MSOI thePost - 116° numero

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Il Settimanale di M.S.O.I. Torino


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MSOI Torino M.S.O.I. è un’associazione studentesca impegnata a promuovere la diffusione della cultura internazionalistica ed è diffuso a livello nazionale (Gorizia, Milano, Napoli, Roma e Torino). Nato nel 1949, il Movimento rappresenta la sezione giovanile ed universitaria della Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale (S.I.O.I.), persegue fini di formazione, ricerca e informazione nell’ambito dell’organizzazione e del diritto internazionale. M.S.O.I. è membro del World Forum of United Nations Associations Youth (WFUNA Youth), l’organo che rappresenta e coordina i movimenti giovanili delle Nazioni Unite. Ogni anno M.S.O.I. Torino organizza conferenze, tavole rotonde, workshop, seminari e viaggi studio volti a stimolare la discussione e lo scambio di idee nell’ambito della politica internazionale e del diritto. M.S.O.I. Torino costituisce perciò non solo un’opportunità unica per entrare in contatto con un ampio network di esperti, docenti e studenti, ma anche una straordinaria esperienza per condividere interessi e passioni e vivere l’università in maniera più attiva. Cecilia Nota, Segretario M.S.O.I. Torino

MSOI thePost MSOI thePost, il settimanale online di politica internazionale di M.S.O.I. Torino, si propone come un modulo d’informazione ideato, gestito ed al servizio degli studenti e offrire a chi è appassionato di affari internazionali e scrittura la possibilità di vedere pubblicati i propri articoli. La rivista nasce dalla volontà di creare una redazione appassionata dalla sfida dell’informazione, attenta ai principali temi dell’attualità. Aspiriamo ad avere come lettori coloro che credono che tutti i fatti debbano essere riportati senza filtri, eufemismi o sensazionalismi. La natura super partes del Movimento risulta riconoscibile nel mezzo di informazione che ne è l’espressione: MSOI thePost non è, infatti, un giornale affiliato ad una parte politica, espressione di una lobby o di un gruppo ristretto. Percorrere il solco tracciato da chi persegue un certo costume giornalistico di serietà e rigore, innovandolo con lo stile fresco di redattori giovani ed entusiasti, è la nostra ambizione. Jacopo Folco, Direttore MSOI thePost 2 • MSOI the Post

N u m e r o

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REDAZIONE Direttore Editoriale Jacopo Folco Direttore Responsabile Davide Tedesco Vice Direttori Giusto Amedeo Boccheni, Pilar d’Alò Caporedattori Giusto Amedeo Boccheni , Luca Bolzanin, Pilar d’Alò, Luca Imperatore, Pauline Rosa Capi Servizio Rebecca Barresi, Giusto Amedeo Boccheni, Luca Bolzanin, Lucky Dalena, Pierre Clement Mingozzi, Sarah Sabina Montaldo, Daniele Pennavaria, Leonardo Scanavino, Chiara Zaghi Media e Management Daniele Baldo, Guglielmo Fasana, Anna Filippucci, Vladimiro Labate, Jessica Prietto Editing Lorenzo Aprà, Adna Camdzic, Amandine Delclos Copertine Virginia Borla, Amandine Delclos Redattori Gaia Airulo, Erica Ambroggio, Elena Amici, Amedeo Amoretti, Andrea Bertazzoni, Micol Bertolino, Luca Bolzanin, Davide Bonapersona, Maria Francesca Bottura, Fabrizia Candido, Daniele Carli, Debora Cavallo, Emanuele Chieppa, Giuliana Cristauro, Andrea Daidone, Lucky Dalena, Alessandro Dalpasso, Federica De Lollis, Francesca Maria De Matteis, Ilaria di Donato,Tommaso Ellena, Guglielmo Fasana, Anna Filippucci, Alessandro Fornaroli, Corrado Fulgenzi, Francesca Galletto, Lorenzo Gilardetti, Lara Amelie Isai-Kopp, Luca Imperatore, Michelangelo Inverso, Vladimiro Labate, Giulia Marzinotto, Simone Massarenti, Rosalia Mazza, Davide Nina, Pierre Clement Mingozzi, Alberto Mirimin, Chiara Montano, Sveva Morgigni, Virginia Orsili, Daniele Pennavaria, Barbara Polin, Jessica Prieto, Luca Rebolino, Jean-Marie Reure, Valentina Rizzo, Giacomo Robasto, Clarissa Rossetti, Federica Sanna, Martina Santi, Martina Scarnato, Edoardo Schiesari, Jennifer Sguazzin, Stella Spatafora, Elisa Todesco, Francesco Tosco, Tiziano Traversa, Leonardo Veneziani, Alessio Vernetti, Elisa Zamuner. Vuoi entrare a far parte della redazione? Scrivi una mail a thepost@msoitorino.org!


