S. Teresa del Bambin Gesù
Dorotea Lancillotti laica domenicana
3 ottobre Infanzia Spirituale, umiltà e Vocazione Ascetica. Cari fratelli in Cristo Gesù, signore e salvatore nostro, questo sabato 3 ottobre, secondo l’antico calendario romano, per il quale ci è concesso l’indulto, si celebra la festa di una grande Santa, santa Teresa detta del Bambino Gesù. Voi conoscete l’antica bella usanza dell’ordine carmelitano secondo la quale ogni religioso assume un titolo particolare che sia una guida per tutta la sua vita. Cari fratelli, la carriera (è il caso di dirlo dando alla parola il giusto significato che in francese significa originariamente “corsa”) spirituale di S. Teresa è davvero ammirevole. Ella in breve tempo, (morì giovanissima, a 24 anni) raggiunse le vette della santità, la mistica salita al monte Carmelo, secondo l’insegnamento del suo grande confratello dell’ordine carmelitano S. Giovanni della Croce. Ma il fine da raggiungere, la meta del cammino spirituale è uguale per tutti: è il Paradiso, il regno dei cieli, è la divinizzazione dell’uomo. Però le vie sono diverse e proprio il confronto fra due santi carmelitani, l’austero S. Giovanni della Croce e S. Teresa di Gesù Bambino, sono una prova che si possono percorrere vie diverse per raggiungere un unico fine. Cari fratelli, voi sapete bene che recentemente siamo stati vittime di attacchi maliziosi. Questo non ci sorprende, poiché ormai nulla di ciò che è buono, nulla di ciò che è vero, nulla di ciò che è bello può essere lasciato tranquillo e in pace. Oggi si parla tanto dei segni dei tempi, e molti li scrutano con attenzione, ma, ahimè, quale strana interpretazione si dà a quello che ci succede attorno! Vi dissi già in parecchie circostanze che mi lascia un po’ sgomento questo parlare a proposito ed a sproposito del profetismo. Adesso sembra quasi che siano tutti profeti, che sia ormai giunto il tempo di una novella pentecoste, di una effusione dello Spirito Santo, mentre di fatto si assiste ad una confusione mentale e ad una insensibilità spirituale senza pari, al punto che non si riesce più a distinguere il bene dal male. 1
Il principio di non contraddizione crolla e l’irrazionale trionfa. Il Signore è il Logos, e il logos kata theos: il Logos era presso Dio, il Logos era Dio. Il Signore è essenzialmente ragione, perché Dio è Spirito e lo spirito vuol dire intelligenza, quindi rispetto del principio di identità e del principio di non contraddizione. Ma se l’irrazionalità è disastrosa già sul piano della logica, cioè sul piano delle discipline speculative, quanto più è disastrosa questa incapacità di distinguere fra il bene e il male per la sorte dell’anima sul piano morale! “Guai a voi”, esclama il profeta Isaia “guai a voi che confondete il bene con il male, il dolce con l’amaro!”. Distinguere ancora secondo il buon senso tra il bene ed il male sembra una dottrina dei tempi passati, quasi un’ingenuità preconciliare. La morale che oggi prevale ci lascia tutti tranquilli. Infatti, secondo l’opinione di questi rinnovatori ad oltranza, ma di fatto corruttori della santa Chiesa, il bene e il male hanno confini abbastanza sfumati. Cerchiamo allora, cari fratelli, di scrutare con maggiore serenità e onestà i segni dei tempi. Questo è un nostro dovere, il Signore infatti vuole che noi acquisiamo la capacità di vivere la storia con l’attenzione a ciò che succede in essa, ma non con il fine di lusingare noi stessi. Le persone spavalde cercano di raggiungere delle sicurezze apparenti, proprio perché non hanno quelle vere: mancano di coraggio e manifestano la loro insicurezza perché hanno bisogno continuamente di incensarsi e di lusingarsi. Dicono: “dovunque c’è pace, tutto prospera per il meglio”: non hanno il coraggio di guardare la verità in faccia. Bisogna confessarlo con chiarezza: persino nel tempio santo del Signore, persino nella Chiesa di Dio, (non la mistica sposa del Signore che è sempre senza ruga e senza macchia; intendo riferirmi ai poveri uomini di chiesa di cui tutti facciamo parte) manca questo senso di discernimento fra il bene e il male.
