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Il Settimanale di M.S.O.I. Torino
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MSOI Torino M.S.O.I. è un’associazione studentesca impegnata a promuovere la diffusione della cultura internazionalistica ed è diffuso a livello nazionale (Gorizia, Milano, Napoli, Roma e Torino). Nato nel 1949, il Movimento rappresenta la sezione giovanile ed universitaria della Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale (S.I.O.I.), persegue fini di formazione, ricerca e informazione nell’ambito dell’organizzazione e del diritto internazionale. M.S.O.I. è membro del World Forum of United Nations Associations Youth (WFUNA Youth), l’organo che rappresenta e coordina i movimenti giovanili delle Nazioni Unite. Ogni anno M.S.O.I. Torino organizza conferenze, tavole rotonde, workshop, seminari e viaggi studio volti a stimolare la discussione e lo scambio di idee nell’ambito della politica internazionale e del diritto. M.S.O.I. Torino costituisce perciò non solo un’opportunità unica per entrare in contatto con un ampio network di esperti, docenti e studenti, ma anche una straordinaria esperienza per condividere interessi e passioni e vivere l’università in maniera più attiva. Cecilia Nota, Segretario M.S.O.I. Torino
MSOI thePost MSOI thePost, il settimanale online di politica internazionale di M.S.O.I. Torino, si propone come un modulo d’informazione ideato, gestito ed al servizio degli studenti e offrire a chi è appassionato di affari internazionali e scrittura la possibilità di vedere pubblicati i propri articoli. La rivista nasce dalla volontà di creare una redazione appassionata dalla sfida dell’informazione, attenta ai principali temi dell’attualità. Aspiriamo ad avere come lettori coloro che credono che tutti i fatti debbano essere riportati senza filtri, eufemismi o sensazionalismi. La natura super partes del Movimento risulta riconoscibile nel mezzo di informazione che ne è l’espressione: MSOI thePost non è, infatti, un giornale affiliato ad una parte politica, espressione di una lobby o di un gruppo ristretto. Percorrere il solco tracciato da chi persegue un certo costume giornalistico di serietà e rigore, innovandolo con lo stile fresco di redattori giovani ed entusiasti, è la nostra ambizione. Jacopo Folco, Direttore MSOI thePost 2 • MSOI the Post
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N u m e r o
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REDAZIONE Direttore Editoriale Jacopo Folco Direttore Responsabile Davide Tedesco Vice Direttori Giusto Amedeo Boccheni, Pilar d’Alò Caporedattori Giusto Amedeo Boccheni , Luca Bolzanin, Pilar d’Alò, Luca Imperatore, Pauline Rosa Capi Servizio Rebecca Barresi, Giusto Amedeo Boccheni, Luca Bolzanin, Lucky Dalena, Pierre Clement Mingozzi, Sarah Sabina Montaldo, Daniele Pennavaria, Leonardo Scanavino, Chiara Zaghi Media e Management Daniele Baldo, Guglielmo Fasana, Anna Filippucci, Vladimiro Labate, Jessica Prietto Editing Lorenzo Aprà, Adna Camdzic, Amandine Delclos Copertine Virginia Borla, Amandine Delclos Redattori Gaia Airulo, Erica Ambroggio, Elena Amici, Amedeo Amoretti, Andrea Bertazzoni, Micol Bertolino, Luca Bolzanin, Davide Bonapersona, Maria Francesca Bottura, Fabrizia Candido, Daniele Carli, Debora Cavallo, Emanuele Chieppa, Giuliana Cristauro, Andrea Daidone, Lucky Dalena, Alessandro Dalpasso, Federica De Lollis, Francesca Maria De Matteis, Ilaria di Donato,Tommaso Ellena, Guglielmo Fasana, Anna Filippucci, Alessandro Fornaroli, Corrado Fulgenzi, Francesca Galletto, Lorenzo Gilardetti, Lara Amelie Isai-Kopp, Luca Imperatore, Michelangelo Inverso, Vladimiro Labate, Giulia Marzinotto, Simone Massarenti, Rosalia Mazza, Davide Nina, Pierre Clement Mingozzi, Alberto Mirimin, Chiara Montano, Sveva Morgigni, Virginia Orsili, Daniele Pennavaria, Barbara Polin, Jessica Prieto, Luca Rebolino, Jean-Marie Reure, Valentina Rizzo, Giacomo Robasto, Clarissa Rossetti, Federica Sanna, Martina Santi, Martina Scarnato, Edoardo Schiesari, Jennifer Sguazzin, Stella Spatafora, Elisa Todesco, Francesco Tosco, Tiziano Traversa, Leonardo Veneziani, Alessio Vernetti, Elisa Zamuner. Vuoi entrare a far parte della redazione? Scrivi una mail a thepost@msoitorino.org!
EUROPA 7 Giorni in 300 Parole FRANCIA 9 maggio. Il Consiglio dei Ministri francese ha esaminato il delicato progetto di legge costituzionale, prima parte della riforma delle istituzioni targata Macron. Gran parte di essa riguarderà l’iter di approvazione delle leggi prevedendo, tra i vari punti, una riduzione del numero dei parlamentari. La riforma punta ad essere approvata nel 2019.
PORTOGALLO 10 maggio. Il presidente portoghese, Marcelo Rebelo de Sousa, ha posto il veto sulla legge inerente la facilitazione del cambiamento di sesso, approvata dal Parlamento nel mese di aprile. La legge, che non prevedeva la necessità di un rapporto medico obbligatorio prima di procedere a interventi su minori e che avrebbe autorizzato i cambiamenti di genere a partire dai 16 anni di età, è stata rinviata, dal Presidente, all’organo legislativo per essere “rivista”.
REGNO UNITO 8 maggio. Il ministro degli Este-
UN PAESE SENZA GOVERNO
Lo stallo politico in Italia preoccupa l’Europa
Di Simone Massarenti L’Italia è ancora senza Governo. Dopo quasi due mesi dalle elezioni, nella Penisola regna un’indecisione politica dettata da una distanza “siderale” di visioni e progetti da parte dei principali leader del Paese. Nonostante gli innumerevoli giri di consultazioni svoltisi fra Palazzo del Quirinale, Palazzo Madama e Montecitorio, le forze politiche non hanno trovato una quadra per la formazione del Governo, creando un caos politico che preoccupa i vertici UE. L’incertezza circa l’Esecutivo ha in particolare trovato la dura reazione della Commissione Europea, la quale, attraverso il commissario Pierre Moscovici, ha ammonito Roma per questa situazione definita “nociva per la stabilità economica e per le prospettive di crescita”. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, intanto, garante della stabilità e costituzionalmente responsabile della creazione di un Esecutivo, ha nei giorni scorsi sciolto la riserva circa la sua intenzione di creare un “Governo di scopo”, in grado di traghettare il Paese all’approvazione del DEF (Documento di Economia e Finanza) e a nuove elezioni, presumibilmente nella seconda parte dell’anno. In una conferenza stampa dell’8
maggio scorso, Mattarella ha affermato che “i Partiti devono decidere, poiché l’Italia non può più attendere”. Le due alternative proposte dal Presidente sono chiare: un governo “neutrale” condiviso da tutti i partiti che guidi il Paese fino a dicembre per poi andare a elezioni nei primi mesi del 2019, oppure una nuova tornata elettorale già la prossima estate. Al momento, però, la situazione A appare paralizzata. conferma, il leader del Movimento 5 stelle, Luigi Di Maio, ha affermato come “il Movimento non intenda dare la fiducia a un Esecutivo neutrale, sinonimo di Governo tecnico”. Il coro unanime dei leader sembra quindi invocare elezioni anticipate già il prossimo 8 luglio, una possibilità che difficilmente porterà i risultati necessari per sbloccare la situazione. Oltre all’accorato rischio astensionismo dovuto alla sfiducia verso questi movimenti politici, le tempistiche così corte, secondo la legge Tremaglia, non permetterebbero di stilare gli elenchi dei votanti residenti all’estero; gli esperti della materia indicano però come questo termine, individuato in 60 giorni, sarebbe derogabile, ma ciò non toglie che l’aggiornamento delle liste richiederebbe più tempo affinché anche i neo-residenti all’estero possano esercitare il proprio diritto di voto.
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EUROPA ri britannico, Boris Johnson, ha dichiarato che “se avessimo una nuova partnership doganale con l’UE avremmo una pazzia di sistema nel quale saremmo costretti a incassare dazi per conto dell’UE ai confini del Regno Unito”. Johnson ha, dunque, bocciato l’opzione avanzata da Theresa May, qualche settimana fa, per venire incontro all’ala più moderata dell’esecutivo.
