V centenario della nascita di san pio v

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S . PIO V quinto centenario della nascita


S. PIO V quinto centenario della nascita

I molti volti di Papa Ghislieri nella ricostruzione dei posteri Inquisitore Si racconta che lo scrittore russo Dostojevskij nel fissare in pagine indimenticabili il profilo del Grande Inquisitore nel romanzo I “fratelli Karamazov”, si sia ispirato a figure storicamente esistite quali il terribile Torquemada, Inquisitore generale in Spagna, e al papa Pio V Ghislieri. In effetti la fama spesso ritenuta “equivoca” di questo pontefice deve molto all’attività e all’impegno espletati nel supremo ruolo di primo vigilante e guardiano della ortodossia cattolica, anzi si può serenamente affermare che l’ascesa curiale stessa e successivamente l’elezione al fastigio del papato debbano eminentemente la loro riuscita - certamente insieme all’indiscutibile fama di santità che avvolgeva la sua umile persona - allo zelo ostinato e al successo di tante sue iniziative tese a scoprire focolai ereticali. Tutto avvenne in quel tornante di mezzo secolo che è il pieno Cinquecento, dopo il Concilio di Trento, e fu la decisa risposta cattolica - anche se ostacolata e tardiva - al dirompente e pervasivo dilagare delle dottrine riformate. Il Papa del Rosario Ma non solo sommo inquisitore. Nell’agiografia e nell’apologetica e in certa approssimata storiografia, Pio V viene spesso risolto e divulgato come il papa del trionfo di Lepanto e quindi il papa del Rosario: per accertarsene è sufficiente dedicare un po’ di tempo alla perlustrazione della sua tipologia iconografica incentrata in modo prevalente sullo scontro navale (soccorso mariano, preparativi bellici, visione a distanza della vittoria da parte del pontefice ecc.) e sulla sua devozione mariana nella variante rosariana: il pontefice istituisce la festa di santa Maria delle Vittorie, prega con il Rosario, fonda e concede privilegi alle confraternite del Rosario ecc. Il Papa dei “nostalgici” Infine, per completare questo ritratto “vulgato” del Ghislieri non si può tacere quanto è avvenuto, con scarsa avvedutezza storica, nel recente dibattito succeduto alle riforme conciliari del Vaticano II, nel corso del quale il nome di Pio V è stato ripetutamente invocato dagli “zelanti” assertori di un avvenuto tradimento nei confronti della tradizione a fonte e garanzia della medesima, dimenticando, o facendo finta di dimenticare, che fu proprio il pontefice di Lepanto a rivestirsi del ruolo di esecutore deciso e inappellabile dei decreti tridentini contro ogni resistenza e tentativo di ritorno al passato. Per una revisione critica Il presente contributo offre la possibilità ai lettori, nella ricorrenza del quinto centenario della sua nascita, di conoscere alcuni aspetti della vita e dell’attività di san Pio V alla luce dei più recenti studi storiografici, con particolare attenzione all’ultimo periodo della sua esistenza, quella cioè che coincide con gli anni del pontificato che va dal 1566 (anno in cui venne eletto) al 1572 (anno della morte).

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La vita di Papa Ghislieri I primi anni Antonio Ghislieri nacque da una famiglia di modesta condizione sociale a Bosco (oggi Bosco Marengo) in provincia di Alessandria (da qui il nome di cardinale alessandrino), allora Ducato di Milano, il 17 gennaio 1504. Entrò all’età di quattordici anni fra i domenicani del convento di Voghera, dove assunse il nome di Michele. Il noviziato lo svolse presso il convento di san Pietro Martire di Vigevano: si è incerti circa lo Studium conventuale (Vigevano o Bologna?) nel quale compì gli studi istituzionali richiesti per l’ordinazione sacerdotale che gli venne conferita a Genova nel 1528. Come Lettore di teologia insegnò in alcuni conventi della sua provincia esercitando allo stesso tempo l’ufficio di priore a Vigevano, Soncino e Alba. Precocemente inquisitore Sante da Mantova, priore del convento domenicano di Pavia, lo nominò l’undici ottobre 1542 commissario e vicario inquisitoriale nella diocesi di Pavia «assegnando così al domenicano le prime responsabilità in un ambito della vita ecclesiastica e religiosa che ne avrebbe segnato l’esistenza, fino a confondersi con essa, e sarebbe stato determinante per l’ascesa nella gerarchia dell’ordine e della chiesa». Fu il primo passo di un cammino che doveva portarlo ai vertici della chiesa. Altri ne dovevano seguire: nomina da parte del Capitolo provinciale riunito a Cesena nel 1550 a Inquisitore nella città e nella diocesi di Como. L’anno successivo, dopo una serie di iniziative condotte a buon fine con zelo e rigore (tra le quali il processo a carico del noto vescovo di Bergamo, V. Soranzo, arrestato dopo una seduta dell’Inquisizione il 24 marzo 1551), si recò a Roma dove venne notato dal terribile cardinale G. P. Carafa che lo prese sotto la sua protezione e a benvolere tanto da suggerire a Giulio III di nominarlo commissario generale dell’Inquisizione. Cosa che avvenne il 3 giugno 1551 e al 9 dello stesso mese l’austero domenicano prese parte per la prima volta ad una seduta del Sant’Uffizio. Casa natale a Bosco Marengo. Due piani e quattro camere

