Se mi ami parlami

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“Se mi ami parlami, se non hai nulla da dirmi, parlami lo stesso per dirmi che non hai niente da dirmi, ma parlami lo stesso”. (San Basilio)

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er un domenicano parlare del Rosario ad altri fratelli e sorelle della stessa famiglia, non solo è difficile ma, almeno per me, imbarazzante. Non appartengo all’America Latina, non parlo altra lingua che la mia, non sono un teologo famoso, non ho idee che possano aggiungere novità al Rosario. Unico motivo che mi ha spinto a rispondere affermativamente all’invito ricevuto è, e credo non sia poco, il mio grande amore a questa devozione tanto cara alla nostra famiglia religiosa. Se poi mi è permessa una breve divagazione, posso affermare che la mia vocazione domenicana è nata da bambino. La storia è simpatica perché afferma che Dio riesce a scrivere diritto anche sulle righe storte della nostra esistenza. Io sono nato in una città in provincia di Roma e sono cresciuto in una via peccaminosa, così la chiamavano i miei concittadini. Peccaminosa perché la nostra casa era situata tra due bordelli. Inoltre i miei genitori erano davvero troppo poveri per sfamare a sufficienza otto bocche piuttosto fameliche. Sono quindi, come potete immaginare, cresciuto per la strada e abituato a cercare cibo dove era possibile trovarlo. Non voglio affliggere l’assemblea con la storia di un ragazzo povero (i poveri in America Latina li conoscete bene), ma raccontarvi il mio incontro con la Vergine Maria e il suo Rosario. Come è facile arguire, non frequentavo la parrocchia e nessuno mi aveva insegnato a pregare. L’incontro, davvero sorprendente, avvenne un giorno che avevo deciso di scalare un muro e depredare, spogliare, un albero di ciliegie (forse, senza saperlo, ero già in rapporto con le nostre radici: anche se sant’Agostino aveva preferito le pere...). L’albero in questione era in un giardino di una casa che apparteneva alle suore della Carità adibita ad ospizio per le suore anziane. Il furto delle ciliege mi parve facile sia per il muro non troppo alto, sia perché le proprietarie erano soltanto delle vecchiette vestite in

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modo buffo. Il furto fu semplice la prima volta, ma, come ogni ladro che si rispetti, tornai a… delinquere il giorno dopo. Questa seconda volta, però, una vecchia suora si era appostata dietro un cespuglio e, quando scesi dall’albero, la suora, certamente vecchia, ma con le mani ancora robuste, mi prese per un braccio e mi disse: “Brutto birbante, vuoi proprio andare all’inferno”?. Io la guardai impaurito, ma spavaldamente risposi: “Sì” e lei, cercando di farmi paura, mi disse: “Perché vuoi andare all’inferno”?. “Perché tutti dicono che sono un diavoletto”, risposi. La suora sorrise, e invece di darmi qualche schiaffo che pensavo di meritare, mi portò davanti ad una edicola della Madonna. Trasse dalle sue enormi tasche una corona del Rosario e me la regalò. Io allora pensai che quella suora fosse matta, infatti invece di picchiarmi mi regalava una collana. A quel tempo non avevo ancora mai visto una corona del Rosario. Per farla breve, la suora divenne una mia amica e mi insegnò a pregare con quella corona. Rivedo sempre il suo viso dolce e le sue parole sono stampate per sempre nel mio cuore: “Se sarai sempre fedele nell’usare la corona benedetta, certamente non andrai all’inferno, ma ci vedremo in paradiso vicino alla Madonna. La suora morì l’anno dopo. Io sono diventato un uomo, mi sono laureato e, per tanti anni ho frequentato solo saltuariamente la chiesa, ma MAI ho dimenticato di recitare il Rosario. Così, non ho mai lasciato la corona benedetta, attraverso la quale la Madonna mi ha tenuto legato a sé. Come vedete ha vinto Lei. Perché non solo sono diventato prete ma domenicano, non solo domenicano ma anche, per tanti anni, promotore del Rosario della mia Provincia religiosa e, per i bambini del Rosario Vivente d’Italia, il promotore nazionale. Vi ho raccontato questa storia perché non ho nessuna intenzione di fare una conferenza sul Rosario; il mio parlare ha il solo scopo di stimolarci a vicenda affinché tutti i figli di san Domenico sentano la responsabilità di far conoscere ed amare questa splendida preghiera che, a mio avviso, molti domenicani non amano più come una volta. Il 16 ottobre del 2002 il Papa Giovanni Paolo II ha scritto una lettera Apostolica sul Santo Rosario che ha suscitato l’interesse della stampa e delle televisioni di tutto il mondo. Ma ciò che più ha fatto scalpore, soprattutto a chi il Rosario non lo recita mai, è la novità introdotta dal Papa. Purtroppo solo chi non fa mai