EUROPA 7 Giorni in 300 Parole EUROPA 27 settembre. In vista delle elezioni europee del 2019 la destra europea si è unita nella fondazione The Movement. Contemporaneamente è stato pubblicato il manifesto anti-sovranista il cui incipit recita: “Risvegliamo l’Europa!”. Firmato da vari leader progressisti di diversi Paesi europei, tra i quali, Matteo Renzi in rappresentanza dell’Italia ITALIA 24 settembre. Il premier Giuseppe Conte e il ministro dell’Interno Matteo Salvini hanno presentato il decreto “Immigrazione e Sicurezza”, approvato dal Consiglio dei Ministri. Dubbi sull’approvazione del Presidente Mattarella. Nonostante le modifiche al testo richieste dallo stesso Presidente della Repubblica, resta da accertare la costituzionalità del decreto.

26 settembre. Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, in occasione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, ha discusso le politiche migratorie europee evidenziando il ruolo dell’Italia, lasciata “spesso da sola”, respingendo le accuse di populismo.

MALTA 25 settembre. Nuova svolta nel caso Aquarius. I 58 migranti sbarcheranno temporaneamente a Malta prima di essere trasferi-

LA COMMISSIONE EUROPEA DEFERISCE LA POLONIA

Entro sei mesi il giudizio definitivo della Corte di Giustizia dell’Unione Europea

Di Andrea Mitti Ruà Lunedì 24 settembre la Commissione Europea ha deferito il Governo della Polonia davanti alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea. Secondo l’Istituzione, la riforma della giustizia attuata nel Paese potrebbe seriamente compromettere il principio di indipendenza del sistema giudiziario Polacco. La riforma attuata dal partito euroscettico di maggioranza PiS, Diritto e Giustizia, che è al governo dal 2015, prevede, tra le diverse norme, la riduzione dell’età pensionabile per i giudici della Corte Suprema da 70 a 65 anni, pensionando quindi in anticipo 27 dei 72 giudici che attualmente compongono l’Organo giudiziario. La misura riguarda anche il primo Presidente della Corte il cui mandato, sancito in Costituzione, terminerebbe in anticipo ed in maniera permanente. Prendendo in considerazione anche quest’ultimo fattore, la Commissione sostiene quindi che la riforma proposta entri in conflitto non solo con il già citato principio di indipendenza del sistema giudiziario, ma anche con il principio di inamovibilità dei giudici. Il Governo polacco, peraltro, è già sotto processo davanti alla Corte di Giustizia dell’UE per quella