FRANCIA, LE RIFORME DIVIDONO IL PAESE Proteste contro Macron a un anno dall’elezione
Di Alessio Vernetti
ROMANIA 7 maggio. Alla luce del pesante deficit di bilancio dello Stato, il presidente della Romania, Klaus Iohannis, ha richiesto ufficialmente le dimissioni della premier Viorica Dancila. Secondo il Presidente rumeno, l’esecutivo sarebbe “incapace di tenere l’ordine nelle finanze del Paese”, minacciandone la stabilità futura. Iohannis ha chiesto alla premier Dancila, eletta nel gennaio scorso, di “lasciare spazio a persone più competenti”. UNGHERIA 8 maggio. Diverse migliaia di manifestanti si sono radunati nella città di Budapest, dinnanzi al Parlamento per “protestare contro l’autoritarismo del regime del premier Viktor Orban”. La manifestazione, indetta da movimenti civili e ONG, si è svolta all’insegna della protesta contro i limiti alla libertà di stampa, la corruzione e le accuse di frodi elettorali. Durante la prima riunione del governo, eletto successivamente alle elezioni dello scorso aprile, una catena umana formata da quasi 100 manifestanti si è formata davanti al Parlamento ungherese. A cura di Giulia Marzinotto 4 • MSOI the Post
Sabato 5 maggio decine di migliaia di manifestanti sono scesi in piazza a Parigi per protestare contro le riforme portate avanti dal presidente francese Emmanuel Macron. Queste proteste seguono la scia del raduno parigino del 1° maggio, quando centinaia di anarchici mascherati e incappucciati hanno dato fuoco a numerose auto e lanciato pietre alla polizia, interrompendo la manifestazione indetta dai sindacati per la Festa del Lavoro. La manifestazione di sabato, svoltasi sotto il dispiegamento delle forze di polizia, arriva a un anno dalla corsa presidenziale in cui Macron trionfò grazie a una piattaforma centrista e con l’impegno dirivitalizzare le istituzioni e l’economia. Seguì così un’ondata di riforme, tra cui quella del lavoro che, rendendo più facile per le compagnie assumere e licenziare, ha fatto guadagnare a Macron l’etichetta di “Presidente dei ricchi” da parte dei suoi detrattori e ha scatenato l’ira dei sindacati. Con un’opposizione molto frammentata, Macron ha promesso di proseguire nel tentativo di riavviare l’economia, anche se affronta in questi giorni uno dei suoi momenti più delicati per via dello sciopero dei lavoratori della Société
nationale des chemins de ferfrançais, che protestano contro l’apertura alla concorrenza del settore ferroviario. I sostenitori del partito La France Insoumise, capeggiati da Jean-Luc Mélenchon, hanno fortemente sostenuto queste proteste, stimando che 160.000 persone abbiano preso parte alla protesta di sabato; il prefetto di Parigi, tuttavia, sostiene che non si siano superati i 40.000 manifestanti. In ogni caso, Mélenchon sta spingendo per tenere un raduno molto più grande con sindacati e altre forze il 26 maggio. “Il problema sono i regali infiniti che vengono fatti ai ricchi mentre i francesi stanno lottando”, aveva detto Mélenchon a TF1 in vista della marcia. Nonostante le proteste cadano durante il 50° anniversario delle rivolte studentesche che nel maggio 1968 misero in ginocchio la Francia, l’atmosfera oggi è molto diversa: circa il 45% dei francesi, infatti, si è espresso positivamente sull’operato del primo anno di Macron. Certo, il 55% dei francesi afferma, al contrario, che il bilancio sia negativo, ma di questi una percentuale significativa confida comunque nel fatto che il Presidente sarà in grado, in futuro, di migliorare le sue riforme.
NORD AMERICA 7 Giorni in 300 Parole STATI UNITI 4 maggio. Nello Stato dell’Iowa, nel Midwest degli USA, è giunta una stretta sulla legge sull’aborto. La governatrice repubblicana del Paese ha posto la propria firma su una normativa più rigida che vieterà la pratica di aborto oltre le 6 settimane di vita del feto. Si prevede una lunga battaglia legale per abolire quella che è già stata definita una legge “incostituzionale”. 5 maggio. In occasione della convention alla National Rifle Association, il Presidente USA ha ribadito il proprio impegno nel proteggere il II° emendamento, che tutela il diritto al possesso di armamenti. Ricorrendo ad un parallelismo fra le armi da fuoco e i furgoni usati come ultima “arma” da parte dei terroristi, Trump ha affermato che “l’abolizione dell’uno giustificherebbe l’abolizione dell’altro”. 6 maggio. Washington ha accolto il ministro degli Esteri britannico, Boris Johnson, per discutere in merito all’accordo sul nucleare in Iran, dal quale Trump ha, in prima battuta, “minacciato” di ritirarsi. Nonostante le pressioni degli alleati europei, il Presidente americano intende ritirare le esenzioni previste dall’intesa 2015 ed imporre, a breve, nuove sanzioni. 8 maggio. In seguito alla decisione USA di retrocedere dagli accordi con Teheran, voluti da Obama per ridimensionare il programma nucleare iraniano del Paese, alcuni parlamentari iraniani hanno bruciato la bandiera americana, manifestando la propria disapprovazione. Si teme una escalation di tensioni tra gli USA e l’Iran.
“NOT ONLY STRONG PARTNERS BUT CLOSE FRIENDS”
Justin Trudeau accoglie il premier portoghese António Costa
Di Erica Ambroggio
logo canadese.
“Ci impegneremo a rafforzare ulteriormente le nostre relazioni bilaterali”. Con queste parole, il primo ministro canadese, Justin Trudeau, ha commentato l’esito del suo primo incontro ufficiale con il premier portoghese, António Costa. In occasione del 65° anniversario dall’inizio dell’imponente ondata migratoria proveniente dal Portogallo, il primo ministro Costa ha concluso il proprio itinerario in Canada, il 5 maggio, a seguito di quattro giornate ricche di annunci su nuove e congiunte attività.
Inoltre, i due leader si sono espressi sull’andamento dell’Accordo economico e commerciale globale (CETA). Entrato provvisoriamente in vigore il 21 settembre 2017 e ratificato dal Portogallo il 21 dicembre dello scorso anno, il CETA, secondo quanto riportato dai due rappresentanti, continua ad avere un ruolo centrale nella creazione di nuove opportunità per entrambi i Paesi. “Canada e Portogallo sanno che il commercio libero e aperto è alla base delle nostre economie, crea buoni posti di lavoro per la classe media e incoraggia una crescita vantaggiosa per tutti”. Atteso, altresì, un confronto sulle principali tematiche diinteresse globale in cui risultano direttamente coinvolti sia il Canada che il Portogallo. Infatti, entrambi i Paesi hanno sottolineato l’intenzione di proseguire, conil loro personale apporto, nell’operazione ONU di stabilizzazione in Mali (MINUSMA).
Tra i principali impegni presi da parte dei due leader figura un capillare programma nei settori dell’immigrazione e del lavoro. La prima novità riguarda il campo della mobilità giovanile. Il nuovo accordo, firmato il 3 maggio, avrà l’obiettivo di agevolare gli scambi internazionali tra i due Paesi, consentendo ai giovani di entrambi gli Stati di ampliare le proprie conoscenze linguistiche e culturali. Un’ulteriore novità consisterà nell’imminente elaborazione di un “accordo di sicurezza sociale modernizzato”, riguardante il funzionamento dei benefit riservati ai lavoratori, portoghesi e canadesi, residenti nei reciproci Paesi; una delle priorità che il premier Costa ha sottoposto all’attenzione del proprio omo-
Reduci, dunque, da giornate ricche di conferme e di nuovi programmi, i due leader guardano alle loro future relazioni. Lo scorso 6 maggio, il premier Costa ha, infine, invitato in Portogallo il primo ministro Trudeau, in occasione del Websummit di Lisbona che si terrà nel mese di novembre. MSOI the Post • 5
NORD AMERICA 9 maggio. Il segretario di Stato USA, Mike Pompeo, si è recato in Corea del Nord per incontrare i funzionari di governo e preparare l’atteso incontro fra il presidente Trump e Kim Jongun. In seguito alla dichiarazione di Pyongyang circa l’interruzione dei test missilistici e nucleari, si è infatti aperta la possibilità di un vertice fra i due Capi di Stato.
SEMPRE PIÙ A RISCHIO L’ACCORDO SUL NUCLEARE CON L’IRAN
Rohani avverte: “Se gli Stati Uniti lasciano l’accordo se ne pentiranno come mai nella storia”
Di Jennifer Sguazzin
CANADA 8 maggio. A distanza di 79 anni, il primo ministro Trudeau ha dichiarato che verranno rilasciate “le scuse ufficiali canadesi presso la House of Commons, circa i fatti relativi al Transatlantico St. Luis”. Nel 1939, 907 ebrei-tedeschi a bordo dell’imbarcazione raggiunsero il Canada per sfuggire alla persecuzione nazista. Il Paese negò loro il diritto di asilo e la nave venne rimandata in Europa. 254 di loro trovarono la morte nei campi di concentramento. 9 maggio. Il primo ministro Trudeau ha rilasciato una dichiarazione con la quale ha preso le distanze dalla linea politica di Trump inerente l’accordo sull’Iran. Insieme all’Unione Europea, Ottawa ha ribadito la responsabilità dei Paesi firmatari, dinnanzi a un trattato che, sebbene non perfetto, avrebbe come obiettivo la prevenzione dello sviluppo di armamenti nucleari in Medio Oriente. A cura di Martina Santi 6 • MSOI the Post
Il presidente iraniano Hassan Rohani, in un discorso alla nazione, aveva dichiarato che gli Stati Uniti avrebbero dovuto fare i conti con “un pentimento di portata storica” se si fossero ritirati dall’accordo sul nucleare firmato nel 2015 dalla precedente amministrazione Obama congiuntamente a Cina, Francia, Germania, Russia, Regno Unito e Unione europea. In seguito alla vittoria alle elezioni presidenziali statunitensi di Trump, il clima politico è mutato e si sono delineate posizioni internazionali contrastanti: da un lato, gli Stati Uniti, Israele e l’Arabia Saudita in favore dall’abolizione dell’accordo; dall’altro, la Russia, la Cina e gli Stati europei in opposizione all’atteggiamento statunitense. L’8 maggio, il presidente Donald Trump ha comunicato ufficialmente, e in anticipo rispetto a quanto previsto, l’uscita degli Stati Uniti dall’accordo sul nucleare iraniano. L’annuncio, avvenuto in diretta nazionale, ha visto la partecipazione anche del vicepresidente Pence e del segretario al Tesoro Mnuchin, il quale avrà il compito di redigere un nuovo piano di sanzioni economiche contro l’Iran e i suoi partner commerciali.