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A che cosa mi riferisco? Voi conoscete quell’infame libro che si scatenò contro S.Teresa di Lisieux e che trovò tanti consensi. Vedete i segni dei tempi! Basta andare in una libreria, anche cattolica, per vedere fino a che punto siamo arrivati! Libri veramente abominevoli riscuotono uno straordinario successo editoriale, anche perché scandalizzare è sempre una cosa che ha successo, mentre vi sono libri veramente buoni che non si trovano. Penso alla mia sofferenza quando cerco dei testi di san Tommaso, che non era un uomo di scandalo, ma un grande edificatore. Questo mi succede anche quando cerco alcuni preziosi testi patristici, ma i santi Padri hanno avuto una sorte migliore. Ad ogni modo, andando in biblioteca a cercare i grandi commentatori, i testi di morale, i grandi testi di dogmatica, che cosa si trova? Si trovano dei compendi di eresie, se tutto va bene, ma di solito non si trova proprio niente. Invece si trovano libercoli che scandalizzano, ma nessuno osa alzare la voce, altrimenti sono guai! C’è questa prudenza negativa, questo dire: non turbiamo troppo le acque. Cari fratelli, non è questo lo stile della Chiesa. La Chiesa ha sempre prediletto la chiarezza e il coraggio intellettuale e morale. D’altra parte sarei un figlio degenere di tanto padre S. Domenico, il quale sempre si considerava Domini canis, il cane del Signore, alludendo a quel detto del profeta Isaia che si scatena contro i falsi profeti, i profeti lusinghieri, i profeti adulatori, i profeti pacifisti, (anche allora), ai quali diceva: “sunt canes muti, non valentes latrare”. Sono cani muti che non sanno nemmeno latrare. Cerchiamo di essere un po’ cani del Signore e di latrare per onorare il Signore Iddio. Che cosa c’è di preoccupante in questi attacchi contro i Santi, contro S. Maria Goretti, contro S. Teresa di Avila? Perché la malvagità dell’uomo si scatena contro i Santi? È la malvagità stessa di Satana, mescolata alla meschinità e alla stupidità umane, perché Satana è troppo intelligente per sferrare questi attacchi, però si compiace della malizia dell’uomo unita alla sua stoltezza. Cari fratelli, quando ci si accinge a studiare le anime dei Santi, bisogna essere santi per averne l’ardire, o almeno bisogna avere il desiderio sincero della santità. Ma in queste persone tale desiderio non c’è, anzi c’è il desiderio inconfessato di trascinare nel fango le cose più sublimi di Dio. Mi viene sempre in mente il libro dell’Apocalisse con quella terrificante visione del dragone rosso, che con la sua coda trascina dal cielo un terzo delle stelle. Già nel mito antico vediamo che esiste questa continua rivoluzione, questa continua insorgenza delle forze titaniche contro le luminose realtà del cielo, la scalata dell’Olimpo da parte dei Titani. È un vero paradigma di quello che gli antichi chiamavano il tersitismo. Ricordate quel Tersite, ridicola figura, che allora faceva ridere, (bei tempi, al giorno di oggi si prostrano dinanzi a Tersite) e che nell’Iliade di Omero era il chiacchierone spudorato, che se la prende con i capi, con Agamennone, con Ulisse, che poi lo castigò a dovere, (imploro il Signore che ci mandi di nuovo Ulisse per castigare i tersiti che si stanno moltiplicando a dismisura).