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Sempre più inquisitore Divenuto il Carafa papa con il nome di Paolo IV, il Ghislieri divenne tra i più influenti e ascoltati uomini di curia. Nel 1556 viene nominato vescovo di Nepi e Sutri e successivamente prefetto del Palazzo dell’Inquisizione. Finalmente, a coronamento di tutta un’attività spesa a scovare l’errore e a salvaguardare la purezza della fede cattolica, ricevette la porpora nel marzo del 1557 con il titolo di Santa Maria sopra Minerva che poi cambiò in quello di Santa Sabina. Sotto il pontificato del successore del Carafa, papa Pio IV Medici, l’Alessandrino vide diminuire la propria sfera d’influenza venendo un poco alla volta esautorato dalle prerogative del proprio ufficio di Inquisitore generale e sconfessato dal pontefice stesso a riguardo di alcuni processi clamorosi che da anni il Ghislieri seguiva con accanita meticolosità, quali quelli intentati contro il fiorentino Pietro Carnesecchi, l’antico segretario del papa Clemente VII Medici, e contro il cardinale Morone. Fu a tal punto emarginato da decidersi ad abbandonare la città di Roma e partire per la nuova diocesi che gli era stata assegnata, Mondovì, dove iniziò subito e personalmente la visita pastorale (1561). Deluso per la mancata collaborazione del duca Emanuele Filiberto, fece ritorno a Roma dove non solo non trovò più il proprio appartamento in curia, ma venne a trovarsi di fronte ad un vistoso ridimensionamento di potere all’interno del Sant’Uffizio. Il conclave dell’elezione Alla morte di Pio IV (9 dicembre 1565) si aprì il conclave. Stando alla ricostruzione del Pastor, il candidato che vi entrò con maggiore possibilità di essere eletto era il cardinale Morone - un ecclesiastico di elevata statura morale e intellettuale e soprattutto l’uomo che aveva salvato da un possibile naufragio il Concilio di Trento -, energicamente sponsorizzato da Carlo Borromeo, nipote del defunto pontefice, ma l’ostilità del Ghislieri e di altri (i due Este, ad esempio), fondata su ambigue e incerte accuse di eterodossia, non ne permise l’elezione: si dice che il cardinale domenicano andasse in giro per il conclave con le carte del processo contro il Morone nella “sacchozza”. Altre candidature vennero presto bruciate, quali quelle del Farnese, del Ricci (cardinale troppo mondano e “rinascimentale” e appoggiato dal granduca di Toscana, Cosimo) e del dottissimo Sirleto. Finalmente con il placet di Filippo II di Spagna e con l’accordo tra le due fazioni maggioritarie nel collegio cardinalizio capeggiate dal Farnese e dal Borromeo, si giunse all’elezione del Ghislieri il 7 gennaio 1566. Aveva sessantadue anni e gli rimanevano ancora sei anni vita. Sarebbero bastati a fare di lui, secondo l’autorevole giudizio di H. Jedin, uno dei grandi pontefici che più operarono per il «rinnovamento della chiesa nel senso della riforma cattolica». Esaminiamo ora più da vicino alcuni aspetti e momenti più propriamente politici del suo pontificato. La politica “religiosa” di Pio V Rapporto con gli Stati e lotta alla diffusione delle dottrine riformate. «Nella persona e nella conduzione della Chiesa di Pio V il papato si presentò visibilmente come il sostegno e la guida più decisa del rinnovamento cattolico di tutto il mondo. Si percepiva

