Rito beatificazione solennit semplice

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Il rito di beatificazione del Servo di Dio padre Giuseppe Girotti, sacerdote domenicano, martire della carità a Dachau Una solennità semplice fra Paolo Maria Calaon op Un rito semplicemente solenne Un rito semplice, essenziale, ma assieme solenne, di una solenne semplicità. Così possiamo descrivere il rito di beatificazione di un Servo di Dio, nella sua forma attuale. Oggi, infatti, con le riforme volute da Papa Benedetto XVI, ritorna questo rito risplendente di quella semplicità ed essenzialità voluta dal Concilio, ma già antica e tipica della tradizione liturgica della Chiesa cattolica di rito romano. Così nello svolgersi del rito, che illustreremo, risplende questa solenne essenzialità. Il radunarsi in un “luogo” Anzitutto il “luogo” della celebrazione. Il rito di beatificazione, diversamente da quello di canonizzazione, può essere presieduto anche da un Delegato del Sommo Pontefice, e in un luogo diverso dalla Basilica di San Pietro a Roma. Questa scelta risponde a un preciso intento della Chiesa che, nell’attribuire a un Servo di Dio il titolo di “beato”, ne approva un culto “locale”. Si intende, cioè approvare un culto, una preghiera, una venerazione rivolta in modo speciale e canonicamente permessa a una determinata città, diocesi, regione, o comunità religiosa. Solo la canonizzazione, diversamente dalla beatificazione, infatti, riveste un carattere di “universalità”, e il culto approvato è valido per tutta la Chiesa. La preghiera rivolta al Beato è rivolta a una ben specifica comunità di credenti, che gli sono particolarmente vicini, sia per il luogo di origine, sia per la stessa appartenenza religiosa. Così i Beati e i Santi sono in tutta verità “nostri amici e modelli di vita”. La preghiera della comunità dei credenti che si rivolge a Dio per l’intercessione del nuovo Beato è pertanto la preghiera di una famiglia di credenti, la famiglia dei figli di Dio, che riconosce in lui un amico e un modello di vita. Il dogma di fede della comunione dei Santi non è soltanto verità di fede, ma autentica comunione nella carità. Inoltre il luogo scelto per la Beatificazione è un segno visibile di quel legame con la “sua” comunità, la sua terra e la sua gente: Noi adoriamo Cristo quale Figlio di Dio, mentre ai martiri siamo giustamente devoti in quanto discepoli e imitatori del Signore e per la loro suprema fedeltà verso il loro Re e Maestro; e sia dato anche a noi di farci loro compagni e condiscepoli” (dal Martirio di S. Policarpo, citato in Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 957). I termini usati in questa preghiera manifestano l’istinto della Chiesa di presentare i Santi e i Beati non lontani ma vicini a noi, nostri “compagni e condiscepoli”. Come si nota anche nel rito stesso di Beatificazione, che ora analizzeremo nei suoi momenti essenziali.

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3. Il rito della Beatificazione La celebrazione del rito di Beatificazione di un Servo di Dio, come nel caso della Beatificazione del padre Giuseppe Girotti, può avvenire all’interno di una santa Messa solenne, o di altra celebrazione liturgica, come per esempio il canto dei Vespri. Nel caso della Beatificazione di padre Girotti, e nelle ultime celebrazioni di Beatificazione, il rito è inserito in una solenne Eucaristia presieduta dal Delegato del Santo Padre, e concelebrata dal vescovo della Diocesi, da altri Vescovi e presbiteri. All’inizio della celebrazione, durante i riti di ingresso, dopo l’atto penitenziale, il Vescovo, accompagnato dal Postulatore e dal Vicepostulatore, formula l’ufficiale richiesta al Delegato del Santo Padre (la peroratio) con queste o altre simili parole: “Eminenza, … ha umilmente chiesto al Santo Padre Francesco di voler iscrivere nel numero dei Beati il Venerabile Servo di Dio …”. Di seguito, il Vescovo presenta la figura del Servo di Dio leggendo un breve profilo biografico. Sinteticamente, in questo testo, vengono presentate le tappe più importanti della sua vita, il suo cammino di fede, ma anche le motivazioni profonde della sua fede. Terminata questa breve descrizione, il Delegato del Santo Padre, che presiede la celebrazione, dà lettura della Lettera apostolica di beatificazione, che introduce con queste o altre simili parole: “Per incarico di Sua Santità il Papa Francesco, do ora lettura della Lettera Apostolica con la quale il Sommo Pontefice iscrive nell’Albo dei Beati il Venerabile Servo Dio …”. A questo momento della celebrazione tutti si alzano in piedi e il celebrante legge la solenne dichiarazione del Papa. In questa solenne e ufficiale dichiarazione il Santo Padre concede che il Venerabile Servo Dio, d’ora in poi, possa essere chiamato Beato (Beati nomine in posterum appelletur). Nella stessa proclamazione indica anche il giorno in cui, ogni anno, si potrà celebrare la sua festa. Inoltre, nel testo di questa dichiarazione, che sarà reso pubblico soltanto in quel momento, il

