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Il Settimanale di M.S.O.I. Torino
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MSOI Torino M.S.O.I. è un’associazione studentesca impegnata a promuovere la diffusione della cultura internazionalistica ed è diffuso a livello nazionale (Gorizia, Milano, Napoli, Roma e Torino). Nato nel 1949, il Movimento rappresenta la sezione giovanile ed universitaria della Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale (S.I.O.I.), persegue fini di formazione, ricerca e informazione nell’ambito dell’organizzazione e del diritto internazionale. M.S.O.I. è membro del World Forum of United Nations Associations Youth (WFUNA Youth), l’organo che rappresenta e coordina i movimenti giovanili delle Nazioni Unite. Ogni anno M.S.O.I. Torino organizza conferenze, tavole rotonde, workshop, seminari e viaggi studio volti a stimolare la discussione e lo scambio di idee nell’ambito della politica internazionale e del diritto. M.S.O.I. Torino costituisce perciò non solo un’opportunità unica per entrare in contatto con un ampio network di esperti, docenti e studenti, ma anche una straordinaria esperienza per condividere interessi e passioni e vivere l’università in maniera più attiva. Cecilia Nota, Segretario M.S.O.I. Torino
MSOI thePost MSOI thePost, il settimanale online di politica internazionale di M.S.O.I. Torino, si propone come un modulo d’informazione ideato, gestito ed al servizio degli studenti e offrire a chi è appassionato di affari internazionali e scrittura la possibilità di vedere pubblicati i propri articoli. La rivista nasce dalla volontà di creare una redazione appassionata dalla sfida dell’informazione, attenta ai principali temi dell’attualità. Aspiriamo ad avere come lettori coloro che credono che tutti i fatti debbano essere riportati senza filtri, eufemismi o sensazionalismi. La natura super partes del Movimento risulta riconoscibile nel mezzo di informazione che ne è l’espressione: MSOI thePost non è, infatti, un giornale affiliato ad una parte politica, espressione di una lobby o di un gruppo ristretto. Percorrere il solco tracciato da chi persegue un certo costume giornalistico di serietà e rigore, innovandolo con lo stile fresco di redattori giovani ed entusiasti, è la nostra ambizione. Jacopo Folco, Direttore MSOI thePost 2 • MSOI the Post
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N u m e r o
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REDAZIONE Direttore Editoriale Jacopo Folco Direttore Responsabile Davide Tedesco Vice Direttori Giusto Amedeo Boccheni, Pilar d’Alò Caporedattori Luca Bolzanin, Luca Imperatore, Pauline Rosa Capi Servizio Rebecca Barresi, Luca Bolzanin, Pierre Clement Mingozzi, Sarah Sabina Montaldo, Daniele Pennavaria, Leonardo Scanavino, Giulia Tempo, Martina Terraglia, Chiara Zaghi Media e Management Daniele Baldo, Guglielmo Fasana, Anna Filippucci, Vladimiro Labate, Jessica Prietto Redattori Erica Ambroggio, Elena Amici, Daniele Baldo, Lorenzo, Lorenzo Bazzano, Andrea Bertazzoni, Giusto Amedeo Boccheni, Luca Bolzanin, Davide Bonapersona, Maria Francesca Bottura, Adna Camdzic, Matteo Candelari, Claudia Cantone, Elena Carente, Emanuele Chieppa, Giuliana Cristauro, Lucky Dalena, Alessandro Dalpasso, Francesca Maria De Matteis, Luca De Santis, Ilaria Di Donato, Sofia Ercolessi, Simone Esposito, Guglielmo Fasana, Giulia Ficuciello, Alessandro Fornaroli, Lorenzo Gilardetti, Ann-Marlen Hoolt, Luca Imperatore, Michelangelo Inverso, Vladimiro Labate, Giulia Marzinotto, Simone Massarenti, Pierre Clement Mingozzi, Efrem Moiso, Chiara Montano, Sveva Morgigni, Virginia Orsili, Daniele Pennavaria, Ivana Pesic, Barbara Polin, Sara Ponza, Jessica Prieto, Carolina Quaranta, Giacomo Robasto, Daniele Reano, Jean-Marie Reure, Clarissa Rossetti, Michele Rosso, Martina Santi, Federico Sarri, Leonardo Scanavino, Martina Scarnato, Francesca Schellino, Federica Sanna, Stella Spatafora, Lola Ferrand Stanley, Giulia Tempo, Martina Terraglia, Elisa Todesco, Francesco Tosco, Tiziano Traversa, Leonardo Veneziani, Chiara Zaghi, Francesca Maria De Matteis, Elisa Zamuner. Editing Lorenzo Aprà, Adna Camdzic, Amandine Delclos Copertine Amandine Delclos, Carolina Elisabetta Zunigà Vuoi entrare a far parte della redazione? Scrivi una mail a thepost@msoitorino.org!
EUROPA 7 Giorni in 300 Parole BELGIO 23 febbraio. Si è tenuta a Bruxelles una riunione informale dei leader europei nella composizione a 27 (senza Theresa May) per discutere della nuova composizione del Parlamento dopo la Brexit e del bilancio pluriennale dell’Unione per il periodo successivo al 2020. 27 febbraio. La commissione Affari Economici del Parlamento europeo si è espressa favorevolmente alla nomina a vicepresidente della Banca centrale europea dell’attuale ministro dell’Economia spagnolo Luis de Guindos. Il Parlamento europeo in seduta plenaria si pronuncerà al riguardo a metà marzo. ITALIA 24 febbraio. In vista delle elezioni politiche 2018 del 4 marzo, cortei in molte città italiane da nord a sud contro razzismo e fascismo per contrastare l’avanzata dell’estrema destra. Momenti di tensione a Milano dove centinaia di militanti dei centri sociali hanno sfilato contro i cortei di Lega Nord e Casa Pound. LETTONIA 24 febbraio. Le autorità europee hanno deciso per la liquidazione della banca lettone ABLV in seguito allo scoppio dello scandalo per riciclaggio e concorso nel finanziamento del programma missilistico della Corea del Nord, in quanto secondo la Banca Centrale Europea l’istituto “stava fallendo o sarebbe probabilmente fallito”.
L’ORA DELLA VERITA’ PER I SOCIALDEMOCRATICI TEDESCHI Cresce l’attesa in vista del voto della base SPD sull’accordo di governo con la CDU
Di Matteo Candelari Domenica 4 marzo si preannuncia una data fondamentale per il futuro dell’Unione Europea. Oltre alle elezioni italiane, si terrà anche il referendum tra gli iscritti alla SPD per decidere se accettare o meno l’accordo di governo raggiunto tra l’ormai ex leader della SPD Martin Schulz e la Cancelliera Angela Merkel. Dopo oltre cinque mesi senza governo, il popolo tedesco attende impaziente questo voto che, in caso di esito positivo, significherebbe semaforo verde per la formazione del IV Governo Merkel. Tuttavia, convincere la base della SPD a dire sì ad altri quattro anni di Große Koalition è tutt’altro che una formalità. Consapevole di ciò, Martin Schulz ha dapprima deciso di rinunciare al Ministero degli Affari Esteri e successivamente si è dimesso dalla guida della SPD. All’interno del proprio partito, Schulz è stato molto criticato per la mancanza di credibilità a seguito delle continue giravolte riguardo un governo di larghe intese. Subito dopo i risultati delle elezioni di fine settembre, l’ex Presidente del Parlamento Europeo aveva negato ogni possibilità di riedizione di un governo di Grande Coalizione, affermando che la SPD si sarebbe seduta all’opposizione. Tuttavia, dopo il fallimento
delle trattative per arrivare a un governo tra CDU, Verdi e Liberali, Schulz ha dovuto rimangiarsi la parola data. Sono in particolar modo le sezioni giovanili della SPD a fare campagna contro il sostegno a un nuovo governo Merkel, ritenendo che il partito in questi anni si sia spostato troppo a destra, perdendo il consenso della classe operaia. Dall’altra parte, i sostenitori della Grande Coalizione ribattono che questa volta i socialdemocratici sono riusciti a ottenere parecchie concessioni dalla Merkel, prima fra tutte l’ambito Ministero delle Finanze. Inoltre, rigettare l’accordo significherebbe un ritorno alle urne, cosa che potrebbe ulteriormente indebolire la forza della SPD. Secondo gli ultimi sondaggi i socialdemocratici non sarebbero neanche più il secondo partito, scavalcati dagli euroscettici dell’AfD. In Europa circola un velato ottimismo sull’esito positivo del voto di domenica. Il presidente della Commissione europea Juncker si è detto fiducioso, mentre il presidente frnacese Macron e quello italiano Gentiloni si sono augurati che i socialdemocratici facciano la scelta giusta, in modo da dare un governo stabile alla Germania che le permetta di essere protagonista nel futuro dell’Europa.
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EUROPA POLONIA 24 febbraio. Dopo le tensioni con Israele, la Polonia ha temporaneamente “congelato” la controversa legge approvata dalla maggioranza di governo nazional conservatrice che punisce chiunque attribuisca alla nazione polacca corresponsabilità nell’Olocausto. REGNO UNITO 28 febbraio. In un protocollo separato dalla bozza dell’accordo raggiunto tra Gran Bretagna e UE, Bruxelles propone la permanenza dell’Irlanda del Nord nell’unione doganale per preservare la libera circolazione e la supervisione della Corte di giustizia dell’Unione Europea. Per Theresa May la proposta UE è inaccettabile perché “violerebbe l’integrità costituzionale”. SLOVACCHIA 26 febbraio. Il giornalista investigativo Jan Kuciak è stato ucciso insieme alla sua compagna nella sua abitazione. Secondo il sito Aktuality, per il quale egli lavorava, sarebbe stata la ‘ndrangheta per un’inchiesta condotta dal giornalista sulla gestione poco trasparente di fondi europei con persone vicine al gabinetto del Primo Ministro.
