MSOI thePost Numero 101

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Il Settimanale di M.S.O.I. Torino


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MSOI Torino M.S.O.I. è un’associazione studentesca impegnata a promuovere la diffusione della cultura internazionalistica ed è diffuso a livello nazionale (Gorizia, Milano, Napoli, Roma e Torino). Nato nel 1949, il Movimento rappresenta la sezione giovanile ed universitaria della Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale (S.I.O.I.), persegue fini di formazione, ricerca e informazione nell’ambito dell’organizzazione e del diritto internazionale. M.S.O.I. è membro del World Forum of United Nations Associations Youth (WFUNA Youth), l’organo che rappresenta e coordina i movimenti giovanili delle Nazioni Unite. Ogni anno M.S.O.I. Torino organizza conferenze, tavole rotonde, workshop, seminari e viaggi studio volti a stimolare la discussione e lo scambio di idee nell’ambito della politica internazionale e del diritto. M.S.O.I. Torino costituisce perciò non solo un’opportunità unica per entrare in contatto con un ampio network di esperti, docenti e studenti, ma anche una straordinaria esperienza per condividere interessi e passioni e vivere l’università in maniera più attiva. Cecilia Nota, Segretario M.S.O.I. Torino

MSOI thePost MSOI thePost, il settimanale online di politica internazionale di M.S.O.I. Torino, si propone come un modulo d’informazione ideato, gestito ed al servizio degli studenti e offrire a chi è appassionato di affari internazionali e scrittura la possibilità di vedere pubblicati i propri articoli. La rivista nasce dalla volontà di creare una redazione appassionata dalla sfida dell’informazione, attenta ai principali temi dell’attualità. Aspiriamo ad avere come lettori coloro che credono che tutti i fatti debbano essere riportati senza filtri, eufemismi o sensazionalismi. La natura super partes del Movimento risulta riconoscibile nel mezzo di informazione che ne è l’espressione: MSOI thePost non è, infatti, un giornale affiliato ad una parte politica, espressione di una lobby o di un gruppo ristretto. Percorrere il solco tracciato da chi persegue un certo costume giornalistico di serietà e rigore, innovandolo con lo stile fresco di redattori giovani ed entusiasti, è la nostra ambizione. Jacopo Folco, Direttore MSOI thePost 2 • MSOI the Post

N u m e r o

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REDAZIONE Direttore Editoriale Jacopo Folco Direttore Responsabile Davide Tedesco Vice Direttori Giusto Amedeo Boccheni, Pilar d’Alò Caporedattori Luca Bolzanin, Luca Imperatore, Pauline Rosa Capi Servizio Rebecca Barresi, Luca Bolzanin, Pierre Clement Mingozzi, Sarah Sabina Montaldo, Daniele Pennavaria, Leonardo Scanavino, Giulia Tempo, Martina Terraglia, Chiara Zaghi Media e Management Daniele Baldo, Guglielmo Fasana, Anna Filippucci, Vladimiro Labate, Jessica Prietto Redattori Erica Ambroggio, Elena Amici, Daniele Baldo, Andrea Bertazzoni, Giusto Amedeo Boccheni, Luca Bolzanin, Davide Bonapersona, Maria Francesca Bottura, Matteo Candelari, Fabrizia Candido, Elena Carente, Emanuele Chieppa, Giuliana Cristauro, Lucky Dalena, Alessandro Dalpasso, Francesca Maria De Matteis, Luca De Santis, Ilaria Di Donato, Sofia Ercolessi, Simone Esposito, Guglielmo Fasana, Alessandro Fornaroli, Lorenzo Gilardetti, Luca Imperatore, Michelangelo Inverso, Vladimiro Labate, Giulia Marzinotto, Simone Massarenti, Pierre Clement Mingozzi, Chiara Montano, Sveva Morgigni, Virginia Orsili, Daniele Pennavaria, Ivana Pesic, Barbara Polin, Sara Ponza, Jessica Prieto, Carolina Quaranta, Giacomo Robasto, Daniele Reano, Jean-Marie Reure, Clarissa Rossetti, Michele Rosso, Martina Santi, Federico Sarri, Leonardo Scanavino, Martina Scarnato, Federica Sanna, Stella Spatafora, Lola Ferrand Stanley, Giulia Tempo, Martina Terraglia, Elisa Todesco, Francesco Tosco, Tiziano Traversa, Leonardo Veneziani, Chiara Zaghi, Francesca Maria De Matteis, Elisa Zamuner. Editing Lorenzo Aprà, Adna Camdzic, Amandine Delclos Copertine Amandine Delclos, Carolina Elisabetta Zunigà Vuoi entrare a far parte della redazione? Scrivi una mail a thepost@msoitorino.org!


EUROPA 7 Giorni in 300 Parole GRECIA 17 aprile. Continuano le proteste ad Atene contro le azioni statunitensi in Siria. L’iniziativa, portata avanti dal Partito Comunista greco, il quale ha definito come “imperialiste” le azioni USA, ha raggruppato, nelle strade della capitale ellenica, migliaia di persone. L’evento ha reso necessario il rafforzamento delle misure di sicurezza all’interno delle sedi diplomatiche. Si è, inoltre, verificato il tentativo di abbattere la statua di Truman.

MACRON: “EDIFICARE UNA NUOVA SOVRANITÀ PER DARE UNA RISPOSTA CHIARA AGLI EUROPEI” Il discorso del presidente francese all’europarlamento per il rilancio dell’Ue

Di Giulia Marzinotto

17 aprile, Strasburgo. A quasi un anno dalla sua elezione, il presidente francese Emmanuel Macron ha tenuto un discorso molto significativo nella sede del Parlamento europeo di Strasburgo. “Faccio parte di una generazione che non ha conosciuto la guerra. Faccio parte di una generazione che si permette il lusso di dimenticare le esperienze dei nostri antenati”, ha affermato Macron, sottolineando con fermezza di voler essere parte di una “generazione che difenderà la sovranità europea, in quanto è l’unico strumento ITALIA che le generazioni future avran18 aprile. Il presidente della no per decidere il loro futuro”. Repubblica, Sergio Mattarella, ha ’affidato l incarico esplorativo a Il discorso, tenutosi al termiMaria Elena Casellati, presidente ne di un incontro bilaterale tra del Senato. Dopo 2 settimane di il Premier francese e Antonio consultazioni senza risultati, Tajani, presidente del Parlala neo eletta Presidente, seconda mento europeo, ha toccato dicarica dello Stato, avrà il compito versi argomenti, tra i quali i di convogliare le intenzioni populismi: “Non possiamo far delle varie forze politiche entro finta di essere in un tempo noril 20 aprile, giorno in cui dovrà male, c’è un dubbio sull’Europa conferire al Quirinale e al Paese. che attraversa i nostri Paesi, sta MONTENEGRO 15 aprile. Milo Djukanovic è stato eletto presidente. Dopo essere stato precedentemente e per 6 volte Premier, il leader del Partito Democratico dei socialisti si è riaffermato con il 54,1%, distaccandosi di oltre 20 punti percentuali dallo sfidante,

emergendo una sorta di guerra civile europea ma non dobbiamo cedere al fascino dei sistemi illiberali e degli egoismi nazionali”, ha dichiarato Macron, aggiungendo che “dobbiamo edificare una nuova sovranità europea per dare una risposta chiara agli europei”. In merito alla riforma delle politiche mi-

gratorie, freccia fondamentale nell’arco dei populisti contro l’UE, il Presidente francese ha avanzato la proposta di “lanciare un programma europeo per finanziare le comunità locali che accolgono i rifugiati in modo da superare il dibattito avvelenato sulle quote di ripartizione dei migranti in Europa”. Riferendosi al contesto internazionale, nel quale si affacciano “potenze autoritarie che affascinano qualcuno”, Macron ha evidenziato come “non serve una democrazia autoritaria, ma l’autorità della democrazia”. Egli ha inoltre sottolineto il fatto che “la democrazia europea è la nostra migliore opportunità”. Il discorso del Presidente francese si è concentrato su multilateralismo, ambiente, difesa del clima e rivoluzione digitale come valori in grado di distinguere l’Europa dai regimi autoritari. Durante l’intervento di Macron davanti al PE, un gruppo di eurodeputati ha esposto cartelloni con la scritta “Fermate la guerra in Siria”, in segno di protesta contro le operazioni missilistiche effettuate ad opera degli Stati Uniti, dalla Gran Bretagna e della Francia del Premier francese contro Damasco, mettendone in ombra l’appello a una maggiore unità europea sulle questioni di sicurezza.

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EUROPA Mladen Bojanic. Per il Presidente sarà il settimo mandato, e potrebbe favorire l’iter di ingresso nell’Unione Europea dopo la separazione nella Serbia.