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GRAZIO COSSALI, san Pio V attribuisce alla Madonna del Rosario il merito della vittoria di Lepanto, chiesa di Santa Croce di Bosco Marengo. In alto la Vergine Maria consegna la corona del rosario a San Domenico, mentre il Bambino Gesù la consegna a Santa Caterina che gli indica di intervenire là dove si svolge la battaglia. San Pio V, in basso, ha lo sguardo rivolto verso chi guarda e con la sua mano ci fa capire che la vittoria deve essere attribuita all’aiuto venuto dall’alto. Al suo fianco c’è suo nipote, il cardinale Michele Bonelli, che aveva condotto le trattative diplomatiche per formare l’alleanza delle nazioni cristiane, mentre di fronte è inginocchiato il re di Spagna, Filippo II, al suo fianco in atteggiamento orante il Doge di Venezia, Alvise I Mocenigo

che dietro i suoi interventi non si celavano interessi politici o nepotistici ma una inesorabile serietà religiosa, sostenuta da un altissimo senso di responsabilità nei confronti della chiesa. Da questo atteggiamento deciso non tardarono a venire successi e insuccessi». È un giudizio complessivo, questo, condiviso, dalla quasi totalità degli storici. La sua politica da sovrano dello Stato Pontificio fu sempre subordinata alle sue ansie e preoccupazioni per le sorti del cattolicesimo in seno alla cristianità. Tralasciando gli aspetti liturgici e dottrinali (comprese le iniziative dell’Inquisizione romana che vide negli anni del suo pontificato un’incredibile accelerazione nell’orbita di sua competenza), legati tutti alla volontà di attuazione dei decreti emanati dal Concilio di Trento e di cui si parlerà altrove, mi sembra che l’ambito nel quale appaia chiaro e quasi paradigmatico quanto sopra affermato sia quello dei rapporti con gli Stati cattolici e con i restanti stati ormai già quasi completamente riformati.

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Spagna Prima di tutto la Spagna, la più potente forza politica e militare di parte cattolica di allora, governata da Filippo II (1556-1598), la cui tutela e costante pressione sulla chiesa erano avvertite con sempre maggiore disagio dai papi. Ritenendosi campione e difensore della vera fede, re Filippo esercitava la propria autorevolezza e le proprie prerogative di “sovrano cattolicissimo” nelle questioni ecclesiastiche non solo rifacendosi ad antichi privilegi tramandati da secoli, ma rivendicandone di nuovi, con grave danno della libertà stessa d’azione della chiesa in Spagna e negli altri territori ad essa soggetti (colonie, vicereami di Napoli e Milano, Fiandre ecc.). Una vera e propria sudditanza nei confronti della quale più volte Pio V manifesterà il proprio disappunto cercando di far valere quei diritti che egli riteneva assolutamente inderogabili e che miravano sostanzialmente a salvaguardare l’autorità di Roma in tutte quelle “faccende” che riguardavano la difesa della fede, l’indipendenza delle istituzioni ecclesiastiche, la nomina dei vescovi ecc. Tra i casi più famosi dello scontro tra Filippo e il papa, sono da menzionare il processo contro il domenicano Bartolomeo Carranza, arcivescovo di Toledo e primate di Spagna, e l’applicazione della Bolla In coena Domini, ostacolata nei territori spagnoli. Francia Profondamente diversa invece la situazione politico-ecclesiale della Francia, dove progressivamente il calvinismo degli ugonotti aveva creato uno stato nello stato, provocando un’ondata di sanguinose e sconvolgenti guerre interne “di religione”, protrattesi per decenni. Qui, l’atteggiamento del predecessore Pio IV era stato cauto e riservato e solo con grande e sorvegliata tattica diplomatica si era deciso alla fine di intervenire. Il Ghislieri, invece, fin dall’inizio volle prendervi parte con piglio deciso e tentare così di risolvere le complesse e aggrovigliate vicende di Francia nelle quali interessi statali e questioni religiose si confondevano e sovrapponevano. Anche perché la posizione della casa regnante dei Valois era ambiguamente e volutamente altalenante nei confronti degli ugonotti (così venivano chiamati i calvinisti francesi). Il soccorso pontificio alla causa cattolica prese la forma di un congruo aiuto finanziario e di un fresco arrivo di truppe belliche grazie ai quali alla battaglia di Montcontour (3 ottobre 1569) gli ugonotti subirono una devastante sconfitta. Ma nonostante le reiterate e minacciose richieste di Pio V di approfittare della situazione di grave debolezza che il calvinismo francese pativa in quel momento, i Valois, scaltri e machiavellicamente realisti, preferirono non infierire, arrivando addirittura a concedere nella pace di Saint-Germain (8 agosto 1570) la libertà di religione e di culto agli ugonotti; i quali a garanzia di questa libertà si videro assegnati quattro piazzeforti militari. Fu proprio a causa di ciò che la reggente di Francia, Caterina de’ Medici, si vide risolutamente negata da Roma la dispensa necessaria per la celebrazione delle nozze tra sua figlia Margherita e il principe eretico Enrico di Navarra.