SPAGNA 25 febbraio. Scontri a Barcellona tra gli indipendentisti catalani e i Mossos d’Esquadra, la polizia locale, in occasione della visita di re Felipe VI per l’inaugurazione del Mobile World Congress al Palau de la Musica. Il bilancio è di 19 feriti. A cura di Giuliana Cristauro 4 • MSOI the Post
BILANCIO POST-BREXIT ED ELEZIONE DEL PRESIDENTE DELA COMMISSIONE Questioni crucialiall’ultimo vertice dei 27 capi di Stato e di Governo europei
Di Alessio Vernetti Il summit informale che venerdì 23 febbraio ha riunito a Bruxelles 27 capi di Stato e di Governo dell’Unione Europea – assente, causa Brexit, Theresa May – ha portato importanti novità tanto sul fronte economico quanto su quello politico per il futuro dell’UE. Sul fronte economico, sono state gettate le basi per il bilancio 2021-2027, che Europarlamento e Consiglio Europeo dovranno approvare. Due le questioni chiave: sopperire all’ammanco di oltre 12 miliardi di euro annui causato dalla Brexit e decidere le modalità per destinare i fondi europei. Il presidente dell’Europarlamento Antonio Tajani ha difeso un budget centrato su occupazione, crescita, sicurezza e immigrazione. La spesa europea, pari a 158 miliardi di euro nel 2017, pesa solo per l’1% sul PIL dell’Unione Europea, e i Paesi nordici non intendono aumentare tale percentuale per far fronte all’imminente uscita di Londra. L’Est europeo, e in particolare il gruppo di Visegrád guidato dalla Polonia, si scaglia invece contro le proposte care a Italia, Francia e Germania di imporre delle condizioni all’erogazione dei fondi europei, vincolandoli al rispetto dei diritti e del patto
di stabilità. Per ridistribuire i finanziamenti, vi è anche sul tavolo una nuova revisione della politica agricola comune. Sul piano politico, la spinta di Macron per avere liste transnazionali alle elezioni europee del maggio 2019 è fallita, respinta a inizio febbraio dall’Europarlamento a causa di un voltafaccia del PPE. Il Presidente francese, non sapendo ancora dove siederanno i futuri eurodeputati del suo En Marche!, vuole evitare che venga ripetuto il meccanismo dello Spitzenkandidat, adottato nel 2014 con Juncker (prevede che il leader del partito vincente alle elezioni europee ottenga automaticamente la guida della Commissione). In linea con Macron, anche il presidente del Consiglio Europeo Tusk si oppone allo Spitzenkandidat poiché toglierebbe potere al Consiglio stesso. Juncker, invece, che ha dichiarato di non volersi ricandidare alla presidenza della Commissione per un secondo mandato, ne sostiene con forza la potenzialità democratica. Infine, sui 73 seggi lasciati vacanti dai britannici resta la proposta dell’Europarlamento di redistribuirne 27 a 14 Stati membri per un riequilibrio demografico e di lasciarne 46 per futuri allargamenti.
NORD AMERICA 7 Giorni in 300 Parole STATI UNITI 26 febbraio. Durante una conferenza al Massachusetts Institute of Technology (MIT), il cui contenuto sarebbe dovuto rimanere confidenziale, l’ex presidente Obama ha accusato l’amministrazione attuale di “creare scandali che ricadono su tutti noi”. Ha in seguito ribadito che, anche se durante gli anni dei suoi due mandati ci sono stati dei problemi, “nulla è stato di questa portata”. 26 febbraio. Dopo lo Stato dell’Unione si iniziano a delineare le prime mosse in vista della prossima campagna elettorale che eleggerà il 46° Presidente degli Stati Uniti. Sul fronte Democratico le quote di Joe Kennedy III sembrano essere in netta ascesa (grazie soprattutto all’intervento fatto in risposta al Presidente). Per quanto riguarda invece il Partito Repubblicano sembra che non ci sarà una corsa alle primarie: il Presidente uscente ha infatti la possibilità di correre per un secondo mandato e Trump sembra intenzionato a sfruttarla. Brand Pascale è infatti stato nominato coordinatore della campagna elettorale per il 2020. Pascale è stato precedentemente la mente dietro la campagna sui social media dell’allora tycoon newyorkese nel 2016. 27 febbraio. Il livello di accesso a file e documenti riservati accordato a Jared Kushner, advisor e genero di Donald Trump, è stato limitato. Questo dovrebbe limitare, di conseguenza, l’influenza che egli ha all’interno dello staff. 27 febbraio. Il partito repubblicano ha chiesto al Presidente Trump di migliorare il NAFTA (North Atlantic Free Trade Agreement) che lega,
LA STRADA DELLA COOPERAZIONE
Il premier canadese Trudeau rinnova la centralità dei rapporti indo-canadesi
Di Erica Ambroggio Si è concluso il 24 febbraio l’itinerario indiano della durata di 7 giorni del Primo Ministro canadese. In particolare, Justin Trudeau è stato impegnato in numerosi incontri finalizzati a incrementare le relazioni bilaterali. Atterrato all’aeroporto di Nuova Delhi il 17 febbraio, il leader canadese ha preso parte ad una serie di incontri durante i quali sono stati analizzati gli investimenti effettuati sul territorio indiano e sono state elaborate nuove modalità di ampliamento delle partnership strategiche in corso.La natura delle relazioni indo-canadesi è stata spesso al centro delle dichiarazioni del premier Trudeau, il quale, durante il suo soggiorno, ha più volte menzionato la solidità dei reciproci rapporti sottolineando come commercio, finanza, energia e politica estera abbiamo rappresentato i principali canali nei quali sono state destinate le forze e le attenzioni congiunte. “Nell’anno 2016, gli scambi commerciali India-Canada hanno raggiunto il valore di 8 miliardi di dollari”, ha dichiarato Trudeau, definendo fondamentale il consistente apporto canadese allo sviluppo energetico e infrastrutturale indiano. La necessità di proseguire nella cooperazione e nel rafforzamento dei reciproci legami ha rappresentato
il motore trainante dei principali appuntamenti della settimana. Una posizione espressa chiaramente al termine dell’atteso incontro tra Justin Trudeau e il primo ministro indiano Narendra Modi; fruttuosa occasione di confronto svoltasi, tuttavia, quasi al termine della permanenza del Premier canadese. I due leader hanno annunciato il loro impegno in nuove attività di investimento tra le quali spiccano i campi dell’educazione, degli scambi commerciali e della lotta per la parità di genere. “L’India offre interessanti opportunità per le imprese canades. Le partnership annunciate oggi sono ulteriori prove del forte legame tra i nostri due Paesi”. Con queste parole il ministro Trudeau conferma la volontà di percorrere la strada della cooperazione e dello sviluppo commerciale. Investimenti aggiuntivi saranno destinati, invece, alle strategie di empowerment femminile e alle ricerche per uno sviluppo sostenibile. Tra le ulteriori priorità di inserite nei sei memorandum d’intesa figurano numerosi impegni riguardanti sicurezza e azioni congiunte per la lotta al terrorismo. Inoltre, i due leader si sono impegnati reciprocamente nella “lotta al cambiamento climatico, nella difesa degli oceani e nella ricerca di fonti energetiche rinnovabili”, ha dichiarato il Primo Ministro canadese.
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NORD AMERICA oltre agli Stati Uniti, Canada e Messico. Il GOP non condivide la volontà di aumentare le tariffe e obbligazioni più stringenti che sarebbe in corso di studio da parte dello staff presidenziale. 28 febbraio. Una delle collaboratrici di più lunga data del Presidente Trump, Hope Hicks, ha dato le dimissioni. A pesare sulla scelta sarebbe stato un violento litigio che i due avrebbero avuto perché la Hicks avrebbe detto delle “white lies” durante la sua audizione davanti alla commissione che sta indagando sulle ipotetiche influenze russe durante le ultime elezioni.