A sostegno di tale decisione, il fronte comune composto da Washington, Riyadh e Tel Aviv sostiene che tale accordo abbia favorito l’interventismo iraniano e che Teheran, una volta libera dalle sanzioni economiche, avrebbe avuto i mezzi necessari per espandersi in Siria, Iraq, Yemen e Libano. L’Alto Rappresentante per la Politica Estera Europea, Federica Mogherini, ha immediatamente replicato all’annuncio, affermando che gli interessi economici dell’Unione Europea saranno protetti. Gran Bretagna, Germania e Francia, invece, sebbene intenzionate a rispettare l’intesa sul nucleare, avevano dichiarato di essere altresì disposte ad apportare solo delle modifiche, il tutto nel tentativo, ormai fallito, di ‘non far uscire’ gli Stati Uniti. Oggetto della proposta di revisione sarebbero stati i programmi balistici iraniani, le attività nucleari successive al 2025 e il ruolo del Paese in alcune crisi in Medio Oriente. Tale strategia, presentata ufficialmente dal presidente francese Macron, avrebbe tutelato l’Iran, poiché il nucleo dell’accordo sarebbe rimasto inalterato e gli Stati Uniti avrebbero comunque avuto l’occasione di ampliare l’intesa considerata “gravemente insufficient ”. e
MEDIO ORIENTE 7 Giorni in 300 Parole
RICONCILIAZIONE O RICATTO? In Siria, le truppe governative costringono le popolazioni civili alla fuga
Di Anna Filippucci IRAN 9 maggio. Il presidente Trump ha annunciato il ritiro degli USA dall’accordo nucleare del 2015 pochi giorni prima del suo rinnovo. Reazioni da Teheran: mentre Rouhani ha dichiarato che “il compromesso non è in discussione e che le altre grandi potenze firmatarie (Cina, Russia, UE, Regno Unito) sono intenzionate a proseguire”, l’ayatollah, Ali Khamenei, si è espresso duramente nei confronti del Presidente statunitense, definendo il suo discorso “una minaccia per il popolo iraniano”. 9 maggio. Yukiya Amano, presidente dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica, ha confermato che “l’Iran rispetterà totalmente gli impegni presi con l’accordo del 2015”, sottolineando come, da allora, il Paese sia costantemente sottoposto a rigide verifiche nucleari. TUNISIA 8 maggio. Confermati i dati degli gli exit-poll in merito alle elezioni amministrative del 6 maggio e che attestavano il valore dell’astensione intorno al 66%. La maggioranza delle preferenze è andata al partito islamista Ennahda con 5 punti percentuali sopra il moderato Nidaa Tounes, attestato al 22,5%. Decisamente staccati Fronte Popolare e Attayar.
Il 7 maggio 2018, il regime di Assad ha ufficialmente ripreso possesso della Siria utile, ovvero del corridoio che unisce Aleppo a Damasco, passando per Homs e Hama. Con la riconquista di Rastan, ultimo bastione dell’opposizione, anche gli ultimi oppositori sono stati trasferiti in direzione di Djarabulus, una regione del Nord controllata dai ribelli pro-turchi. In seguito agli accordi di “riconciliazione”, firmati a partire da marzo 2017, tra il governo di Damasco e vari gruppi di ribelli, intere popolazioni di civili non hanno avuto altra scelta se non lasciare i propri territori. Intensi bombardamenti e altre azioni violente, qualificate in seguito come crimini in violazione dei diritti umani, hanno infatti costretto un’evacuazione completa delle regioni ancora occupate dai gruppi di opposizione. La strategia di Assad, utilizzata sin dalla firma di tali accordi, consiste nell’incitare le popolazioni ad andarsene. I bombardamenti nella Ghouta sono state una forma di avvertimento: chiunque opponesse resistenza alla riconquista sarebbe morto, o obbligato con la forza a prendere la strada verso il Nord. Di fatto, la pressione posta sulle popolazioni e la paura di una controffensiva violenta, sono i motivi che hanno spinto i ribelli
alla resa. Come altro incentivo, gli accordi sanciscono inoltre che, dopo un periodo di sei mesi, i sospetti di sovversione, militanti armati o attivisti, potranno beneficiare dell’amnistia, a patto che cessino qualsiasi attività contro il governo. Nel rapporto pubblicato da Amnesty International intitolato “La resa, o la fame”, la ONG, basandosi sulle numerose testimonianze delle persone sfollate, afferma che fin dall’inizio la fame e la deprivazione delle risorse indispensabili alla sopravvivenza (beni di prima necessità, cure mediche, elettricità, acqua…) sono state le armi fondamentali del regime per indebolire le popolazioni e ricattare i gruppi ribelli. A Diraya e Madaya, le truppe governative hanno addirittura bruciato i terreni agricoli, distruggendo così le produzioni locali di cibo e causando una diminuzione drastica delle superfici coltivabili. Tutto ciò porta ad interrogarsi sulla possibilità, in Siria, di una vera riconciliazione: se il mezzo per ottenerla è altra violenza, in che modo la regione potrà mai ritrovare la pace? Gli sfollati potranno fare ritorno nelle proprie case un giorno? Questi sono alcuni dei tanti interrogativi che restano e a cui, si spera, saranno date delle risposte durante le trattative che verranno, volte alla ricostruzione della Siria. MSOI the Post • 7
MEDIO ORIENTE UNA GIUSTIZIA DALLA MEMORIA CORTA
L’analisi della scarcerazione del soldato israeliano Elor Azaria
LIBANO 6 maggio. Dopo 9 anni, in Libano, si torna ai seggi per le elezioni parlamentari. A sfidarsi saranno l’attuale primo ministro sunnita, Saad Hariri del Movimento il Futuro, e Hassan Nasrallah, sciita e filo-iraniano, leader di Hezbollah. 8 maggio. Dai primi dati ufficiali forniti, si evidenzia come l’affluenza si sia attestata intorno al50%.Ilprimopartitorisultaessere Hezbollah, in crescita i cristiani delle Forze Libanesi e in netto calo, invece, il blocco sunnita guidato da Hariri, vero sconfitto di questa tornata elettorale. YEMEN 7 maggio. A Sana’a un raid della coalizione araba ha colpito il palazzo presidenziale: 6 le vittime, circa 30 i feriti. SIRIA 9 maggio. Secondo l’Osservatorio Siriano per i diritti umani un raid israeliano avrebbe colpito un deposito di armi a sud di Damasco uccidendo 15 uomini, tra i quali 9 di milizie iraniane vicine all’esercito governativo. Netanyahu, invitato a Mosca, ha incontrato Putin per organizzare un coordinamento delle due potenze nella regione.
A cura di Lorenzo Gilardetti
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Di Jean-Marie Reure 2016, 26 maggio. È una giornata piuttosto fredda per la media stagionale a Hebron. I coloni israeliani hanno da poco finito di sfilare nelle strade della città per la festività del Purim. Due uomini si avvicinano verso il posto di blocco nel quartiere di Tel Rumeidan, presidiato del battaglione Shimshon della brigata Kfir delle Forze di Difesa Israeliane. All’improvviso estraggono un coltello e si lanciano contro i militari. I soldati sparano. Il primo assalitore muore sul colpo, il secondo, esanime giace a terra. Elor Azaria si tiene indietro, poi tutt’a un tratto arma il suo fucile e spara in testa ad Abdel Fattah Al-Sharif, che muore sul colpo. Aveva 21 anni. La scena viene ripresa da un gruppo israeliano di difesa dei diritti umani, B’tselem. Azaria viene sospeso dal servizio e iniziano le indagini interne. Il 31 marzo gli inquirenti militari, dopo aver visionato le prove a carico (fra cui il video) decidono di perseguirlo per omicidio colposo. Il 23 agosto iniziano a deporre i testimoni. Molti difendono lo sventurato militare: temeva che il sospetto indossasse una cintura esplosiva (anche se pare fosse già stato perquisito), si sarebbe sentito minacciato
dall’assalitore che brandiva un coltello (pur apparendo questo esanime, stando alla riprese). O ancora, si dice che l’assalitore sarebbe morto prima che Azar gli sparasse. Tra le altre cose, il reo sembra essere stato anche ripreso mentre stringeva la mano di Baruch Marzel, noto attivista dell’estrema destra israeliana. Azaria, alla fine del processo, viene condannato a 18 mesi di carcere. Ne sconterà poco meno di 9, nello specifico 8 mesi e 28 giorni, visto che gli viene accordato un ulteriore sconto al fine di poter assistere al matrimonio del fratello. Oggi è libero. La politica ha avuto reazione diverse: il Ministro degli Interni lo ritiene colpevole insieme al primo ministro Natanyahu, salvo poi una repentina svolta che porta quest’ultimo ad appoggiare la sua liberazione. Oggi Elor Azaria torna da cittadino libero, accolto da una folla festante che inneggia al suo nome: un eroe della nazione israeliana. Alcuni vorrebbero che la sua fedina penale fosse cancellata e fosse riabilitato in servizio. Così una parte trincerata dietro un muro festeggia un eroe. Dall’altra parte, invece, si piangono due vittime.