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Lazaro Baldi nel 1673 dipinge per il Collegio Ghislieri di Pavia, nel quale san Pio V per lunghi anni aveva insegnato teologia, una tela che raffigura la “visione” della vittoria di Lepanto che lo stesso papa ebbe al termine della battaglia, la sera del 7 ottobre 1571.

Inghilterra Un grave errore diplomatico fu la scomunica della regina Elisabetta I d’Inghilterra, figlia di Enrico VIII e di Anna Bolena. Pio IV aveva sperato a lungo di poter riagganciare il carro della chiesa anglicana alla locomotrice cattolico-romana, appoggiato in questo, ma per esclusivi motivi politici - per non mettere in pericolo le rotte marittime che congiungevano la Spagna con le Fiandre - da Filippo II sposo e vedovo di Maria la Cattolica. Visti inutili i tentativi, Pio V aprì un processo contro Elisabetta, regina eretica e, mal consigliato e andando contro le prescrizioni del diritto canonico, il 25 febbraio 1570 emanò la bolla Regnans in excelsis, con la quale non solo scomunicava la «presunta regina d’Inghilterra» perché eretica e zelante propagatrice d’eresie (sembra di sentire la Maria Stuarda nell’omonima opera di Donizetti durante il dialogo delle due regine nel secondo atto: Profanato è il soglio inglese, / vil bastarda, dal tuo piè), ma incitava i sudditi a ribellarsi e a cacciarla dal regno, ad abbandonare gli errori nei quali diabolicamente erano caduti e a ritornare nel seno dell’unica

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chiesa, venendo infine sciolti dal giuramento di fedeltà e dall’obbedienza nei suoi riguardi. Si tratta dell’ultimo atto di scomunica di un regnante comminato da un pontefice: un gesto che non solo si rivelò irrimediabilmente dannoso per i cattolici inglesi che vennero perseguitati e che videro morire ogni speranza di una dignitosa e rispettabile possibilità di vita nella nuova realtà anglicana, ma un gesto che pare fuori della storia non solo oggi ad una lettura oggettiva del decorso degli eventi successivi, ma che parve tale anche allora a molti contemporanei, politici e uomini di chiesa. L’impero asburgico Sappiamo che Il Principe di Machiavelli con i suoi principi di spregiudicata e a volte cinica Realpolitik era stato condannato dal Sant’Uffizio e inserito nel catalogo dell’Indice. Averlo letto, chiosato e tenuto nel debito conto avrebbe aiutato il papa a capire la situazione in cui si trovava ad agire l’imperatore Massimiliano II d’Absburgo (1564-1576), accusato di atteggiamento favorevole al protestantesimo nelle terre dell’impero. In verità si trattava per lui di governare un coacervo di stati, città, sedi episcopali ecc. ciascuno con la propria autorità e le proprie autonomie, esercitanti una pressione ricattatoria su Massimiliano per la libertà e il rispetto del proprio credo e dei quali quest’ultimo doveva in tutti i modi conservare e rafforzare l’obbedienza e la fedeltà per far fronte ai nemici che da più parti tentavano di condurlo a guerre lunghe, sanguinose e dispendiose. Ma tutto ciò era distante anni luce dalla mentalità e dagli interessi di Pio V cui era cara soprattutto la difesa e la propagazione del cattolicesimo e alla cui primaria importanza subordinò sempre ogni prassi e tentativo di diplomazia e di reale analisi politica. Lepanto Infine l’evento bellico-politico grazie al quale è consegnata alla storia la fama del Ghislieri è senza dubbio la battaglia di Lepanto. A metà del Cinquecento l’avanzata dei Turchi nel Mediterraneo e in Europa centrale si era a tal punto spinta in avanti da giungere alle porte di Vienna, da minacciare l’integrità dei domini absburgici in Ungheria e da ridurre i possedimenti veneziani nell’Adriatico a piccole e sparute isolette (nel 1570 cadde Cipro). I ripetuti sforzi e accorati appelli dei pontefici avevano sortito scarso successo: fu grazie alla caparbietà e al fervore di Pio V che si giunse allo scontro e alla vittoria decisiva. L’abbondante profusione di mezzi, in denaro, uomini, flotte, messi a disposizione dal pontefice, la risposta di Venezia e della Spagna, l’ardimento di due abili e valorosi capitani, quali Marc’Antonio Colonna e don Giovanni d’Austria, figlio di Carlo V, portarono il 7 ottobre 1571 all’annientamento della flotta turca nel golfo di Lepanto. Il papa attribuì la vittoria all’intercessione della beata Vergine Maria cui, con il titolo di santa Maria delle Vittorie, dedicò quel giorno lieto e fausto. Immensi furono la meraviglia e lo stupore che in tutta Europa suscitò questa vittoria, anche se non poté essere per nulla sfruttata sul piano politico e militare perché le potenze cattoliche, a battaglia conclusa, ripresero a litigare tra loro...

