi idoli, ma – ammonisce il Papa – il mondo ne è stanco
Quale ruolo oggi per la “buona stampa”? Aiutarci a vivere la radicalità della fede Il Card. Bagnasco: “Essere protagonista non è voglia di protagonismo, ma amore di identità”
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e i mass-media hanno una responsabilità, questa è quella di far da “potente cassa di risonanza” di una “società e di una cultura”, che misurano “il successo” in base a “falsi idoli” quali “il potere politico od economico, il prestigio raggiunto nella propria professione, la ricchezza messa in bella mostra, la notorietà delle proprie realizzazioni, l’ostentazione fin anche dei propri eccessi”. E questa la considerazione contenuta nel messaggio di saluto rivolto da Papa Benedetto XVI agli organizzatori del XXIX Meeting per l’Amicizia tra i Popoli, recentemente svolto a Rimini. Considerazione che riprende quanto già evidenziato dal Santo Padre anche nel Messaggio per la XLII Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, svoltasi lo scorso 4 maggio, quando fece notare come tali mezzi rischino di trasformarsi “in sistemi volti a sottomettere l’uomo a logiche dettate dagli interessi dominanti del momento. E il caso – ha dichiarato – di una comunicazione usata per fini ideologici o per la collocazione di prodotti di consumo mediante una pubblicità ossessiva. Con il pretesto di rappresentare la realtà, di fatto si tende a legittimare e ad imporre modelli distorti di vita personale, familiare o sociale”, spesso ricorrendo “alla trasgressione, alla volgarità ed alla violenza”, nonché aumentando il divario tecnologico tra i Paesi ricchi e quelli poveri. Non se ne può più di star e stelline… In controluce vi si leggono due valutazioni. La prima è una forte critica nei confronti di quegli “attori del cinema, personaggi e miti della televisione e dello spettacolo, atleti, giocatori di calcio, ecc.”, che “sponsorizzino” come ideali di vita “professioni e carriere”, dove ciò che conta è una ribalta per “apparire”, per “sentirsi qualcuno”. Il che è ancor più grave, poiché star e stelline, politici e giornalisti sanno di far opinione, perciò più forte e con maggior coscienza dovrebbero sentire il peso dell’importante responsabilità che grava su di loro. La seconda valutazione riguarda, invece, un mondo cattolico, che deve dimostrarsi capace, a sua volta, di parlare alla gente, di farsi capire, vedere ed ascoltare, di spiegare quali siano i veri Valori, proposti ed incarnati dalla fede cattolica, e perché sia ragionevole ch’essi – e non altri – muovano i cuori e le menti di tutti. Su questo, non a caso, verte anche
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il tema scelto dal Santo Padre per la prossima Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, che ricorrerà il 29 gennaio 2009: “Nuove tecnologie, nuove relazioni. Promuovere una cultura di rispetto, di dialogo, di amicizia”. Questo era il ruolo di quella che un tempo veniva definita la “buona stampa”. Oggi non se ne parla più. Almeno non in questi termini. E forse venuta meno la necessità di proporre
ogni giorno ed in ogni angolo del pianeta un annuncio autenticamente cristiano del Vangelo? Certamente no, tant’è che molte sono le testate giornalistiche, radiofoniche, televisive, web e multimediali, che si sforzano di far propria tale missione, collaborando alla diffusione di quella nuova evangelizzazione, fortemente voluta e promossa già da Giovanni Paolo II. Se non vi fossero i media cattolici, la “Buona Notizia” verrebbe annunciata con minor vigore, poco o nulla sapremmo di quanti vivono la propria fede anche sino al martirio in luoghi a noi sconosciuti oppure delle tante “vite oscure, senza apparente rilevanza per giornali e televisioni”, citate dal regnante Pontefice quale esempio di silenzioso, ma prezioso servizio, di nascosta eppur efficace testimonianza, ignota benché magari a due passi da casa nostra. Del resto, anche il Presidente della Pontificia Accademia per la Vita, mons. Rino Fisichella, in un’intervista ha parlato, in Italia, di tentativi di “isolare e ridicolizzare la fede cristiana, in particolar modo cattolica” con l’obiettivo “di emarginare il ruolo della Chiesa sulla scena pubblica”, individuando in Essa un interlocutore credibile: “Se non fossimo credibili – ha dichiarato mons. Fisichella – il mondo non ci insulterebbe, perché penserebbe che siamo dei suoi. Proprio perché siamo credibili, proprio perché siamo capaci di dare dei martiri, proprio per questo il mondo non ci vuole. Anzi, ci vuole come dei numeri”. Lo stesso Benedetto XVI, a Sydney, in occasione della festa di accoglienza tenutasi al molo di Barangaroo nell’ambito della XXIII Giornata Mondiale della Gioventù, ha evidenziato come vi siano “molti, oggi, i quali pretendono che Dio debba essere lasciato ‘in panchina’ e che la religione e la fede, per quanto accettabili sul piano individuale, debbano essere o escluse