ATTACCO USA - GB - FRANCIA IN SIRIA

La premier May decide il raid senza consultare il Parlamento

Di Rosalia Mazza

SLOVACCHIA 18 aprile. Il capo della polizia, Tibor Gaspar, a capo dell’indagine sull’omicidio del giornalista Jan Kuciak, verrà sollevato dall’incarico entro il 31 maggio. Secondo i media, le dimissioni sarebbero il frutto delle massicce manifestazioni in atto da mesi e rivolte a favorire una maggiore indipendenza delle indagini sull’omicidio in questione. Kuciak era impegnato, prima della morte, in inchieste sulla collusione della politica nella ‘ndrangheta. SPAGNA 15 aprile. La Catalogna ancora in piazza in difesa dei propri leader. A Barcellona quasi mezzo milione di persone si sono riversate nelle strade con l’obiettivo di chiedere la liberazione dei 17 diplomatici attualmente posti sotto la custodia del governo di Madrid. Il Movimento indipendentista continua a professarsi pacifico, mentre Madrid cerca di fare pressioni per giungere all’elezione della nuova Assemblea della Generalitat. A cura di Simone Massarenti

Nella notte tra il 13 e il 14 aprile 2018 si è verificato un attacco congiunto delle forze aeree di Stati Uniti, Regno Unito e Francia mirato a colpire i centri – situati tra Damasco e Homs – ritenuti responsabili della produzione e stoccaggio di armi chimiche in Siria. Tale attacco sarebbe una risposta all’ultimo intervento militare con armi chimiche perpetrato a Douma. Il presidente statunitense Donald Trump ha annunciato il raid in diretta TV, sostenendone la necessità e ringraziando gli alleati europei. Il presidente francese Emmanuel Macron e la premier britannica Theresa May hanno sostenuto la legalità e l’indispensabilità dell’attacco, definendolo un raid perfettamente riuscito e altamente mirato, in modo da non coinvolgere i civili. La coalizione ha ottenuto il consenso di Turchia e Israele. In forte disaccordo la Russia, che ha convocato una riunione straordinaria del Consiglio di Sicurezza con l’intenzione di condannare il raid: il solo appoggio di Cina e Bolivia non è bastato a far approvare la proposta. In seguito a questo attacco congiunto, la premier May dovrà giustificare la sua decisione di fronte ai deputati britannici:

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sebbene abbia sostenuto l’iniziativa USA, definendo l’azione legale e necessaria, non ha consultato il Parlamento, ritenendo di fondamentale importanza l’“effetto sorpresa”. Uno dei punti cardine della sua posizione sta nell’impedimento dell’utilizzo di armi chimiche, in Siria come nel Regno Unito: la Premier ha infatti menzionato il recente avvenimento di Salisbury, nel tentativo di stabilire una solida red line e deplorando senza mezzi termini il supporto della Russia al regime di Assad. L’attuale posizione della Premier è in netto contrasto con quella che aveva sostenuto come Ministro dell’Interno nel 2013: allora, si era mostrata restia nell’autorizzare un’indagine ufficiale sull’omicidio di Alexander Litvinenko, ex spia russa, poiché preoccupata delle ripercussioni che tale indagine avrebbe avuto sulle relazioni tra Regno Unito e Russia. E sono proprio queste relazioni diplomatiche ad allarmare Jeremy Corbyn, leader dell’opposizione, che condivide le apprensioni del segretario generale dell’ONU Antonio Guterres: quest’ultimo ha infatti espresso il timore che tali attacchi congiunti possano sfociare in un’escalation di quella che ha definito una “guerra fredda” con la Russia.


NORD AMERICA 7 Giorni in 300 Parole STATI UNITI 17 aprile. Il presidente Trump ha incontrato il suo omologo giapponese Shinzo Abe. Ricevuto in Florida a Mar-a-Lago, Abe ha discusso con la sua controparte statunitense della questione nordcoreana, inclusi i futuri colloqui con gli esponenti del regime, e dei dazi commerciali riguardanti le importazioni degli USA di acciaio e alluminio che hanno colpito il Paese del Sol Levante.

18 aprile. Trump ha dichiarato che ci sono stati “contatti di altissimo livello” tra gli Stati Uniti e la Corea del Nord. In un articolo-inchiesta, il New York Times ha, in seguito, rivelato un’indiscrezione secondo la quale il profilo di primo piano velatamente citato dal Presidente sarebbe quello dall’allora direttore della CIA, Mike Pompeo. Mentre la sua nomina a Segretario di Stato non era ancora stata ufficializzata, Pompeo si sarebbe, quindi, recato a Pyongyang per un incontro segreto con Kim Jong-un in persona, al fine di preparare il prossimo incontro tra il leader della Corea del Nord e l’inquilino di Pennsylvania Avenue. 19 aprile. Duplice approccio dell’amministrazione statunitense a proposito della guerra in Siria.

LA CONDANNA CANADESE

Dura presa di posizione del primo ministro Trudeau sull’uso di armi chimiche in Siria

Di Erica Ambroggio Fiato sospeso per l’intera comunità internazionale. Il 13 aprile, Stati Uniti, Francia e Regno Unito hanno intrapreso un’azione militare congiunta contro le forze di Assad e l’alleata Russia. L’attacco è avvenuto in risposta al presunto uso di armi chimiche da parte del regime siriano ai danni della popolazione locale e ha provocato reazioni da parte di tutto panorama internazionale. L’attacco chimico che ha scatenato la risposta militare delle tre potenze ha avuto luogo il 7 aprile nella Ghouta orientale. Centinaia i morti, migliaia i feriti, e virali le immagini dei molti bambini rimasti coinvolti. Nel corso di poche ore, le reazioni all’accaduto si sono innescate in ogni parte del mondo. Tra le più risolute, quella del primo ministro canadese, Justin Trudeau, che ha immediatamente dichiarato di “condannare, con la massima fermezza, l’uso di armi chimiche da parte del regime di Bashar al-Assad”. La sua linea, condivisa dalla maggior parte dei leader internazionali, si è ta a quella dei vicini Stati Uniti, autori del comunicato contenente l’annuncio della risposta militare intrapresa “contro alcuni obiettivi considerati strategici per la produzione di armi chimiche in Siria”.

Sebbene il Premier canadese abbia tempestivamente condannato le ripetute azioni messe in atto dal regime di Assad, la posizione assunta dallo Stato canadese non si è manifestata come favorevole ad una propria partecipazione militare, specificando, a poche ore dall’operazione degli alleati, che il Canada “non avrebbe partecipato a eventuali attacchi contro il regime siriano”. La questione, tuttavia, non accenna a placarsi. Nei giorni successivi all’azione militare occidentale, Justin Trudeau è stato impegnato in diversi appuntamenti diplomatici di grande rilievo, in occasioni dei quali non ha tardato a rimettere al centro la questione siriana per l’intera comunità internazionale. Il 16 aprile, inoltre, il Premier canadese, ha rimarcato l’unità dei leader del G7 nel condannare gli eventi del 7 aprile: “Il possesso da parte della Siria di armi chimiche è illegale ai sensi della Risoluzione 2118 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e della Convenzione sulle armi chimiche”. Le parole de Primo Ministro hanno, dunque infine, richiamato affianca alla sicurezza internazionale, quale massima e attuale priorità, ricordando l’impegno canadese nell’agevolare la ricerca di una soluzione, per quanto possibile diplomatica, al conflitto in Siria. MSOI the Post • 5


NORD AMERICA Il 18 aprile, durante un’intervista con l’emittente Fox News, Nikky Haley, Rappresentante Permanente USA presso le Nazioni Unite, ha assicurato che gli Stati Uniti “non lasceranno il teatro siriano finché non raggiungeranno il loro obiettivo”. Quest’ultimo risulta essere, in realtà, triplice: assicurare il non utilizzo di armi chimiche; distruzione del sedicente Stato Islamico e, soprattutto, una posizione negoziale e di osservazione favorevole verso l’Iran. Il giorno successivo, invece, secondo quanto riportato dal Wall Street Journal, l’amministrazione Trump avrebbe tentato di dare vita a una coalizione di Nazioni arabe, impegnate con finanziamenti e truppe, finalizzata al ritiro delle truppe dalla Siria. Il Journal ha riferito che alcuni funzionari statunitensi avrebbero raggiunto l’Arabia Saudita, il Qatar e gli Emirati Arabi Uniti per chiedere contributi rivolti alla stabilizzazione della Siria dopo che l’ISIS sarà sconfitto in Siria e Iraq.

CANADA 19 aprile. Il presidente canadese, Justin Trudeau, si è detto “ottimista” per quanto riguarda i futuri rapporti del suo Paese con il Regno Unito. Sembrerebbe convinto, infatti, che dopo la Brexit i due Paesi riusciranno a raggiungere un nuovo accordo commerciale “velocemente e senza problemi”. A cura di Alessandro Dalpasso 6 • MSOI the Post

UNITED STATES-LED COALITION STRIKES SYRIA The US, France, and the UK bomb Syria after chemical attack on population

By Kevin Ferri On April 12th, the allied forces of Syrian president Bashar al-Assad reconquered the city of Douma, in the Eastern Ghouta region, following an offensive that started on February 18th. The allied forces have dismantled the last stronghold of the rebels in the surroundings of the capital, Damascus. Consequently, the last part of the rebel group of Jaysh al-Islam have accepted to be evacuated in the northern part of the country. This followed after a phase of uncertain negotiations and continuous attacks from the allies. Apparently, the main issue on the events of April 7th is that the allied forces have been conducting bombardments using chemical weapons. This episode immediately triggered a strong international reaction. The United States, France, and the United Kingdom promptly declared themselves as ready for a military intervention in the country. Both Washington and Paris had previously indicated the use of chemical weapons as a “red line” that Damascus should not have crossed. It is not the first time that, during the Syrian conflict, the US and its allies have thought

of an intervention following the use of a chemical attack by Assad’s regime. When Ghouta was struck by a chemical attack back in 2013, the Obama administration was on the verge of intervening. But a deal with Russia saved Syria from another coalition strike as Putin convinced Assad to dismantle his chemical arsenal. In April 2017, with president Donald J. Trump just elected in the White House, a new chemical attack struck the Syrian city of Khan Shaykhun. The US backfired right away with a limited military response: 59 Tomahawk missiles were fired against the Shayrat Airfield from where it was thought that the Damascus aviation took-off from to deploy the chemical weapons. However, the current situation represents an important difference from last year. Indeed, just a few days ago, Russia reminded that this time it will not tolerate any attack against the Damascus regime and that it is ready to counter-attack at any time. Therefore, even a limited military response from the US – as the one recently undertaken – risks to ignite a direct clash between Washington and the Kremlin, increasing the political costs of a diplomatic intervention by the Trump administration.