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In questa tela del 1675 che si trova nella chiesa di Bosco Marengo, un ignoto pittore milanese, forse Carlo Preda, raffigura Cristo risorto e la Vergine Maria che guardano con benevolenza e proteggono dieci santi dell’Ordine di san Domenico. Da sinistra in alto, S. Pietro Martire con il giglio, simbolo di castità e di amore indiviso, il libro della Sacra Scrittura e una roncola sulla testa, S. Raimondo di Peñafort con due chiavi (simboleggiano il suo ufficio di penitenziere e confessore del Papa), S. Caterina da Siena con il cuore in mano, S. Tommaso D'Aquino, ispirato nel suo insegnamento dallo Spirito Santo simboleggiato dalla colomba, la B. Margherita di Savoia con una corona perché entrando in monastero rinunciò al marchesato di Monferrato e con tre frecce in mano, simbolo delle sue croci spirituali, S. Vincenzo Ferreri con la fiammella dello Spirito Santo sul suo capo per ricordare la sua ispirata predicazione. In basso: s. Agnese da Montepulciano che mostra una cordicella rossa con una croce, s. Ludovico Bertràn con il calice avvelenato da cui esce un serpente e un fucile che si trasforma in crocifisso per ricordare due miracoli della sua vita; la B. Giovanna di Portogallo, monaca e figlia del re di Portogallo e infine s. Antonino, arcivescovo di Firenze.

Concludendo, per chi volesse deliziarsi ed amasse la tanto vituperata prosa dell’età barocca, consiglio di leggere la magnifica e pirotecnica descrizione della battaglia fatta da Girolamo Catena nella sua biografia di Pio V, gettata sulle pagine in un così superbo e colorito stile da far ricordare - e in certi punti non rimpiangere - alcune indimenticabili pagine belliche di Tito Livio. P. Gianni Festa