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dalla vita pubblica o utilizzate solo per perseguire limitati scopi pragmatici”, azzerando i riferimenti al Creatore. Al Meeting di Rimini, del resto, il Presidente della Cei, Card. Angelo Bagnasco, ha ripreso questo concetto: “Oggi – ha detto – si vuole che la Chiesa rimanga in chiesa. Il culto e la carità sono apprezzati anche dalla mentalità laicista: in fondo – si pensa – la preghiera non fa male a nessuno e la carità fa bene a tutti. In altri termini, si vorrebbe negare la dimensione pubblica della fede concedendone la possibilità nel privato. A tutti si riconosce come sacra la libertà di coscienza, ma dai cattolici a volte si pretende che essi prescindano dalla fede, che forma la loro coscienza”. E il volto del secolarismo, aggressivo e rampante, questo: si spaccia per “forza neutrale, imparziale e rispettosa di ciascuno”, in realtà, “come ogni ideologia, impone una visione globale”, quella di una società “plasmata secondo un’immagine priva di Dio”. Si parla, certo, di non-violenza, di sviluppo sostenibile, di giustizia e di pace, di cura dell’ambiente. Ma lo si fa come se in tutto questo il Signore non c’entrasse. Invece, “tutto ciò – afferma il Pontefice – non può essere compreso a prescindere da una profonda riflessione sull’innata dignità di ogni vita umana dal concepimento fino alla morte naturale, una dignità che è conferita da Dio stesso e perciò inviolabile. Il nostro mondo si è stancato del tedio di falsi idoli e di risposte parziali”, nonché “della pena di false promesse”. Alla stessa conclusione è arrivato anche un personaggio al di sopra di ogni sospetto, il direttore del Tg2, Mauro Mazza, il quale al Meeting di Rimini ha evidenziato come la Chiesa abbia “il diritto-dovere di essere presente, soprattutto in un momento in cui la cultura del mondo ha scoperto i propri limiti”. Quando il Parlamento Europeo vota la risoluzione sul quinto obiettivo del Millennio proposto dalle Nazioni Unite, quello riferito alla cosiddetta “salute materno-infantile”, ed incentiva il ricorso all’aborto, specie nei Paesi in via di sviluppo, deplorando (proprio così…) “il divieto, sostenuto dalle Chiese, di usare contraccettivi”, ebbene, lo stesso Parlamento Europeo fa una falsa promessa: per tutelare la vita (specialmente, afferma, delle donne) introduce la morte (quella dei bimbi in grembo), consentendo l’“accesso universale” all’interruzione volontaria di gravidanza. Quando la Corte Suprema di Giustizia del Messico ratifica una legge, con cui depenalizza l’aborto, fa una falsa promessa. Quando il senatore Joseph Biden, Vicepresidente degli Stati Uniti con il democratico Barack Obama, si proclama cattolico, pur avendo appoggiato con vigore la sentenza Roe v. Wade della Corte Suprema, che ha aperto di fatto la strada all’aborto legale nel suo Paese, fa una falsa promessa: tant’è vero che l’Arcivescovo di Denver, Charles J. Chaput, lo ha invitato “per coerenza” ad astenersi “dal presentarsi a ricevere la Comunione”. Eppure, son tutte gocce, queste, piccole ma in grado, una dopo l’altra, di erodere il marmo: “La diffusione di falsi miti, l’esaltazione dell’avere, la propaganda dell’apparenza e del facile successo, in una parola della menzogna – ha dichiarato il Presidente della Cei, Card. Angelo Bagnasco, al Meeting di Rimini – aggredisce la base valoriale di un popolo, lo svilisce nel suo sentire e lo indebolisce nella sua capacità di futuro. Tutto viene confinato nell’angusto perimetro del presente”. Lo stesso Benedetto XVI, nel Messaggio per le Comunicazioni Sociali, ha ammonito: “Occorre evitare che i media diventino il megafono
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del materialismo economico e del relativismo etico, vere piaghe del nostro tempo. – ha detto – Essi possono e debbono, invece, contribuire a far conoscere la verità sull’uomo, difendendola davanti a coloro, che tendono a negarla od a distruggerla”. E poi ancora, a Sydney per la Giornata Mondiale della Gioventù, ha spiegato come emarginare Dio dalla vita rappresenti un passo indietro: “Troppo spesso – ha affermato – ci ritroviamo immersi in un mondo che vorrebbe mettere Dio da parte. Nel nome della libertà ed autonomia umane, il nome di Dio viene oltrepassato in silenzio, la religione è ridotta a devozione personale e la fede viene scansata nella pubblica piazza. L’indifferenza alla dimensione religiosa dell’esistenza umana, in ultima analisi, diminuisce e tradisce l’uomo stesso. Come si può considerare questo un «progresso»? Al contrario, è un passo indietro, una forma di regressione, che in ultima analisi inaridisce le sorgenti stesse della vita sia degli individui che dell’intera società”.