che la Commissione ritiene una violazione della certezza del diritto nel Paese. Il massimo organo dell’Unione ha richiesto dunque che la Corte Suprema ritorni alla sua composizione precedente al 3 aprile 2018, data di entrata in vigore della riforma. Da Varsavia la notifica dell’attivazione dell’Articolo 7 del TUE nei loro confronti, per cui il Governo potrebbe arrivare fino a perdere il proprio diritto di voto nell’Unione, è stata accolta con freddezza. Il presidente della Repubblica Andrezj Duda, membro del partito al governo, ha specificato che il giudizio della Corte di Giustizia dell’Unione Europea non è vincolante e proprio per questo molti Stati dell’Unione non si attengono alle sentenze. Il primo ministro Mateusz Morawiecki ha aggiunto “Ai giudici rimane ancora aperta la possibilità di chiedere al presidente Duda di prolungare il loro mandato”. Le procedure per la decisione presidenziale rimangono tuttavia poco chiare e prive di un possibile appello nel caso di rigetto. La Corte di Giustizia dovrà decidere, entro marzo 2019, su una possibile sanzione con conseguente reintegrazione dei giudici della Corte Suprema o un’assoluzione del Governo polacco. MSOI the Post • 3


EUROPA ti in altri 4 Paesi europei (Francia, Germania, Spagna e Portogallo). Il blocco imposto dall’Italia ha causato l’intervento del presidente francese Emmanuel Macron all’Assemblea Generale dell’ONU, il quale ha parlato di “crisi tra Italia e Unione Europea riguardo alle politiche migratorie”. Proseguono, dunque, le polemiche tra il governo francese e il ministro Matteo Salvini.

SVEZIA, LE ELEZIONI DELL’INCERTEZZA Il nuovo Parlamento sfiducia il premier Löfven

Di Alessio Vernetti POLONIA 24 settembre. La Commissione europea denuncia la riforma attuata in Polonia riguardante il pensionamento dei membri della Corte Suprema. Secondo Bruxelles, tale riforma lederebbe il principio dell’indipendenza giudiziaria. Il caso verrà presentato alla Corte di Giustizia europea.

REGNO UNITO 26 settembre. Durante la Conferenza annuale del Labour, il partito di Jeremy Corbyn si mostra favorevole all’opzione di un nuovo referendum per valutare i negoziati Brexit. Restano però divisioni interne: alcuni vorrebbero rinegoziare, mentre altri non sarebbero inclini ad una concreta attuazione della Brexit

SVIZZERA 23 settembre. “Il tempo stringe per la Svizzera”. Sono le parole del presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker. L’UE cerca un nuovo accordo con Berna in materia di finanza, trasporti, libera circolazione, banche e commercio. Le forti divisioni politiche e interne al Paese potrebbero non far raggiungere l’accordo entro la fine dell’anno. A cura di Rosalia Mazza 4 • MSOI the Post

Regna il caos politico dopo che il Parlamento svedese ha destituito, lo scorso 25 settembre, il Primo Ministro Stefan Löfven. Il voto di fiducia ha visto 204 deputati votare contro Löfven, a fronte di soli 142 voti favorevoli. Il dibattito ha scatenato ulteriore incertezza nel quadro politico svedese, peraltro già uscito indecifrabile dalle elezioni dello scorso 9 settembre. Nell’ultima tornata elettorale, infatti, l’alleanza di centrosinistra, composta da socialdemocratici, verdi e Partito della Sinistra e guidata dal Premier uscente Löfven, ha vinto 144 seggi, solo uno in più rispetto alla coalizione di centro-destra, che raduna moderati, centristi, liberali e cristiano-democratici ed è capeggiata da Ulf Kristersson. Nessuno dei blocchi principali e tradizionali ha pertanto ottenuto la maggioranza assoluta per blindare la premiership, dal momento che vi è stato un ingente flusso di voti verso i democratici svedesi, il partito di destra populista capeggiato da Jimmie Akesson che ha ottenuto ben 62 seggi. Quindi chi guiderà l’Esecutivo adesso? Al momento, si tratta di un rebus, anche se Löfven – per quanto costretto alle dimissioni – continuerà a guidare un Governo