MEDIO ORIENTE 7 Giorni in 300 Parole ARABIA SAUDITA 17 aprile. Annunciato il lancio in Borsa, nei prossimi mesi, della compagnia petrolifera Saudi Aramco, proprietà dello Stato. Il gruppo ha realizzato 33,8 miliardi di profitti nel primo semestre 2017 ed era rimasta fino ad oggi immersa nel mistero. Essa possiede le più importanti riserve di petrolio grezzo al mondo e risulta essere libera da ogni tipo di controllo.

IRAN 11 aprile. Il governo iraniano ha instaurato un tasso di cambio unificato tra dollaro e rial, la moneta nazionale. Questa decisione è stata presa con l’obiettivo di frenare la vertiginosa svalutazione in corso. Dopo sei mesi di caduta libera, essa è giunta un picco del 30%. La svalutazione sembra essere stata causata, in parte, dall’inquietudine della popolazione iraniana, la quale teme il verificarsi di un ulteriore deprezzamento della moneta nel caso in cui il presidente americano, Donald Trump, decidesse di ritirare effettivamente gli USA dall’accordo sul nucleare. ISRAELE/PALESTINA 13 aprile. Continuano gli scontri, tra palestinesi e soldati israeliani, nella striscia di Gaza, luogo in cui, lo scorso 13 aprile, un palestinese ha perso la vita e altri 120 sono stati feriti. Le manifestazioni, che si susseguono da 2 settimane, portano avanti, quale rivendicazione principale “il diritto al ritorno” per i palestinesi che, dal 1947, sono

UAE LEAKS: I SEGRETI DEGLI EMIRATI Documenti diplomatici segreti svelano profonde crepe nell’alleanza del Golfo

Di Andrea Daidone Il quotidiano libanese Al Akhbar ha recentemente pubblicato una serie di documenti diplomatici segreti, appartenenti al governo degli Emirati Arabi Uniti, che svelano un mondo sommerso di critiche alle politiche saudite, riallineamenti informali (non senza conseguenze) e una vasta rete di contatti e influenze che conducono direttamente allo Studio Ovale. Secondo la fonte, il 20 settembre 2017, l’ambasciatore giordano in Libano, Nabil Masarwa, e il suo omologo kuwaitiano, Abdel-Al al-Qenaie, avrebbero concordato sul fatto che il Principe ereditario emiratènse starebbe lavorando per sfidare la leadership di Ryad nel Golfo. Si ha poi notizia di un altro meeting, del 28 settembre scorso, fra l’Ambasciatore giordano e il suo omologo emiratènse, Hamad bin Saeed al-Shamsi. In tale occasione, è emersa la critica e la disapprovazione degli Emirati nei confronti della linea politica interna ed estera che Ryad sta portando avanti, ritenuta inopportuna e fallimentare. La fuga di documenti ha poi rivelato un summit segreto, tenutosi alla fine del 2015 su uno yacht nel Mar Rosso e organizzato da George Nader, uomo d’affari americanolibanese, al quale parteciparono:

Mohammed bin Salman, allora principe ereditario dell’Arabia Saudita; Mohammed bin Zayed, principe ereditario emiratènse; Abdel Fattah al-Sisi, presidente egiziano; Salman bin Hamad, principe ereditario del Bahrain; il re Abdullah di Giordania. I leader arabi avrebbero deciso di costituire un fronte comune per rovesciare Bashar al Assad, isolare il Qatar e opposi a Iran e Turchia. L’obiettivo sarebbe quello di costituire una leadership regionale elitaria che sostituisca il Gulf Cooperation Council e la moribonda Lega Araba. Nader, inoltre, avrebbe promesso di svolgere attività di lobby nelle alte sfere di Washington per perorare la causa araba. Egli stesso avrebbe sostenuto che il governo americano sarebbe potuto anche arrivare a dipendere da questo nuovo polo regionale. Dal summit dei leader arabi sarebbe poi emersa una chiara preferenza per la vittoria di Trump, visto come la chiave di tutto, sopratutto per la sua ferrea politica anti-Iran. Da quell’incontro, in effetti, gli eventi che si sono susseguiti nella regione hanno dimostrato che le decisioni che sarebbero state prese quella notte sul Mar Rosso sarebbero, più che un generico indirizzo, una vera e propria road-map, la cui puntualità lascia poco all’immaginazione. MSOI the Post • 7


MEDIO ORIENTE stati costretti ad abbandonare la loro terra.

UN ALTRO GENERALE

Breve storia di uno degli “uomini forti della Libia”

”Di Jean-Marie Reure

SIRIA 18 aprile. La giustizia belga ha intentato una causa contro le 3 imprese fiamminghe ritenute colpevoli di aver esportato verso la Siria prodotti utili alla fabbricazione di armi chimiche, nonostante l’embargo imposto al Paese. La notizia si inserisce all’interno delle tensioni provocate dai bombardamenti delle basi russo/siriane, messi in atto il 14 aprile, da parte di Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna. L’attacco è stato conseguente al presunto utilizzo, da parte del governo di Assad, di armi chimiche contro la popolazione civile.

Khalifa Belqasim Haftar non è un novizio della politica libica. Fedelissimo di Gheddafi, la sua carriera militare giunge all’apogeo nell’87, quando guida un corpo d’armata contro il Ciad. Viene fatto prigioniero, ma dalla sua prigionia crea un manipolo di 2000 prigionieri libici detto “forza Haftar” (LNA, Libyan National Army) con lo scopo di rovesciare la Jamāhīriyya. Liberato dopo tre anni di prigionia si rifugia negli USA, dove lo accolgono come rifugiato politico assieme a più di 300 suoi miliziani, distribuiti in 25 Stati. Otterrà anche la cittadinanza americana, salvo poi, nel 2011, tornare in patria dopo la caduta di Gheddafi.

YEMEN 18 aprile. Intervenendo al Con- Gode, infatti, di una certa fama siglio di Sicurezza dell’ONU, in Libia: molti suoi connazionali lo definiscono come un militare Martin Griffiths, inviato specia le del segretariato generale del- competente, “rispettato dai le Nazioni Unite per lo Yemen, più anziani e ammirato dai più si è detto convinto “della possi- giovani”. Belqasim Haftar bilità di una soluzione politica Khalifa così l’esercito alla guerra che infiamma il Pa- ricostituisce ese”. Ciò nonostante, l’aumento dell’LNA. Ma la Libia rimane dei missili lanciati dall’Arabia divisa, e non tutti sembrano Saudita negli ultimi tempi con- disposti a volergli lasciare la tinua a causare diverse preoc- guida del Paese: nel 2015, gli cupazioni, manifestandosi come accordi di Skhirat (Marocco), come governo ulteriore ostacolo al raggiun- riconoscono ufficiale della Libia quello di gimento della pace. Al-Sarraj. A cura di Anna Filippucci Il generale si affretta a dichiarare tali accordi come “nulli e non avvenuti”, forte dell’appoggio USA. 8 • MSOI the Post

La lotta per il potere continua, e il Paese rimane diviso. Dopo un lungo assedio conquista Bengasi e non smette di far parlare di sé : viene accusato del rogo di migliaia di libri di vari autori, rei – a suo dire – di incitare alla violenza. Il suo vice si consegna alla Corte Internazionale di Giustizia, dopo essere stato accusato di crimini contro l’umanità. Da ultimo, vengono rinvenuti 36 cadaveri con segni di evidente tortura e con un foro di proiettile alla nuca. Sarebbero stati arrestati giorni prima dall’LNA. La settimana scorsa il generale, a seguito di un infarto, finisce in coma. C’è chi lo da per morto, chi dice che è incosciente, chi invece che sta bene. Ricoverato in Francia, le notizie sul suo stato di salute reale sono poche e confuse: Salamé, inviato ONU in Libia, afferma, mettendo fine alle voci su una sua dipartita, di aver parlato col generale. Rimane però un solo dubbio: cosa ne sarà della Libia? La comunità internazionale sostiene un altro governo, ma Haftar – ufficiosamente – aveva già fatto visita ai principali leader europei. Amico degli USA, ora anche la Francia sembra scommettere su di lui. Il governo di Tobruk, sostenuto da Egitto ed Emirati, temporeggia, ma teme ulteriori divisioni in assenza dell’uomo forte su cui contava.


RUSSIA E BALCANI 7 Giorni in 300 Parole ALBANIA 17 aprile. Via libera di Bruxelles all’apertura dei negoziati che consentiranno all’Albania di entrare nell’UE. Lo status di Paese candidato è stato raggiunto grazie alle riforme attuate dal governo di Tirana, in particolare nei settori della Pubblica Amministrazione e della Giustizia. Sull’ammissione a pieno titolo si discuterà durante il summit dei 28 Paesi membri programmato per il mese di giugno.

