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San Giacomo apostolo

V domenica di Pasqua Festa di san Giacomo fuori le Mura

La Chiesa di Cristo e la santità del tempio.

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ari fratelli e sorelle in Cristo Gesù Signore e Salvatore nostro, in questo grande giorno il suono delle campane, gioioso e maestoso nel contempo, secondo la sana, solida e venerata tradizione cattolica, ci annuncia un lieto giorno di festa per la nostra comunità parrocchiale: è la festa della dedicazione della nostra Chiesa, la festa di S. Giacomo, nostro patrono, nostro esempio celeste, nostro intercessore presso Iddio onnipotente. Cari fratelli, nella gioia di questa festa, in cui ci ricordiamo della fondazione di questa chiesa particolare, nel contempo ci sentiamo veramente pietre vive, impegnate dal Divino Artefice nella costruzione del tempio santo del Signore, di quell’edificio vivente che è la Chiesa di Cristo. La festa della dedicazione di questa chiesa e la festa anticipata del nostro Santo Patrono ci permettono di continuare le nostre meditazioni pasquali sul mistero della Chiesa, Corpo mistico del Salvatore. Abbiamo già visto la Chiesa configurata nelle reti degli apostoli gettate in mare, le reti che, per prodigio operato da Cristo risorto dai morti, si riempirono immediatamente di 153 pesci, che gli apostoli hanno estratto dal mare e portato dal Signore, che li aspettava sull’altra riva. Abbiamo visto domenica scorsa la santa Chiesa di Dio raffigurata nell’ovile di Cristo, l’ovile recintato dalla dottrina e dalla santità della Chiesa e verso il quale si accede attraverso le porte, che sono costituite dalla verità degli insegnamenti di Cristo, mentre chi non accede attraverso queste porte, ma scavalca tutto il recinto ed entra proditoriamente nel recinto delle pecore, non è il vero pastore, ma viene come un mercenario, un ladro, un lupo travestito da pecora per fare strage in mezzo al gregge. I falsi pastori, che dentro sono come lupi rapaci, sono gli eretici, gli scismatici, coloro che danno scandalo.

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Invece la santa Chiesa di Dio è come il gregge di pecore: le pecorelle ascoltano la voce del pastore, ma mentre gli animali, privi di ragione, obbediscono solo per istinto naturale, il cristiano – creatura razionale, formata e plasmata da Dio onnipotente a immagine del Creatore stesso ed insignito del dono divino della grazia, in cui è dato nientemeno che il sigillo della Santissima Trinità stessa – non agisce in base a un istinto irrazionale, bensì sommamente razionale, anzi soprarazionale, per quella spinta divina che è l’azione dello Spirito Santo sulla sua anima. Questo è il dono mistico della sapienza, quel dono che ci fa giudicare secondo una certa connaturalità dell’anima nostra elevata a Dio, immersa in Dio, inabissata nell’essenza stessa di Dio. Abbiamo visto quegli stupendi esempi, quei simboli, quei segni della Sacra Chiesa. Ora a questi si aggiunge oggi un altro simbolo, quello che abbiamo tratto appunto dalla seconda lettura, dalla prima lettera di S. Pietro. Qui S. Pietro esorta i cristiani a stringersi attorno alla pietra viva, alla roccia spirituale che ci accompagna nel cammino pasquale lungo il deserto di questa vita e dalla quale l’onnipotenza di Dio fa scaturire l’acqua che disseta ogni buon cristiano, che zampillerà per la vita eterna: ebbene questa roccia spirituale, sorgente di acqua viva, è Cristo Gesù. Cari fratelli, Cristo stesso! Come è bella questa lettera di S. Pietro, ma anche difficile da comprendere. Essa ci convince che la Chiesa è identica a Cristo. S. Pietro dice nella prima lettera: “Stringendovi a Lui”, voi siete Chiesa, appartenete a Cristo, non solo per denominazione esterna, bensì anche per appropriazione interna, perché vi siete trasformati in Cristo, siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo. Noi che apparteniamo vitalmente a Cristo formiamo la Chiesa. La Chiesa ha il suo stesso fondamento nella roccia spirituale, la Chiesa è Cristo. Cari fratelli, bisogna convincerci che la Chiesa nasce là dove nasce Cristo: quando ancora non c’era nessun cristiano. Quando c’erano solo il fondamento, la roccia, la scaturigine delle acque di Cristo, quando lo Spirito Santo, per arcano disegno del Padre, misteriosamente plasmava il Corpo umano del Salvatore nel grembo della Vergine Madre, unendolo ipostaticamente alla persona del Verbo, in quel momento nasce la Chiesa. Ecco il mistero della Chiesa! La Chiesa sposa di Cristo, Cristo stesso, Cristo nel mistero, Gerusalemme celeste, discende dal Cielo come dono di Dio, come la sposa adornata per il suo sposo. Il mistero della fede è immenso e, al riguardo, non bisogna avere idee confuse. Tollerate un poco le mie insistenze, perché sono convinto che uno dei pericoli peggiori dei nostri tempi è quello di un superficiale ottimismo. Si dice: la Chiesa è il popolo di Dio in cammino! È una sacrosanta verità, ma non un popolo qualsiasi, cari fratelli! “Voi che un tempo eravate un non popolo”, così dice la Sacra Scrittura. Prendiamo sul serio quelle parole, e apprezziamo davvero quello che Dio ha fatto per noi, quando ci ha salvato dalle nostre miserie, dalle nostre tenebre, dalle nostre piaghe e ci ha donato la meravigliosa luce della fede