RUSSIA E BALCANI 7 Giorni in 300 Parole
NUCLEAR BOAT
Dal 2019 una centrale nucleare veleggerà nel Mare del Nord
Di Davide Bonapersona ARMENIA 8 maggio. Nikol Pashinyan, leader di YELK, è stato eletto dal Parlamento come nuovo Primo Ministro armeno. Il suo governo dovrebbe essere di transizione e in grado di portare il popolo alle urne il prima possibile. Termina, così, la pacifica “Rivoluzione di Velluto”, la quale aveva portato alle dimissioni dell’ex primo ministro, Serzh Sargsyan, evitando il rischio che ottenesse poteri a vita. KOSOVO 8 maggio. Negato l’ingresso in Serbia e ai Campionati Europei di karate di Novi Sad alla delegazione di atleti kosovari per aver mostrato bandiere del Kosovo, ancora oggi non riconosciuto dalla Serbia. Il presidente kosovaro Thaci ha protestato per la decisione presa, accusando la Serbia di “politicizzare quello che dovrebbe solo essere spirito sportivo”. MONTENEGRO 8 maggio. Olivera Lakic, reporter del quotidiano montenegrino Vijesti, è stata colpita ad una gamba da un colpo di arma da fuoco. Già nel 2012 era stata vittima di un tentato omicidio dovuto, presumibilmente, alle indagini da lei condotte su Tara, marchio di sigarette, e sulla Compagnia per il Tabacco Montenegrino. La giornalista non è in pericolo di vita.
Si chiama Akademik Lomonosov ed è la prima centrale nucleare galleggiante russa. È stata costruita dalla Rosatom tra il 2007 e il 2013, sarà operativa dal 2019 e dovrebbe essere in grado di generare l’energia necessaria per alimentare una città di 100.000 abitanti. Inizialmente il progetto prevedeva che i reattori venissero caricati a San Pietroburgo e che poi l’imbarcazione venisse spostata alla sua destinazione finale (la città di Pevek nella Kamchatka). Tuttavia, le pressioni di Greenpeace Russia, delle Repubbliche Baltiche e dei Paesi scandinavi, spaventati dall’idea di installare i reattori nucleari in un’area così densamente popolata, hanno spinto la Rosatom a rivedere i suoi piani. E così l’Akademik Lomonosov è partita, lo scorso 28 aprile, alla volta di Murmansk, dove verranno caricati i reattori, per poi dirigersi a Pevek. Gli ambientalisti, capitanati da Greenpeace, denunciano la pericolosità di una centrale nucleare galleggiante esposta al rischio di tsunami, cicloni e altri fenomeni naturali. Inoltre, denuncia Jan Haverkamp, esperto di centrali nucleari per l’Europa dell’Est di Greenpeace: “Akademik Lomonosov andrà ad operare nell’area Artica, una zona sicuramente poco popolata, ma già fortemente depressa
dagli effetti dei cambiamenti climatici”. Dal canto suo, Rosatom cerca di rassicurare tutti, ricordando che i componenti nucleari rispettano tutti gli standard fissati dall’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica e che l’imbarcazione è stata ideata appositamente per resistere a tsunami e altre calamità naturali. Nonostante il clamore della notizia, va comunque ricordato che i mari del Mondo sono solcati ogni giorno da centinaia di navi da guerra e sottomarini di vari Paesi che contengono reattori o testate nucleari molto più grandi e potenti di quelli montati sull’Akademik Lomonosov. Inoltre, questo progetto non è nemmeno il primo nel suo genere. Negli anni passati, infatti, altri esperimenti di centrali nucleari galleggianti sono stati fatti in altre aree del Mondo. Di questi, il primo risale addirittura alla fine degli anni ‘60 e porta la firma degli Stati Uniti. Ad oggi, purtroppo, non possiamo sapere se questo esperimento si rivelerà un successo. Ciò nonostante si guarda con interesse all’Akademik Lomonosov e Rosatom dichiara che una serie di Paesi (tra i quali Cina, Nigeria, Argentina, Indonesia e Malesia) sarebbe interessata ad acquistare centrali nucleari galleggianti.
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RUSSIA E BALCANI RUSSIA 7 maggio. Vladimir Putin ha firmato il “decreto maggio” nel quale è stato stabilito il programma economico russo per questa legislatura. Il documento afferma che “la Federazione Russa dovrebbe raggiungere il gruppo delle 5 economie più grandi del mondo, assicurare tassi di crescita economica al di sopra del livello mondiale mantenendo, contemporaneamente, stabilità macroeconomica, inclusa l’inflazione non più del 4%”. 8 maggio. Dmitry Medvedev è stato eletto Primo Ministro dalla Duma con 374 voti in favore, 56 contrari e nessuna astensione. Viene, così, confermata la sua posizione istituzionale dopo le precedenti elezioni nel 2012. La proclamazione parlamentare è avvenuta il giorno successivo all’ufficializzazione dell’incarico di presidente della Federazione Russa di Vladimir Putin, il quale aveva fortemente richiesto un voto favorevole della Duma nei confronti di Medvedev. SERBIA 6 maggio. Il presidente serbo, Aleksandar Vucic, è stato ricevuto a Istanbul da Recep Tayyip Erdoğan. Il meeting aveva lo scopo di rafforzare le relazioni sempre più strette che legano i due Paesi. Vucic ha affermato che “il merito di rapporti così forti tra Turchia e Serbia è da collegare prevalentemente all’enorme impegno, lavoro, energia e desiderio del presidente Erdogan”. L’ambizioso obiettivo dei due leader sarebbe quello quello di triplicare il corrente commercio tra Turchia e Serbia. A cura di Amedeo Amoretti 10 • MSOI the Post
VLADIMIR PUTIN, ATTO IV L’insediamento di Putin all’indomani di proteste violentemente represse
Di Vladimiro Labate Lunedì 7 maggio è iniziato ufficialmente il quarto mandato di Vladimir Putin come Presidente della Russia e si appresta a governare il Paese per il periodo più lungo dall’epoca di Stalin. Durante la cerimonia di insediamento nel Grande Palazzo del Cremlino, dopo aver giurato sulla Costituzione, il rieletto Presidente russo ha ribadito le linee guida della sua politica: “Come capo dello Stato, farò tutto ciò che è in mio potere per aumentare la potenza, la prosperità e la gloria della Russia”. Gli obiettivi indicati da Putin per i prossimi sei anni riguardano soprattutto la politica interna: abbassare della metà il tasso di povertà, offrire un alloggio a 5 milioni di famiglie all’anno, innalzare l’aspettativa media di vita a 78 anni e fare della Russia la 5° economia mondiale per livello di PIL (12° posto nel 2017). Il primo atto di Putin, a poche ore dall’insediamento, è stata la conferma di Dmitry Medvedev al ruolo di Primo Ministro, posto che occupa dal 2012. Medvedev, forte alleato del Presidente, capo del partito Russia Unita che ha sostenuto Putin alle elezioni e che ha la maggioranza assoluta alla Duma, ha ricevuto già l’8 maggio il sostegno da parte del
Parlamento nella formazione del nuovo governo. Tuttavia, questo importante passaggio politico è stato accompagnato da manifestazioni di protesta, organizzate sabato 5 maggio in 27 città russe dal leader dell’opposizione Alexei Navalny. Al grido di “Putin non è il nostro zar”, i manifestanti hanno reclamato giustizia e rispetto per coloro che criticano la gestione autoritaria del potere del Presidente. La risposta delle squadre antisommossa è stata di violenta repressione, considerato anche il piccolo numero di partecipanti (circa 1.500 persone a Mosca secondo la polizia, diverse migliaia per Reuters). I raduni, per la polizia, erano illegali perché non autorizzati in precedenza. Secondo l’organizzazione OVD. Info, 1.597 persone sono state arrestate in tutta la Russia, circa la metà solo a Mosca, tra cui lo stesso Navalny, rilasciato nella notte di domenica. Critiche sono giunte da Stati Uniti e Unione Europea. La portavoce del Dipartimento di Stato americano ha detto che “i leader che sono sicuri della propria legittimità non arrestano i propri oppositori per proteste pacifiche”, mentre l’UE parla di minacce alle “libertà fondamentali di espressione, associazione e assemblea” in Russia.