ARMENIA 17 aprile. Il parlamento armeno ha nominato come primo ministro, il leader repubblicano Serzh Sargsyan, al potere da dieci anni. Proteste e disordini da parte delle opposizioni e di una parte della società civile per l’incarico conferito. In 10.000 sono scesi in piazza nei giorni scorsi per manifestare contro Sargsyan premier. AZERBAIGIAN 16 aprile. Inizia il quarto mandato presidenziale di Aliyev, eletto dalla popolazione con percentuali pari all’86% delle preferenze. Alcuni giornalisti e osservatori indipendenti hanno denunciato brogli elettorali e manomissioni nello svolgimento delle consultazioni elettorali tenutesi lo scorso 11 aprile. MONTENEGRO 16 aprile. Il democratico Djukanovic ha vinto, al primo turno, le elezioni presidenziali in Montenegro. Una scelta europeista e filo-occidentale, quella degli elettori, i quali hanno preferito il rappresentante socialista

DJUKANOVIC VINCE LE PRESIDENZIALI MONTENEGRINE La sua elezione promuove la politica europeista avanzata dal precedente governo

Di Amedeo Amoretti Le elezioni presidenziali del Montenegro che si sono tenute domenica 15 aprile hanno sancito la vittoria di Milo Djukanovic, leader di DPS. La popolazione montenegrina, che si è riversata alle urne con un’affluenza del 64%, ha votato per il 54% il candidato europeista, mentre Mladen Bojanic, suo principale rivale, ha ottenuto il 33%. L’unica candidata donna alle elezioni, Draginja Vuksanovic, si è attestata all’8%. Djukanovic, non appena conosciuti i risultati, ha affermato che la vittoria è “la conferma della tenace determinazione del Montenegro a continuare sulla strada europea”. Djukanovic era già stato Presidente dal 1998 al 2002 e ricoprì l’incarico di Primo Ministro per sei volte dal 1991. Nel 2017, grazie alla sua influenza, il Montenegro è entrato nella NATO generando le critiche dei partiti filo-russi sostenitori di Bojanic. Quest’ultimo, accusando Djukanovic di aver generato instabilità sociale nel paese e di legami con la mafia italiana, ha dichiarato di voler “porre fine al regno di un autocrate che vuole trasformare il Montenegro in una dittatura”. Anche TASS, l’agenzia di stampa russa, ha riscontrato delle similitudini tra Djukanovic e Mugabe, Presi-

dente dello Zimbabwe dal 1987 e rovesciato da un colpo di stato nel 2017. Nonostante le accuse di corruzione, nepotismo e favoritismo avanzate dall’opposizione nei confronti del leader di DPS, l’OSCE ha dichiarato che le libertà fondamentali sono state rispettate nelle elezioni e che la popolazione ha potuto votare liberamente. Aggiunge, però, che Djukanovic era notevolmente favorito data la sua presenza nell’arena politica da 27 anni e il sostegno internazionale di vari leader, come il premier albanese Edi Rama e quello kosovaro Ramush Haradinaj. La vittoria di Djukanovic, tuttavia, sancisce la ferrea volontà montenegrina a costruire legami sempre più stretti con l’UE che ha organizzato un summit a Sofia per discutere la possibile entrata nell’Unione entro il 2025 per i paesi balcanici, tra cui Serbia e Montenegro. Per l’ammissione sono richiesti miglioramenti nel sistema statale e governativo adottando riforme e risolvendo dispute territoriali con gli stati limitrofi. Federica Mogherini, capo degli Affari Esteri dell’UE, ha dichiarato che il 2025 è “una prospettiva realistica per coloro che stanno negoziando e coloro che potrebbero iniziare a negoziare”. MSOI the Post • 9


RUSSIA E BALCANI ai suoi sfidanti filo-russi. Il neo eletto Presidente ha interpretato questa vittoria come “la determinazione del Montenegro a proseguire sulla strada della piena adesione all’UE”.

L’UCRAINA GUARDA ALL’EUROPA

Poroshenko annuncia l’uscita dalla CSI ma il ruolo di Paese di transito del gas russo è in pericolo

Di Vladimiro Labate RUSSIA 14 aprile. L’attacco congiunto alla Siria da parte di Usa, Gran Bretagna e Francia ha suscitato la reazione di Putin, il quale non ha esitato a definire un “atto di aggressione” i raid militari nel Paese mediorientale. Scopo della missione sarebbe stato di colpire 3 siti tra Damasco e Homs in risposta all’utilizzo di gas chimici, ai danni dei civili siriani, imputabile, secondo gli alleati, alle forze di Assad. Il Consiglio di Sicurezza, tuttavia, non ha accolto la richiesta di condanna del raid avanzata da Mosca. 16 aprile. Morto in circostanze sospette il giornalista russo Maxim Borodin, precipitato dal balcone al 5° piano della propria abitazione. Il cronista stava indagando sull’uso dei mercenari russi in Siria. Non sono state ancora chiarite le cause della caduta. SERBIA 17 aprile. Il presidente Vucic ha presentato un bilancio positivo della condizione economica nazionale, menzionando un PIL in crescita del 3,5% l’anno e un tasso di disoccupazione sceso al 12-13%. I risultati sono stati attribuiti al duro lavoro, compiuto negli ultimi anni, finalizzato a rendere il Paese una meta appetibile per gli investitori esteri. A cura di Ilaria Di Donato 10 • MSOI the Post

Il 12 aprile a Kiev, durante l’XI Forum sulla sicurezza, il presidente ucraino Petro Poroshenko ha annunciato che l’Ucraina ha intenzione di abbandonare la Comunità degli Stati Indipendenti (CSI). L’organizzazione internazionale, nata dopo il crollo dell’Unione Sovietica nel 1991, ha al suo interno la Russia, la quale gioca un ruolo di primo piano. L’Ucraina ne è un Paese partecipante, ma non vi siede a pieno titolo in quanto non ha mai ratificato il trattato che la istituiva. Poroshenko, inoltre, ha espresso la volontà di denunciare parti del Trattato di Amicizia con la Russia, perché “sono incompatibili con l’interesse nazionale dell’Ucraina e il suo diritto di difendersi”. Da questi annunci appare chiaro il tentativo del Presidente ucraino di smarcarsi dalla sfera di influenza russa, rivolgendo il proprio sguardo in maniera sempre più decisa verso l’Unione Europea. Ma l’Ucraina rimane ancora profondamente legata a Mosca, per ciò che riguarda, in particolare, il suo ruolo come Paese di transito per le forniture di gas russo all’Europa. Da questa posizione lo Stato ucraino incassa all’anno circa 3 miliardi di dollari di diritti di transito. Ma questa situazione redditizia è messa in pericolo. Da

una parte, Gazprom, compagnia energetica russa, ha annunciato un consistente calo del passaggio del gas russo attraverso l’Ucraina, anche a causa di un procedimento presso la corte d’arbitrato di Stoccolma per il quale Gazprom deve versare 2,5 miliardi di dollari all’ucraina Naftogaz. Dall’altra, il progetto Nord Stream 2 prevede la costruzione di un gasdotto tra Russia e Germania che dovrebbe raddoppiare la capacità di quello attuale. L’infrastruttura è criticata in quanto aumenterebbe la dipendenza europea dal gas russo e perché permetterebbe di evitare il passaggio del gas dai Paesi baltici e dall’Ucraina, privandoli in questo modo di importanti entrate fiscali. La Commissione Europea e 20 Paesi dell’UE sono contrari all’opera, già autorizzata dalla Germania. Tuttavia, il 10 aprile scorso, in occasione di un incontro con Poroshenko, la cancelliera Merkel ha chiarito che “il Nord Stream 2 è impossibile senza fare chiarezza sul futuro ruolo di transito dell’Ucraina” e che “non è solo una questione economica, ma ci sono anche considerazioni politiche”. Il riconoscimento del valore politico del gasdotto può essere considerato come una vittoria di Poroshenko, ma la partita rimane ancora aperta e il risultato non è ancora chiaro.


ORIENTE 7 Giorni in 300 Parole AUSTRALIA 19 aprile. La real Commissione per le Banche e la Finanza ha svelato una condotta inappropriata da parte dell’industria bancaria e finanziaria australiana. Alcune tra le grandi banche avrebbero contribuito a creare shock economici negativi. Dopo le rivelazioni della Commissione, il primo ministro, Barnaby Joyce, ha ammesso, in un Tweet, l’errore di essersi mostrato contrario all’indagine della Commissione.