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nel Figlio suo. Cari fratelli, quando eravamo abbandonati a noi stessi e ciascuno di noi seguiva le sue strade, come pecore disperse di un gregge senza pastore e senza vita, allora non eravamo ancora un popolo e tanto meno un popolo in cammino verso la patria celeste. Quando siamo divenuti popolo? Lo siamo divenuti forse per quella specie di plebiscito di cui si parla oggi? Per quella specie di contratto alla Rousseau? Lo siamo diventati perché noi, bontà nostra, abbiamo deciso di aderire alla Chiesa di Cristo? No certo, cari fratelli. La Chiesa non è un popolo che nasce da elezioni universali; il mistero della Chiesa è infinitamente più profondo. La Chiesa nasce quando lo Spirito di Dio soffia, cari fratelli, e santifica, afferra e affascina le anime, ed è allora che nasce la Chiesa, radunata dal Figlio di Dio, radunata nella Trinità, nell’amore di Dio, che è Dio stesso, e nello Spirito Santo consolatore e datore di vita. La Chiesa è anzitutto il popolo del Signore, ma non un popolo qualsiasi, bensì il popolo plasmato da Dio stesso. Gli antichi ebrei nella Scrittura avevano una duplice parola per indicare il popolo: una significa semplicemente una massa popolare, l’altra parola non significa una massa di gente, una moltitudo hominum, è una moltitudo fidelium, e non è la stessa cosa. Noi siamo sì una moltitudine radunata da tutte le parti della terra, ma non una moltitudine informe, bensì una moltitudine gerarchicamente plasmata ed ordinata. Siamo tutti in qualche modo afferrati dalla verità e dalla santità di Cristo, l’unico vero fondamento, al di là del quale non esiste alcun altro fondamento. Quindi, miei cari, anzitutto è necessario contemplare la Chiesa come il tempio santo del Signore: un edificio, ma un edificio creato da Dio. Dio non vuole degli artefatti. Noi uomini non siamo creatori, checché ne dicano i vari progressisti e modernisti. Essi pensano che l’uomo un giorno arriverà a creare la vita: pensiamo alla discussione sulle cosiddette “macchine pensanti”, ed io sinceramente mi preoccupo perché è una contraddizione: una macchina non può pensare, non