CANADA 1° marzo. Secondo quanto riportato dal Financial Post gli investimenti stranieri diretti in Canada hanno raggiunto un record negativo nel 2017. Si tratterebbe di un segno negativo del 26% (pari a 33.8 miliardi di dollari). Il fenomeno solleva delle perplessità sul futuro del NAFTA, oltre a creare notevole imbarazzo nel governo liberale di Justin Trudeau, che aveva enfatizzato in campagna elettorale il fatto che si sarebbe impegnato ad attrarre crescenti capitali stranieri nel Paese. A cura di Alessandro Dalpasso 6 • MSOI the Post
MAN DOWN: GLI USA COLPITI DA UNA NUOVA SPARATORIA
Tuona la voce degli americani che non vogliono più il silenzio
Di Martina Santi Il 14 febbraio scorso, in Florida, 17 persone, tra studenti e insegnanti hanno perso la vita, dopo che un diciannovenne affetto da disturbi mentali si è introdotto nel liceo da cui era stato allontanato e ha compiuto un massacro. Sebbene il fatto non costituisca un evento isolato negli USA, la società statunitense è ancora fortemente divisa circa la legge sulla liberalizzazione delle armi. Un primo passo era stato fatto dall’amministrazione Obama, a seguito della tragica sparatoria alla Sandy Hook Elementary School, in cui 20 bambini e 6 insegnanti persero la vita per mano di uno studente. Dopo quei fatti, l’allora Presidente emanò un decreto che obbligava la Social Security Administration di segnalare al FBI i soggetti affetti da disabilità mentale e di impedire a costoro di possedere armi. La normativa è stata, tuttavia, abolita dall’attuale presidente Trump. Ma la risposta della società ai fatti avvenuti in Florida, questa volta, è stata dura e le reazioni immediate. Due sono i fronti su cui si sta sviluppando la protesta: i giovani studenti di Parkland (Florida) e l’alta società imprenditoriale, mobilitatasi in favore del primo
gruppo. Dopo aver protestato davanti al Parlamento della Florida (dove, a pochi giorni dalla strage, è stata respinta una mozione contro la vendita dei fucili d’assalto) studentesse e studenti hanno, infatti, occupato Pennsylvania Avenue con cartelli e striscioni di protesta. L’hashtag #Neveragain è diventato lo slogan simbolo della mobilitazione giovanile, volto a sensibilizzare la società statunitense. Una seconda etichetta virtuale sta, però, agendo da cassa di risonanza: quella promossa su Twitter da numerose aziende e società statunitensi. Compagnie aeree, società di assicurazioni, catene di alberghi hanno infatti lanciato l’hashtag #boycottNRA, contro la National Rifle Association (l’organizzazione americana che tutela il diritto di armarsi), prendendo misure che non favoriranno più i suoi soci. Sul piano politico, sebbene la percentuale dei Repubblicani favorevoli a maggiori controlli sulle armi sia in crescita (come rivela un sondaggio della CBS Poll), la classe dirigente statunitense appare ancora troppo scettica e restia al cambiamento; fatto che trova maggiore spiegazione se si tiene conto che la NRA finanzia molte delle campagne elettorali statunitensi.
MEDIO ORIENTE 7 Giorni in 300 Parole ARABIA SAUDITA 26 febbraio. Alle donne verrà permesso di arruolarsi, ma non di partecipare ad azioni belliche. 28 febbraio. Visita del primo ministro libanese Hariri, la prima da quando a Riad aveva annunciato le sue dimissioni, ritirate due settimane dopo. EGITTO 28 febbraio. Amnesty International denuncia l’uso di bombe a grappolo – bandite dall’uso bellico – da parte dell’esercito egiziano nel Sinai nella lotta a Daesh. GIORDANIA 25 febbraio. Secondo un report UNICEF, l’85% dei bambini rifugiati siriani è povero. Il 38% non frequenta la scuola. LIBANO 28 febbraio. Hezbollah divulga il videogame La Sacra Difesa, ispirato alla lotta contro Daesh.
PALESTINA 25 febbraio. Le Chiese cristiane di Gerusalemme chiudono il Santo Sepolcro in segno di protesta contro la legge discussa alla Knesset per espropriare i terreni delle chiese ed imporre tasse municipali. 27 febbraio. La Knesset congela la legge sulle proprietà della Chiesa; sospesa la richiesta di tasse che aveva portato alla
IL MERCOLEDÌ BIANCO: LOTTA PER LA LIBERTÀ D’ESPRESSIONE
Dopo 40 anni l’Iran insorge silenziosamente contro le regole sull’abbigliamento femminile
Di Maria Francesca Bottura Correva l’anno 1979 quando la Rivoluzione Islamica cambiò radicalmente l’Iran, non solo dal punto di vista politico, ma anche sociale. In particolare, questo cambiamento riguardò anche il codice di abbigliamento femminile, a seguito dell’introduzione di una Costituzione ispirata alla legge coranica, la Sharia. Da abiti decisamente occidentali e una società che lasciava alle donne la libertà di scegliere come vestirsi, permessa dal regime di Reza Pahlavi, a muri di stoffa imposti dai nuovi detentori del potere. La fine degli anni ’70 segnò per il Paese un grande cambiamento, che diminuì ulteriormente la libertà di espressione dei cittadini, senza distinzione di sesso. Molte fotografie e documenti vennero infatti distrutti, come a voler cancellare un passato troppo “libertino”. Oggi, a distanza di quasi 40 anni, la situazione è tale da portare alcuni cittadini ad insorgere e protestare contro un’imposizione ritenuta ingiusta: quella per le donne di indossare il tradizionale copricapo islamico, l’hijab e abiti ampi e lunghi. Un abbigliamento che impedisce alle donne di scegliere come esprimersi. La protesta è stata soprannominata “Il Mercoledì Bianco” (bianco come i veli
sventolati dai manifestanti) e nei giorni scorsi è apparsa sul web, diventando virale, con lo scopo di porre un riflettore sulla difficile situazione in Iran. A far partire la campagna è stata una ragazza, Vida Mavahed, conosciuta anche come “la ragazza di via della Rivoluzione”, arrestata per le proteste il dicembre scorso e rilasciata poco dopo grazie all’intervento dell’avvocato e attivista per i diritti umani Nasrin Sotoudeh. Un gesto di grandissimo impatto: 29 le persone arrestate finora per essersi alzate in piedi e aver sventolato un velo legato a un bastone o a un ramo. Una protesta silenziosa, che non ha bisogno di spiegazioni, spesso applaudita dai passanti. L’accusa, secondo quanto riportato dalle agenzie Fars, Ilna e Tasmin, riprendendo il comunicato della polizia locale, è di turbamento dell’ordine sociale. Paura e coraggio combattono in queste persone, non solo donne, che per pochi minuti di protesta contro un governo che impedisce alle cittadine una scelta tanto personale, sono state arrestate. Non si è fatta attendere la risposta di solidarietà internazionale, soprattutto attraverso i social. Ora il mondo conosce il coraggio di questi cittadini che, in nome della libertà di espressione per tutte le donne del Paese, stanno rischiando di perdere la loro libertà individuale.
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MEDIO ORIENTE chiusura del Santo Sepolcro.
LE TRUPPE DI ASSAD ARRIVANO AD AFRIN Ma quali conseguenze per i curdi?
28 febbraio. Riapre il Santo Sepolcro. SIRIA 24 febbraio. Il Consiglio di Sicurezza ONU approva una tregua umanitaria in Siria per almeno 30 giorni. 25 febbraio. La Turchia non considererà Afrin parte della tregua decisa dal Consiglio di Sicurezza ONU. 26 febbraio. Il ministro della Difesa russo Shoigu annuncia l’inizio, a partire del 27 febbraio, di pause umanitarie giornaliere nel Goutha, per permettere ai civili di abbandonare l’area. 26 febbraio. Forze speciali turche entrano ad Afrin. 27 febbraio. L’Osservatorio Nazionale per i Diritti Umani (ONDUS) denuncia la violazione da parte dell’esercito governativo in Goutha della tregua ordinata da Putin. Uccisi 2 civili. 27 febbraio. BBC rivela nuovi orrori: donne siriane sarebbero state abusate da personale ONU e di altre ONG in cambio di aiuti umanitari. Secondo la cooperante Danielle Spencer, ONU e ONG erano a conoscenza degli abusi subiti dalle donne da 7 anni, ma i fatti sono stati “volutamente ignorati”.
YEMEN 24 febbraio. Attacco kamikaze rivendicato dal sedicente Stato Islamico ad Aden; 5 morti. A cura di Martina Terraglia 8 • MSOI the Post
Di Martina Scarnato Mentre i bombardamenti sulla Goutha orientale proseguivano senza sosta, il 22 febbraio le milizie fedeli al regime di Bashar al-Assad sono arrivate ad Afrin, uno dei tre cantoni facenti parte della regione autonoma del Rojava, nella Siria settentrionale, con lo scopo di contrastare l’offensiva turca. Lo scorso 20 gennaio, infatti, Ankara, con il sostegno dell’Esercito Libero Siriano, aveva dato il via all’operazione Olive Branch (Ramoscello d’Ulivo) con lo scopo di conquistare Afrin, nelle mani delle milizie curde dell’Unità di protezione popolare (YPG). L’entrata delle milizie filogovernative ad Afrin sarebbe stato possibile grazie ad un previo accordo tra le milizie curde e il governo siriano, sostenuto dall’Iran e dalla Russia. Secondo quanto riportato dal Middle East Eye, quest’ultima potrebbe aver lasciato che la Turchia attaccasse Afrin per permettere alle milizie di Assad di riprendere il controllo del territorio in mano alle YPG, alleate degli Stati Uniti. In ogni caso non vi sono conferme in tal senso. L’accordo, considerato insolito visto che in passato vi sono stati episodi di scontro tra le due parti, prevedrebbe una no fly zone sopra Afrin e permetterebbe all’esercito siriano di avere una
propria base sul territorio. Senza dubbio i recenti avvenimenti avranno delle ripercussioni sulle relazioni tra i grandi attori internazionali presenti sul campo di battaglia siriano, in primis tra Russia, Turchia e Stati Uniti. Ci si interroga su quali potrebbero essere le possibili conseguenze per i curdi: da una parte, secondo Sihanok Dibo, un consigliere delle PYD (Partito dell’Unione Democratica), braccio politico delle YPG, al termine della guerra il governo siriano non avrà modo di riprendere il controllo dell’enclave dichiaratosi autonoma nel 2013. I curdi, inoltre, avrebbero anche rifiutato una proposta russa che prevedeva la cessione di Afrin a Damasco. Dall’altra parte, però, nonostante il governo siriano si sia dichiarato favorevole ad un accordo di lungo termine con i curdi, il presidente siriano Assad ha affermato di “rivolere indietro tutto il paese”, facendo presagire di non essere intenzionato a restituire ai curdi la loro autonomia. Ancora una volta risulta dif ficile prevedere a che cosa potrà portare questa insolita alleanza e quali conseguenze potranno esserci per il popolo curdo. L’unica certezza, per ora, è che il conflitto siriano continui.