di transizione fino a quando non vi sarà un nuovo Esecutivo nella pienezza dei poteri, cosa che potrebbe richiedere settimane, se non addirittura mesi. non ha Tuttavia, Löfven escluso la possibilità di essere nuovamente Premier, comunicando al Presidente del Riksdag, Andreas Norlén, di essere “ancora a disposizione del Paese”. Alla domanda se crede di poter essere Primo Ministro ancora per i prossimi quattro anni, il leader del centrosinistra ha infatti dichiarato: “Sì, penso che ci sia una buona possibilità che continuerò come Primo Ministro”. E se lo stallo dovesse persistere? In Svezia il presidente del Riksdag può proporre il Premier fino a quattro volte, ma se per quattro volte il nome proposto viene respinto dalla maggioranza assoluta del Parlamento, si andrebbe inevitabilmente a nuove elezioni entro tre mesi. Si prevede che Norlén incontrerà presto i leader degli otto partiti rappresentati nel Parlamento per capire chi abbia più possibilità di mettere insieme un Governo. È probabile che Norlén si rivolgerà prima a Kristersson, che però, senza il sostegno dei democratici svedesi euroscettici, non ha alcuna possibilità di entrare al Rosenbad, il palazzo del Primo Ministro.


NORD AMERICA 7 Giorni in 300 Parole

THE UNITED STATES UPGRADE CYBERSECURITY SYSTEMS John Bolton announces new cyber strategy

matters of public domain.

STATI UNITI 22 settembre. Il New York Times ha rivelato che il viceprocuratore generale, Rod J. Rosenstein, avrebbe menzionato la possibilità di fare riferimento al 25° emendamento come mezzo per sollevare Donald Trump dal suo incarico. Secondo Rosenstein si sarebbe in presenza di “incapacità di adempiere ai poteri e i doveri della carica”.

By Kevin Ferri

25 settembre. Trump, durante il discorso tenuto dinnanzi all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, ha dichiarato di esser pronto a imporre nuove sanzioni contro l’Iran, il quale, a sua volta, ha accusato gli USA di non rispettare le istituzioni internazionali. Il Presidente statunitense ha, inoltre, difeso le proprie politiche protezionistiche, attaccato l’OPEC per l’aumento dei prezzi e criticato la Cina per aver “manipolato i mercati”.

In the wake of contemporary events, cybersecurity has become a major topic of discussion in the political life of the United States. It was May 2009 when former president Barack Obama declared that the country’s disparate efforts to “deter, prevent, detect and defend” against cyber-attacks would thereupon be run out of the White House, barring the federal government from regular monitoring of privatesector networks. Obama’s speech was accompanied by the release of a completely new government strategy, which emphasized the effort to balance the US response to a rising security threat (echoing back to the debates on wiretapping without warrants during the Bush years).

26 settembre. L’attore Bill Cosby, definito dal giudice un “violento predatore sessuale”, è stato condannato da 3 a 10 anni di reclusione per violenze sessuali. Si tratta della prima

There was a fundamental difference between Bush’s strategy and the one of Obama. The latter’s approach was described in a 38-pages official documen t (leaked by Edward Snowden) being distributed to the public and to companies that are most vulnerable to cyber-attack; former president Bush’s strategy was entirely classified. Clearly, the Democrat counterpart had to address openly an issue that, thanks to telecommunication globalization, had become

It can be said that cybersecurity policies have been following the digital thightly the revolution. For this reason, also president Donald J. Trump felt like addressing the problem was the right thing to do - considering also the 2016 cyber-attacks bolstering the Republican candidates for the presidency. On September 20th, National Security Advisor John R. Bolton cited in a call with reporters a number of cyberattacks over the past two years (i.e., WannaCry & NotPetya) and told journalists that president Trump had rescinded PPD20 (Presidential Policy Directive 20), an Obama-era presidential directive that laid out a complex interagency process, governing offensive cyber operations. A new classified directive will replace it and, in full Trump style, it seems as though it will be an ‘offensive’ one. That is, for any nation that is taking cyber activity against the U.S. they should expect not only a defensive move but also a counter-offense. So, who will the U.S. attack if there is a perpetrator? Will it attack the nation where the attack came from, or will it prosecute the single individuals that are responsible? How will this comply to the Public International Law of Cyberspace? Will individuals gain legal subjectivity under International Law? These are many questions that may be raised and that the U.S. must address soon. MSOI the Post • 5