ORIENTE 7 Giorni in 300 Parole CAMBOGIA 6 maggio. L’ultimo quotidiano indipendente del Paese, il Phnom Penh Post, è stato venduto a Sivakumar S Ganapathy, investitore malese vicino al primo ministro cambogiano, Hun Sen. Il quotidiano rappresenta una delle testate, in lingua inglese, più lette nel Paese, conosciuta e apprezzata per le sue inchieste inerenti scandali politici, violazione dei diritti umani e corruzione. Secondo il Centro cambogiano per i Media Indipendenti si tratta dell’ultimo attentato, da parte del regime di Hun Sen, alla libertà di stampa del Paese. CINA 9 maggio. La corte di Tianjin ha condannato Sun Zhengcai all’ergastolo per corruzione. L’ex segretario del Partito Comunista Cinese per la città di Chongqing e membro più giovane del Politburo, sarebbe entrato in possesso illegalmente, durante la propria carriera, di una somma di denaro del valore di 27 milioni di dollari. Zhengcai rappresentava uno dei principali rivali nell’ascesa al potere dell’attuale presidente a vita, Xi Jinping e si stava, infatti, preparando ad entrare all’interno del Comitato permanente. In molti guardavano a lui come ad un possibile successore nella direzione del Paese. COREA DEL NORD 9 maggio. Kim Jong-un ha accettato di liberare i 3 cittadini americani tenuti prigionieri nei campi di lavoro del regime. Il segretario di Stato statunitense, Mike Pompeo, è arrivato nel Paese martedì 8 maggio, al fine di organizzare l’incontro tra il leader nordcoreano e
SCONTRO DEI DAZI: UN MATCH DI PING PONG ANCORA INCERTO Salta l’accordo commerciale nel corso delle prime negoziazioni USA-Cina
Di Daniele Carli Il 6 maggio si sono concluse a Pechino, con un sostanziale fallimento, le prime trattative relative alla risoluzione dell’impasse commerciale che da circa 3 mesi a questa parte coinvolge USA e Cina. Oggetto della disputa rimane la richiesta statunitense di tagliare di 200 miliardi il deficit nella bilancia commerciale tra i due paesi. Nel particolare, due questioni sono al centro del dibattito: la riduzione delle tariffe cinesi ad un prezzo non superiore a quello fissato dagli USA per le stesse merci e l’invito al taglio delle sovvenzioni alle cosiddette “industrie avanzate”, legate al piano di politica industriale “Made in China 2025”. Come riportato dall’Agenzia Nuova Cina (Xinhua), le parti, pur impegnandosi a “risolvere le proprie dispute commerciali attraverso il dialogo”, rimangono su posizioni differenti. Allo stato attuale, sembra remota l’eventualità che si possa arrivare in breve ad un compromesso. L’intransigenza dell’amministrazione Trump si scontra inesorabilmente con i piani economico-politici cinesi, in un conflitto che assume sempre più dimensioni geopolitiche. Difatti, se da una parte l’obiettivo del Presidente statunitense
è quello di rilanciare l’economia e al contempo soddisfare le richieste protezionistiche dei produttori statunitensi, dall’altra la Cina di Xi Jinping è avviata ad un processo di modernizzazione volto, nel lungo periodo, alla supremazia mondiale e all’aumento del benessere sociale; un piano che passa per il libero mercato e le sovvenzioni alle industrie avanzate. Chi avrebbe la meglio nel caso di una vera e propria guerra dei dazi? Difficile da prevedere, partendo dal presupposto che, come analizzato dal Financial Times, ad oggi, non sembra più trovare applicazione l’assunto storico secondo cui il Paese con un surplus commerciale è destinato a soccombere di fronte ad un aumento delle tariffe doganali da parte del partner. Tralasciando la portata che il conflitto potrebbe realmente assumere a livello bilaterale, ciò che sembra evidente è l’effetto dirompente che quest’ultimo avrebbe dal punto di vista politico-economico internazionale, “a partire dal Sud-est asiatico”, come affermato dal ministro delle Finanze di Singapore Heng Swee Keat, dove, ad esempio, le “vicende” coreane potrebbero indissolubilmente essere legate all’evoluzione dei rapporti Cina-USA.
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ORIENTE il presidente Trump. Tra le condizioni imposte dagli USA figurava, appunto, la liberazione dei 3 americani accusati di “attività sovversive, spionaggio e crimini contro lo Stato”. A dare l’annuncio della liberazione è stato il Presidente americano attraverso un twitter, nel quale ha aggiunto di avere “concordato luogo e data dell’incontro con il leader nordcoreano”.
LA POLITICA ESTERA DI MODI
Una politica estera personalizzata sostenuta da una alleanza parlamentare forte e un governo stabile
Di Emanuele Chieppa
MALESIA 10 maggio. Le forze di opposizione, riunite nel Alleanza della Speranza, vincono le elezioni generali. Si tratta di una vittoria storica per l’opposizione. Il Barisan Nasional, fronte di centrodestra, ha assunto infatti la guida del Paese nel 1957, restando al governo per 61 anni. Najib Razak, leader del Barisan Nasional, si è dichiarato pronto a rispettare la volontà delle urne, ma precisa che “nessun partito singolo ha raggiunto la maggioranza in parlamento”. La coalizione vincente è guidata da Mahathir Mohamad, già Primo Ministro dal 1981 al 2003. Si appresta a diventare, a 92 anni, il leader politico più anziano del mondo. PAKISTAN 8 maggio. Il parlamento ha approvato una legge che riconosce e garantisce i diritti di base per i transgender. Secondo il Transgender Persons (Protection of Rights) Act, ogni cittadino “è libero di autodefinirsi e di esprimersi come uomo, donna o entrambi”. A cura di Virginia Orsili 12 • MSOI the Post
La vittoria del partito Bharatiya Janata nel 2014 è stata un evento significativo per la politica indiana. Ha portato alla conquista di 282 seggi e, attraverso una coalizione più ampia chiamata NDA (National Democratic Alliance), ha dato inizio ad un periodo di stabilità politica e alla possibilità di poter esprimere da parte del suo confidente leader una politica estera caratterizzata da maggior vigore ed energia. Secondo gli osservatori politici, la politica estera di Modi ha assunto col tempo una dimensione più personalizzata. Ma non solo: ciò che di nuovo Modi ha portato nella comunicazione politica, fin dal 2014, è stata una maggiore attenzione alla narrativa e all’immagine dell’India nel mondo, con una certa enfasi sul suo ruolo di nazione asiatica. L’India aspira a un riconoscimento tale a livello internazionale, nella dimensione teorica di una visione del mondo multipolare, da permetterle di assumere un ruolo centrale e di mediazione tra i poli geopolitici attuali, come gli Stati Uniti, la Cina, la Russia ed eventualmente l’Unione Europea. Primo obiettivo del governo presieduto da Modi è stato in questi anni quello di rafforzare questi legami, ad ini-
ziare dalla Russia, partner commerciale e militare dal 1947. L’avvio di politiche che promuovono innovazione in campo economico-industriale, come le politiche di promozione delle start up o della produzione interna e delle capacità tecnologiche dell’industria, non mira solamente ad incrementare la capacità creativa del Paese, ma anche per attrarre capitali dall’estero e consolidare il potere negoziale indiana nelle relazioni economiche globali. Cina e Giappone hanno investito in queste iniziative rispettivamente 22 e 35 miliardi di dollari. Il coinvolgimento diretto di Paesi terzi nel progetto di diffusione e affermazione dell’influenza indiana nelle relazioni internazionali. Un ultimo e rilevate aspetto della politica di Modi, riguarda l’attenzione particolare rivolta alle nazioni più prossime. Sulle orme di quanto avviato già da Narasimha Rao, con l’intento di creare relazioni diplomatiche, commerciali e militari più forti con l’Asia dell’Est, questo approccio sembra seguire l’idea secondo cui il 21° secolo sarà un secolo “asiatico”. È dunque di vitale importanza per Nuova Delhi salire sull’onda dell’era Indo-pacifica, per non restarne travolta.
AFRICA 7 Giorni in 300 Parole CIAD 4 maggio. Il primo ministro Albert Pahimi Padacke ha annunciato le sue dimissioni per protesta alle recenti modifiche costituzionali avute luogo nel Paese. Secondo la nuova legge, il presidente Idriss Deby potrà rimanere al potere per altri 6 anni, rinnovabili per altri 6. Nonostante le opposizioni della minoranza, la legge è stata approvata dalla Corte Costituzionale, assicurando così al Presidente, in carica dal 1990, la continuazione del mandato. 7 maggio. Il gruppo terrorista di Boko Haram ha attaccato, nella notte tra sabato e domenica, un avamposto dell’esercito sito su un’isola del lago Ciad. Il bilancio è di 6 morti e 3 feriti. Si tratta del secondo scontro a fuoco, negli ultimi 10 giorni, tra le forze militari ciadiane e il gruppo terroristico. Confermato, dunque, come il confine con il Camerun resti una zona “movimentata” per quanto riguarda la lotta al terrorismo nella regione. DJIBUTI 9 maggio. Il governo ha portato a termine uno storico processo di cooperazione con il proprio vicino Kenya, giungendo alla firma di 4 accordi bilaterali che dovrebbero facilitare le relazioni commerciali ed economiche tra i due Paesi. ETIOPIA 9 maggio. Le proteste dei cittadini della regione centro-meridionale di Oromia hanno costretto il governo a sospendere la licenza di scavo alla compagnia MIDROC. Secondo i manifestanti, le estrazioni di minerali causerebbero danni irreparabili alla salute delle persone e all’am-
UNA DIPLOMAZIA IN DIVENIRE La Francia e l’Africa all’epoca di Macron
Di Guglielmo Fasana “La Françafrique è un’eredità del passato”. “Il colonialismo appartiene alle scorse generazioni” e “l’Africa sarà al centro delle sorti del mondo nel prossimo futuro”. Di certo, gli studenti dell’università di Ouagadougou tutto si sarebbero aspettati fuorché di sentir pronunciare da un Presidente francese queste affermazioni. Che, a dispetto di quanto possano sembrare a prima vista, non sono affatto sintomo di un’imminente abdicazione o di rinuncia ad un ruolo attivo in quest’area geografica da parte della Francia. Nel novembre scorso, Emmanuel Macron ha infatti sfruttato l’incontro con i giovani burkinabé per marcare una svolta nelle relazioni tra il suo Paese e il Continente africano. L’Africa francofona è ovviamente al centro di questo inatteso quanto potenzialmente notevole pivot, a causa del passato di storia coloniale che Paesi come il Burkina Faso, la RDC, il Chad hanno condiviso con la Francia. Quali sono, dunque, le misure che ci si attende vengano implementate nel breve termine? Principalmente, la diplomazia degli Stati in questione si concentrerà sul settore culturale e dello sviluppo. Se, da una parte, agli studenti africani verranno concessi visti di lunga durata per il soggiorno di studio in Francia, dall’altra l’Héxagone si impegnerà a restituire opere d’arte acquisite
durante gli anni dell’Impero. Un ulteriore passo verso lo sviluppo in Africa verrà compiuto aumentando la contribuzione economica francese al Partenariato mondiale per l’educazione, che passerà da 20 a più di 200 milioni di euro. Tuttavia, i veri interessi della Francia giacciono altrove, in particolare nell’area economico-finanziaria: da esperto in materia, difficilmente Macron si lascerà sfuggire l’opportunità di guadagnare terreno nel mercato africano, che all’ora attuale offre opportunità e ampi margini di profitto. Ne è un chiaro esempio la creazione di un fondo di 1 miliardo di euro dedicato al finanziamento della piccola/media impresa africana, tramite l’Agenzia francese per lo Sviluppo. Inoltre, un ulteriore prestito da 1,4 miliardi di euro porterà Abidjan a dotarsi della sua prima linea metropolitana. La prima pietra del cantiere è stata per l’appunto posta da Macron, mentre all’appalto partecipano 4 colossi, tutti francesi, dell’industria delle comunicazioni. La diplomazia economica gioca quindi un ruolo cruciale nella rivoluzione delle relazioni tra Francia e partner africani. Da una parte Macron può offrire degli sbocchi sostanziosi all’impresa francese, mentre gli Stati riceventi, come in questo caso la Costa d’Avorio, hanno l’opportunità di accelerare lo sviluppo del loro tessuto socioeconomico.