RUSSIA E BALCANI 7 Giorni in 300 Parole
GIORNALISTA UCCISO IN SLOVACCHIA
KOSOVO 28 febbraio. L’Assemblea del Kosovo ha dovuto rimandare per la seconda volta il voto sulla ratifica del controverso accordo sui confini siglato con il Montenegro nell’agosto 2015, perché il governo non è riuscito a trovare i numeri necessari. L’accordo sui confini tra i due Paesi è necessario al Kosovo per procedere nel percorso di liberalizzazione dei visti con l’Unione Europea.
all’inchiesta che stava seguendo
MACEDONIA 27 febbraio. Circa 10.000 manifestanti si sono ritrovati martedì sera nella capitale Skopje per protestare contro il possibile compromesso con la Grecia sul nome del Paese. La manifestazione, organizzata dal movimento pan-macedone di destra United Macedonian Diaspora, era rivolta contro i colloqui, sponsorizzati dalle Nazioni Unite, tra Grecia e Macedonia per il cambiamento del nome di quest’ultima, in comune con una regione greca. Questa querelle ha impedito negli anni alla Macedonia di fare il suo ingresso nella NATO e nell’Unione Europea a causa del continuo veto greco. MOLDAVIA 23 febbraio. La Moldavia è intenzionata ad avviare una causa nei confronti della Russia presso la Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja. L’obiettivo è quello di chiedere un risarcimento per i danni provocati dalle truppe russe che sono presenti nella regione separatista della Transnistria da 25 anni. Lo ha annunciato giovedì notte il presidente del Parlamento moldavo Andrian Candu. RUSSIA 25 febbraio. Circa 7.600 persone
Gli inquirenti: omicidio forse correlato
Di Amedeo Amoretti Domenica 25 febbraio 2018, il giornalista investigativo Jan Kuciak e la sua fidanzata Marina Kusnirova sono stati trovati morti nel loro appartamento di Velka Maca, a pochi chilometri da Bratislava. Secondo i referti della polizia, la coppia sarebbe stata uccisa tra giovedì e domenica. Il procuratore generale, Tibor Gaspar, ha affermato che il movente dell’omicidio potrebbe essere correlato alla sua professione e alle indagini che lo stesso Kuciak stava conducendo. Il primo ministro Robert Fico ha ribadito che, dovesse tale versione essere confermata, il caso costituirebbe “un inaudito attacco alla libertà di stampa e alla democrazia in Slovacchia”. Fico ha urgentemente convocato un incontro con il ministro degli Interni Robert Kalinak, il Procuratore Generale e il Capo dell’intelligence. Kuciak lavorava per il sito di notizie Aktuality.sk e con il suo ultimo articolo aveva denunciato alcune operazioni poco chiare del businessman Marian Kocner, il quale aveva già minacciato il giornalista nell’ottobre scorso. Recentemente stava inoltre
indagando un possibile abuso di fondi europei destinati alla Slovacchia orientale guidato dalla mafia italiana. Secondo le ricerche dell’ONG Reporters sans frontières, la Slovacchia si troverebbe al 17° posto per libertà di stampa; va però ricordato come alcuni funzionari slovacchi, tra cui il Primo Ministro, nel 2016 espressero il loro malcontento nel confronto di alcuni giornalisti investigativi, definendoli “sporche prostitute anti-slovacche , per aver portato allo scoperto la presunta corruzione nell’amministrazione Fico. Dopo l’omicidio della maltese Daphne Caruana Galizia, la morte di Jan Kuciak rappresenta il secondo caso nell’UE in pochi mesi in cui un reporter viene ucciso per la sua attività lavorativa. Il primo vicepresidente della Commissione Europea, Frans Timmermans, ha twittato “Nessuna democrazia può sopravvivere senza la libertà di stampa che è il motivo per cui i giornalisti meritano rispetto e protezione”. Anche il presidente del Parlamento Europeo, Antonio Tajani, è intervenuto condannando l’omicidio e chiedendo alle autorità locali di intervenire immediatamente affinché sia fatta giustizia. MSOI the Post • 9
RUSSIA E BALCANI hanno sfilato a Mosca in memoria di Boris Nemtsov, l’oppositore politico al regime di Putin ucciso tre anni fa. Al corteo erano presenti alcuni tra i principali leader dell’opposizione, tra cui Alexei Navalny, escluso dalla corsa alle presidenziali del prossimo marzo. Per la morte di Nemstov è stato condannato un ex-soldato in Cecenia, ma pesanti accuse sono state da subito rivolte al presidente Putin, che tuttavia non ha mai direttamente risposto ad esse.
28 febbraio. Il Comitato Olimpico Russo è stato reintegrato nel Comitato Olimpico Internazionale (CIO), da cui era stato escluso per via dello scandalo antidoping. Nei giorni precedenti, agli atleti russi che hanno partecipato ai Giochi invernali di Pyeongchang come neutrali, era stato impedito di sfilare sotto la bandiera del proprio Paese durante la cerimonia di chiusura a causa di due casi di atleti risultati positivi all’antidoping. TURKMENISTAN 23 febbraio. È stata lanciata la costruzione della sezione afghana del gasdotto TAPI, che dovrà collegare il Turkmenistan, Paese ricco di energia, al Pakistan e all’India attraverso l’Afghanistan. Il progetto ha un costo previsto di 8 miliardi di dollari e permetterà al Turkmenistan di trovare nuovi consumatori in Asia e rompere la sua dipendenza dalla Cina. A cura di Vladimiro Labate 10 • MSOI the Post
CHI DIRIGE L’OPPOSIZIONE IN RUSSIA?
La candidata dell’opposizione Sobchak strizza l’occhio al favorito
Di Andrea Bertazzoni Tra meno di due settimane, il 18 marzo, si terranno in Russia le elezioni presidenziali: il vincitore guiderà la Federazione Russa per i prossimi 6 anni. In occasione di queste elezioni, insieme al presidente in carica Vladimir Putin, correranno altri sette candidati. La più discussa e controversa tra questi è Ksenia Sobchak, unica donna a essersi candidata alle presidenziali negli ultimi 14 anni. Sobchak è una figura molto conosciuta ed è considerata una delle donne più influenti in tutta la Russia. Oltre ad aver fatto carriera nel mondo della televisione, è figlia di Anatoly Sobchak, primo sindaco di San Pietroburgo dopo il crollo dell’Unione Sovietica, del quale Putin era considerato l’eminenza grigia. Nonostante Sobchak si sia avvicinata all’opposizione, alcuni sostengono che la sua candidatura sia in realtà una farsa ben orchestrata dal Cremlino. La candidata aveva annunciato la sua decisione di candidarsi lo scorso ottobre, con un video in cui dichiarava: “Sono Ksenia Sobchak, ho 36 anni. Come ogni cittadino russo, ho il diritto di candidarmi a Presidente della Federazione e ho deciso di far valere questo mio diritto”, ripetendo spesso lo slogan
“Contro tutti”. Le sue scarse probabilità di successo e il suo populismo sono il motivo per cui viene spesso criticata; secondo i sondaggi, non potrebbe ambire ad ottenere più dell’1,5% dei voti. Sobchak è stata però discussa soprattutto per le sue dichiarazioni troppo morbide nei confronti di Putin. Il suo recente viaggio negli Stati Uniti a inizio febbraio è stato visto come un’operazione guidata dall’esecutivo. Il tentativo della candidata sarebbe quello di aprire un canale di comunicazione, negli ultimi tempi quasi totalmente chiuso. Parlando al pubblico statunitense, Sobchak ha smentito la possibilità di elezioni “non autentiche”, nonostante uno dei cavalli di battaglia sul suo sito fosse proprio la denuncia delle “elezioni falsificate del prossimo 18 marzo”. Presentandosi negli Stati Uniti, Sobchak ha tentato di legittimare le elezioni agli occhi dell’Occidente, ha criticato Putin e ha proposto un programma alternativo, nel quale è prevista l’adesione alla NATO e altri antichi obiettivi dei liberali russi. Sobchak rimane quindi un punto interrogativo nello schieramento di opposizione a Putin, che sembra stia lavorando per legittimarne l’elezione.