NORD AMERICA sentenza penale dall’esordio del movimento #MeToo. 27 settembre. Christine Ford, la prima donna ad aver accusato il candidato giudice Brett Kavanaugh per molestie sessuali, ha testimoniato davanti alla Commissione giustizia del Senato. 27 settembre. Nuove accuse nei confronti del candidato giudice alla Corte Suprema, Brett Kavanaugh. A parlare altre 3 donne, le quali hanno affermato di aver subito abusi dal candidato negli anni ’80. Per la prima volta, Donald Trump si è mostrato aperto alla possibilità di una revoca della nomina. CANADA 22 settembre. Si è tenuto a Montreal il primo incontro mondiale tra le Ministre degli Esteri, con l’obiettivo di lanciare un’agenda femminista mondiale e promuovere globalmente l’empowerment femminile. In tale occasione sono state denunciate le disparità di genere presenti all’interno nelle istituzioni.

24 settembre. La società canadese di estrazione d’oro Barrick Gold si è fusa con quella inglese Randgold Resources. Si è trattata di un’operazione dal valore complessivo di 18 miliardi di dollari. Il colosso costituito controllerà 5 delle 10 miniere più redditizie al mondo. A cura di Luca Rebolino 6 • MSOI the Post

TRUMP E L’IMPEACHMENT: UN ABUSO MEDIATICO?

Il XXV emendamento nella storia degli Stati Uniti d’America

Di Martina Santi In un primo momento, Donald Trump era stato tenacemente contestato al grido di Not my President. Da qualche tempo, nella forbice tra parte della popolazione e lo Studio Ovale si è inserito un nuovo slogan di protesta, dal volto molto più politico: “impeachment”. Si tratta dell’istituto giuridico con cui viene decretata la messa in stato di accusa di importanti cariche pubbliche, ree di comportamenti contrari al proprio ruolo. Prima del 1965, una legge che regolamentasse la successione presidenziale in caso di inabilità o indisponibilità del Presidente, non aveva ancora visto approvazione, ma dal 1963, in seguito ai fatti di Dallas, aveva preso a sembrare sempre più necessaria. Con il XXV emendamento alla Costituzione, dunque, fu stabilito che in caso di morte o dimissioni del Presidente il suo vice lo sostituisse, mentre ne avrebbe ricoperto l’incarico ad interim, in caso di temporanea inabilità del Presidente a svolgere le proprie funzioni. Secondo il IV comma del XXV emendamento, inoltre, il Presidente verrà rimosso dal proprio incarico qualora ne sia dimostrata la mancata idoneità a governare. È proprio questo punto che concerne, in altre parole, la possibilità della messa in stato di accusa del Presidente

degli Stati Uniti, meglio nota come impeachment. Fino ad oggi, il ricorso al XXV emendamento è servito per adempiere alla sostituzione di importanti cariche pubbliche rimaste vacanti. Diversamente, l’impeachment non è mai stato applicato per un Presidente, sebbene alcuni abbiano seriamente rischiato la rimozione dal proprio incarico. L’attuale presidenza Trump, contrassegnata dalle indagini sul Russiagate, le affermazioni caratterizzate da misoginia e intolleranza del Presidente e la sua tendenza a minacciare nazioni, nemiche o alleate, sui social network, sono spesso seguite da numerose invocazioni del IV comma del XXV emendamento. I numerosi appelli all’impeachment non sono solo una risposta automatica di una parte dell’opinione pubblica contro una linea politica in cui in milioni di cittadini non si riconoscono. Infatti, a richiamare il XXV emendamento è a volte la stessa ala conservatrice, legata al Partito Repubblicano, nonché, seppure in forma anonima, alcuni membri dello staff presidenziale, critici della confusione e dell’imprudenza che governa alla Casa Bianca. Donald Trump è stato il primo Presidente nella storia degli Stati Uniti a trasferire l’ambasciata statunitense da Tel Aviv a Gerusalemme ed è stato il primo Presidente a infrangere il protocollo reale britannico, mancando di rispetto alla regina Elisabetta. Che sia pure il primo Presidente impeached?