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AFRICA biente. MALI 7 maggio. Il presidente maliano Ibrahim Boubacar Keita ha accettato di candidarsi, per una seconda volta, alle presidenziali del Paese che si terranno nel mese di luglio.
NIGERIA 6 maggio. Il villaggio di Gwaska, nel nord del Paese, è stato attaccato e in parte messo a fuoco da un gruppo di “banditi”. Almeno 45 persone avrebbero perso la vita, secondo le fonti di polizia locale. Tra i morti, molti farebbero parte di una milizia locale nata per difendere i villaggi della zona, in risposta alle continue scorribande e agli assalti da parte di gruppi armati nella regione. REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO 8 maggio. Nel nord-est del Paese è stata confermata la diffusione di un’epidemia di ebola, la quale, per ora, ha portato alla morte 17 persone. Per la nona volta dagli anni ’70, il Paese è in allerta epidemia, nonostante la situazione risultati attualmente sotto controllo. SOMALIA 8 maggio. Il villaggio di Sablale, situato nella regione di Shabelle, è stato teatro della lapidazione di una donna accusata di essere la moglie di 11 uomini. La donna è stata condannata a morte da uno dei tanti tribunali fondamentalisti creati dai miliziani di Al-Shabaab nel Paese. A cura di Francesco Tosco 14 • MSOI the Post
MALI: TRA INSTABILITÀ POLITICA, TERRORISMO E TRAFFICO DI DROGA Il conflitto nel nord del Paese tra forze governative e gruppi di ribelli non accenna a diminuire
Di Valentina Rizzo Sono circa 30 le persone di etnia Tuareg uccise il 28 aprile da un gruppo di estremisti jihadisti nel nord del Mali, a confine con il Niger. In questi ultimi mesi, però, il numero dei civili che hanno perso la vita - e dei rifugiati costretti a emigrare verso i Paesi confinanti a causa della precaria stabilità politica è ben più consistente. Il conflitto è scoppiato nell’aprile 2012 nella regione a nord del Paese conosciuta con il nome di Azawad, abitata principalmente da Tuareg, gruppo etnico presente in diversi Stati dell’Africa sahelosahariana, i quali fondarono il Movimento Nazionali di Liberazione dell’Azawad (MNLA) e ne dichiararono u n i l a t e r a l m e n t e l’indipendenza dopo aver posto sotto il loro controllo le principali città dell’area. Al conflitto tra le forze governative e i ribelli Tuareg, però, si aggiunsero presto diversi gruppi di estremisti jihadisti, tra cui Al-Qaeda nel Maghreb Islamico (AQIM), con l’obiettivo di prendere possesso della regione e imporre una rigorosa applicazione della sharia. Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha risposto
all’escalation della situazione nel 2013 con lo stabilimento dell’operazione peacekeeping MINUSMA, al fine di stabilizzare il Paese e bloccare l’avanzata dei jihadisti dal nord dello Stato; con più di 150 peacekeepers uccisi dall’inizio dell’operazione, è attualmente la missione di pace più pericolosa al mondo. Anche la Francia è presente in Mali dallo stesso anno, con l’operazione Serval, in supporto delle forze militari governative. Oggi il quadro è dunque molto complesso: l’Azawad ospita oltre agli indipendentisti Tuareg, agli estremisti jihadisti e a vari gruppi miliziani laici, anche trafficanti di esseri umani e trafficanti di droga. Il Mali,infatti, è un Paese strategico per il transito dei flussi migratori verso la rotta del Mediterraneo centrale e della cocaina dalla costa occidentale del continente verso il nord Africa. A tutto ciò si aggiungono le precarie condizioni di vita in cui vive la popolazione: una delle più gravi conseguenze dello stato in cui vive la popolazione è che sono moltissimi i giovani maliani poveri, privi di un’identità nazionale e di prospettive migliori per il futuro, che decidono di unirsi ai vari gruppi ribelli presenti nel nord.
AMERICA LATINA 7 Giorni in 300 Parole
CUBA OSPITERÀ I DIALOGHI DI PACE TRA COLOMBIA ED ELN I negoziati erano stati sospesi in seguito alle tensioni tra le due parti
ARGENTINA 10 maggio. Mauricio Macri ha chiesto aiuto al Fondo Monetario Internazionale: 30 miliardi di dollari in prestito per rimediare alla svalutazione del peso, con l’obiettivo di rimettere in sesto l’economia del Paese e scongiurare un’ulteriore crisi economica come quella già vissuta nel 2001. COLOMBIA 8 maggio. Un recente rapporto pubblicato dall’ex-colonnello della polizia colombiana Omar Rojas Bolaños ha affermato che, fra il 2002 e il 2010, l’esercito colombiano avrebbe ucciso oltre 10.000 civili. Lo studio, condotto in collaborazione con lo storico Fabian Leonardo Benavides, ha rivelato statistiche finora nascoste da fonti militari. Si era, per anni, creduto che la maggioranza dei morti in combattimento tra il 2002 e il 2010 fossero guerriglieri. MESSICO 7 maggio. Il giornalista Ricardo Alemán è stato licenziato da due stazioni televisive per una battuta effettuata via twitter, con la quale avrebbe suggerito l’assassinio del candidato di sinistra, Andrés Manuel López Obrador, prima delle elezioni. Secondo fonti locali sarebbero 88, i politici e i candidati uccisi in Messico dal settembre
Di Tommaso Ellena Pochi mesi fa il presidente della Colombia Juan Manuel Santos ha ufficializzato la sospensione del quinto ciclo di negoziazioni tra lo Stato e l’Ejército de Liberación Nacional, a seguito della guerriglia innescata dall’ELN che, in pochi giorni, ha causato 5 morti e 47 feriti tra polizia e civili. Col tempo, la posizione di Santos sembra essersi ammorbidita in vista della conclusione del suo mandato, a giugno, lasciando intendere di voler lasciare un’impronta forte nel Paese. L’obiettivo del Presidente è di completare il processo di pacificazione, avviato nel 2012, con i dialoghi che hanno portato nel 2016 alla fine delle ostilità con la FARC (Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia), organizzazione guerrigliera comunista che secondo l’ONU è stata responsabile, assieme all’ELN, del 12% delle vittime civili nei conflitti armati avvenuti in Colombia.
ciclo nella città di L’Avana a partire dalla prossima settimana”. Inizialmente la sede delle negoziazioni era Quito, ma il presidente dell’Ecuador Moreno ha rifiutato di ospitare le due parti a seguito di attacchi e sequestri perpetrati da ex dissidenti della FARC all’interno del territorio ecuadoregno. Nello stesso comunicato, l’ELN e la Colombia hanno ricordato che “il lavoro di questo quinto ciclo d’incontri sarà incentrato sul raggiungimento di un nuovo cessate il fuoco”.