ORIENTE 7 Giorni in 300 Parole
LA “PRIMAVERA PASHTUN”
Nelle FATA partono le rivendicazioni per i diritti umani e politici
Di Micol Bertolini CAMBOGIA 1° marzo. Il governo cambogiano ha reagito in maniera aspra all’annuncio della Casa Bianca, in cui si comunicava la soppressione di alcuni programmi di aiuto da parte di USAID e US Army (duravano da 25 anni). Washington si è detta preoccupata per la democrazia in Cambogia; anche l’Unione Europea, il 26 febbraio, aveva comunicato l’intenzione di sanzionare il Paese per come l’esecutivo sfrutta a suo vantaggio il sistema giudiziario (il partito al potere da 32 anni ha sciolto il partito di opposizione a tre mesi dalle elezioni). CINA 25 febbraio. Il Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese ha proposto di rimuovere dalla Costituzione il limite di due mandati per il Presidente e il Vice Presidente della Repubblica Popolare Cinese. La proposta sarebbe ancora al vaglio del CC, ma ha dettato preoccupazione in occidente. Il limite dei due mandati fu proposto dal leader Deng Xiaoping, ideatore anche del concetto di Leadership Collettiva. COREA DEL NORD 27 febbraio. Lo scorso 25 febbraio, prima della cerimonia di chiusura dei Giochi Olimpici Invernali, il generale Kim Yongcho, capo della delegazione
Il 13 gennaio scorso, Naqibullah Mehsud, un giovane aspirante modello Pashtun, è stato ucciso a Karachi dalla polizia pakistana, dietro l’accusa – infondata – di militare con talebani e Daesh. La sua morte ha riportato a galla alcune tra le tante questioni spinose che interessano il Pakistan ancora oggi: la violenza incontrollata delle forze di polizia, la discriminazione della minoranza Pashtun, il problema del confine con l’Afghanistan e delle Aree tribali di amministrazione federale (FATA). Ai primi di febbraio, il malcontento dei Pashtun per il mancato rispetto dei loro diritti è sfociato in una “Lunga Marcia” fino alla capitale Islamabad e in un sit-in durato 10 giorni. Partita come un movimento sorto per chiedere giustizia per Mehsud, la “Primavera Pashtun” è servita in verità a esprimere rivendicazioni da tempo latenti. Gli abitanti delle FATA, zone a maggioranza Pashtun lungo la linea Durand, sul confine con l’Afghanistan, fissata nel 1893 dai britannici, denunciano l’inadeguatezza delle proprie condizioni di vita e la violazione dei loro diritti umani e politici. Già nel 2016, l’ONG Human Rights Watch condannava il Pakistan per le stesse ragioni, riportando casi di arresti e
uccisioni arbitrarie, tortura e abusi da parte del corpo di polizia, spesso pretestuosamente giustificate come misure antiterroristiche. Vittime di tali maltrattamenti sono anche i 2,7 milioni di rifugiati afghani presenti in Pakistan, le cui condizioni sembrano destinate a peggiorare a causa dell’inasprimento delle relazioni tra i due Paesi. Kabul e Islamabad nutrono da tempo dissapori reciproci, soprattutto relativamente alle zone di confine. La suddivisione del territorio avvenuta a tavolino in epoca coloniale comportò la spartizione della popolazione Pashtun tra i due Stati. Per tale motivo, oggi è diffusa l’idea per cui tali aree a maggioranza Pashtun debbano essere ricongiunte all’Afghanistan. Kabul, peraltro, ha preferito non riconoscere il confine. Forti tensioni tra i due Paesi derivano, inoltre, dalle accuse rivolte al Pakistan di aver dato rifugio a terroristi di AlQaeda e Talebani provenienti dall’Afghanistan, i quali sfruttano appunto la labilità del confine per entrare nello Stato Pakistano, specialmente nelle FATA. Dopo decenni come vittime di violenze perpetrate da terroristi e forze dell’ordine, i Pashtun stanno finalmente facendo sentire la propria voce contro un sistema da troppo tempo corrotto, violento e discriminatorio.
MSOI the Post • 11
ORIENTE nordcoreana giunta a PyeongChang, ha comunicato al presidente Moon Jae-in la disponibilità della Corea del Nord a tenere colloqui con gli Stati Uniti. Trump ha risposto positivamente, dichiarando che anche Washington è aperta al dialogo, seppure solo sotto le giuste condizioni. 27 febbraio. Secondo un report dell’ONU, la Corea del Nord avrebbe inviato materiale via nave in Siria, che potenzialmente potrebbe essere utilizzato per la produzione di armi chimiche. FILIPPINE 1° marzo. Il governo delle filippine ha lanciato un piano di sviluppo 2018-2022 per 154 miliardi di dollari; secondo le agenzie di stampa locali il piano prevede anche l’attivazione dell’unica centrale nucleare del Paese, costruita negli anni ‘80 e mai messa in funzione. GIAPPONE 22 febbraio.
Il
think
tank
americano Atlantic Council ha presentato a Tokyo la Strategia Indo-Pacifica Aperta e Libera (FOIP), che dovrebbe essere l’alternativa nappostatunitense alla serie di accordi che si risolvono nella cosiddetta “via della seta”, strategia in atto e in sviluppo da parte di Pechino. Secondo la stampa australiana, il progetto strategico di opposizione alla via della seta, coinvolgerebbe più attori, non solo il Giappone e gli Stati Uniti. A cura di Emanuele Chieppa 12 • MSOI the Post
LA LUNGA ERA DI JINPING
La Cina modifica la Costituzione: la “Nuova Era”inizia da Xi.
Di Tiziano Traversa Il 5 marzo, a Pechino, si aprirà il Congresso Nazionale del Popolo, durante il quale Xi Jinping sarà probabilmente rieletto Presidente. Tra i molti temi in agenda, spicca una riforma proposta dal Comitato Centrale del Partito Comunista, volta a rimuovere dalla Costituzione il vincolo del doppio mandato (articolo 79), che fino ad oggi limitava la durata in carica di Presidente della Repubblica a 10 anni consecutivi. La riforma, che secondo la stampa di Stato sarà vagliata senza difficoltà, farebbe della presidenza una carica potenzialmente vitalizia. La “Nuova Era” cinese, si potrebbe dire, inizia da Xi. È lui che ne ha tracciato l’architettura ed è, ora più che mai, chiaro che sarà lui l’uomo che ne accompagnerà lo sviluppo. Durante l’ultimo congresso del Partito Comunista, il Presidente aveva tracciato le linee del suo progetto per una Cina nuova. La dignità del suo pensiero “sul socialismo con caratteristiche cinesi per una Nuova Era” è ormai celebrata nella Costituzione del Partito, come per Mao Zedong e Deng Xiaoping. Il Presidente ha 64 anni. Figlio di un rivoluzionario della prima ora, ha scalato i vertici del partito con agilità. Demagogo, filosofo e pensatore raffinato, intransigente funzionario del Partito,XivuoleunaCinasempre
più rilevante nella realtà internazionale, socialista e moderna ereditiera della rivoluzione, ma anche capace di preservare le tradizioni comuniste e confuciane. Gli organi di comunicazione del governo tengono però a precisare che la riforma non mira a creare una carica “a vita”. Non si sforzano però di giustificarla altrimenti. Prolifera, invece, una retorica incentrata sulla necessità di aderire allo stato di diritto e alle leggi, volute dal popolo, raccolte dal Partito, custodite da Xi. Nel frattempo, la censura di Stato si è fatta più zelante che mai: dal 25 febbraio, i suoi dipendenti hanno lavorato giorno e notte. Vietate le allusioni ironiche, così come i commenti negativi sul riforma e Presidente. In Occidente, il mondo dell’informazione e dell’accademia ha accolto le novità con poca sorpresa. Xi ha sconfitto i suoi rivali politici e accentrato il potere nelle sue mani già da qualche tempo. La modifica costituzionale non sarebbe che il suggello di una svolta autoritaria – sempre che prima si potesse parlare di democrazia – che secondo alcuni non gioverà né al resto del mondo, alle prese con una Cina militarmente sempre più assertiva, né per la Cina stessa, che proprio negli anni del limite di mandato è stata capace di andare verso la prosperità.