L’uomo, oggi, cerca l’incontro con Cristo: ecco dove E qui che si gioca lo spazio e l’ambito di un giornalismo cattolico. Che, a differenza di altri, presenta caratteristiche ed ha responsabilità peculiari, ben evidenziate in una recente intervista da mons. Luigi Negri, Vescovo di San Marino e Montefeltro, in cui osserva come “una rivista, che viene diffusa nelle parrocchie e che finisce proprio per questo per apparire spesso come il volto della Chiesa italiana, debba contribuire a creare una mentalità di fede, in base alla quale affrontare i problemi”. Il che da un lato significa senz’altro nutrire il “rispetto dovuto alle istituzioni”, ma dall’altro vuol dire avere il coraggio dell’annuncio o, quando necessario, anche della denuncia ogni qual volta vengano, ad esempio, condotti attacchi alla famiglia in quanto istituto, “alle famiglie concrete, cercando di introdurre il riconoscimento delle coppie di fatto e delle unioni omosessuali”. In tal senso i media, come si evince ancora dal Messaggio, hanno le potenzialità educative, nonché una speciale responsabilità nel promuovere il rispetto, le attese e i diritti della famiglia, l’alfabetizzazione, la socializzazione, lo sviluppo della democrazia e del dialogo tra i popoli, la pace e la
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libera circolazione del pensiero. Ma spesso non le usano. Viceversa, come ha evidenziato ancora mons. Fisichella, l’uomo di oggi “ha bisogno che ci sia un soggetto, che annunci che c’è nella Storia una presenza salvifica”, ha bisogno “di incontrare Cristo per essere protagonista ed ha bisogno della Chiesa per incontrare il Cristo risorto”. “L’uomo moderno – ha proseguito il Rettore della Pontificia Università Lateranense – ha bisogno della Chiesa proprio perché è un uomo smarrito: non sa da dove venga e dove stia andando”. Lo stesso Santo Padre, in occasione dell’udienza generale dello scorso 3 settembre, ha ricordato come il Cristianesimo non sia semplicemente “una nuova filosofia o una nuova morale”: siamo cristiani – ha detto – “soltanto se incontriamo Cristo”. Dove? Nella “lettura della Sacra Scrittura, nella preghiera, nella vita liturgica della Chiesa”. Possiamo toccare qui “il cuore di Cristo e sentire che Egli tocca il nostro”. Insomma, per il cattolico – quindi, a maggior
ragione per i media cattolici – “portare la Croce non è facoltativo, ma è una missione da abbracciare per amore”, come evidenziò il Santo Padre in occasione dell’Angelus dello scorso 31 agosto. Ma… c’è un «ma». Ed è quello evidenziato sull’“Osservatore Romano” dello scorso 25 luglio in un lungo articolo dal Card. Francis J. Stafford, Penitenziere Maggiore. Il quale constata con amarezza come “il disprezzo della verità, in forma sia aggressiva sia passiva”, sia “divenuto comune nella vita ecclesiale”. Individuandone con chiarezza la causa: “Nel 1968 accadde qualcosa di terribile nella Chiesa”. Ed a chi si illuda che il dissenso e gli errori originatisi in quegli anni a livello teologico siano ormai superati e non bisognosi di nuove censure, il Cardinale smorza gli entusiasmi: “Quelle ferite continuano ad affliggere l’intera Chiesa”.