CINA 15 aprile. I Ministri degli Esteri di Cina e Giappone si sono incontrati a Tokyo per la prima volta dopo 8 anni. Ripartono le relazioni diplomatiche tra i due Paesi. Sono stati fissati dal Ministro degli Esteri cinese ulteriori e futuri incontri bilaterali, ai quali prenderanno parte anche il premier Shinzo Abe e il presidente Xi Jinping. 16 aprile. Secondo la Cnn il presidente Xi Jinping starebbe organizzando una visita a Pyongyang. 17 aprile. Stabile l’economia cinese. La crescita risulta essere del 6,8% nel primo trimestre 2018. Gli analisti hanno, tuttavia, sottolineato che i dati non hanno ancora risentito della minaccia di una guerra commerciale tra Washington e Pechino,

PRESENZA CINESE A VANUATU

Uno spunto di riflessione sulle strategie d’influenza della Repubblica Popolare Cinese

Di Fabrizia Candido Il 10 aprile la Fairfax Media ha riferito di un approccio informale da parte della Cina a Vanuatu, l’arcipelago di ottanta isole situato tra le isole Fiji e la Nuova Caledonia, col fine di stabilirvi una presenza navale e militare. La notizia ha destato grande allerta per l’Australia, distante solo 1200 miglia dall’arcipelago ed impegnata, dal 1945, a scongiurare qualunque tentativo di militarizzazione nel Sud Pacifico, ma è stata prontamente smentita dalle autorità cinesi e dal governo di Vanuatu. Di fatto, l’approccio informale a Vanuatu si sarebbe aggiunto a quelli che la Cina ha rivolto al Timor-Est, alle Isole Azzorre (Portogallo), alla Baia di Walvis in Namibia, alla città di Gwadar in Pakistan ed infine al Djibouti, dove lo scorso luglio è stata formalmente stabilita l’unica base militare d’oltremare cinese. Si tratta di Paesi che ricercano garanzie cinesi per la propria sicurezza, come il Pakistan, che hanno bisogno di investimenti in loco, o ancora che rispondono col partenariato cinese alla riduzione delle spese statunitensi, come avvenuto nelle Azzorre. Con questa strategia Pechino mirerebbe non solo a proteggere le linee di comunicazione marittima nel Golfo Persico e nel Sudest asiatico, ma anche a garantire la sicurezza delle vie di scambio commerciale coinvolte nel progetto One Belt One Road (OBOR).

Un’eventuale base a Vanuatu non rientrerebbe però in questi scopi, bensì si potrebbe giustificare con la protezione dei connazionali cinesi che vivono e gestiscono business nel Pacifico, negli ultimi anni vittime di rivolte locali. Inoltre, secondo quanto riportato dal sito news. com.au, la Cina starebbe portando avanti una “strategia di trappola del debito”: mirerebbe cioè a Paesi poveri da intrappolare in debiti impossibili da ripagare, che le permetterebbero di rispondere occupando territori e creandovi strutture funzionali ai propri interessi. Si spiegherebbe così quanto avvenuto in Sri Lanka, Tajikistan, Kyrgystan, Laos e Djibouti. Non è dunque sorprendente che la Cina sia responsabile di metà del debito estero dell’arcipelago di Vanuatu, a cui ha fornito 243 milioni di dollari in prestiti e finanziamenti a fondo perduto dal 2006 al giugno 2016. Dal 2002 al 2012, la Cina ha inoltre promosso 30 progetti in diversi Paesi insulari del Pacifico, comprendenti la costruzione di palazzi governativi, infrastrutture stradali e stazioni di energia idroelettrica. Un’eventuale base cinese a Vanuatu non rappresenterebbe quindi soltanto una crescente ambizione militare di Pechino, ma anche una possibile alterazione del delicato equilibrio di potere nel Pacifico meridionale. MSOI the Post • 11


ORIENTE 19 aprile. La Cina ha condotto esercitazioni militari nello stretto di Taiwan e, per la prima volta, la portaerei Liaoning, passerà in quell’area. Il portavoce del Ministero della Difesa di Taipei, Chen Chung-chi, ha comunicato che le operazioni erano di basso profilo e identificabili solo come provocazione. 19 aprile. Gli Stati Uniti hanno acconsentito ad attivare una negoziazione sul furto di proprietà intellettuale e sui dazi sotto l’ala dell’Organizzazione Mondiale del Commercio. COREA DEL NORD 15 aprile. La Corea del Nord ha celebrato il 106° anniversario della nascita del fondatore Kim Il-sung. L’occasione si è rivelata funzionale per dare dimostrazione del nuovo orientamento diplomatico del Paese. Non è stata organizzata, infatti, nessuna parata militare. 18 aprile. Secondo il The Washington Post, Mike Pompeo, direttore della CIA, avrebbe incontrato in segreto Kim Jong-un. COREA DEL SUD 19 aprile. Il presidente della Corea del Sud ha comunicato che Pyongyang, sarebbe “pronta al disarmo nucleare e che non ci sarebbe nessuna condizione. La dichiarazione non è stata, tuttavia, confermata dalla Corea del Nord. MYANMAR 17 aprile. Il neo eletto presidente del Myanmar, Win Myint, ha annunciato la liberazione di più di 8000 detenuti in seguito ad un’amnistia. Tra di loro, 6.000 detenuti per droga, 2.000 membri delle forze armate e di polizia e 36 detenuti politici. A cura di Emanuele Chieppa 12 • MSOI the Post

CONFERENZA ECONOMICA TRA CINA E GIAPPONE Vertice a Tokyo: serve una risposta alle politiche commerciali di Trump

Di Tiziano Traversa Da settimane il dibattito politico nell’area asiatica è imperniato sulla questione delle nuove politiche commerciali degli Stati Uniti. Nei giorni scorsi si era parlato di una possibile apertura verso i mercati asiatici, in cambio di agevolazioni per le operazioni finanziarie e per l’export americani. Il premier giapponese Shinzo Abe ha in agenda un incontro con il presidente Donald Trump in Florida, nel corso della settimana, per esaminare dettagliatamente la questione dei dazi. In attesa del vertice, il ministro degli Esteri giapponese Taro Kono e il corrispettivo cinese Wang Yi si sono incontrati a Tokyo per discutere e pianificare quale dovrebbe essere la posizione delle nazioni dell’Asia orientale. Era dal 2010 che il Ministro degli Esteri cinese non si recava in visita ufficiale in Giappone. Gli argomenti del dialogo sono stati esclusivamente economici. I due Ministri hanno a lungo discusso su come le due più potenti economie asiatiche potrebbero fronteggiare un’eventuale “guerra” commerciale. La posizione condivisa elaborata durante il summit è che le politiche di Washington possono danneggiare seriamente i Paesi dell’area, i quali, sino ad oggi, hanno beneficiato dell’apertura economica statunitense.

Una più stretta collaborazione sino-giapponese sul versante economico potrebbe avere interessanti sviluppi. Tokyo è sempre stato un alleato commerciale degli USA, è la terza economia mondiale ed intrattiene ottimi rapporti con gli altri Paesi del TPP. Pechino, da anni, tenta di estendere la propria area d’influenza nei Paesi storicamente legati alla realtà statunitense. Inoltre, molte nazioni del sudest asiatico sono rimaste escluse dagli accordi bilaterali promossi da Trump. Sebbene, per ora, non ci sia stata nessuna comunicazione ufficiale, il ministro Wang ha affermato che “è molto probabile che il Giappone partecipi attivamente in diversi progetti economici cinesi.” La lista dei programmi cinesi in materia economica è piuttosto ampia. Negli ultimi anni il Presidente Xi Jinping ha dato il via ad una moltitudine di progetti atti a rinnovare e rafforzare la nazione; primo tra tutti: la costruzione della Nuova Via della Seta. In attesa degli sviluppi della conferenza tra Trump e Abe in Florida, la posizione dei due Ministri resta comunque un netto rifiuto ad accettare accordi bilaterali; la strada maestra delle economie asiatiche, come affermato da Xi durante il congresso di marzo, è il multilateralismo.


AFRICA 7 Giorni in 300 Parole

LE ULTIME “MARBLE – POLLS” IN GAMBIA Conferma elettorale per l’UDP, mentre il partito di Jammeh va sempre più a fondo

Di Federica De Lollis BURUNDI 17 aprile. Il governo e diversi membri del partito di governo hanno avviato una violenta repressione dell’opposizione in vista di un controverso referendum previsto per il mese di maggio, durante il quale i cittadini saranno chiamati ad esprimersi sull’estensione del mandato del Presidente. Secondo un rapporto di Human Rights Watch, Bujumbura si è resa responsabile, nel corso dei mesi passati, di uccisioni e intimidazioni. ETIOPIA 13 aprile. Il nuovo primo ministro, Abiy Ahmed, ha fatto sapere ai partiti di opposizione, durante una rara dimostrazione di apertura, di essere pronto “ad un dialogo pacifico e a negoziazioni”. Il leader politico ha assunto la carica meno di un mese fa, nel tentativo di metter fine a mesi di proteste anti governative, le più aspre da 25 anni a questa parte. 18 aprile. Secondo i dati forniti dal Fondo Monetario Internazionale, l’Etiopia avrebbe superato il Ghana in qualità di “economia in più rapida crescita” nell’ambito del continente africano. Il tasso di crescita, quest’anno, si attesta, infatti, a 8,5%.