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nulla non è mai criticato. La novità consiste, come già sapete, nell’introdurre altri cinque misteri ai quindici che avevamo. Comunque Giovanni Paolo II propone questa innovazione con molta discrezione, senza voler imporre e senza voler alterare la struttura tradizionale del Rosario. Se siamo qui riuniti in un congresso, non è certo per studiare insieme la lettera Apostolica Rosarium Virginis Mariae che, come documento, è di una grande semplicità ed è, almeno per me, una lettera che parte dal cuore del Papa, dalla sua esperienza di preghiera, dal suo amore per la Madre di Gesù. Il testo è di una grande levatura spirituale, ed è curato nei minimi particolari, chiaro nell’esposizione, profondo nel contenuto, ricco di spunti per la riflessione e la meditazione. In esso il Papa parla di Gesù e di Maria con una sorprendente naturalezza, quasi con un’intima familiarità, conseguita certamente attraverso una intera vita di contemplazione e di preghiera. Infatti egli confessa che la recita del Rosario lo ha sempre accompagnato lungo il corso della sua esistenza. Credo che non facciamo un buon servizio al Papa se ci mettiamo a battere le mani su ciò che lui ha scritto, ma certamente gli faremo onore se impegneremo queste ore a nostra disposizione cercando insieme una strada per rilanciare questa splendida preghiera. Io mi permetterò di tracciare delle piste di lavoro su cui potremo discutere, senza pretendere di esaurirne l’argomento; tuttavia possono essere un punto di partenza per un rinnovamento del Rosario, un nuovo slancio, uno spunto di riflessione e un sussidio per la predicazione. Il Rosario infatti è un predicare semplice pregando. Non si dovrebbe lasciare solo il Papa a parlare del Rosario; l’esortazione deve servire a stimolare, a vivere e parlare di questa pia pratica – tanto cara alla Madonna oltre che ai Sommi Pontefici – anche i vescovi, i presbiteri, le monache, le suore e tutti gli operatori della pastorale ma, in modo tutto particolare, la grande famiglia di san Domenico. La Preghiera Tutti conosciamo la difficoltà della preghiera in generale. Pregare è un lavoro difficile, non perché è al di là delle nostre capacità, ma perché è un lavoro che non finisce mai. Pregare è l’opera più difficile e, senza un vero maestro della preghiera, è davvero difficile pregare. Questo Maestro è lo Spirito Santo. Lui solo è davvero capace di parlare al cuore di ciascuno di noi e far emergere un grido, un pianto, un gemito che è già preghiera, anche se imperfetta. La vera meravigliosa preghiera è solo quella di lode. In questo senso anche Maria è maestra. Essa nel suo cantico loda Dio e lo ringrazia per tutto ciò che ha ricevuto. Ma oltre lo Spirito Santo e la Beata Vergine qui sulla terra è difficile trovare veri maestri di preghiera. Vi sono persone che ci danno la possibilità di interrogarci sulla preghiera ed a volte può essere utile che qualcuno ci racconti la sua esperienza. Ma poi, se la preghiera è davvero, come diceva Carlo Carretto, “fare l’amore con Dio”, allora anche la guida non basta, anzi sovente potrebbe diventare un intralcio ad un rapporto che è soltanto nostro, al nostro rapporto nuziale. Non basta nei nostri incontri parlare continuamente di Dio, è necessario sentire la sua presenza e mettersi, come Maria, in ascolto della sua Parola.