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vive, non c’è, non esiste come entità sostanziale. L’uomo che si crede demiurgo, creatore, non può fare altro che degli artefatti e, secondo la filosofia aristotelica, gli artefatti sono delle entità accidentali. Le unità vitali, le unità pensanti, le unità esistenti, sostanziali, le può creare solo Dio. È meravigliosa questa idea della Chiesa come edificio del Signore, che è sì edificio, ma non è un edificio qualsiasi fatto di pietre inerti, non è un artefatto. Il Divino Artefice quando crea non fa degli artefatti, ma delle realtà viventi. La Chiesa è un edificio vivo, pervaso dalla vita di Cristo, dalla vita del Risorto, della vita che è vita eterna, che è vita partecipata in Dio stesso. In secondo luogo la Chiesa siamo anche noi stessi. “Oh voi non sapete”dice S. Paolo: “che voi siete veramente tempio del Signore?”. San Paolo insiste proprio su questo concetto per dare al cristiano una giusta idea della sua grande, straordinaria dignità. Di nuovo, cari fratelli, sopportate ancora la mia insistenza! Torno ancora a polemizzare su alcune teorie che sostengono che l’uomo è solo un gradino più evoluto dell’animale. Ma vi pare, cari fratelli? No, l’uomo è completamente, assolutamente diverso dagli esseri che la terra conobbe prima che l’uomo fosse plasmato da Dio e dotato del suo Santo Spirito. Iddio soffia sull’uomo, comunicandogli la sua somiglianza, e in quel momento crea una realtà assolutamente nuova. Qui risiede la nostra massima responsabilità. Gesù Cristo ha versato il Sangue per noi, “voi siete stati riscattati a caro prezzo” dice S. Paolo “al prezzo del Sangue di Cristo”. E S. Pietro nella prima lettera dice: voi siete divenuti sacerdoti di Cristo, “sacerdozio Santo, per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio” (2-5). Ciascuno di noi porta in sé la dignità sacerdotale, il potere di consacrarci a Dio, stringendoci alla roccia, a Cristo, che è la fonte di acqua viva. Infine, dopo aver visto la Chiesa in noi stessi, in quel tempio che siamo noi, nel cui cuore è stato effuso lo Spirito Santo con il dono della Trinità divina, ricordiamoci anche che la Chiesa è pure questo edificio, umile, semplice, fatto di pietre, ma di pietre che esprimono il nostro amore per il Signore, la nostra devozione. Queste pietre, cari fratelli, non sono una casa fra tante case, ma un luogo santo. Oh poveri noi! Lo dico anche per me, quanto poco ci pensiamo! “Vere sanctus locus iste et ego nescibat!”, davvero santo è questo luogo e io non ne sapevo nulla!”, disse Giacobbe quando compì quel gesto che il nostro venerato arcivescovo fece quando consacrò questo altare, spalmando su di esso l’olio dell’unzione, il sacro Crisma (che significa appunto il Messia, l’Unto per eccellenza, Signore e Salvatore nostro), perché esso si forgiasse in Cristo e nella sua Croce, perché fosse veramente portatore della Vittima divina. L’altare infatti rappresenta il Cristo, è il portatore della divina Vittima, del Dio nostro che discende dal cielo. Dal cielo, tramite le parole pronunciate dal sacerdote, scende Iddio stesso per rendersi presente, realmente, fisicamente, sostanzialmente

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in mezzo a noi. Così misteriosamente, ma realmente, obbiettivamente il Verbo abita in questa Ostia nel Santo Tabernacolo. Cari fratelli, dobbiamo avere la coscienza della santità, guai all’uomo che profanasse le cose sante del Signore. Cercate – anche con gesti esterni, con le genuflessioni, con l’inchino al santo Altare del Signore, alla Croce del Salvatore – di esprimere questa coscienza, anche se oggi si ha l’incresciosa tendenza a snobbare i gesti esterni, che invece esprimono una dimensione interiore. È povero quell’uomo che ha una vita interiore così arida da non saperla esprimere anche esteriormente. Quindi cerchiamo di avere la consapevolezza di Giacobbe, quando diceva: “ecco, questo luogo è santo! Qui c’è la scala del cielo e la porta del Paradiso, santo è questo luogo e io non lo sapevo!”. Quell’anima santa si sveglia dal sonno e, come vede gli Angeli camminare su e giù da quella scala, che nel suo vertice tocca il cielo, esclama: “vere Sanctus est locus iste!”, davvero santo è questo luogo! Ricordiamoci di questa santità anche quando visitiamo questo luogo santo in cui abita il Signore. Ricordiamoci anche del nostro Santo Patrono, al quale è stata consacrata questa chiesa. Nell’antichità, quando i cristiani erano perseguitatati, si radunavano in quello che si chiamava “locus ecclesiae” e c’era sempre una persona santa che dava un titolo giuridico a quella casa, che risultava così pubblicamente registrata. Ora quando alla Chiesa, per opera di quel sant’uomo che era l’imperatore Costantino, fu concessa la libertà con l’editto di Milano i cristiani, non erano più perseguitati, poterono costruire le case del Signore. Ma continuarono ad avere questa buona usanza di affidare quella casa costruita per il Signore, non già ad una persona ancora in vita, bensì ad una persona che ci attende in Paradiso e che intercede per noi. Così è nata l’usanza, diffusasi in tutto l’orbe cattolico, di affidare le chiese al patrocinio di qualche Santo particolare. Come è grande il nostro Santo! Questo Santo ha molte virtù. Impariamo da S. Giacomo anzitutto quella carità squisitamente apostolica che si fa fortezza per il regno. Tutti gli apostoli erano colonne della Chiesa, lo dice S. Paolo: S. Pietro e S. Giacomo sono le colonne della Chiesa. La parola colonna simboleggia la fortezza apostolica. Un Vescovo, un Sacerdote, anche un laico battezzato e cresimato è un milite di Cristo. Cari fratelli, non c’è nessuna vergogna, anzi una grande gloria, un grande onore nel considerarci quello che veramente siamo, militi di Cristo. La proprietà di ogni pastore, di ogni sacerdote

