INTERVISTA a don Paolo Zution
Quando la fede e la speranza si trasformano in solidarietà e carità
Guardandolo, ha il fisico da lanciatore di pesi. Ascoltandolo, si afferra subito che è un ottimo lanciatore di parole. Parole di solidarietà e di speranza. Così si presenta don Paolo Zution, responsabile della Caritas per la diocesi di Gorizia. Connotati tipicamente friulani, meno di cento parrocchie, circa duecentomila fedeli, duplice etnia. Una terra di confine, spartiacque tra la cultura latina e quella slava. Immerso in questa particolare società, il sacerdote svolge adesso il ruolo che per dodici anni ha perseguito in terra africana: aiutare i deboli, di cui parla al convegno del Rosario con animo aperto e consolidata esperienza. Cinquantatré anni, alto di statura, massiccio quanto agile di corpo, baffi e barba che accompagnano un volto scuro ma pronto ad illuminarsi in un sorriso, studi in scuole pubbliche e in seminario prima di ricevere l’ordinazione nel 1987, don Paolo espone con passione i problemi che ha affrontato nella lontana Costa d’Avorio e che vede ripetere in mezzo ai “bianchi” al rientro da quella esperienza nel cuore del continente nero. Come si può operare in un paese dove dilagano violenze private e pubbliche come malattie e guerre? In Africa si può fare molto, partendo dalla comprensione delle condizioni umane. Per prima cosa va sottolineata la forza delle loro donne che svolgono un’opera costruttrice in tutti i sensi. Meriterebbero davvero un premio Nobel collettivo per il loro ruolo nel battersi contro la tendenza pessimistica della società africana. Da loro ho imparato tante cose: sono sempre pronte ad operare con uno spirito di comunità e capaci di superare ogni crisi sostituendosi alle istituzioni latitanti o inesistenti quando occorre risolvere problemi pratici. Penso in questo momento ad una figura che mi è rimasta impressa, quella di Brigitte, una donna semplice che ha fatto nascere centinaia di bambini ed ha aiutato migliaia di profughi.
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Ma allora qual è il ruolo del negro maschio, si può definire in un certo senso più “defilato”? Che cosa ci racconta in merito? Intendiamoci. Se la donna appare basilare nella società locale, non si deve pensare che gli uomini siano assenti. Molti di loro sanno svolgere un proprio ruolo responsabile. Faccio l’esempio di Gregoire, uno che ha sentito la chiamata verso i poveri identificandoli nei malati di mente che in Africa sono emarginati fino alla repulsa totale. Egli ha “liberato” circa 15mila alienati spiegando ai famigliari il dovere dell’accoglienza e di conseguenza la necessità di reinserirli al loro interno. Questi sono casi che si trovano sparsi, ma identificano perfettamente quella foresta che cresce in silenzio mentre fa rumore l’albero che, spaccato dalla folgore, crolla sul terreno. Da noi in Italia la situazione è diversa: la ritiene migliore? Diversa sì, migliore forse no. Abbiamo tanti segni di speranza. Io vivo a Gorizia, una città che comprende italiani e sloveni e che è diventata una porta aperta per i rifugiati di tanti paesi. La Caritas è in prima linea: abbiamo accolto in pochi anni 14mila persone, abbiamo distribuito vestiti e alimenti, abbiamo dato un senso di speranza a giovani e anziani trasformati in volontari entusiasti. La nostra finalità è quella di proporre di continuo un aiuto concreto, fidando nella continuità delle risposte. Una nostra iniziativa davvero interessante si rintraccia nell’Emporio della Solidarietà ove la gente bisognosa trova di tutto ma, oltre alle cose materiali, un aiuto spirituale. Chi è e dove sta il nostro fratello? Esiste un gran bisogno di parlare e di confidare la propria pena a qualcuno che sappia ascoltare. Ecco un compito gravoso, ma essenziale, al quale possiamo far fronte grazie a tanti volontari. I guai del mondo sono nati nel momento in cui Caino ha negato l’esistenza di Abele. “Sono forse io il custode di mio fratello?”. Con l’indifferenza nei confronti del vicino sono nati i guai del mondo. Noi crediamo in Cristo, colui che – attraverso il proprio sacrificio – ha ribaltato il concetto negativo della convivenza trasformando la morte in vita. Come nel passo del Vangelo che narra la vicenda di Lazzaro, è la fede che ci dona la speranza; ed esse si trasformano in solidarietà umana e vicendevole carità. Giacomo Tasso
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