Tutto il mondo parla di maria

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akària: “beata”, “felice”, nel greco del Nuovo Testamento. Così l’avrebbero “detta tutte le generazioni”. In fondo, nel nostro piccolissimo... noi stessi abbiamo cercato di mostrare il misterioso adempimento della profezia che Maria attribuì a sé stessa nel Vangelo di Luca. Adesso, ecco giungere in libreria un volume di quasi 1200 pagine, e che si presenta in copertina come il Primo Atlante Mariano. Titolo generale: Madre della Chiesa nei cinque continenti... l’autore è un ormai anziano sacerdote marchigiano, don Attilio Galli. Mosso dalla passione per la Madre di Gesù, sin dai tempi della sua ordinazione, oltre mezzo secolo fa, don Galli ha cercato e coordinato notizie per questo suo Atlante. Il quale vuol confermare -dati alla mano- che non c’è angolo del mondo dove Maria non sia detta makària. Chi scorra le oltre mille pagine vergate, con tanto tempo e fatica, da don Galli, può avvertire un profumo di altri tempi: qui i “pastori” sono sempre “zelanti”, i missionari “intrepidi”, la devozione popolare “edificante”, le statistiche cattoliche “consolanti”, e così via... Una devozione... che continua non solo a resistere, ma addirittura ad avanzare. Così, come documenta anche don Galli, dopo il crollo del comunismo persecutore, in posti come l’Albania, la Slovenia, la Cèchia, i Paesi baltici, i santuari sono stati riaperti o, se distrutti, ricostruiti, e frequentati più che prima dell’arrivo dei regimi di “socialismo reale”. Agli antichi luoghi di culto che ritrovano vita, se ne aggiungono di continuo di nuovi. Questo vastissimo Atlante mariano lo documenta anche, fra l’altro, dando la storia e l’attualità della presenza della Vergine nei Paesi dell’Europa nordica passata alla Riforma. Varrà la pena farne un cenno. In Danimarca, in Svezia, in Norvegia, in Finlandia, in Islanda la fede era ancora relativamente “giovane”: la resistenza degli antichi paganesimi nordici era stata tenace, ma una volta accettato il battesimo, quelle popolazioni avevano abbracciato il cristianesimo -ovviamente “cattolico”- con sincerità e serietà. Anche qui, come ovunque, l’aspetto “mariano” della predicazione era stato decisivo e i santuari dedicati alla Vergine avevano costituito gli avamposti e i fortilizi dell’evangelizzazione. La situazione della Chiesa ai tempi di Lutero era comunque, qui, assai diversa da quella dei Paesi latini o anche di certe zone della Germania: nel Nord europeo la vita ecclesiale si svolgeva in generale con ordine, dignità, sacrificio, senza fenomeni di degenerazione che giustificassero una “riforma”. I re scandinavi, però, furono presto interessati e ingolositi dalle conseguenze dell’incendio luterano nei Paesi germanici, dove i principi confiscavano i beni della Chiesa a loro vantaggio; non solo: avocavano a sé stessi le decime pagate dalla gente per il culto. Così, in Scandinavia, la separazione da Roma fu decisa “a freddo”, da sovrani e aristocra-

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tici, per ragioni meramente economiche e politiche. E fu imposta a un popolo che non la reclamava, che anzi non la desiderava. Soprattutto, quelle genti, non volevano rinunziare alla devozione mariana, alle statue, ai santuari dove andavano in pellegrinaggio. Così, la strategia dei potenti fu il passaggio alla nuova confessione in sordina, pian piano, così che la gente quasi non se ne accorgesse. Nelle chiese della Scandinavia, destinate a diventare templi luterani, gli altari alla Vergine restarono a lungo, i luoghi mariani di culto non furono subito chiusi. Addirittura, “segni” tutti cattolici e mariani come l’Angelus rimasero e sono rimasti, sin quasi ai nostri giorni, anche se la gente non ne conosce più il significato. E’ vero che in qualche posto, come l’attuale Norvegia (allora soggetta al re di Danimarca), si pensò di poter agire subito e con la desiderata brutalità, tanto che non ci si limitò a distruggere i monasteri, con le opere d’arte e i documenti che contenevano, e non ci si fermò alla cancellazione di ogni immagine mariana con lo scalpello o con la calce, ma non si esitò a uccidere chi non si sottometteva. Come nel 1555, nella cittadina -norvegese, appunto- di Hamar, dove due contadini furono arsi sul rogo sotto l’accusa di non voler rinunciare “alle meditazioni sulla Vergine”. Termine con il quale si indicava l’aborrita recita del Rosario. Tra i molti spunti di interesse offerti da questo Atlante di don Galli, c’è anche il poter seguire questa “guerra” alla devozione mariana e al suo resistere, malgrado tutto, per riemergere alla fine delle persecuzioni. Si pensi che in Svezia soltanto nel 1952 (non è un refuso: meno di mezzo secolo fa!) furono abolite le ultime restrizioni al culto per i non protestanti. Significativo il caso della gelida e remota Islanda: quando la Corona danese, da cui l’isola dipendeva, impose il passaggio al luteranesimo, i pur pochi abitanti avevano costruito quasi 200 tra chiese e cappelle, delle quali la Madonna, invocata sotto vari nomi, era patrona principale in 92 casi e secondaria in 104. Anche qui si andò per le spicce: dei due vescovi cattolici dell’isola, uno fu fatto decapitare per ordine venuto da Copenaghen e l’altro fu deportato e morì in prigionia. La libertà di culto per i cattolici fu restituita soltan-