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Affermazioni pesanti, non facilmente eludibili. Anche perché rafforzate dalle recenti dichiarazioni di mons. Alessandro Maggiolini, già Vescovo di Como, che, rivolgendosi direttamente ai giovani del Meeting di Rimini, ha tuonato parole di fuoco: “Abbiamo passato anni – ha detto – in cui anche dei sedicenti cattolici lavoravano per distruggere l’unità, la santità, l’universalità e l’apostolicità della Chiesa: anni in cui non solo la morale, ma la stessa fede erano messe in forse o addirittura negate. Il Card. Ratzinger, durante la Via Crucis del Venerdì Santo, parlava addirittura di necessità di ripulire la Chiesa ridotta ad una stalla lercia e cadente, invece che eretta a edificio di santità e di gloria. Quanto è facile darsi una teologia che copra e tenti di giustificare le nostre neghittosità ed i nostri tradimenti”. E qui che la “buona stampa” viene messa alla prova. E qui che ciascuno di noi viene messo alla prova. Cosa opporre a tutto questo? Semplice. Mons. Maggiolini invita a non indispettirsi ed a non reagire “con troppa irruenza, se vi compatiscono talvolta per il gergo un po’ desueto e per il repertorio delle preghiere e dei canti che usate”. Ma pregate e cantate. Meglio non perder tempo in sterili polemiche, anzi meglio aprirsi “alla povera gente, che ha bisogno di sentire, nuda e cruda, la verità e la grazia, che risplende in pienezza nella comunità cristiana. La Chiesa deve diventare un popolo di peccatori: peccatori che si pentono e si convertono incessantemente nella gioia di un inizio sempre ritornante”. A partire da noi, affinché ne siamo “sempre un avvio. Un modello. Un richiamo”. Occorre essere – prosegue mons. Maggiolini – “Cristo-ossessionati. Cristo-dipendenti. Cristo-centrati. Cristo-veggenti e amanti. Cristo-orientati nei nostri poveri giorni. E Cristo-glorificati al termine della vicenda umana e cosmica. Se no – conclude il Vescovo – lavorate invano”. E nessuno vuole lavorare invano… Mons. Maggiolini: “Siate ministri dell’inquietudine” “Siate ministri dell’inquietudine in una folla di debosciati e di scettici disposti a tutto, senza misurare la potenza del male”, afferma ancora. Ma non l’inquietudine, che si fa fretta, perché “la fretta – ha dichiarato l’Arcivescovo di Bologna, mons. Carlo Caffarra, a Lourdes – è la morte della vita spirituale”. Il Papa ha proposto, invece, l’esempio di S.Paolo, nell’anno a lui dedicato. Lontano “dalle luci della ribalta e dai pubblici riconoscimenti”, la sua esistenza appare “tribolata, afflitta da ostilità e pericoli, piena di difficoltà da affrontare più ancora che di consolazioni e gioie di cui godere”. Lo stesso san Paolo nella Seconda Lettera ai Corinzi, parla di percosse e lapidazioni, di naufragi, di “viaggi innumerevoli, pericoli di briganti, pericoli dai miei connazionali, pericoli dai pagani, pericoli nella città, pericoli nel deserto, pericoli sul mare, pericoli da parte di falsi fratelli”. Parla di “fatica e travaglio, veglie senza numero, fame e sete, frequenti digiuni, freddo e nudità”. Quando morì, decapitato, “la Chiesa che aveva contribuito a diffondere era ancora un piccolo seme, un gruppo che le somme autorità dell’Impero Romano si potevano permettere di trascurare o di
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provare a schiacciare nel sangue”, ha evidenziato il Santo Padre. Insomma, la sua vita è stata l’opposto rispetto agli splendori ed ai fasti, strombazzati dai media quali sinonimo di successo. Del resto, ha ricordato il Card. Bagnasco, sempre a Rimini, “essere protagonista non è voglia di protagonismo, ma amore di identità. La sfida decisiva per noi cristiani oggi è la radicalità della nostra fede”. In questo senso, l’uomo – ha ammonito ancora Benedetto XVI – non è fatto per la semplice riuscita mondana: “Il compimento dell’umano – afferma – è la conoscenza di Dio”, per il quale non servono “né fama, né successo presso le folle. Solo
Cristo può svelare all’uomo la sua vera dignità e comunicargli l’autentico senso della sua esistenza. Quando il credente lo segue docilmente è in grado di lasciare una traccia duratura nella Storia. E la traccia dell’Amore, di cui diviene testimone. Ed allora ciò che fu possibile per san Paolo lo diventa anche per ciascuno di noi”. In questo senso, il Sommo Pontefice ci chiede, affidandoci a Maria – come ha fatto recentemente in Sardegna –, “di evangelizzare il mondo del lavoro, dell’economia, della politica, che necessita di una nuova generazione di laici impegnati, capaci di cercare con competenza e rigore soluzioni di sviluppo sostenibile”. Spetta a noi. A tutti noi. Non è permesso delegare. Una volta tanto, dobbiamo rimboccarci le maniche ed assumerci le nostre responsabilità. Il Papa ci dà fiducia. Dimostriamo di meritarla. Ecco perché, anche oggi, ha un senso, un ruolo ed un compito importante la cosiddetta “buona stampa”. Purché sia buona davvero… Mauro Faverzani
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