Il 12 marzo si sono tenute le elezioni locali gambiane, le prime dopo l’insediamento dell’attuale presidente Adama Barrow, che nel dicembre 2016 ha scalzato il regime del predecessore Yahya Jammeh, esiliato nell’aprile del 2017. Si sono presentati oltre 400 candidati per i 120 seggi disponibili, tra cui quelli più ambiti delle municipalità di Kanifing e della capitale Banjul. Secondo quanto riportato dal portavoce della Commissione Elettorale Indipendente (IEC) Alhaji Alieu Momarr, i risultati attestano che il partito vincitore è lo United Democratic Party (UDP), con 62 seggi, seguito dal Gambia Democratic Congress (GDC), che si aggiudica 23 seggi, e dall’Alliance for Patriotic Reorientation and Construction (APRC), partito dell’ex dittatore Jammeh, con 18 seggi. I 17 seggi rimanenti sono stati assegnati ai partiti minori. Stando alla mappatura dei voti, l’UDP ha ottenuto più voti nelle zone urbane. I casi emblematici sono le vittorie schiaccianti nella municipalità di Kanifing e, con sorpresa dei sondaggisti, nella capitale Banjul, dove lo scorso anno il partito non si era aggiudicato neanche un seggio. Il GDC ha conquistato le aree rurali e la regione settentrionale

del Paese, grazie anche agli investimenti infrastrutturali effettuati dal leader del partito Mama Kandeh, mentre l’APCR ha vinto soltanto nel distretto di Kombos e in poche altre zone rurali del Paese: l’oscuro passato del regime di Jammeh pesa ancora troppo sul partito. L’astensionismo dilagante ha pesantemente inciso sui risultati delle elezioni. Un dato che si evince da queste consultazioni è che la legge elettorale non è più in grado di consentire una facile governabilità: nessun partito, neanche il favorito UDP, è riuscito ad ottenere da solo il 50% dei voti, rendendo necessaria la formazione di coalizioni. Si parla, peraltro, di un nuovo sistema per le votazioni: l’IEC ha a lungo auspicato l’abbandono del sistema “glass marble-voting”, che utilizzava biglie colorate da inserire in appositi spazi assegnati ai singoli candidati, a favore delle più comuni schede elettorali, con la speranza di una partecipazione maggiore. Si era sperato che questa tornata avrebbe posto definitivamente fine al vecchio sistema, ma se il cambiamento verrà considerato troppo radicale potrebbe non essere implementato già per le prossime consultazioni locali di maggio. MSOI the Post • 13


AFRICA MALI 12 aprile. L’ambasciatore alle Nazioni Unite, François Delattre, ha annunciato, in sede di Consiglio di Sicurezza, la volontà della Francia di “voler mettere in atto delle sanzioni nel Paese”. Queste sarebbero indirizzate, secondo quanto riportato dal diplomatico, contro i soggetti autori delle azioni finalizzate al rallentamento del processo di pace iniziato nel 2015. La proposta ha ricevuto il benestare da diversi membri della Comunità Internazionale. SUDAFRICA 16 aprile. Migliaia di persone hanno presenziato alle esequie di Winnie Mandela nella città di Soweto. Ad assistervi, anche il presidente, Cyril Ramaphosa, delegazioni provenienti da altri Paesi dell’Africa e una numerosa rappresentanza di figure della politica e della cultura sudafricana.

SWAZILAND 18 aprile. Il Paese è stato meta della nuova presidente di Taiwan, Tsai Ing-wen, uno degli ultimi alleati dell’isola in Africa. Il supporto nel continente, tuttavia, è fortemente diminuito nel corso degli anni, anche a causa del costante flusso di investimenti proveniente dalla Cina. Ciò nonostante, il sottosegretario agli Esteri dello Swaziland, Jennifer Neves, ha riaffermato “il mutuo supporto tra i due Paesi”. A cura di Guglielmo Fasana 14 • MSOI the Post

L’AFRICA SUBSAHARIANA ABBRACCIA LA RETE 2G

Un passo verso il progresso tecnologico, grazie a Google

Di Corrado Fulgenzi Il colosso di Internet Google ha annunciato il lancio di un’app che permetterà agli utenti della regione subsahariana di poter navigare più velocemente e a costi ridotti. Questa zona, infatti, è caratterizzata dalla mancanza di connessione veloce e dagli alti costi del traffico in data. L’app in questione si chiama Google Go e consente ricerche veloci grazie all’utilizzo della rete 2G, oltre risparmi fino al 40% dei dati. È leggera: occupa solo 5MB. Permette, inoltre, di tornare su ricerche precedenti anche se si è offline ed infine consente all’utente di utilizzarla impartendo comandi con la propria voce. Per permetterne l’uso immediato, verrà installata come app predefinita in tutti i dispositivi Android Oreo. Da un punto di vista economico, la regione subsahariana viene vista dai giganti americani come un mercato non sfruttato, per quanto riguarda smartphone e servizi come i social media e il web. La multinazionale MTN e la sudafricana Vodacom vedono questo spazio digitale come il mercato che sta crescendo più rapidamente e la collaborazione con Google si è recentemente fatta sempre più stretta. Da un punto di vista sociale, l’accesso al mondo digitale

verrà garantito anche a coloro che ne erano impossibilitati. Il responsabile di Google Kenya, sede centrale della regione subsahariana, Charles Murito, entusiasta dell’obiettivo raggiunto, proclama: “Chiunque vive in Turkana [ nord del Kenya] deve poter godere degli stessi servizi di chi vive a New York”. Singolare invece, è il caso dell’Uganda che, da luglio, come annunciato dal suo presidente Yoweri Museveni, applicherà una nuova tassa agli utenti dei social. Le proteste non si sono fatte attendere: alcuni attivisti per i diritti umani si sono scagliati contro il capo di stato, denunciando l’ennesimo tentativo di soffocare la libertà d’espressione. Nei suoi 32 anni di governo, Museveni ha trovato una forte opposizione da parte di chi lo accusa di azioni contrarie ai principi democratici: ad esempio, durante le elezioni del 2016, Facebook, Twitter e Whatsapp sono stati bloccati. L’introduzione della tassa è stata spiegata così dal ministro delle Finanze Matia Kasaija: “Stiamo cercando nuove entrate per mantenere la sicurezza del Paese e per estendere l’uso di energia elettrica, così da permettere alla popolazione di godere di più l’utilizzo dei social”. Dei 41 milioni di abitanti dell’Uganda, 24 possiedono cellulari mobili e 17 navigano su Internet.


AMERICA LATINA 7 Giorni in 300 Parole CUBA 19 aprile. L’Assemblea Nazionale cubana ha eletto come presidente Miguel Díaz-Canel. La sua nomina segna la fine del governo della famiglia Castro segnando un punto di svolta nella storia del Paese. Raúl Castro rimarrà comunque a capo del Partito Comunista, il quale, secondo la Costituzione, rimane la “forza dirigente superiore della società e dello Stato”, mantenendo quindi un grande potere.

EQUADOR 18 aprile. Il presidente ecuadoriano Lenin Moreno ha reso nota la decisione di non volere più che l’Equador svolga il ruolo di garante nell’ambito del dialogo tra la Colombia e l’Esercito di Liberazione Nazionale (ELN). Da qualche mese la situazione al confine tra i due Paesi è instabile. Il 13 aprile era stata, inoltre, annunciata la morte di tre giornalisti ecuadoriani del giornale El Comercio, i quali erano stati rapiti in una zona al confine con la Colombia da parte di un gruppo di dissidenti delle FARC. GUATEMALA 15 aprile. Il referendum promosso dal presidente guatemalteco, Jimmy Morales, ha visto trionfare, con oltre il 90% dei voti, la decisione di chiedere alla Corte Internazionale di Giustizia

UCCISI I TRE UOMINI CATTURATI DAI RIBELLI COLOMBIANI

Nuovi gruppi militari minacciano la stabilità della pace appena raggiunta in Colombia

Di Francesca Chiara Lionetti Venerdì 13 aprile il presidente dell’Ecuador, Lenin Moreno, ha confermato l’uccisione di tre inviati dalla testata ecuadoriana El Comercio. I reporter si erano recati a Mataje, in Colombia, per denunciare le violenze che da mesi colpivano la zona, strategica per il traffico di cocaina. Le tre vittime dell’omicidio sono il cronista Javier Ortega, il fotografo Paul Rivas, ed Efrain Segarras, il loro autista. I tre colleghi erano stati catturati il 26 marzo scorso dal gruppo dissidente delle FARC (Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia), il Fronte Oliver Sinisterra, guidato da Walter Arisala Vernaza, meglio conosciuto come Gaucho. Le FARC sono state un gruppo di guerriglia colombiano di ispirazione marxistaleninista, creato nel 1964 in contrapposizione ai Governi di destra del Paese. Il gruppo ha sempre avuto uno stretto legame con il traffico di cocaina, prendendonvi parte oppure tassando i criminali per autofinanziarsi; nella sua opposizione al Governo ha creato un clima di guerra civile che ha causato la morte di circa 220.000 persone. Nel 2016 è iniziato il processo di pacificazione. La prima intesa, considerata

troppo favorevole ai guerriglieri, è stata bocciata dalla popolazione nel referendum del 2 ottobre 2016. Un nuovo accordo di pace è stato siglato il 24 ottobre 2016, all’Avana, dal negoziatore delle FARC, Ivan Marquez e quello del governo, Humberto de la Calle. L’ex gruppo rivoluzionario si è poi convertito in un partito politico conservando la stessa sigla, ma sotto il nome di Forza Alternativa Rivoluzionaria del Comune. Quello che, secondo Humberto de la Calle, è “il trattato della fiducia”, che deve portare alla nascita del “Paese della concordia”, è messo in discussione da nuovi gruppi ribelli che si sono formati dalla dissoluzione delle FARC. Nuovi gruppi armati e organizzazioni militari già esistenti hanno approfittato della smilitarizzazione delle zone prima controllate dalla FARC per imporsi e controllare il traffico di cocaina. Uno di questi è il Fronte Oliver Sinisterra, che ora controlla l’area di Mataje, al confine tra Colombia ed Ecuador. Da alcuni mesi il gruppo compie violenze di ogni tipo contro la popolazione e i tre colleghi scomparsi si erano recati in quel luogo proprio per denunciare tali avvenimenti. La loro morte dimostra che il cammino per la pace in Colombia è ancora lungo. MSOI the Post • 15


AMERICA LATINA dell’Aja di esprimersi sulle dispute territoriali riguardanti il Guatemala ed il Belize. La contesa esiste da circa 200 anni e nel 2008 un accordo tra i due Paesi aveva concesso la possibilità di indire dei referendum per rivolgersi alla Corte dell’Aja. Non è ancora nota la data nella quale il Belize terrà la propria votazione al riguardo. VENEZUELA 17 aprile. L’Assemblea Nazionale (AN) del Venezuela ha autorizzato il Tribunale Supremo (TSJ) in esilio a giudicare, mediante un processo preliminare di merito, il presidente Nicolás Maduro. Il giudizio è volto a verificare i rapporti tra Maduro e la società di costruzioni brasiliana Odebrecht, al centro di un’imponente indagine per corruzione. Il voto dell’Assemblea ha, tuttavia, una valenza più simbolica che pratica. Infatti, l’attuale sistema giudiziario del Paese è sotto il controllo del governo.