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to nel 1874, anche se con limitazioni. Ebbene: apprendiamo dal lavoro di don Galli che nel capoluogo dell’Islanda, Reykjavik, la statua del santuario mariano che lì esisteva al tempo della Riforma fu nascosta in casa di contadini. Questi se la trasmisero segretamente di generazione in generazione fino al 1926, quando potè essere restituita al vescovo dei cattolici (poco più di duemila in tutto) e riportata alla venerazione in un apposito altare della piccola cattedrale. Comunque la devozione mariana sembra volere non solo rinascere ma avanzare: nel 1985, nei sobborghi della capitale, è stato costruito il primo santuario dopo la Riforma, dedicato a Maria Stella del Mare. Per continuare nei nostri “carotaggi” nell’Atlante, non c’è che l’imbarazzo della scelta. In questi nostri “taccuini”, ad esempio, ci siamo spesso occupati di Lourdes. E’ anche grazie a questo libro che ci si accorge quale ruolo tanto misterioso quanto benefico abbiano giocato quelle apparizioni nello sforzo missionario, soprattutto negli ultimi decenni del XIX secolo e nei primi del XX. E’ infatti impressionante vedere come Africa e Asia appaiano letteralmente costellate di “grotte di Massabielle”, attorno alle quali sono sorti santuari frequentatissimi, spesso meta di pellegrinaggio pure per musulmani, animasti, induisti, buddisti. Dalle foreste birmane a quelle dell’Africa equatoriale, dalle colline di Nagasaki a quelle della Nuova Zelanda, la statua con la fascia azzurra dell’Immacolata -portata inizialmente dalle potenti organizzazioni missionarie francesi- è stata, ed è, uno stimolo vigoroso alla vita della fede. Ma non soltanto nel Terzo Mondo: l’autore del Primo Atlante Mariano ci ricorda che il più antico santuario della Madonna di Lourdes degli Stati Uniti, costruito nel 1875, apre ogni mattina le sue porte nientemeno che in un angolo di Broadway, la celeberrima via degli spettacoli di New York... E’ commovente vedere come ogni popolo abbia sentito la Vergine come “sua”, tanto da gareggiare con altre genti, per rivendicare la maggiore vicinanza e la maggiore devozione. Si scopre, così, che in Messico si canta tuttora un vecchio inno che dice, orgogliosamente: “Guarda, Maria / che sono messicano e, quindi, sono tuo. / Cerca pure dappertutto / ma invano: / chi può amarti più di me?”. Del resto, fu Giovanni Paolo II che, nel suo viaggio del 1979, osservò: “Il Messico è cattolico al 96 per cento, ma è guadalupano al 100 per cento”. In effetti, in quel Paese tutto è lecito, tranne mancare di rispetto all’amatissima Morenica, la Vergine apparsa nel 1531 sul Tepeyac, identificata come “Nostra Signora di Guadalupe”. Ma all’orgoglio mariano dei messicani può far riscontro -ancora un esempio fra i tantiquello degli etiopi. Forse nessun popolo cristiano ha mobilitato come questo una fantastica vena poetica per trovare appellativi sempre più dolci, sempre più appassionati per la Madre di Cristo. Come già osservava un gesuita giunto in Abissinia all’inizio del Seicento, “gli etiopi sono convinti di essere i soli cristiani che conoscano davvero quanto valga la Vergine e i soli a renderle il culto che merita”. Tanto da spingersi sino agli estremi. Per citare don Galli: “Nel loro fervente amore, arrivano alla convinzione che tra loro e Maria vi sia un rapporto di parentela: il capostipite della casa imperiale abissino sarebbe figlio della regina di Saba e di Salomone, cioè della stessa discendenza di Giuda alla quale