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San Pio V, il Papa del Rosario San Pio V è conosciuto come il Pontefice che ha promosso e rilanciato in modo autorevole e universale la preghiera del Rosario. Propone a tutti i credenti la preghiera del Rosario A metà del suo pontificato, il 17 settembre 1569, Pio V emana una bolla che costituisce la base della devozione mariana che da allora si è diffusa nel mondo intero. In questo documento Pio V presenta “un modo facile, accessibile a tutti e oltremodo pio per pregare e implorare Dio, cioè il Rosario o Salterio della Beata Vergine Maria, mediante il quale la stessa Beatissima Vergine Maria viene venerata con il saluto dell’angelo Gabriele (cioè l’Ave Maria) ripetuta centocinquanta volte secondo il numero dei Salmi di Davide, interponendo ogni dieci ‘Ave’ la preghiera del Signore (cioè il Padre nostro) con delle meditazioni che illustrano tutta la vita dello stesso Signore nostro Gesù Cristo” (Bolla del 17.9.1569). Questa bolla di Pio V sul Rosario è il primo intervento pontificio destinato a tutta la cristianità, ha cioè un carattere universale, mentre i documenti dei Papi precedenti erano indirizzati a categorie particolari di fedeli. Quindi Pio V propone a tutti i credenti la recita del Rosario, perché con esso: “i cristiani si convertono in uomini migliori, le tenebre dell’eresia si diradano, e si apre la luce della fede cattolica”. In questo documento il Papa sottolinea anche che il Rosario unisce in modo mirabile la preghiera vocale e la preghiera mentale: mentre ripetiamo il Padre nostro e le Ave Maria, meditiamo gli eventi principali della vita di Gesù Cristo rapportandoli alla nostra vita quotidiana, che come quella di Cristo è intessuta di gioie, di dolori e di speranze. Fissa la seconda parte dell’Ave Maria Inoltre, durante il pontificato di Pio V, nel 1568, viene codificata e accettata la seconda parte dell’Ave Maria. Alla prima parte, che è una preghiera di lode basata sul Vangelo (Ave Maria, piena di grazia....) viene aggiunta la seconda parte, che è una implorazione e una supplica (Santa Maria, Madre di Dio prega per noi...) Quest’aggiunta si impose nell’uso dei fedeli quando Pio V, per incarico del Concilio di Trento, pubblicò il nuovo Breviario romano e diede così forma ufficiale alla seconda parte dell’Ave Maria.

Il sepolcro di S. Pio V nella Basilica di S. Maria Maggiore a Roma. Nelle due foto come si vede normalmente e come appare il 30 aprile quando nella festa del Santo viene aperto

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San Pio V, riformatore e innovatore L’attività di Pio V fu prodigiosa, come si può constatare dalle migliaia di pagine del suo Bollario. L’imperatore Massimiliano si lamentava che “il Papa intraprendesse ogni giorno qualcosa di nuovo”. La riforma liturgica Applicando le direttive del Concilio di Trento, Pio V riformò la liturgia della Chiesa. Nel 1568 pubblicò il nuovo Breviario romano che presenta diverse novità. Nel 1570 fa pubblicare il nuovo Messale con testi più organici e con le parti della Messa meglio coordinate. La riforma muoveva da un principio solido e seguiva una traiettoria verticale fino a toccare il centro del culto e della preghiera: l’azione sacrificale della Messa. C’era anche un bisogno inderogabile di unità nella fede e nel culto. Le teorie eretiche contemporanee negavano alla celebrazione dell’altare il valore del sacrificio e della presenza reale di Cristo nella sostanza del suo corpo. Inoltre una fantasmagoria di riti si frapponeva all’unificazione del culto: solo nella diocesi di Aosta c’era la possibilità di celebrare la S. Messa seguendo cinque tipi di messale. Perciò tutti i riti che non avevano una tradizione di almeno due secoli furono soppressi per privilegiare un unico ordinamento liturgico. Il Catechismo e la promozione degli studi Il Concilio di Trento aveva chiesto che fosse redatta un’esposizione chiara, succinta e integrale della dottrina cattolica: Il Papa Pio IV desiderava un testo ufficiale della Chiesa e ne affidò la redazione a tre Domenicani. Pio V, diventato Papa, seguì la redazione del testo e lo fece esaminare da diverse commissioni. Fu pubblicato nel settembre del 1566 con il titolo “Catechismo del Concilio di Trento per i parroci”. Incoraggiò e spinse i vescovi a farlo insegnare, a istituire dei gruppi di catechesi e a tradurlo nelle diverse lingue. Obbligò a usare la Summa Teologica di S. Tommaso d'Aquino come testo di studio nei seminari e nelle facoltà di Teologia. E a tale scopo proclamò S. Tommaso d’Aquino “Dottore della Chiesa”. Incaricò anche Vincenzo Giustiniani, Maestro dell’Ordine Domenicano, e Tommaso Mauriquès, Maestro del sacro palazzo di preparare un’edizione completa delle opere di S. Tommaso e a questo scopo non risparmiò né denaro né attenzioni.