AFRICA 7 Giorni in 300 Parole
FEDELI IN MARCIA CONTRO KABILA Le proteste antigovernative infiammano il Paese, le comunità religiose si schierano contro il regime
Di Federica De Lollis BENIN Il 21 febbraio il Consiglio dei Ministri, guidato dal presidente Patrice Talon ha abolito la pena di morte attraverso un decreto presidenziale. Nel comunicato ufficiale il governo ha sottolineato come il Paese abbia intrapreso importanti provvedimenti in questo ambito già dal 2016, quando una sentenza della Corte costituzionale aveva abolito una serie di norme del codice penale. GIBUTI Le elezioni legislative che si sono tenute a Gibuti venerdì 23 febbraio 2018, hanno portato alla vittoria l’Unione per la Maggioranza Presidenziale (UMP), il partito di cui fa parte l’attuale presidente Ismail Omar Guelleh, al potere dal 1999. Il ministro dell’Interno Moumin Ahmed Cheick ha confermato una vittoria schiacciante dell’UMP, anche se ancora non sono stati pubblicati i risultati ufficiali. MOZAMBICO Il 21 febbraio 2018, la Banca Africana dello Sviluppo ed il governo del Mozambico hanno siglato un accordo di finanziamento per un totale di 29 milioni di dollari. L’intervento, diviso in due tranche, servirà per attuare investimenti all’interno del settore agricolo, nelle infrastrutture e nel settore
La Repubblica Democratica del Congo sembra ancora lontana dalla stabilità politica. Domenica 25 febbraio si sono tenute manifestazioni in tutto il Paese contro il governo Kabila, organizzate dalle comunità cattoliche ed evangeliche. Come da prassi, il governo ha bloccato le strade, le linee telefoniche e l’accesso alla rete Internet. Anche questa volta, il tutto si è concluso in tragedia: una vittima e due feriti solo nella scorsa domenica, che si aggiungono agli altri 12 civili uccisi in altre marce anti-Kabila. Joseph Kabila è al governo dal 2001. Nel dicembre del 2016 ha firmato un accordo con il gruppo di opposizione che gli ha permesso di restare in carica dopo la scadenza del suo mandato, a condizione che fossero indette le elezioni per la fine del 2017. Queste, però, sono state rimandate al prossimo dicembre e non è escluso che possano ulteriormente slittare a causa delle difficoltà logistiche e finanziarie che affliggono il Paese. Dato lo sgretolamento delle forze di opposizione per via del controverso accordo e dell’esilio di alcuni esponenti, le uniche organizzazioni in grado di discostarsi dal raggio
di influenza del Presidente sarebbero le Chiese cattolica ed evangelica. Le forze dell’ordine hanno sempre represso le marce organizzate dalle comunità, talvolta anche impedendo le funzioni religiose. Nella Conferenza Episcopale straordinaria tenutasi dal 15 al 17 febbraio, i vescovi congolesi hanno espresso la loro profonda preoccupazione, sottolineando che lo schieramento della Chiesa non è meramente politico, ma legato alla salvaguardia della persona umana, al rispetto della vita, della libertà e dei diritti fondamentali, a fronte di una situazione interna che vede migliaia di civili perseguitati per esprimere la loro contrarietà al regime instaurato da Kabila. Non mancano, inoltre, le denunce per gli attacchi alle istituzioni clericali e per le diffamazioni contro il cardinale Laurent Monsengwo, arcivescovo di Kinshasa. Il Ministro degli Affari Internazionali del Botswana ha apertamente criticato l’operato di Kabila, incitando la comunità internazionale a mettere pressione sulla leadership della Repubblica Democratica del Congo. Anche l’Unione Europea, la Svizzera e il Canada hanno rilasciato una dichiarazione congiunta in tal senso.
MSOI the Post • 13
AFRICA educativo. SAHEL Il ministro della difesa francese ha riferito venerdì 23 febbraio che dall’inizio dell’operazione francese antiterrotismo Barkhane sono stati uccisi 450 estremisti-jihadisti. L’operazione è attiva dal 2014 nei Paesi dell’Africa sub-sahariana e lavora al fianco degli eserciti del G5 Sahel (Mauritania, Mali, Burkina Faso, Niger e Ciad). Solo pochi giorni prima due soldati francesi hanno perso la vita in Mali, a causa dell’accidentale urto con una mina.
SUD SUDAN La Commissione delle Nazioni Unite per i diritti umani in Sud Sudan ha identificato più di 40 iufficiali militar che potrebbero essere responsabili di crimini di guerra e crimini contro l’umanità; l’inchiesta è basata su testimonianze di centinaia di testimoni, immagini satellitari e quasi 60.000 documenti risalenti allo scoppio della guerra nel 2013. Secondo gli investigatori le violenze ai danni dei civili si sono compiute durante le 5 principali battaglie tra le truppe del governo e i ribelli, durante il 2016 e il 2017. A cura di Valentina Rizzo
14 • MSOI the Post
BRING BACK OUR GIRLS: BOKO HARAM RAPISCE 100 STUDENTESSE Presidente Buhari: “un disastro nazionale”. Dispiegamento forze aeree e terrestri per trovarle
Di Barbara Polin Dapchi, Stato di Yobe, Nigeria. Lunedì 19 febbraio il gruppo terroristico Boko Haram ha assaltato il Girls Science and Technical College, istituzione universitaria femminile. L’incertezza dei familiari si è tramutata in angoscia quando le prime rassicurazioni da parte delle autorità sono state smentite dall’effettiva irreperibilità di oltre 100 ragazze, viste salire su camionette guidate dai terroristi. La capacità eversiva di Boko Haram resta incontrastata, nonostante l’impegno militare interregionale e internazionale contro il gruppo prosegua dal 2014, anno dell’attacco a una scuola femminile a Chibok, nel Nord-Est della Nigeria. Le scuse ufficiali di Buhari ai familiari delle ragazze sono state seguite dal dispiegamento di forze aeree e terrestri che battessero i territori circostanti Dapchi. La situazione rimane fluida: secondo le notizie più recenti, le studentesse sarebbero state divise dai rapitori in due gruppi, l’uno diretto verso lo Stato nigeriano del Borno, l’altro nella direzione del Niger. I fatti di Dapchi si intrecciano a quelli di Chibok, divenuti noti a livello globale grazie al
movimento Bring Back Our Girls. Nonostante quest’ultimo abbia contribuito a stimolare la continuità dell’impegno di Abuja nella lotta al gruppo terroristico, gli attacchi di Boko Haram non sono cessati. Gli assalti alle scuole si inseriscono nell’ottica di una guerriglia continua che si pone l’obiettivo di estirpare l’educazione occidentale e di convertirne i discepoli, soprattutto quelli di sesso femminile. Secondo le testimonianze delle sopravvissute, questa missione viene perseguita tramite l’addestramento militare, l’istruzione coranica e le unioni matrimoniali forzate: un coinvolgimento che ha indotto la popolazione civile a nutrire dei sentimenti di ostilità nei confronti delle studentesse che riescono a fuggire dai campi di addestramento di Boko Haram. Boko Haram si presenta così come una piaga della Nigeria di Buhari, che rischia di minare la stabilità del Paese. Dal 2009 ad oggi, infatti, ha causato la morte di più di 9.000 persone, vittime di una lotta all’occidentalizzazione della Nigeria, che dal marzo 2015 è stata dichiarata dal gruppo stesso come in sintonia organizzativa e ideologica con il sedicente Stato Islamico.
AMERICA LATINA 7 Giorni in 300 Parole BRASILE 26 febbraio. Dopo la militarizzazione della città di Rio de Janeiro, in risposta alla crescente attività criminale, il Governo annuncia la formazione di uno speciale Ministero della Pubblica Sicurezza per organizzare la lotta al crimine. Sarà guidato dal ministro della Difesa Raul Jungmann. CILE 28 febbraio. Gabriel Boric, Camilla Vallejo, Carol Kariola and Giorgio Jackson, quattro tra i leader dei movimenti studenteschi di protesta del 2011 e attualmente eletti al Parlamento nazionale, inviano una lettera di supporto agli studenti della Marjory Stoneman Douglas high school, per manifestare il loro appoggio alla causa contro il possesso di armi negli Stati Uniti.
COLOMBIA 26 febbraio. ELN annuncia la sospensione delle operazioni militari nei giorni compresi tra il 9 e il 13 marzo, in occasione delle elezioni legislative. Un “cessate il fuoco” la cui motivazione, come si legge in un messaggio sul sito dell’organizzazione stessa, sarebbe la volontà di rispettare i cittadini colombiani che intendono esercitare i loro diritti democratici.
ABORTO NEL PARLAMENTO ARGENTINO GRAZIE A CAMPAGNA BOTTOM-UP
La decriminalizzazione dell’aborto affrontata per la prima volta
Di Elena Amici
La proposta, già presentata 7 volte a partire dal 2005, è arrivata in Parlamento per la prima volta, ma è improbabile che possa tradursi in legge a causa di una strutturale mancanza di voti, soprattutto in Senato. Si tratterebbe di un momento storico: il decreto permetterebbe l’aborto legale fino alle 14 settimane di gravidanza, una delle legislazioni più progressive in America Latina.
Fece scalpore, nel 2014, il caso di Belén, condannata a 8 anni per omicidio aggravato dopo un presunto aborto. Sempre nello stesso anno, un sondaggio del PEW Research Center calcolò che solo il 37% della popolazione argentina fosse a favore dell’aborto legalizzato. Le cause di questa opposizione sono da rintracciarsi soprattutto nelle radici profondamente cattoliche del Paese. Cristina Fernandez de Kirchner, nonostante il supporto ai matrimoni omosessuali che la portò a scontrarsi con l’allora cardinale Bergoglio, si è sempre dichiarata contraria all’aborto per motivi etico-religiosi. Lo stesso afferma l’attuale presidente Mauricio Macrì, ma nonostante questo ha permesso il dibattito parlamentare.
Attualmente, invece, l’aborto è classificato come “delitto contro la vita” nel codice penale argentino, con eccezioni permesse solo in casi di stupro e rischio alla salute. Ma sono proprio le 370.000 procedure di aborto clandestino portate a termine ogni anno a mettere a rischio la vita di molte donne. Tali aborti sono procurati con pillole di misoprostolo, farmaco per ulcere disponibile in molte farmacie, e solo raramente vengono denunciate allo Stato.
Gli oppositori sono numerosi (tra loro membri del governo, come il ministro dell’Interno Frigerio, e i gruppi cattolici che hanno lanciato la campagna antiabortista #SiALaVida), ma a favore della legalizzazione si sono schierate molte personalità pubbliche, inclusi giornalisti, intellettuali, politici radicali e kirchnerist. La stessa Cristina si è detta disponibile a riconsiderare la questione e suo figlio, il deputato Maximo Kirchner, si è dichiarato a favore.