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Perché Tersite se la prende con le autorità? Per invidia, che è un terribile morbo dell’anima. L’invidia può anche essere “buona”, per esempio invidiare i Santi non è un male se vogliamo per noi, con l’ingenuità di un bambino, unicamente il regno dei cieli e la sua giustizia, così come S. Teresa, vogliamo cioè imitare la santità di coloro che ci hanno preceduti su quella via. Oggi celebriamo una Santa che ha fatto sua la strada dell’infanzia spirituale. Noi la invidiamo, e questa è una invidia santa, perché vuole per sé lo stesso bene che vuole per il prossimo. Invece c’è un’invidia malvagia, spaventosa e non avrò mai abbastanza parole per condannarla e per mettervi in guardia da essa. Io so che voi siete immuni da questi pericoli, ma voi avrete pazienza con me se vi ripeto tutte queste cose. Esse costituiscono un grave pericolo spirituale, perché si insinuano anche in maniera assolutamente inconsapevole. Magari avessimo chiara coscienza di tutte le tentazioni! Ci sono tentazioni subdole, anzi una tentazione è tanto più forte quanto più è subdola e nascosta. In tutta la società serpeggia questo spirito di invidia, ormai istituzionalizzato. Oggi circolano idee nate in qualche facoltà universitaria, per lo più tedesca. Stranamente infatti queste idee, a distanza di 100 anni, noi le ritroviamo nel popolo. Come mai, cari fratelli? Me lo sono chiesto molte volte: come mai la mentalità popolare non si lascia influenzare dallo splendido pensiero di antichi pensatori come Aristotele, Platone o i grandi del medioevo come S.Anselmo, S.Bonaventura, S.Tommaso? Perché mai? Perché hanno successo i maestri del dubbio? Perché trionfano Nietzsche, Freud e Marx, tanto per essere chiari? Il marxismo trionfa anche in anime buone, non c’è bisogno di iscriversi al partito comunista, basta una certa mentalità. Non ha importanza a quale partito si appartiene, conta molto di più aderire a un partito che promuove principi sani e non lasciarsi inquinare dall’invidia. Non esiste solo l’invidia per i beni materiali del prossimo. C’è un’invidia molto più profonda, l’invidia per i beni spirituali, che è il peccato contro lo Spirito Santo, nulla di più contrario alla carità. Cari fratelli, la carità consiste in questo: amare il prossimo nel Signore, amare il prossimo in vista del Signore. Il Signore ha posto qui tutto il compendio della santa legge, l’unica via della santità è questa: amare, amare Iddio sopra di tutto ed amare il prossimo in Dio ed in vista di Dio. A questa carità, e quindi alla santità, si oppone l’invidia per la gloria dei fratelli. Ecco il peccato di coloro che se la prendono con i Santi: è invidiare il bene spirituale del prossimo. Questa è una mentalità meschina, che vuole giustificare la propria mediocrità. Una volta Eraclito di Efeso si mise a giocare a dadi, quasi come un fanciullo, con alcuni ragazzetti. Arrivarono gli efesini ad omaggiarlo, e gli dissero: “Tu, grande filosofo, che vieni con noi a deliberare nel consiglio del senato della città, perché ti dedichi a questi giochi da fanciulli?”. Eraclito rispose: “è meglio giocare con
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i ragazzini piuttosto che partecipare con voi al governo di una città così disastrata”. Non aveva tutti i torti. Quale era la colpa degli efesini? Essi avevano esiliato un suo amico semplicemente perché eccelleva sugli altri cittadini: l’invidia non è una cosa nuova! Al giorno d’oggi la meschinità e l’invidia non nascono dai rapporti interpersonali, ma sono sentimenti diffusi in tutta la nostra società. Oggi sembra che ci diciamo: “la santità non deve esserci perché la santità è troppo alta per noi, scientiam viarum tuarum nolimus, non vogliamo saperne niente delle tue vie, o Signore”. E perché non vogliamo saperne nulla? Perché ci compiacciamo della nostra mediocrità. Vedete, cari fratelli, far credere all’uomo di essere umile quando avvilisce a sé stesso è un tranello terribile di Satana. Vorrei ora parlarvi della stupenda spiritualità di S. Teresa. Parleremo