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San Pio V, il Papa di Lepanto Il pericolo dell’invasione turca Nel 1566, nello stesso anno in cui San Pio V fu eletto Papa, moriva Solimano il Magnifico. Questi era il temutissimo sultano turco che aveva conquistato l’Ungheria fino a minacciare la città di Vienna, e che aveva spinto il suo esercito fino in Persia. A Solimano il Magnifico successe il figlio Selim II, che ereditò dal padre il sogno di conquistare l’Italia e di unire così i domini di Roma e di Costantinopoli. Gli sforzi del Papa per difendere la cristianità Il Papa avvertì il pericolo turco e musulmano contro la cristianità e scrisse ai principi protestanti tedeschi: “Davanti al pericolo comune dimentichiamo tutte le nostre polemiche”. Ma l’appello non fu accolto. Dopo alcuni mesi di pazienti contatti riuscì a riunire le flotte venete, spagnole e pontificie sotto il comando di Giovanni d’Austria, fratellastro dell'imperatore spagnolo Filippo II. 7 ottobre 1571: il giorno della battaglia Era domenica 7 ottobre quando le flotte alleate incontrarono improvvisamente la flotta turca nel golfo di Patrasso, nei pressi del castello di Lepanto: la battaglia fu inevitabile e si protrasse da mezzogiorno alle cinque del pomeriggio. Nonostante i turchi fossero superiori ai cristiani per numero di uomini e navi (300 contro le circa 210 dei cristiani) subirono una schiacciante sconfitta. Questa sconfitta segnò la fine del predominio turco nel Mediterraneo e sfatò il mito dell’invincibilità della flotta turca.

Anonimo (sec: XVI), La battaglia di Lepanto, Venezia, Museo Correr.

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La visione di San Pio V Dopo poche ore dalla battaglia, quella stessa sera, Pio V, mentre stava incontrando un suo collaboratore, tronca improvvisamente il discorso, corre alla finestra, la spalanca e resta attonito con gli occhi rivolti verso l’alto per un bel pezzo; quindi richiude la finestra, quasi per impedire a un segreto del cuore di sfuggire, ritorna dal suo collaboratore e gli confida: “Non è questo il momento per discutere di affari, ma per ringraziare Dio; l’ora della vittoria è suonata”. Il Papa si pone subito in ginocchio davanti ad un altarino. La notizia della vittoria giunse a Roma solo il 21 ottobre ma, per ispirazione divina, il Santo Pontefice aveva conosciuto la sera stessa della battaglia che tutta la cristianità era passata da una minaccia di morte alla sicurezza della vita. Pio V attribuì la vittoria alla protezione e all’intercessione della Vergine Maria. Perciò, pieno di riconoscenza e di gratitudine, l’anno successivo, il 1572, pochi mesi prima della sua morte, stabilì che ogni anno, il 7 ottobre, fosse celebrata una festa di ringraziamento in onore di Maria Regina della Vittoria o del Rosario.


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alcune “storielle” su san Pio V

P Reginaldo Fraciscio ha raccolto alcune “storielle” su S. Pio V: “storielle” che, se hanno il vantaggio di essere capite, gustate e lette da tutti, sono non da meno basate su rigorosi dati storici. IL PASTORE DI BOSCOMARENGO Fra Michele Ghislieri, divenuto papa nel 1566, era stato attaccato da un libellista per i suoi oscuri natali da cui dipendevano tanti errori. Il pontefice invitò l’ostile autore in Vaticano e gli disse: «Se voi aveste insultato il papa, vi avrei punito; siccome però ve la siete presa con fra Michele, andate pure in pace. Quanto all’aver scritto che non si può apprezzare chi come me ha pascolato le pecore, pazienza. Io non mi vergogno certo di aver avuto a che fare con gli agnelli prima di dover trattare con i lupi». GLI IDOLI IN VATICANO Papa Ghislieri non amava l’arte classicheggiante e pagana. Donò 127 reperti e sculture delle collezioni papali al Senato del popolo romano; altri dipinti e statue regalò ad alcuni cardinali e nel 1569 inviò all’imperatore Massimiliano II due statue più grandi del naturale rappresentanti un Ercole e un’Afrodite che poi finirono tra i beni dei Medici a Firenze (N.d.R.: poteva permetterselo, poiché all’epoca non c’erano né le Soprintendenze statali né la Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa). Queste alienazioni furono dapprima giudicate favorevolmente, poi aspramente criticate. Il papa fece sapere testualmente: «Il pontefice non ha molto interesse per queste opere d’arte pagana, anzi considera sconveniente che degli idoli ornino il Vaticano».