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sollecito del suo gregge, ma anche di ogni laico che ama la Chiesa di Cristo, è anzitutto il coraggio e la fortezza. Il mercenario, dice il Signore, quando arriva il lupo, che cosa fa? Non glie ne importa niente del gregge, quindi fugge. Invece il pastore, che cosa fa? Forse non ha paura? Forse ha un po’ di paura, però persevera in mezzo al suo gregge, perché ama il suo gregge. Al giorno di oggi si ha l’incresciosa tendenza di opporre la virtù della carità alla virtù della fortezza. S. Giacomo ci insegna che non c’è vera carità senza la fortezza apostolica. Un Vescovo, un Sacerdote, un laico coraggioso deve dire pane al pane e vino al vino, deve parlare chiaro. Deve annunciare il Cristo e deve farlo con coraggio, con gioia, con ogni palpito del cuore. S. Paolo dice: “Io in null’altro mi vanto se non in Cristo e questo Crocifisso!”. Non possiamo chiamarci cristiani, né discepoli di S. Giacomo se non abbiamo in noi il coraggio di questa colonna della Chiesa, che meritò la gloria di essere il primo milite di Cristo, nella schiera apostolica, a versare il suo sangue in testimonianza della fede. Il mondo non cambia, il mondo anche allora faceva propri i pensieri del maligno, mentre la Chiesa pensa i pensieri di Dio. Così diceva Erode Agrippa: “mettiamo in prigione anche Giacomo, mettiamo in prigione anche Pietro, così facciamo un piacere ai giudei”. Ecco la mentalità mondana: fare un piacere agli uomini. La mentalità di Cristo, qual è? La mentalità di Cristo è quella di S. Giacomo, offrire la sua vita per il gregge. “Sanguis martirum, semen Christianorum!” il Sangue dei Martiri è il seme dei cristiani. Anche nei nostri tempi difficili proviamo ad essere apostoli coraggiosi. Pensate al Santo Padre, quanto coraggio ha! In questi ultimi tempi vedete la perversione dei valori anche nelle vicende dell’Azione Cattolica: quella stupenda associazione di laici apostoli, che dovevano essere di aiuto ai sacri pastori, per portare la parola di Dio là dove il Sacerdote non può arrivare, che cosa sono divenuti? Non fanno nulla di male, ma non basta quello che fanno, non basta chiudersi in camera a pregare il Signore, parlando di scelta religiosa. Così il Sommo Pontefice con coraggio apostolico, ricorda loro: “voi in Italia, insidiata dai nemici della Chiesa, avete il compito di essere militi cresimati di Cristo, di essere sacerdoti, non certo in senso gerarchico, ma veramente sacerdoti battezzati e cresimati di Cristo Signore”. Cari fratelli, chissà se le parole di S. Pietro, di S. Giacomo e quelle degli altri apostoli, che ci parlano per bocca del Sommo Pontefice, saranno ascoltate dal popolo di Dio! Cerchiamo di ascoltare il richiamo degli apostoli e le parole del Santo Padre e restiamogli fedeli, perché essere fedeli al Vicario di Cristo significa essere fedeli a quella roccia che è l’unico fondamento della Chiesa e così sia. Tratta liberamente da un’omelia di P. Tyn op

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