18 aprile. I Ministri degli Esteri di Venezuela e Spagna hanno annunciato la decisione di ristabilire in entrambi i Paesi la presenza dei rispettivi ambasciatori in modo da ripristinare un dialogo diplomatico tra i due governi. A fine gennaio, infatti, l’ambasciatore spagnolo a Caracas, Jesús Silva Fernández, era stato espulso, in risposta alle sanzioni dell’Unione Europea nei confronti di alcuni alti funzionari venezuelani; a sua volta la Spagna aveva allontanato l’ambasciatore venezuelano Mario Isea. A cura di Elisa Zamuner 16 • MSOI the Post

SUMMIT DELLE AMERICHE

Secondo Maduro potrebbe essere l’ultimo incontro

Di Davide Mina L’VIII Summit delle Americhe si è tenuto il 13 e 14 aprile scorsi. I capi di Stato e di Governo delle nazioni del Nord e del Sud America si sono incontrati a Lima, in Perù, per discutere dei problemi e delle sfide che gravitano attorno al tema della “Governabilità democratica di fronte alla corruzione”. Si tratta dell’appuntamento organizzato con cadenza triennale dalla OSA, Organizzazione degli Stati americani, di cui sono membri tutti gli Stati sovrani dei subcontinenti Americani. Il Summit Sudamericano si è sempre proposto obiettivi come la cooperazione internazionale e il panamericanismo, ma questa volta non mancano elementi di discussione sia dal punto di vista oggettivo (della scelta del tema e del luogo) come che da quello soggettivo (dei capi di Stato e di Governo assenti o non invitati). Dal primo punto di vista, il Summit, che ha per tema la lotta alla corruzione, si è tenuto in Perù, dove l’ex Presidente P.P. Kuczynski ha presentato le dimissioni nel marzo 2018 per uno scandalo di corruzione. Ospiterà l’evento l’ex vice presidente Martín Vizcarra, anch’esso indagato. D’altro canto, a febbraio, il Perù ha ritirato l’invito al Venezuela. La scelta, presto

confermata dalla maggior parte degli altri partecipanti, è dovuta al mancato rispetto degli standard democratici. Va tuttavia ricordato che, dal 2015, è stata revocata la sospensione di Cuba dal Summit, su impulso dell’amministrazione Obama. Fernando Rospigliosi, ex ministro dell’Interno del Perù, ha dichiarato a BCC Mundo che le pressioni non modificarono la situazione a Cuba, e questo suggerisce che non lo faranno neanche col Venezuela. Forte delle contraddizioni del Summit e dopo una riunione con Evo Morales, Maduro ha dichiarato che “Il Summit di Lima potrebbe rivelarsi fin da ora l’ultimo dei Summit delle Americhe, e ciò a causa dell’ intolleranza ideologica e politica”. Risalta, infine, la grande assenza di Trump, che non si presenterà a Lima perché occupato con la crisi siriana. Gli analisti internazionali hanno interpretato questa assenza come la conferma del disinteresse per l’America Latina e, più in generale, della tendenza isolazionista del Presidente statunitense. Nonostante ciò, però, non si nasconde lo stupore: è la prima volta che un Presidente USA diserta il Summit delle Americhe, che si tenne per la prima volta nel ’94 a Miami per volere del presidente Clinton.


ECONOMIA L’AZZARDO DI ERDOGAN

Boom economico e dossier internazionali, Erdogan gioca la carta elettorale

Di Michelangelo Inverso La Turchia è la potenza regionale mediorientale più dinamica oggigiorno. A confermarlo sono sia l’attivismo geopolitico del suo Presidente, sia i dati economici. Solo nel primo trimestre del 2017 il PIL è cresciuto dell’11,1% e, su base annuale, ha registrato un eccezionale +7,4%, ben oltre le aspettative. Dati mirabolanti, ma anche viziati dal confronto con lo stesso periodo del 2016, quello del post-golpe gulenista, cui seguì un periodo di contrazione. Anche se ridimensionati, restano comunque numeri impressionanti. Non tutto però è rose e fiori e anche Erdogan ha le sue preoccupazioni. Sotto pressione sui mercati internazionali, complice anche la nuova politica dei dazi statunitensi e l’inflazione a doppia cifra, la valuta di Ankara si sta deprezzando ampiamente. Se, da una parte, ciò agevola le esportazioni, dall’altra danneggia pesantemente le importazioni e, visto che la Turchia non è un Paese indipendente dalle materie prime, la situazione delle finanze potrebbe deteriorarsi rapidamente. In effetti, si sta accumulando deficit delle partite correnti, che rende il Paese vulnerabile a shock esterni.

Il governo turco è, però, deciso a sostenere l’economia interna, anche a costo di forzare la Banca Centrale Turca a mantenere al minimo i tassi di interesse, indipendentemente dal 12% dell’inflazione, dalla svalutazione dell’8% della lira turca e dall’aumento dei tassi di interesse sul debito pubblico. Si potrebbe dire che il problema della Turchia risieda nella sua valuta, e ancora una volta non è un caso che nei giorni scorsi Erdogan abbia dichiarato che in futuro Ankara rinuncerà a utilizzare il dollaro come valuta di riferimento. E, a quanto pare, non sarebbe da sola in questo passo.

voluzione, che potrebbe avere pesanti conseguenze sull’economia mondiale - essendo il dollaro il principale riferimento del sistema valutario internazionale. Questo risultato appare, comunque, condizionato al perseguimento dell’agenda strategica del triumvirato russo-turco-iraniano, incentrata sulla pace in Siria e sulla ridefinizione degli equilibri regionali. C’è ancora un ultimo azzardo nel ‘casinò sultanale’: la decisione improvvisa, maturata in questi ultimi giorni, di andare a elezioni anticipate. Erdogan ha, infatti, intenzione di giocare la carta elettorale per trovare la quadratura del cerchio politico-economico. Un grande successo elettorale, garantito dai successi economici di breve periodo, gli permetterebbe di sfruttare appieno la riforma costituzionale approvata l’anno scorso, la quale garantisce ampi poteri al Presidente, senza adeguati contrappesi politici.

Il ministro dell’Energia russo, Alexander Novak, ha infatti dichiarato che “c’è un’intesa comune sulla necessità di orientarsi verso l’uso di valute nazionali nei nostri insediamenti. [...] Questo riguarda sia la Turchia sia l’Iran e stiamo prendendo in considerazione la possibilità di pagare in valuta nazionale Poteri che garantirebbero a con loro”. Convergenza di inten- Erdogan maggiore autonomia ti confermata dalla presenza, in in politica internazionale, settimana, di Vladimir Putin permettendogli di agire più asad Ankara, ufficialmente a pre sertivamente sullo scottante siedere all’inizio dei lavori per scacchiere mediorientale e inla commessa da 20 miliardi di ternazionale. La sua sopravvieuro di Rosatom per la prima venza politica di lungo periodo, centrale nucleare turca. infatti, si basa sui successi a liSi tratterebbe di una vera ri- vello internazionale.

MSOI the Post • 17


ECONOMIA L’E-COMMERCE METTE IN CRISI LA GRANDE DISTRIBUZIONE ORGANIZZATA

Dopo i piccoli negozi, ora anche le grandi catene avvertono la perdita di clienti e giro d’affari

Di Giacomo Robasto Il declino della grande distribuzione organizzata, che soltanto qualche mese fa non aveva ancora conquistato le prime pagine dei quotidiani, è un tema che oggi viene almeno in parte affrontato dall’opinione pubblica e analizzato da più parti. In effetti, i conti delle singole catene che operano nel settore non evidenziano quasi mai numeri clamorosi. Tuttavia, se messe insieme, le ristrutturazioni, le chiusure e i licenziamenti testimoniano la crisi in atto nel settore del commercio al dettaglio. È ormai evidente che i colossi delle vendite online, tra i quali spiccano Amazon e Alibaba, mettono in grave in crisi anche la grande distribuzione organizzata (GDO), la cui affermazione, a sua volta, determinò il fallimento di molti piccoli negozi di quartiere già molto tempo fa. Secondo le ultime stime dell’ISTAT, il mercato italiano dell’elettronica di consumo (grandi e piccoli elettrodomestici, telefonia) vale circa 14 miliardi di euro l’anno, di cui 10 si concentrano intorno alle grandi catene. Il resto è diviso tra GDO non specializzata (Carrefour, 18 • MSOI the Post