dunque della virtù dell’umiltà in senso positivo. Il peccato contro l’umiltà – che è ovviamente una virtù morale e dunque, come tutte le virtù, sta nel giusto mezzo, virtus stat in medio – è di due tipi: peccato di superbia, per difetto di umiltà, e di avvilimento, per apparente eccesso di umiltà. S. Tommaso afferma che avvilire noi stessi con un certo spirito di ostentazione rappresenta la più grande superbia che ci sia. E oggi i materialisti e i riduzionisti, forse vittime di condizionamenti sociali, dicono: “la dimensione spirituale dell’uomo, la santità, aspirare a Dio sono tutte cose ridicole”. Nel libro contro S. Teresa si afferma: “S. Teresa non aveva scelta perché nell’Ottocento il ruolo della donna era subordinato e la società le aveva imposto di essere monaca”. Oppure: “le sue pulsioni inconsce hanno determinato il suo comportamento”. Quindi niente santità, niente amore per il Signore, niente benevolenza, niente virtù soprannaturali: semplicemente fu spinta dalla sua istintualità a farsi non Santa, ma, diciamo così, nevrotica. Questo è l’attacco mosso contro S. Teresa. Come rispondiamo? Rispondiamo ricordando che uno dei peccati più orribili contro lo Spirito Santo è peccare contro lo Spirito, che è vita ed elargitore di vita, come diciamo nel Credo. Mi piace molto la lapide, che c’era una volta nell’università di Heidelberg, con la scritta: “allo spirito vivente”, “dem lebendigen Geist”. Purtroppo la filosofia tedesca, come ho detto in precedenza, spesso separa la vita dallo spirito; alcuni hanno addirittura pensato che l’anima venga quasi insidiata dall’intelligenza e dallo Spirito. Come se da un lato ci fosse
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un insieme di forze vitali, la psiche, l’anima, e dall’altra la gnosis, il pneuma, che insidia l’anima, mortificandola. Invece verbum spirans amorem, il verbo che è soffio di amore, lo Spirito del Signore non è solo intelligenza, ma è vita ed è amore. La teologia trinitaria ci rivela anche che la dimensione spirituale dell’uomo, superate le pulsioni inferiori, reca in sé l’amore di Dio. Pensate alla stupenda psicologia di S. Tommaso, quando mostra che nell’anima c’è sempre la dualità del conoscere e dell’amare. Conoscere e amare, ovvero conoscere e volere. Soffermiamoci ora sulla stupenda spiritualità della Santa di Lisieux. Desidero in particolare sottolineare tre punti. Anzitutto la sua essenzialità: S Teresa giunse alle vette della santità con una velocità straordinaria, soprattutto grazie alla sua semplicità. S. Teresa è sempre molto razionale. Si chiede: Che cosa voglio? Voglio farmi santa. Bene, quali mezzi adopererò? Ha una straordinaria capacità di sintesi. Sceglie un’unica strada per ottenere la salvezza eterna. E la sua strada è quella che Gesù ci ha annunciato nel vangelo. Ricordiamo che ai Santi è stato concesso di dare un’interpretazione spirituale profonda della lettera della sacra scrittura, un’interpretazione che non è attribuibile alle capacità umane, ma allo Spirito Santo che ha ispirato le scritture. S.Teresa ebbe il dono mistico di cogliere il significato profondo di queste frasi di Gesù: “lasciate che i piccoli vengano a me”, “chi si farà piccolo sarà grande nel regno dei cieli”, e di capire che con questo Gesù insegnava una via particolare alla santità, la via dell’infanzia spirituale. Però se voi leggete il diario di S. Teresa voi capirete che l’infanzia di cui lei parla è quella che ci viene spiegata S. Girolamo, che dice: “bisogna farci bambini per entrare nel regno dei cieli, ma bambini non per quanto riguarda l’arretratezza intellettuale. Ci sono molti uomini di fede che dicono: “facciamoci bambini, quindi niente cultura, niente pensiero”. Questo non è farci bambini, questo è farci primitivi, che è un’altra cosa. In che cosa dunque dobbiamo imitare i bambini? Anzitutto imitarli nell’umiltà, poi nella docilità e nell’abbandono. In che cosa consiste l’umiltà? Consiste nella saggezza di riconoscere la nostra limitatezza. Quando penso all’umiltà mi viene immancabilmente in mente Socrate, (anche