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PROMESSA DALL’EBREO Pio V, quando era ancora un semplice religioso domenicano, aveva fatto amicizia con un ebreo onesto e facoltoso di nome Elia Circasso, che era poi il rabbino capo della sinagoga di Roma. I due conversarono spesso e parve che si potesse giungere a una conversione e al battesimo, magari amministrato dal frate in privato. Ma Elia Circasso esitava a compiere un passo così significativo anche per la comunità ebraica dell’Urbe. Diplomaticamente promise: «Ebbene, quando sarete papa, mi battezzerete voi in privato e senza dover chiedere il permesso a nessuno». La scherzosa promessa fu mantenuta quando il Ghislieri divenne prima cardinale e poi papa. Il vecchio Elia andò a rendergli omaggio pubblicamente: fu tirato in disparte e convinto a farsi battezzare: «Ho già pensato a darvi il nuovo nome: Michele! Volete?». L’altro pieno di commozione accettò e il battesimo avvenne in S. Pietro per mano del pontefice. Anche i figli del rabbino furono battezzati e tutti ebbero come nuovo cognome “Ghislieri”. UN BACIO AVVELENATO Una decina di artisti hanno effigiato Pio V che a Roma sfuggiva il pericolo di morte come già era sfuggito a un massacro a causa della sua predicazione quando era inquisitore generale. Il pontefice si era portato in Vaticano un crocifisso d’avorio che aveva tenuto nella sua cella da frate e usava baciarlo ai piedi prima di decidere su questioni importanti. I suoi nemici trovarono modo di cospargere i piedi di quel crocifisso con un potentissimo veleno che l’avrebbe ucciso in pochi istanti. I biografi unanimi raccontano che miracolosamente quel Cristo di avorio ritrasse i piedi sulla croce, appena il papa l’aveva preso tra le mani per i consueti baci alle sacre piaghe. Mostrata la cosa agli intimi, fu scoperto il proditorio attentato. Questo Crocifisso si conserva tuttora nel nostro convento di S. Sabina a Roma e lo si venera come ricordo d’una grazia speciale accordata dal Signore al suo servo fedele. LA MESSA DI PIO V Per benevola concessione della Santa Sede e a determinate condizioni, attualmente è permesso celebrare la cosiddetta “Messa di Pio V” in latino, ma con formulario diverso. Il santo pontefice nel 1570 aveva fatto pubblicare il nuovo Messale Romano in cui veniva resa obbligatoria al principio di ogni messa la recita del salmo Introibo del Confiteor e come epilogo l’intensa e sostanziosa invocazione del Placet. Vi fu inserito il Suscipe Sancta Trinitas, regolati i riti dell’Hanc igitur e del Per Ipsum, precisate le formule e le cerimonie della benedizione finale ed imposta la lettura dell’In Principium erat Verbum del prologo del vangelo di Giovanni.

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il Convento di Bosco Marengo

S. Pio V, al contrario dei suoi immediati predecessori e successori, non progettò e non finanziò grandi opere architettoniche e artistiche per la città di Roma. Continuò la costruzione della Basilica di S. Pietro e fece costruire alcuni edifici monastici e religiosi, in particolare il monastero delle Monache Domenicane di San Sisto, sul colle Quirinale, che ora è diventato la sede della Pontificia Università S. Tommaso d’Aquino, e il complesso conventuale di Santa Croce a Bosco Marengo, suo paese natale. Il Convento di Santa Croce, costruito per ospitare cento frati domenicani, fu soppresso con l’avvento di Napoleone. Riprese poi la sua vita normale ospitando anche un certo numero di domenicani francesi, compreso il loro animatore P. Enrico Lacordaire (che qui soggiornò dal 1841 al 1845). Questi religiosi più tardi rifondarono le comunità domenicane francesi. Il convento fu definitivamente soppresso nel 1855 dallo Stato italiano. Attualmente restaurato è utilizzato per scopi civili. Nelle foto: vista dall’alto; il loggiato superiore del Chiostro grande e il Chiostro piccolo

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