Auchan, Ikea ed Esselunga) e piccoli negozi, mentre solo una piccola parte, meno del 10% del totale, spetta ad Amazon, la cui crescita è però prevista in forte rialzo. Le prime ad avvertire la crisi sono state proprio le catene specializzate nella vendita di elettrodomestici e beni di elettronica di consumo. I nomi di Trony, Euronics e MediaWorld sono solo tre, i cui numeri sono però sufficienti a mostrare con chiarezza la sofferenza dell’intero comparto. Da settembre del 2017, infatti, la catena Trony ha chiuso ben 43 punti vendita su tutto il territorio nazionale, con il conseguente licenziamento di oltre 500 dipendenti in attesa di ricollocamento. Ad oggi, è stata presentata una manifestazione di interesse all’acquisto da altri gruppi minori soltanto per 8 negozi, mentre non si sa ancora nulla sul destino sugli altri punti vendita già chiusi. Mediamarket, azienda proprietaria del marchio MediaWorld, è anch’essa vicina alla chiusura di oltre 12 punti vendita, nonostante il profondo riassetto aziendale che solo due anni fa ha portato alla soppressione del marchio Saturn, ideata per incrementare vendite e ricavi puntando solo

sul marchio MediaWorld. Un discorso simile - o del tutto analogo vale purtroppo anche per decine di altre aziende operanti nella grande distribuzione alimentare e non, da Auchan a Mercatone Uno, da Carrefour a Conforama. Se la crisi del settore affonda le radici in primo luogo nel progresso tecnologico, che ha portato all’avvento e alla successiva crescita del commercio online, una concausa è senz’altro rappresentata dalla visione strategica poco lungimirante del settore in Italia. Mentre in altri Paesi europei vi sono due o tre attori che controllano il mercato, in Italia è ancora presente un approccio improntato sulla piccola-media impresa: i grandi marchi dell’elettronica sono spesso gruppi di acquisto che gestiscono aziende locali. Talvolta, si tratta di famiglie che hanno investito negli anni del boom economico e che operano ancora oggi. In un simile contesto, pare inevitabile un profondo consolidamento del settore, che si preannuncia inevitabile se le aziende intendono puntare sulla competitività in un mercato sempre più globale e attento alle esigenze del consumatore, anche nella fase di acquisto dei beni.


DIRITTO INTERNAZIONALE ED EUROPEO CEDU: L’ENTRATA IN VIGORE DEL PROTOCOLLO n. 16

Dopo attese e rimandi, la decima ratifica è arrivata. Quali saranno le conseguenze?

Di Pierre Clément Mingozzi “Protocole du dialogue”. Con queste parole il Presidente della Corte di Strasburgo, Dean Spielmann, ha definito, durante la 123ma sessione del Comitato dei Ministri, il Protocollo n. 16 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. Tuttavia, pur avendo una così promettete descrizione, il Protocollo ha dovuto attendere cinque lunghi l anni affinché i numero minimo di ratifiche – necessario alla sua effettiva entrata in vigore – fosse raggiunto. Traguardo, questo, giunto il 12 aprile scorso, quando la Francia ha anch’essa finalmente ratificato il documento aggiungendosi ad altri Stati quali: Albania, Armenia, Estonia, Finlandia, Georgia, Lituania, San Marino, Slovenia e Ucraina. È un passo estremamente importante per la Convenzione EDU. Come evidenziato dallo stesso presidente Raimondi, “The entry into force of Protocol No. 16 will strengthen dialogue between the European Convention on Human Rights and the national higher courts. This is a milestone in the history of the European Convention on Human Rights and a major step forward in human rights protection in

Europe, as well as being a fresh challenge for our Court”. Infatti, avendo forti sembianze con il rinvio pregiudiziale previsto dal sistema della Corte di Giustizia dell’UE (art. 267 TFUE), questo Protocollo punta ad instaurare un meccanismo di dialogo fra le Corti implementando, di fatto, il principio di sussidiarietà, elemento cardine dei Protocolli n. 15 e 16. Nello specifico, il testo del Protocollo (composto da 11 articoli) prevede la possibilità per le Corti supreme di uno Stato membro della Convenzione EDU di sospendere il procedimento interno per chiedere alla Grande Camera l’interpretazione di una norma convenzionale o dei relativi Protocolli. In questo modo, dunque, la Corte potrà adottare pareri consultivi e non vincolanti su questioni di principio promuovendo così l’interazione tra i giudici nazionali e la Corte europea. Superando l’approccio fino ad oggi dominante – caratterizzato da un forte sbilanciamento verso l’ambito contenzioso piuttosto che consultivo –, e rafforzando il processo di costituzionalizzazione che la vede protagonista, la Corte entra così in una nuova fase del suo percorso giuridico. Ricalcando il modello in uso nella maggior parte delle Corti costituzionali, la Corte europea

sarà chiamata a pronunciarsi sull’interpretazione di un numero crescente di questioni di principio o generali, non limitandosi più solo alla risoluzione del singolo caso.

Tuttavia, l’entrata in vigore di tale protocollo non è priva d’incognite. Tutt’altro. Secondo alcuni osservatori ciò determinerà un aumento immediato e significativo del carico di lavoro per i giudici di Strasburgo, aggravando così la mole dei procedimenti pendenti. Nel lungo periodo, però, questo problema dovrebbe risolversi. L’instaurarsi di un circolo virtuoso di indicazioni e pareri rilasciati direttamente agli Stati, pur senza alcun valore vincolante, porterebbe ad influenzare positivamente le condotte di quest’ultimi e, dunque, prevenire futuri ricorsi. È chiaro, invece, che il Protocollo non avrà effetti su un’altra problematica del sistema Convenzionale: la gestione dei ricorsi ripetitivi. Pur se molti tentavi sono stati fatti, ad oggi la maniera di risolvere questa criticità alla radice non è stata trovata. In conclusione, si dovrà attendere affinché la portata del Pro tocollo n. 16 possa venire pienamente definita. La aspettative, come le attese, sono grandi. MSOI the Post • 19


DIRITTO INTERNAZIONALE ED EUROPEO IL BILANCIO DELL’UE POST 2020

È partito il negoziato per il bilancio finanziario dell’UE, tra vecchie sfide e nuove prospettive

Di Federica Sanna

altrettanto ambiziose.

“Traduciamo in cifre il nostro futuro”: così il presidente del Parlamento Europeo Junker apre ai difficili mesi di negoziati che precedono l’approvazione del quadro finanziario europeo per il periodo 2021-2027. Lo strumento del bilancio finanziario, da definizione, stabilisce i limiti dei bilanci generali annuali dell’UE, determinando gli importi complessivi e gli importi relativi ai diversi settori dell’attività dell’Unione, che le istituzioni utilizzeranno ogni volta che assumeranno impegni giuridicamente vincolanti.

Da un lato, esiste l’annoso problema della scarsità di risorse, dal quale deriva la necessità di effettuare tagli o reperire nuove forme di finanziamento. La situazione attuale è resa ancora più complicata dalla questione Brexit: l’uscita dell’UK provocherà un buco finanziario di circa 12/13 miliardi di euro. I primi scenari possibili, ipotizzati dalla Commissione, prevedono un taglio netto ai fondi per le due principali fonti di spesa: l’agricoltura (che rappresenta il 37% del bilancio) e la politica di coesione (finanziata dal 35% del bilancio). D’altra parte, il taglio dei fondi ha l’obiettivo di concentrare le risorse nelle materie identificate come le nuove priorità europee: tra queste, in particolare la tutela dell’ambiente e del clima, la protezione delle frontiere esterne, il sostegno all’integrazione nel campo della difesa, il rafforzamento della trasformazione digitale e il supporto alla ricerca e all’innovazione.

Lo strumento è, in realtà, molto più di un semplice elenco di somme stanziate, perché è l’espressione finanziaria degli impegni politici che le istituzioni europee decidono di assumere come priorità. Ed è proprio per questa ragione che i negoziati sul bilancio pluriennale rappresentano un momento delicato per il futuro dell’Unione. Se lo scorso esercizio finanziario aveva l’obiettivo primario di contrastare gli anni di crisi economica dai quali uscivano la maggior parte degli Stati membri (sforzandosi, anche efficacemente, di compensare il calo degli investimenti nazionali), oggi i negoziatori si pongono sfide nuove ma 20 • MSOI the Post

Al fine di realizzare le sfide individuate, è necessario rivedere il meccanismo alla base del bilancio finanziario, tema sul quale si prevede una complicata discussione tra i rappresentanti dei diversi Stati

membri. La prima questione delicata riguarda le risorse nazionali: finché i contributi statali rappresentano la quota più significativa del bilancio europeo, i governi sono portati a negoziare sulla base del proprio interesse economico e non su un più generale sviluppo dell’Unione. Per questa ragione, infatti, da tempo si discute della possibilità di introdurre risorse proprie europee, che finanzino direttamente le attività comunitarie: una soluzione potrebbe essere l’introduzione della carbon tax oppure una tassa sui colossi web. Contestualmente, si rende necessario incrementare la flessibilità e la semplificazione del bilancio finanziario, per esempio tramite l’armonizzazione delle norme sui fondi europei in materia di aiuti di Stato, appalti pubblici e rimborso dei costi. La semplificazione e l’armonizzazione nel processo di approvazione del bilancio permetterebbero, infatti, di finanziare in tempo utile le politiche economiche e sociali europee, evitando inutili ritardi dati dalla mancanza di accordo tra i governi nazionali, che avrebbero l’unica conseguenza di lasciare i cittadini a corto di servizi.


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