L’Argentina apre alla possibilità dell’aborto legale: dopo la mobilitazione popolare con la campagna Aborto Legal, il governo ha inserito la depenalizzazione dell’aborto nell’agenda dei lavori.
MSOI the Post • 15
AMERICA LATINA ECUADOR 24 febbraio. Falliscono le trattative con la Gran Bretagna per la liberazione di Julian Assange. Il fondatore di Wikileaks è rifugiato dal 2004 nell’edificio dell’ambasciata ecuadoriana a Londra, ma il Governo inglese non si è reso disponibile a mediare la sua liberazione dalla sede diplomatica.
MESSICO 28 febbraio. Sotto accusa alcuni ufficiali della polizia messicana, ritenuti colpevoli del rapimento di almeno 15 persone sospettate di affiliazioni al cartello della droga. Le avrebbero consegnate a militari che, sullo stile degli “squadroni della morte”, le avrebbero torturate e infine uccise. VENEZUELA 20 febbraio. Come precedentemente annunciato dal presidente Maduro, è resa disponibile la nuova criptovaluta Petro, moneta virtuale sostenuta dalle riserve petrolifere del Paese, con la quale il Governo intende aggirare le sanzioni americane e dare una risposta alla crisi. 82,4 milioni di unità sono state rese disponibili in un’operazione di prevendita. A cura di Riccardo Gemma
16 • MSOI the Post
ANNUNCIATE LE ELEZIONI ANTICIPATE IN VENEZUELA Si andrà al voto entro il primo quadrimestre del 2018
Di Davide Mina L’inatteso anticipo delle elezioni presidenziali è stato promesso il 23 gennaio da Delcy Rodriguez, presidente dell’Assemblea Nazionale Costituente (voluta da Maduro e composta da suoi sostenitori), e da Diosdado Cabello. “Prima del 30 aprile, si terranno le elezioni presidenziali”, ha annunciato Cabello. Le elezioni sono state “approvate per acclamazione”. Maduro, con le seguenti parole, ha confermato la sua disponibilità a partecipare alle prossime elezioni: “Sono un umile lavoratore, un umile uomo del popolo. Se il Partito Socialista Unito del Venezuela crede che io debba essere candidato alle presidenziali per il partito rivoluzionario […] io sono a disposizione”. La crisi umanitaria affrontata dal Paese ha certo minato i consensi di Maduro. Tuttavia il momento sembra essere il più adatto per le elezioni. Innanzitutto, il Paese è in attesa di ulteriori scossoni, collegati all’industria petrolifera nazionale, una delle più importanti fonti economiche per il Venezuela. Una profonda crisi minaccia di sommergere il Paese; perciò, si ritiene più conveniente racimolare oggi i consensi popolari dei sostenitori del Chavismo, rappresentato da Maduro, rispetto a un domani incerto (le elezioni si sarebbero dovute tenere in una data compresa tra la fine del 2018 e l’inizio del 2019).
Inoltre, dalle elezioni sarà esclusa, de facto, l’opposizione. I partiti che si oppongono al Partido Socialista Unido de Venezuela (PSUV) di Maduro, di ispirazione chavista e bolivariana, anti-capitalista e anti-imperialista, sono numerosi e per lo più di piccole dimensioni. Sono raccolti nel blocco Mesa de Unidad Démocratica (MUD), ma la maggior parte degli oppositori non potrà presentarsi alle elezioni: il Tribunal Supremo de Justicia ha infatti dichiarato che hanno violato il divieto di doppia militanza. Sono molte le voci di protesta della comunità internazionale. Secondo il giornale colombiano El Espectador: “Vent’anni dopo la prima vittoria di Hugo Chávez, il Venezuela è davanti a un confronto tra democratici e dittatori”. Inoltre, l’Organizzazione degli Stati Americani (OSA) ha approvato un documento nel quale chiede al governo di Maduro “elezioni libere, giuste e credibili con la partecipazione di tutti gli attori politici, con osservatori internazionali indipendenti e un Consiglio nazionale elettorale autonomo”. Hanno firmato il suddetto documento Argentina, Bahamas, Barbados, Brasile, Canada, Cile, Colombia, Costa Rica, Giamaica, Guatemala, Guyana, Honduras, Messico, Panama, Paraguay, Perù, Santa Lucia, Stati Uniti e Uruguay.
ECONOMIA LOTTA AL DIESEL TRA ENTUSIASMO E SCETTICISMO Uno sguardo d’insieme sulla rivoluzione diesel-free
Di Francesca Maria De Matteis Il progressivo abbandono delle motorizzazioni diesel in favore dell’ibrido, elettrico e benzina, e dell’elettrico guidato dalle nuove normative comunitarie e americane, sta portando ciascun marchio a rivedere le proprie politiche produttive e commerciali. A partire dal 2022, anche le vetture prodotte da Fiat Chrysler Automobiles (FCA) non saranno più equipaggiate con motori diesel. L’annuncio di FCA, previsto per giugno insieme a quello del nuovo piano industriale e finanziario, di cui Sergio Marchionne lascerà la direzione operativa al suo successore - essendo ormai il suo mandato in scadenza -, riguarderà tutti i marchi del gruppo. Se le automobili che nel 2017 ha venduto nel nostro continente, infatti, erano diesel per il 40,6%, in aumento rispetto all’anno precedente, le vendite totali di diesel dello scorso anno sono scese al 43%. Resta importante la domanda di vetture a gasolio in Italia, ancora ferme al 56% del totale. E la lotta al diesel sta assumendo rilevanza anche e soprattutto in Germania, dove, già nel 2015, l’esplosione del “Dieselgate” dovuta alla scoperta delle
emissioni truccate delle vetture Volkswagen, aveva posto l’accento sul problema dell’inquinamento. La normativa federale del Paese, che permette di limitare l’accesso fino agli Euro3 nei centri urbani con tassi di inquinamento elevati, potrebbe essere parzialmente elusa dalla recente concessione del tribunale di Lipsia. Le autorità amministrative federali, infatti, hanno reso noto che le città tedesche potranno decidere, a propria discrezione, di negare l’accesso anche ai motori Euro4 ed Euro5. Il movimento di protesta, promosso dalle autorità dei Land, è stato prontamente sostenuto da associazioni ambientaliste. Cresciuto del 52% rispetto al 2016, il mercato automobilistico cinese, invece, sta registrando una forte crescita e il volume di vendite registrato anche nel nostro continente è in continuo aumento. Tutto ciò, anche grazie ai consistenti investimenti che il Paese sta conducendo sulla base delle politiche di recente adozione sul tema delle emissioni: entro il 2019 la Cina prevede di avere in circolazione il 10% di auto elettriche, percentuale che intende far aumentare fino al 12% nell’anno successivo e al 20% nel 2025.
Nonostante la questione sulle emissioni e le proposte di limitare il consumo di petrolio alimentino quotidianamente il dibattito sulle automobili, alcune delle società più rilevanti nel settore energetico, come la British Petroleum e la S&P Global, stanno manifestando alcune perplessità circa la rilevanza di tali misure restrittive sulla circolazione. Sulla pagina ufficiale dove la BP riporta il proprio ultimo Energy Outlook, si dichiara: “Energy demand continues to grow in the EFT scenario, but at a slower rate and the share of renewables in primary energy increases to around a third by 2040. Even so, oil and gas together account for more than 40% of world energy in 2040”. Una stima di S&P Global, inoltre, evidenzia un potenziale risparmio di soli 20.000 barili giornalieri di greggio, per ogni milione di macchine elettriche circolanti nell’intero pianeta. Le prospettive di risparmio appaiono, dunque, limitate: se, improvvisamente, venissero dismessi interamente e a livello globale tutti i veicoli con motore a combustione, le emissioni di anidride carbonica diminuirebbero di soli 3 punti percentuali, dal 10% al 7%. MSOI the Post • 17
ECONOMIA LA RUSSIA È SULLA BUONA STRADA PER DIVENTARE UNA NUOVA SUPERPOTENZA AGRICOLA Il Paese sta cogliendo un’opportunità offerta dal riscaldamento globale
Di Giacomo Robasto Come è noto, l’economia russa affonda le proprie radici nella produzione di combustibili fossili e di armi, che rappresentano oltre il 55% del PIL nazionale e che vengono esportati in tutto il mondo. Questa specificità così marcata rende la Russia assai instabile, poiché è legata a doppio filo all’andamento del prezzo del greggio, che negli ultimi anni è andato calando in modo continuo.
destinate ai mercati esteri ben 37 milioni. Questa cifra è assai significativa, poiché, da un lato, rappresenta il dato relativo all’export più alto dal crollo dell’Unione Sovietica; dall’altro, mette in risalto la rapida crescita della produzione agricola russa.
In effetti, ad eccezione delle produzioni collegate ai settori della difesa e dell’energia, è quasi un caso trovare all’estero prodotti finiti di origine russa. L’agricoltura, ad esempio, rappresenta solo il 10% del PIL; tuttavia, essa presenta un fiore all’occhiello che all’estero non passa inosservato: la produzione cerealicola.
Tale rilancio, che è un fenomeno recente nella breve storia della Russia post-sovietica, è frutto non solo dei notevoli investimenti nella meccanizzazione dei processi produttivi, ma anche e soprattutto dell’aumento dei terreni coltivabili. Grazie al riscaldamento globale, infatti, la coltivabilità dei terreni si sta estendendo sempre più a Nord. Se nel 2025 sarà confermato che la temperatura media annuale della terra aumenterà di 1,8 gradi rispetto al 1990, diventeranno coltivabili altri 140 milioni di acri di terra che oggi, in Russia, sono incolti.