Foto di gruppo scattata all’Ecole Biblique di Gerusalemme. Sotto P. Girotti il fondatore della Scuola, P. Lagrange

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Papa può aggiungere anche alcune specifiche sottolineature sulla figura del nuovo Beato, brevi appellativi che ne sottolineano le caratteristiche specifiche. Per il nostro padre Giuseppe Girotti, il Papa potrebbe aggiungere l’appellativo di “martire della carità”, o altri titoli che ne esplicitino meglio la figura e la caratteristica della sua santità e della testimonianza suprema del dono di sé. Il tutto si conclude con il Segno della Croce, formula di fede che è posta a “sigillo” di ogni atto solenne del Santo Padre: Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Amen. Si procede poi con la presentazione dell’immagine del nuovo Beato, solennemente esposto alla venerazione di tutti e nello stesso momento, se sono presenti, vengono portate le reliquie del nuovo Beato, accompagnate da fiori e lampade. Infine il Vescovo, il Postulatore della Causa di Beatificazione e il Vicepostulatore si recano dal Celebrante per esprimere il ringraziamento al Santo Padre, da lui rappresentato, per la proclamazione del nuovo Beato. Nella formula che il Vescovo pronuncia e che il rito prevede, oltre ad esprimere il ringraziamento, viene introdotto anche il Canto del Gloria, immediatamente successivo. Il rito di beatificazione, infatti, si conclude con il solenne canto del Gloria in excelsis Deo, che tutta l’assemblea festante eleva, acclamando a Dio e a Cristo Signore. La celebrazione eucaristica continua poi come di consueto, con canti, riti, preghiere, letture e gesti che sono presenti nella Messa solenne, come di consueto. Alcune considerazioni Il culto dei Santi, in particolare quello dei Martiri, sin dall’inizio ha rivestito un posto speciale nella preghiera della Chiesa. L’invito che il Signore rivolge al popolo di Israele, “siate santi” (Lv 19,1), è un invito che continuamente ripropone ai suoi figli, anche attraverso il culto, la venerazione e la preghiera che rivolge ai santi. Due sono le caratteristiche fondamentali del culto dei santi: anzitutto esso è proclamazione delle meraviglie di Dio, le mirabilia Dei. Si manifestano, infatti, nella vita dei Santi, le opere meravigliose di Dio, tangibile manifestazione del suo amore per noi; inoltre, esso è invito per imitare il loro esempio. Infatti, attraverso la preghiera che la Chiesa eleva a Dio per l’intercessione dei suoi Santi e Beati, “offre ai credenti un aiuto attraverso la loro intercessione, ed un esempio da imitare” (cf. Conferenza Episcopale Italiana, Ufficio Liturgico, Il Comune dei Santi). La solennità del rito di Beatificazione risponde proprio a questa duplice caratteristica propria della preghiera della Chiesa, che, con i riti e le celebrazioni liturgiche, proclama e testimonia la verità di fede della comunione dei Santi. Inoltre i Santi, e in particolar modo i martiri, sono associati alla Passione di Gesù e testimoni della fede (cf. Colletta della Messa per un martire, Messale Romano, Comune dei Santi, n. 10). Risplende in loro, di luce riflessa, la santità stessa di Gesù (come la luna, nome con il quale anticamente veniva paragonata, riflette la luce del sole, così i Santi riflettono la luce di Gesù). Il rito di Beatificazione, inserito all’interno della celebrazione eucaristica, esprime meglio questo splendore, infatti è partecipazione, con tutta la comunità, “allo stesso sacrificio del Signore” (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1322). “Il nostro Salvatore nell’ultima Cena, la notte in cui veniva tradito, istituì il sacrificio eucaristico del suo Corpo e del suo Sangue, col quale perpetuare nei secoli, fino al suo ritorno, il sacrificio della croce, e per affidare così alla sua diletta Sposa il memoriale della sua morte e risurrezione: sacramento di pietà, segno di unità, vincolo di carità, convito pasquale, nel quale si riceve Cristo, l’anima viene ricolmata di grazia e viene dato il pegno della gloria futura” (Concilio Vaticano II, Cost. Sacrosanctum Concilium, 47, citato in Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1323).