Contemporaneamente al nuovo dialogo, per capire se questo processo ha trovato il favore cittadini sarà decisivo il voto delle prossime elezioni presidenziali. Il partito Centro democratico di Uribe, ex presidente del Paese dal 2002 al 2010 e grande favorito per le elezioni di questa estate, è contrario alla politica attuata da Santos nei confronti delle FARC e dell’ELN. Nel caso in cui Uribe tornasse al Governo, è molto probabile che i negoziati subiscano una brusca interruzione, e anche gli Sabato 5 maggio, la Colombia e accordi siglati con le FARC pol’ELN hanno rilasciato un comu- trebbero essere rivisti. nicato ufficiale in cui hanno af Uribe stesso è a favore di una fermato: “Dopo aver esaminato pacificazione duratura, ma le opzioni per riprendere i dialo- “quella che genera un cattivo ghi il prima possibile, abbiamo precedente e che è instabile”. deciso di continuare il quinto
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AMERICA LATINA 2017: 1 ogni 4 giorni. NICARAGUA 7 maggio. Il Congresso ha stabilito la creazione di una Commissione per investigare sulle morti di almeno 45 manifestanti, avvenute nel corso delle proteste anti-governative dello scorso 18 aprile. La Commissione Interamericana sui diritti umani si è detta intenzionata a voler condurre un’investigazione indipendente, ma il governo di Daniel Ortega non ha ancora garantito il permesso di inviare tali investigatori. PARAGUAY 7 maggio. Il Paraguay seguirà gli Stati Uniti e il Guatemala, spostando la sede dell’ambasciata in Israele da Tel Aviv a Gerusalemme. Secondo fonti israeliane, il trasferimento sarebbe fissato per la fine del mese di maggio, periodo che coinciderebbe con il termine del mandato del presidente uscente, Horacio Cartes. La notizia ha causato proteste sia da parte delle autorità palestinesi sia in Paraguay.
VENEZUELA 10 maggio. Secondo stime riportate dalla della Croce Rossa, nell’ultimo anno oltre 1 milione di cittadini venezuelani ha lasciato il Paese per dirigersi verso la vicina Colombia. Si stima che, attualmente, oltre 37.000 persone attraversino il confine ogni giorno per sfuggire alle conseguenze della crisi economica. A cura di Elena Amici 16 • MSOI the Post
LA CEPAL APPRODA A LA HABANA Cuba ospita la 37esima edizione del summit delle Americhe e dei Caraibi
Di Daniele Pennavaria Il 7 Maggio, a La Habana, è iniziata la 37esima sessione della Commissione Economica per l’America Laitna e i Caraibi (CEPAL), Commissione regionale del Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni Unite. La sede dell’incontro biennale, che si svolge peraltro durante il 70° anno di vita della Commissione, è stata decisa dai Paesi membri della CEPAL nella passata edizione tenutasi a maggio 2016 a Città del Messico. Il summit è stato aperto dall’intervento del segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres che, assieme alla segretaria della CEPAL Alicia Bárcena, al ministro degli Esteri messicano Luis Videgaray Caso, e ai rappresentanti del Governo Cubano, ha introdotto i lavori della Commissione. La visita del Segretario Generale si è conclusa l’8 maggio dopo l’incontro con il Raúl Castro, massimo dirigente del Partito Comunista Cubano, e un colloquio con Miguel Díaz-Canel, il neo eletto presidente del Paese. Nella seconda giornata di lavori la delegazione cubana ha assunto la presidenza pro tempore della CEPAL, per sovrintendere i lavori della Commissione nel prossimo biennio.
Fino all’11 di maggio, ospitati dal Palacio de Convenciones, i rappresentanti dei 46 Paesi membri e dei 13 membri associati esamineranno alcune delle tematiche più rilevanti per lo sviluppo della Regione e il progresso delle precedenti attività, che saranno presentate in un report sul periodo 2016/2018. Tra i più importanti compiti dei quattro giorni di riunione a La Habana ci sono la definizione e l’approvazione dei progetti economico sociali per il prossimo biennio e la relazione sulle prestazioni dei singoli Paesi rispetto agli obiettivi dell’Agenda 2030 e degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs). In questo contesto, il ministro cubano del Commercio Estero e Investimenti Stranieri – figura peculiare del modello cubano che si occupa delle relazioni del Paese con i privati esteri – ha sottolineato come la cooperazione anche tra sistemi economici differenti possa portare a una progressiva integrazione della Regione. Una preoccupazione espressa dal ministro Malmierca e condivisa all’interno del summit è però quella per la politica commerciale statunitense, che con la sua progressiva chiusura sta influenzando le dinamiche commerciali di tutti i paesi dell’America Latina e Caraibi.
ECONOMIA MERCATI PETROLIFERI IN AGITAZIONE
Il ritiro degli Stati Uniti dall’accordo iraniano genera instabilità nei mercati
Di Giacomo Robasto Con il ritiro degli Stati Uniti dall’accordo nucleare iraniano - definito ‘orribile’, ‘unilaterale’ e ‘disastroso’ dal presidente Trump ufficializzato martedì scorso, entro i prossimi tre mesi verrà imposto “il più alto livello di sanzioni economiche” contro l’Iran, contro qualsiasi nazione che aiuti Teheran a perseguire il proprio programma nucleare e contro le società e le banche statunitensi e straniere che continuano a fare affari con il Paese. Questa mossa, tutt’altro che imprevista, ha avuto notevoli ricadute sui mercati energetici, in particolare, provocando negli ultimi giorni considerevoli oscillazioni nel mercato del greggio. In previsione dell’uscita degli Stati Uniti dell’accordo, lunedì i prezzi del greggio sono saliti al livello più alto da novembre 2014, per poi abbassarsi martedì, recuperando alcune perdite. A seguito dell’annuncio ufficiale del Presidente, mercoledì, i future di luglio sul Brent sono nuovamente saliti del 2,5% fino a raggiungere i 76,7 dollari al barile sul mercato asiatico. Al fine di limitare le pesanti oscillazioni del prezzo del
petrolio occorse nelle ultime sessioni, l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti si sono dichiarati disposti a contribuire alla stabilità dei mercati petroliferi globali, sopperendo alla diminuzione delle forniture globali di petrolio, nonostante ciò comporti la violazione del patto stretto nel 2016 tra i maggior produttori mondiali di petrolio per limitare la produzione complessiva di greggio al fine di farne lievitare il prezzo. Con l’imposizione di nuove sanzioni all’Iran, infatti, la produzione nazionale di greggio calerebbe, secondo alcune stime, inizialmente di circa 200.000 barili al giorno, arrivando nei prossimi mesi a 3 milione di barili al giorno, circa un quarto in meno dell’attuale produzione giornaliera iraniana (4,5 milioni di barili). La maggior parte di essa viene acquistata da compratori asiatici ed europei, che, a seconda della gravità delle sanzioni statunitensi, potrebbero dover cercare nuovi fornitori. Entrambi i Paesi del Golfo, dunque, si gioverebbero notevolmente di questa situazione, rifornendo i partner occidentali per bilanciare qualsiasi carenza di greggio derivante dalle nuove sanzioni e aumentando considerevolmente i profitti.
Gene McGillian, research manager di Tradition Energy, ritiene che l’effettivo impatto sui mercati petroliferi sarà difficile da determinare senza ulteriori dettagli sulle sanzioni statunitensi e su come reagiranno importatori di greggio come Cina e India. “C’è incertezza su come la comunità globale reagirà a tutto questo”, ha sottolineato McGillian. La diminuzione della produzione iraniana potrebbe, infatti, causare un restringimento dell’equilibrio della domanda e determinare prezzi più alti, specialmente se a ciò si aggiungono anche le potenziali perdite di offerta dovute alle situazioni precarie in Venezuela e in Iraq. I prezzi del greggio sono già aumentati di oltre il 14% quest’anno, poiché i tagli alla produzione da parte dell’OPEC e la forte domanda hanno esaurito le scorte globali, mentre le tensioni geopolitiche hanno generato preoccupazione riguardo alle fonti di approvvigionamento. Tuttavia, secondo il Segretario al Tesoro degli Stati Uniti Steven Mnuchin, “I prezzi del petrolio non aumenteranno. Ritengo che stiamo agendo con cautela nel volere assicurarci di bilanciare l’offerta e la domanda”.
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ECONOMIA NESTLÉ E STARBUCKS: FIRMATO L’ACCORDO
Il colosso alimentare acquisisce i diritti per la vendita dei prodotti Starbucks
Di Alberto Mirimin Dopo essersene parlato a lungo, è stata raggiunta una maxi-intesa fra il gigante della distribuzione di caffè Nestlé e la catena di bar Starbucks circa l’acquisizione dei diritti di vendita dei prodotti di quest’ultima. Tale accordo, il cui giro d’affari totale ammonta a circa 7,15 miliardi di dollari (circa 6 miliardi di euro), permetterà alla multinazionale svizzera del settore alimentare di utilizzare il marchio Starbucks nei suoi sistemi a capsule Nespresso e Dolce Gusto dal 2019, e otterrà anche i diritti per vendere prodotti confezionati di caffè tra cui i marchi Seattlès Best Coffee, Starbucks Via e Torrefazione Italia. Il raggiungimento di tale intesa dovrebbe produrre, secondo le stime delle aziende, ricavi pari a circa 2 miliardi di euro all’anno. Le merci della catena statunitense continueranno a essere prodotte direttamente dalla casa madre in Nord America, mentre nel resto del mondo Nestlé si incaricherà anche della produzione. A tal proposito, nell’accordo raggiunto è anche stato stabilito che 500 dipendenti attualmente impiegati in Starbucks verranno trasferiti nella nuova società partner.