Se gli Stati Uniti persero lo scettro di primo esportatore di grano al mondo già nel 2014, superati dall’Unione Europea, a poco più di tre anni di distanza si delineano equilibri inediti. Infatti, mentre l’Unione Europea nel 2016 ha esportato circa 32 milioni di tonnellate di solo grano, nell’anno successivo la Federazione Russa ne ha
In questo contesto, Mosca si è già attivata per conquistare i grandi mercati asiatici (e non solo), visto che il frumento russo è già molto venduto anche in Indonesia, Bangladesh e Nigeria. Il successo che il prodotto russo sta riscuotendo in questi Paesi è merito essenzialmente del prezzo più basso rispetto al grano
18 • MSOI the Post
dei concorrenti americani ed europei. Infatti, la svalutazione del Rublo, il cui cambio - tra crollo del petrolio e sanzioni occidentali per la crisi ucraina - è passato in pochi anni da 40 a circa 70 sull’Euro, portando il prezzo del grano russo dai 350 dollari a tonnellata del 2012 ai 180 attuali. In sfavore degli altri maggiori esportatori di cereali, tra cui gli Stati Uniti e l’Australia, sono intervenute invece numerose instabilità climatiche negli ultimi anni, che hanno aumentato il periodo di siccità, diminuendo le riserve idriche, e hanno inciso al rialzo sui prezzi del prodotto finito. Pertanto, molti produttori sono stati costretti a investire in frumenti di migliore qualità per diversificare la propria offerta e giustificare il prezzo più elevato. Sono dunque molteplici i fattori che stanno ponendo le basi di una nuova diversificazione dell’economia russa. A Mosca non vi sono dubbi su chi vincerà le elezioni presidenziali del 18 marzo prossimo; se a fine mandato, tra 6 anni, la Russia avrà effettivamente consolidato la fama di superpotenza agricola, i suoi cittadini non potranno che gioire per questo nuovo corso.
DIRITTO INTERNAZIONALE ED EUROPEO PROTEZIONE DELL’AMBIENTE E DIRITTI FONDAMENTALI
Responsabilità dello Stato per danni ambientali transfrontalieri sotto la lente della Corte San José
Di Luca Imperatore
liero?
Fra i settori del diritto internazionale di più recente sviluppo figura, senza ombra di dubbio, la tutela ambientale, con valore in re ipsa o analizzata sotto la lente dei diritti umani fondamentali. Vale la pena ricordare come siano molteplici le pronunce giurisprudenziali in materia, da parte di istanze internazionali. Fra le ultime emergono: la sentenza della Corte internazionale di giustizia sul caso Costa Rica c. Nicaragua e la decisione dell’ICSID sul caso Burlington ResourcesInc. c. Ecuador, entrambe relative alla riparazione di ingenti danni ambientali e le misure cautelari adottate dall’ITLOS in relazione alla controversia sulla delimitazione del confine marittimo tra Ghana e Costa d’Avorio.
Nel dare risposta a tale richiesta, la Corte riaffermava l’esistenza di un “diritto a vivere in un ambiente sano” (basando tale asserzione sul Protocollo di San Salvador e sull’art. 26 della Convenzione interamericana) statuendo la sua applicabilità anche al di fuori dei confini territoriali dello Stato parte –considerazione innovativa nel suo genere per la Corte di San José seppur non nuova per altre istanze internazionali quali, ad esempio, la Corte EDU–. Nell’affermare che ciò che rileva è la sottoposizione di un soggetto alla giurisdizione statale, ancorché fuori dai suoi confini, la Corte ha stabilito che taleprincipio sia valevole anche nel contesto dei danni ambientali.
Su questa scia si colloca la pronuncia della Corte interamericana dei diritti umani del 7 febbraio scorso, derivante dalla richiesta di una advisory opinion avanzata dalla Colombia.Lo Stato richiedente, infatti, aveva investito la Corte della seguente domanda: è possibile un’applicazione extraterritoriale della Convenzione interamericana in relazione ad un danno ambientale che produca i suoi effetti con carattere transfronta-
Dalla pronuncia della Corte emerge un generale obbligo di prevenzione dei c.d. transboundary environmental damages, da cui discendono, però, alcune rilevanti obbligazioni secondarie. Gli Stati che aderiscono alla Convenzione devono astenersi dal minare il rispetto dei diritti umani nel territorio di altri Stati aderenti, considerando in tal senso responsabile lo Stato che ha originato una data violazione,
qualora emerga un nesso causale fra il suo territorio e la violazione di diritti fondamentali in altro Stato. Queste le parole della Corte: “the obligation to prevent environmental transboundary damage is an obligation recognized by international environmental law, by virtue of which States can be held responsible for significant damage caused to persons located outside their territory as a result of activities originating in their territory or under their authority or effective control. […] In any case, there must always be a causal link between the damage caused and the act or omission of the State of origin in respect of activities within its territory or under its jurisdiction or control”. La pronuncia resa dalla Corte di San José apre una strada interessante per lo sviluppo del principio di applicazione extraterritoriale della Convenzione, rafforzando il legame tra protezione dell’ambiente e diritti fondamentali. Tale approccio non mancherà di produrre effetti rilevanti nel futuro, che si spera siano di vantaggio alla collettività tutta. MSOI the Post • 19
DIRITTO INTERNAZIONALE ED EUROPEO IL CASO EMBRACO: L’ITALIA CHIEDE IL RISPETTO DELLE REGOLE EUROPEE
La multinazionale con sede a Torino decide di delocalizzare la produzione all’estero, evidenziando ancora una volta gli irrisolti fenomeni europei di dumping fiscale e contrattuale
Di Federica Sanna La vicenda Embraco nasce dalla decisione dell’azienda brasiliana, controllata dall’americana Whirlpool, di licenziare 497 lavoratori occupati presso la sede di Riva di Chieri, in provincia di Torino, per delocalizzare la produzione in Slovacchia, dove il costo del lavoro è minore. Il caso in questione pone nuovamente sotto attacco le regole del gioco del mercato unico interno, in un momento in cui le libertà economiche garantite dall’Unione hanno già sollevato importanti criticità in altre vicende: il caso Apple in Irlanda e l’indagine sulle tasse pagate da Ikea nei paesi dell’Europa centrale sono alcuni esempi di come le grandi multinazionali abbiano piegato le opportunità fornite del mercato unico alla realizzazione dei propri interessi economici, guidati dagli Stati membri accusati di aver mascherato aiuti pubblici illegali sotto il cappello delle agevolazioni fiscali. Questo meccanismo è inevitabilmente sfociato nella distorsione della concorrenza tra gli Stati europei. La situazione è particolarmente critica in relazione ai paesi dell’Europa orientale. L’allargamento a Est dell’Unione 20 • MSOI the Post
ha posto la difficile sfida di armonizzare le regole di paesi con i quali esistono divergenze culturali e politiche, ma soprattutto economiche e fiscali. Al fine di ridurre tali disparità, l’Unione europea ha messo in piedi diversi meccanismi, primo tra tutti l’erogazione di fondi strutturali che finanziano lo sviluppo degli Stati più economicamente arretrati, con l’obiettivo di raggiungere standard di benessere simili tra tutti i membri. Tale scenario presenta però due ordini di problemi, tra loro strettamente connessi. Da un lato, l’obiettivo prefissato dalle istituzioni europee non è ancora stato raggiunto: i costi di produzione e le condizioni di lavoro, a partire dalle retribuzioni, sono ancora nettamente inferiori rispetto alla media dei paesi dell’Europa occidentale. La competizione squilibrata attira quindi verso Est le imprese che si muovono nel mercato unico europeo. D’altra parte, la situazione è favorita dalla stessa politica europea originariamente volta alla riduzione delle divergenze: nell’esempio della Slovacchia, il fatto di trovarsi ad un determinato stadio di sviluppo economico porta il Paese ad aver diritto ai fondi strutturali dell’UE. Questi, secondo l’accusa mossa dal
governo italiano, sono stati usati per finanziare generosi sconti fiscali nei confronti delle aziende europee che intendono stabilirsi sul territorio slovacco, in violazione delle regole europee sulla concorrenza. Il ministro dello Sviluppo Economico Calenda, recatosi a Bruxelles per discutere la situazione Embraco con la commissaria alla concorrenza Vestager, ha proposto l’istituzione di un global adjustment fund, un fondo di reindustrializzazione che prevenga la delocalizzazione e preveda la possibilità di erogare aiuti pubblici, in deroga alle citate regole del mercato unico, in favore delle aree eventualmente colpite dal fenomeno in questione. Nell’attesa di una valutazione sulla proposta da parte della Commissione, è necessario innanzitutto notare come i fondi strutturali dell’UE non abbiano l’obiettivo di favorire i processi di delocalizzazione ma di creare nuovo lavoro in Europa. L’iniziativa italiana richiederebbe forse un’interpretazione dei Trattati troppo spinta, ma è comunque evidente la necessità di incoraggiare una diversa e più giusta direzione della globalizzazione, anche rivisitando il tradizionale equilibrio tra libertà di mercato e tutela dei diritti sociali.
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