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Nei riti di Beatificazione di un martire, inseriti all’interno di una celebrazione eucaristica, contempliamo la vita del martire e la sua suprema donazione quale partecipazione al sacrificio di Gesù sulla Croce, e sui fedeli che partecipano alla stessa celebrazione, comunicando al santo mistero del corpo e sangue di Gesù, “scenda la pienezza di ogni grazia e benedizione del Cielo” (dalla Preghiera Eucaristica I. Canone romano). Coloro che hanno assistito alle Sante Messe celebrate nel campo di concentramento di Dachau avranno proprio avuto la luminosa certezza che sovrabbondanti ed insperate le benedizioni del Cielo scendevano anche in quel luogo di estrema sofferenza. Nello stesso tempo i compagni di prigionia vedevano nel padre Girotti, nella sua carità, il rapporto profondo e intimo che lui, discepolo sofferente, aveva con il Maestro divino, Gesù, il “servo sofferente”. Il rito della Beatificazione, nella sua semplice solennità, unisce la terra al Cielo, e manifesta che i Santi e i Beati sono il segno evidente che Dio non abbandona il suo popolo. Per la testimonianza e l’intercessione dei suoi Santi, il Signore continua a effondere la sua benedizione su tutti noi, perché possiamo, anche noi come loro, essere autentici testimoni del Vangelo di Gesù (Dalla Benedizione solenne. Nella festa di un Santo).

Testimonianze Il 29 agosto 1944, il padre Girotti ricevette una telefonata e dopo poco tempo fu visto passeggiare nervosamente vicino all'uscita finché arrivò qualcuno a chiamarlo ed uscì: fu l'ultima volta. Ho potuto ricostruire con una certa sicurezza che gli era stato detto che c'era un partigiano ferito cui occorrevano urgenti cure da una persona di fiducia, e questa persona poteva essere il prof. Diena, medico chirurgo. Sulla macchina che attendeva di fronte alla chiesa vi era effettivamente una persona sul sedile posteriore con un braccio fasciato. P. Girotti, non potendo pensare a una così infame mistificazione, ma certamente convinto di dare un aiuto a chi ne aveva bisogno, fece trasportare il finto ferito. La loro macchina era seguita a distanza da altre tre o quattro, anch'esse occupate da forze fasciste della Repubblica Sociale. Alla villa la porta venne aperta essendo stato riconosciuto il p. Girotti, e questo sta a dimostrare come fosse solito recarvisi. Al cospetto di mio padre, chi accompagnava il ferito, gli chiese: "Lei è il prof. Giuseppe Diena?". Alla risposta positiva scattò l'operazione di cattura, essendo stata nel frattempo la villa completamente circondata. Vennero portati alle Carceri Nuove, ognuno su una macchina separata, la signora, suo figlio, p. Girotti e mio padre. (Testimonianza dell'ing. Giorgio Diena, figlio del prof. Giuseppe Diena, israelita, medico di cui riproduciamo la foto a fianco).

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