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Vi sono vari modi di pregare Nel primo libro di Samuele si racconta la storia di Anna, mamma di Samuele, e di come il profeta Eli, osservandola pregare, si convinse che la donna fosse ubriaca perché il profeta le vedeva muovere soltanto le labbra. Eli la considerava ubriaca e la rimproverò (1Sam 1,9-18). In realtà Dio esaudì quel pianto di donna sterile e quella preghiera biascicata da una persona emarginata perché incapace di generare figli: Anna partorì Samuele. Altre volte assistiamo a preghiere solenni, sotto il punto di vista della liturgia quasi perfette, dove non è difficile vedere i partecipanti commuoversi fino alle lacrime, ma chi può dire che queste celebrazioni siano migliori agli occhi di Dio di quelle proferite da Anna? Il profeta Amos metteva in guardia da un certo modo molto esteriore di pregare: “Così dice il Signore: io detesto, respingo le vostre feste e non gradisco le vostre riunioni, anche se voi mi offrite olocausti, io non gradisco i vostri doni e le vittime grasse come pacificazione io non le guardo. Lontano da me il frastuono dei tuoi canti” (Am. 5,21-23). Lo psicologo o il sociologo atei potrebbero dedurre dal comportamento di Anna due conclusioni; la prima, quella del profeta Eli: “È ubriaca!”, la seconda, al passo con i nostri tempi, collocherebbe Anna nel numero delle persone ignoranti le quali, incapaci di un’autentica preghiera, si possono accontentare di pratiche innocue ma inutili come il Rosario. Invece la preghiera di Anna è quella vera: anche se apparentemente incomprensibile, sussurrata con le labbra, forse ancora appesantita dal sonno, è la preghiera che raggiunge Dio. Quelle che invece noi consideriamo grandiose manifestazioni, clamorosi segni di un atteso risveglio religioso, imponenti dimostrazioni di trionfo cristiano, possono diventare abominio agli occhi del Signore, pratiche esteriori incapaci di instaurare un autentico dialogo con Dio. La realtà è che nessuno può dire: “Ho pregato bene, oppure ho pregato male”. Scuse per non pregare Tutti abbiamo conosciuto gente che sostiene che è meglio non pregare piuttosto che pregare male. Ed abbiamo sentito altri sostenere che per pregare è necessario sentirlo, averne voglia. Costoro sono i sostenitori della “autenticità”. Se non si è autentici non si è. Per me questa gente non ha voglia di far nulla e tanto meno di pregare. Provate a pensare ad una mamma che dica al suo bambino : “La mamma è una donna autentica e dato che non mi sento di prepararti il cibo mi sono messa a dormire”. Chi ragiona così non sa, o non vuol sapere, cosa è il dovere. La preghiera è la prima risposta che ha il cristiano verso il suo Creatore. Essa non va affidata agli umori personali. Non si può pregare solo quando se ne ha voglia. In questo caso si finisce per trasformare la preghiera in un gesto estetico, in una attività emotiva. La preghiera cristiana è una attività che ha una oggettività essenziale e non dipende dal singolo, se è vero che il protagonista della preghiera è lo Spirito. Di conseguenza l’autenticità della preghiera non dipende dal nostro stato d’animo. Essa spesso è una dura lotta, cui partecipa tutto l’essere, anima e corpo.

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Non ho tempo per pregare Il compito che abbiamo come predicatori è quello di riaffermare, con forza, la nostra signoria sul tempo. L’uomo è padrone del suo tempo e non viceversa. Il tempo è un idolo della nostra civiltà, una forza che ci domina e ci costringe a metterci al suo servizio. Il cristiano invece deve avere il coraggio di affermare con le parole e con la vita la sua signoria sul tempo. Guai a lasciarci trascinare dagli eventi e dal tempo che scorre. Dobbiamo con forza difendere uno spazio di tempo da dedicare al dialogo con Dio, alla preghiera. A questo rapporto con il Creatore non si possono dedicare dei ritagli di tempo, è necessario consacrarvi un momento preciso e privilegiato della giornata. Non è sufficiente sostenere che ho pregato quando ho fatto bene il mio dovere. Nessuno sposerebbe una persona che fa bene il suo lavoro, ma poi non fa mai una carezza, non parla con la propria moglie, il proprio figlio, l’amico, non gli dà del suo tempo. Ora è vero che nella nostra società, nella nostra vita di gente che vive in città, tutto contribuisce perché non ci sia mai il tempo per fermarsi, ma sono convinto che gli oziosi, quelli che hanno tanto tempo a loro disposizione, non sono uomini e donne di preghiera. Mi è stato sempre detto che il Padre Lagrange, il fondatore della scuola biblica dei domenicani a Gerusalemme, trovava ogni giorno il tempo per studiare la Bibbia, leggere i giornali e recitare il Rosario. Negli anni in cui sono stato promotore del Rosario avevo una zelatrice, tra le più attive, che aveva undici figli ed a chi le chiedeva dove trovasse il tempo per andare a Messa e dire il Rosario intero tutti i giorni rispondeva imperturbabile: “Come farei con undici figli se non attingessi forza dall’Eucarestia e dalla preghiera del santo Rosario?”. Capisco che questo “faccia a faccia” è faticoso e, a volte, provoca smarrimento, ma è proprio da questo smarrimento che deve iniziare lo sforzo di comunicazione nella fede con il Signore. Solo allora sapremo liberarci dal ritmo frenetico della vita e troveremo nel dialogo interiore pacificazione e unità della nostra persona. D’altronde la preghiera non ha giustificazioni, come non ne ha l’amore. Per chi è credente, per chi ha la fede o la cerca a tentoni è naturale incontrarsi nella preghiera. San Basilio scriveva ad un amico: “Se mi ami parlami, se non hai nulla da dirmi, parlami lo stesso per dirmi che non hai niente da dirmi, ma parlami lo stesso”. Vi sono giorni in cui il mio Rosario zampilla come un torrente che scende festoso verso la valle; altre volte mi sembra un fiume calmo e maestoso, ma vi sono giorni in cui non vedo che palude intorno a me, eppure non defletto, mi stanco, ma rimango fedele all’impegno preso. A volte mi addormento recitando il Rosario e le prime volte che accadeva me ne facevo scrupolo, poi mi sono detto che era ed è bellissimo addormentarmi con la corona in mano. P. Ennio Staid

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