la filosofia esprime questo valore religioso, ogni buona filosofia è, almeno naturalmente, religiosa). Socrate infatti aveva intuito che la vera saggezza del conosci te stesso consiste nel riconoscere che solo Dio è sapiente, che noi nulla sappiamo. La mia saggezza è quella di sapere che non so proprio nulla. È la docta ignorantia di S. Bonaventura, del Pisano e di tanti altri pensatori cristiani. Il Signore resiste ai superbi, ma si china verso gli umili. Come è grande chi si fa piccolo davanti al Signore! Però questa piccolezza non conduce all’avvilimento. A che cosa conduce? Conduce alla pace dell’anima. È meravigliosa questa grande pace che c’è in S. Teresa, nulla poteva strapparla all’abbandono in Dio. Penso sempre a quel salmo che dice: “Come un bimbo appena svezzato in braccio a sua madre, così è la mia anima in te o Signore”. Veramente la vita di S. Teresa è una
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imitazione di questo versetto del salmo. Il secondo aspetto da sottolineare è la virilità della dottrina spirituale di S. Teresa. C’è tanta gente che dice: “infanzia spirituale, robe da bambini”, e che non ha nemmeno letto questo libro. Invece niente sdolcinature, niente spiritualità, oserei dire, femminile, ma spiritualità sommamente virile. In che cosa consiste infatti questa infanzia spirituale? Nell’umiltà di non cercare penitenze stravaganti. Tuttavia S. Teresa non rifuggiva dalle penitenze, perché senza penitenze, cari fratelli, (sarò un po’ all’antica o preconciliare), non ci si fa santi. Ci sono due ali che portano in Paradiso, diceva padre Lagrange: “un’ala è la penitenza che ci distacca da noi, l’altra è la preghiera che ci attacca a Dio”. Non c’è altro metodo. Le penitenze di S. Teresa non consistevano in flagellazioni, cilici e chissà quali altre cose, no, consistevano nel preciso adempimento, giorno per giorno, di tutti i suoi doveri. La sua superiora, (ahimè, non bisogna parlare male dei superiori) la santificava molto, non la trattava con benevolenza e con riguardo: la maltrattava, era terribile! Poverina, spero che fosse inconsapevole del male che faceva a quella povera figliola. Però S. Teresa, sottomettendosi a queste dure, terribili obbedienze, si fece santa. Cari fratelli, quanta gioia ci deve essere nell’anima e quanto attaccamento all’amore misericordioso del Signore per affrontare la sofferenza! Qui possiamo toccare con mano la duplice spiritualità della Santa: da un lato S. Teresa del Bambino Gesù, dall’altra S. Teresa del Santo Volto. E lei adorava il Volto insanguinato del Signore, che si umiliò fino alla morte ed alla morte in Croce. Un’ultima, ultimissima cosa: S .Teresa, così rigorosa ed essenziale, si chiede: che cosa devo essere io nella Chiesa? Legge San Paolo, la prima lettera ai corinzi, ai capitoli 12, e 13. Il capitolo 12 parla dei carismi nella Chiesa. La Chiesa è il corpo del Signore e, così come nel corpo ci sono diversi organi, anche nella Chiesa non tutti sono profeti, dottori, apostoli, ma uno è apostolo, uno dottore, ciascuno ha il suo compito. Quale è il mio compito? Si chiedeva S. Teresa. Questa è l’autentica scelta vocazionale. Questa fu la sua risposta: “se la Chiesa è un corpo, deve avere anche un cuore che è pieno della carità di Cristo. Ho capito quale sarà il mio posto nella Chiesa: essere nel cuore della Chiesa, amare!”. Questa risposta rivela l’anima contemplativa di S .Teresa, perché l’amore è contemplazione. Gli autori di spiritualità affermano che S. Teresa non aveva tanti doni intellettivi, perché Dio diede a Santa Teresa, anima particolare, doni prevalentemente affettivi. Il dono della carità, ad esempio. Però, cari fratelli, avere carità significa anche avere esperienza di Dio. La vita mistica non è altro che quello: amare e assaporare, sperimentare, gustare, godere della presenza di Dio. Lui stesso, increato, è presente nelle sue creature grazie alla carità, giacché Dio è amore e chi ama sta in Dio e Dio sta in lui Tratto liberamente da una omelia di P. Tyn
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