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L’obiettivo di Nestlé è duplice. Da un lato, vi è la volontà di recuperare terreno perso nel mercato del caffè in chicchi e in polvere, su cui la multinazionale svizzera non aveva puntato negli anni scorsi, poiché lo considerava un mercato con scarsi margini di profitto. Dall’altra parte, come suggerito da numerosi esperti, l’accordo servirà alla casa produttrice del marchio Nespresso per consolidarsi ancora di più e poter in tal modo controbattere alla rivale JAB Holding, società di investimento della famiglia Reimann che negli ultimi anni ha investito moltissimo nel mercato del caffè per ritagliarsi in esso uno spazio importante, acquisendo negli Stati Uniti società prestigiose come Keurig Green Mountain e Peet’s. Dal canto suo, Starbucks, con i fondi provenienti dall’accordo, continuerà il programma di riacquisto delle sue azioni (‘buy back’) e incremento dei dividendi, con l’obiettivo di restituire agli azionisti circa 20 miliardi di dollari entro il 2020. L’AD della società di Seattle, Kevin Johnson, ha commentato con soddisfazione la conclusione delle trattative, affermando davanti ai media: “Questa alleanza globale nel caffè porterà l’esperienza
Starbucks nelle case di milioni di persone in tutto il mondo, attraverso la fama di Nestlé”. Il mercato del caffè costituisce ormai stabilmente una quota importante del commercio globale. Basti pensare che, nel computo dell’economia mondiale, la produzione e distribuzione dell’‘oro verde’ vale quanto quella del petrolio e dell’acciaio, e che l’economia di numerosi Paesi come il Brasile, la Colombia, l’Etiopia e l’Indonesia si sostenta interamente mediante la sua esportazione. Si stima che la produzione mondiale complessiva di caffè si aggiri intorno a 6,8 milioni di tonnellate, di cui una quota ben al di sopra della metà è destinata all’esportazione. La produzione di caffè è cresciuta globalmente del 2,7% nel 2016, dopo aver segnato già nell’anno precedente un aumento del 2,5%. Ma l’espansione non riguarda solo la sua produzione: la società di statistica Euromonitor International ha, infatti, rilevato come nel 2016 le caffetterie siano state il settore della ristorazione che ha registrato la crescita più importante nelle vendite mondiali, con un incremento del 9,1%.
DIRITTO INTERNAZIONALE ED EUROPEO LE AMBIZIONI DEL QUADRO FINANZIARIO EUROPEO
Junker: “La definizione del budget è direttamente collegata alle nostre ambizioni”. Ma la proposta della Commissione è sufficientemente coraggiosa?
Di Federica Sanna Il 2 maggio la Commissione Europea ha presentato al Parlamento e al Consiglio dell’UE la proposta di definizione del quadro finanziario europeo relativo al periodo 2021/2027. Per la prima volta, nonostante la presenza di minori risorse dovute alla Brexit, il bilancio supera la soglia “psicologica” dell’1%, rappresentando un impegno di 1135 miliardi di euro, pari all’1,11% del PIL dell’EU27. Fino all’approvazione da parte del Parlamento europeo e del Consiglio, la discussione sul bilancio sarà presumibilmente ancora lunga e accesa: nonostante l’ottimismo del presidente Junker, il quale parla di un progetto “ambizioso, ma bilanciato e giusto per tutti”, l’iniziativa della Commissione è stata da più parti egiudicata insufficient a rispondere alle complicate sfide che l’UE deve affrontare in questo momento storico e proiettata più a rispondere alle esigenze egoistiche di alcuni governi nazionali che a definire una politica efficace per il futuro. Il quadro finanziario prevede sicuramente alcune novità importanti: tra queste, preme sottolineare in particolare tre aspetti. Innanzitutto, è prevista l’intro-
duzione di risorse proprie, accanto alle tradizionali risorse provenienti dagli Stati. Queste proverranno in particolare da una tassa sulla quantità di plastica non riciclata e dalla cosiddetta“corporate tax”. Inoltre, la proposta prevede la possibilità di tagliare i fondi ai paesi che non rispettano lo stato di diritto e fanno passi indietro in democrazia (è sicuramente necessario approfondire il dibattito circa la riallocazione di tali fondi, auspicabilmente nei confronti della società civile). Infine, nonostante il quadro finanziario non possa ancora definirsi un vero bilancio della zona euro, questo prevede per la prima volta l’instaurazione di un fondo di stabilizzazione degli investimenti per far fronte all’eventualità di shock asimmetrici. La strategia della Commissione prevede di ridefinire la tipica distribuzione delle risorse: è previsto un aumento di fondi per la ricerca, nel campo della difesa e per la sicurezza dei confini. Vengono inoltre raddoppiate le risorse destinate al programma Erasmus. Due settori che tradizionalmente assorbivano la maggior parte degli impegni economici, al contrario, vedranno ridotto il proprio finanziamento: la politica agricola e la politica di coesione. Que-
sta decisione è stata oggetto di profonde perplessità da parte di molti attori sociali: il rischio è che i tagli si ripercuotano sulle aree che già patiscono uno sviluppo più lento, nelle quali i fondi europei si sono rivelati utili ad accrescere l’occupazione e promuovere la competitività di piccole e medie imprese. Un elemento importante, soprattutto per l’Italia, è la centralità assunta nella proposta dal tema della gestione dei flussi migratori, considerato tra i cosiddetti “beni pubblici europei”. Come ha sottolineato la Farnesina nel documento di recepimento del progetto, l’UE “riconosce il carattere strutturale del fenomeno, accogliendo le insistenti richieste italiane di dotare l’Europa di un’autentica politica migratoria comune”. Nella pratica, il bilancio prevede un aumento delle risorse (da 13 a 33 miliardi di euro) e premi previsti per gli Stati che dimostrano maggiore solidarietà. Nonostante le dichiarazioni di Junker circa le ambizioni del quadro finanziario, quindi, il bilancio non soddisfa in realtà le aspettative di chi vedeva in questa occasione il momento di prendere finalmente atto delle difficoltà e delle sfide del futuro dell’Unione. MSOI the Post • 19
DIRITTO INTERNAZIONALE ED EUROPEO QUANDO IL DIGITALE È MESSO ALLA PROVA Le prove digitali e la tutela della privacy
Di Stella Spatafora Il sistema processuale penale accusativo è pervaso da tre principi giuridici di fondo; essi riguardano rispettivamente la presunzione di innocenza, la necessità di un contradditorio tra accusa e difesa nel processo accusatorio e la condanna solo in caso di superamento del vaglio dell’oltre ragionevole dubbio, cioè capacità da parte del giudice di riuscire a superare ogni dubbio circa la colpevolezza o l’innocenza dell’imputato. A fronte di ciò, la prova scientifica è predominante, poiché considerata lo strumento adatto a superare le angosce legittime che il giudicante deve affrontare; la prova scientifica, infatti, rispetto a una prova dichiarativa ha una valenza maggiore in termini di certezza, poiché il margine di errore risulta essere molto più piccolo rispetto al margine di errore umano. Ciò ha comportato che l’uso della prova scientifica diventasse via via prevalente, con la necessità però di non mettere in secondo piano importanti giudizi di valore che solo una mente razionale e umana riesce meglio ad arguire. Con lo sviluppo di Internet e del virtuale, ha iniziato poi a prevalere l’uso delle prove digitali, che altro non sono che una “sottocategoria” della pro20 • MSOI the Post
va scientifica. Nel corso degli anni la prova digitale ha mostrato sempre più di giocare un ruolo rilevante; infatti, non solo essa è fondamentale nei reati informatici, ma, in una società ormai digitalizzata, la prova digitale può riguardare qualsiasi tipo di reato. Con la digitalizzazione vi è un flusso di dati elevatissimo; ciò pone che l’invasività di tali strumenti di indagine sia problematica. A fronte di ciò, è necessario non fare affidamento a una prova digitale in termini ciechi e assoluti, bensì contemperare questo potente strumento con la garanzia che nessun diritto fondamentale venga leso ai fini d’indagine. È bene sottolineare, inoltre, la sensibilità della prova digitale, essendo essa caratterizzata da dati immateriali facilmente distruttibili, che tendono a creare una smisurata mole di informazioni alterabili e copiabili. Queste peculiarità richiedono che vi sia un’elevata specializzazione del giudice in materia, per far sì che egli non si pieghi a una prova digitale considerandola valida a prescindere. Occorre invece che si crei un sostegno reciproco tra “mente digitale” e quella umana in modo da estrapolare da ogni prova veridicità, autenticità e fondatezza in un’ottica rispettosa dei diritti fondamentali, con riguardo soprattutto al di-
ritto alla privacy. I diritti umani, con l’evento del digitale, sono entrati in questo mondo tecnologico; dunque, l’utilizzo crescente di strumenti di prova digitali come i sistemi di videosorveglianza, gli SMS, il tracciamento della posizione con il GPS, crea l’esigenza di porre dei limiti alla base e dei presupposti a partire dai quali la prova possa formarsi conformemente alla tutela della privacy, tenendo conto di tutte le eventuali conseguenze nell’ipotesi di una sua violazione. L’Art. 8 CEDU enuncia un esplicito diritto al rispetto della vita privata, al domicilio e alla corrispondenza; inoltre, l’Art. 8 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea prevede che ogni individuo goda di un diritto alla protezione dei dati personali che lo riguardano. Ebbene, si tratta di un contenuto normativo fondamentale e volto a colmare molte lacune Costituzionali a livello interno. Ciò rileva quanto sia importante mantenere vivo il rispetto della proprietà privata in spazi nuovi perché digitali, in modo da proteggere in toto l’essere umano e cercare di ottenere un’evoluzione del diritto alla privacy alla luce di quella che è la società odierna.
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