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appartiene anche Maria”. Nella tradizione etiopica, tra l’altro, è Maria che ha da Dio il compito di “plasmare” ogni bambino nel ventre materno. Credenza che ha, tra l’altro, conseguenze singolarmente positive. In effetti, tutti gli uomini e tutte le donne -avvenenti o no che siano- sono comunque sempre “belli”, perché opere delle mani della Vergine. Nessuno oserebbe offenderla, considerando “brutto” qualcuno... Dalle vicinanze dell’Equatore a quelle del Polo Nord: dall’Etiopia al Canada. Sin dalla scoperta e dall’inizio della colonizzazione da parte dei francesi, quest’ultimo Paese fu consacrato alla Vergine, cui fu attribuito un ruolo maggiore nella predicazione ed alla quale furono dedicate non soltanto innumerevoli chiese, ma anche luoghi. A cominciare dalla città di Montréal, fondata con il nome di Ville-Marie. A proposito di toponomastica: chi sospetta che la grande città indiana (e il relativo Stato) di Madras deriva il nome da un Madre de Deus portatovi da quei portoghesi che -prima della partenza per i loro viaggi sugli oceanigiuravano di diffondere il culto mariano ovunque fossero giunti? Tanto per continuare a scorrazzare nell’Atlante: in quale continente non si è mai verificata un’apparizione mariana ufficialmente riconosciuta? La risposta non è difficile: l’Oceania. Ciò non toglie che anche qui la presenza di Maria sia fortissima, sin dai drammatici inizi. In effetti, dopo la rivolta delle colonie americane che avrebbero formato gli Stati Uniti, la Gran Bretagna si trovò senza i “campi di concentramento” per i deportati che aveva al di là dell’Atlantico. Così, Londra decise di trasportare le centinaia, anzi migliaia di condannati, sulle coste ancora vergini e deserte dell’Australia, appena sfiorata da navigatori come Cook. La prima spedizione giunse alla fine del Settecento. Tra i galeotti non c’erano soltanto delinquenti comuni: c’erano anche molti irlandesi (ma anche inglesi, scozzesi, gallesi) colpevoli di un solo reato: ostinarsi a restare cattolici e rifiutarsi di entrare a far parte della Chiesa di Stato anglicana, la sola ammessa. Con quei poveri forzati, giunsero anche rosari, immagini, statuette mariane, anche se soltan-

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to decenni dopo le autorità protestanti permisero l’insediamento stabile di alcuni preti cattolici. Una situazione in cui si trovò spesso la diaspora irlandese, tanto che -ce lo ricorda don Galli- “nelle lontane regioni sprovviste di sacerdoti, il Rosario sostituì la Messa: calcolando l’ora della liturgia festiva nella loro patria, gli irlandesi esuli si riunivano e, in ginocchio sulla terra, recitavano insieme la corona”. Non dimentichiamo, naturalmente, che a Dublino, e da un irlandese, Frank Duff, fu fondata nel 1921 quella Legione di Maria che si è diffusa in tutto il mondo e che tanto ha fatto, e fa, perché la devozione diventi vita e il culto di Maria vada al di là di ogni sentimentalismo, facendosi azione e impegno per il prossimo. Per proseguire, spostiamoci Nell’America latina. E tralasciamo, mancando lo spazio, almeno qualche cenno a quel Brasile dove la Vergine non è solo al cuore del culto cattolico, ma anche di quelli afro-cristiani creati dai discendenti degli indigeni trasportati lì in epoca coloniale dal Continente nero. Spostiamoci, dunque, nell’Uruguay. Piccolo Paese, contrassegnato tra l’altro da una precoce e forte influenza massonica. Sarà forse per questo la Virgen, che ne è patrona ufficiale, si chiama “de los Trenta y Tres”? Il nome viene dal fatto che erano trentatré i libertadores che, nel maggio del 1825, si presentarono nel santuario della città di Florida, giurando che o avrebbero battuto gli spagnoli o sarebbero morti. Si dà il caso , però, che con il numero di “trentatré” sia indicato il grado più alto di quella massoneria che (attraverso le Logge degli Stati Uniti) appoggiò la lotta per l’indipendenza delle nazioni sudamericane. Il giovane marinaio Giuseppe Garibaldi fu iniziato alle logge proprio da queste parti. Dunque, dietro quell’appellativo della Madonna uruguayana ci sarebbe un simbolo? Confessiamo, a costo di scandalizzare qualcuno, che la cosa (se fosse vera) non ci turberebbe, come non ha turbato Giovanni Paolo II che anche in questo santuario si è inginocchiato, sulle orme di milioni di pellegrini. In fondo, sarebbe la riprova che ovunque, persino tra i “fratelli muratori”, quella Donna è detta “beata”. Vittorio Messori (tratto da JESUS / marzo 1998)

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