MEDIO ORIENTE 7 Giorni in 300 Parole ARABIA SAUDITA 25 settembre. Il re saudita Salman bin Abdulaziz Al Saud ha partecipato a Gedda alla cerimonia di inaugurazione del treno ad alta velocità che collega le città di Mecca e Medina. Il treno viaggia ad una velocità superiore di 300 km/h ed è noto come Al-Haramain Express.

IRAN 23 settembre. Una parata militare nel sud-ovest dell’Iran si è conclusa nel sangue. 4 uomini in divisa hanno aperto il fuoco sui partecipanti causando la morte di militari e civili, per un totale di 29 morti e una sessantina di feriti. L’attacco è stato in seguito rivendicato dai militanti dell’ISIS. Tuttavia, il presidente Rohani ritiene che gli attentatori siano stati finanziati direttamente dall’estero e accusa Stati Uniti e Paesi del Golfo. 27 settembre. Sempre più alta la tensione tra Iran e USA. Durante un vertice alternativo all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, denominato “Uniti contro il Nucleare in Iran”, il consigliere per la sicurezza nazionale, John Bolton, ha minacciato Teheran: “Se quest’ultimo non smetterà di demonizzare gli Stati Uniti, dei provvedimenti seri saranno presi da Washington”. Il presidente francese Macron, in occasione dell’Assemblea

IRAN: SOLO CONTRO TUTTI (?) Arabia Saudita, UAE, Israele e USA stanno pensando ad una soluzione definitiva

Di Andrea Daidone Il fatto che Arabia Saudita, Emirati, Israele e USA non abbiano particolare simpatia per la teocrazia di Teheran è cosa ormai risaputa, ma questa avversità potrebbe trasformarsi in qualcosa di più: qualcosa che assomiglia molto a ‘Iraqi Freedom’. I rappresentanti dei suddetti Paesi si sono riuniti per discutere quale e quanta sia l’effettiva minaccia che l’Iran rappresenta. La risposta è stata: minaccia nucleare intollerabile. Inoltre, le quattro delegazioni hanno anche concordato sul fatto che l’Iran si sia attivato per far fallire i colloqui di pace che le Nazioni Unite avevano proposto per la crisi yemenita e che avrebbero dovuto avere luogo il 6 settembre a Ginevra. La delegazione Houthi, tuttavia, non si è presentata. I delegati yemeniti sostengono che la colpa sia di Riad, che avrebbe impedito loro di partire. I sauditi, dal canto loro, sostengono che sia stato l’Iran ad intimare alla delegazione yemenita di non partire per far fallire i colloqui. Il Ministro degli Esteri saudita ha affermato che è fortemente improbabile che il regime di Teheran decida di far cessare ogni minaccia e di aprirsi all’Occidente di sua spontanea volontà, aggiungendo poi che l’unica soluzione sarebbe “il rovesciamento del regime

dall’esterno”. Affermazioni sottoscritte dagli Emirati, il cui rappresentante non ha mancato di osservare “non possiamo negoziare con uno stato che vuole ucciderci”. Nell’ottica della c.d coalizione UANI (United Against Nuclear Iran), la pressione esterna sarebbe l’unico modo possibile per far cambiare corso alla Repubblica Islamica. Sembra chiaro quindi che, stando così le cose, ricalibrare la politica esterna di Teheran sia possibile solo tramite una politica estera, per così dire, convinta, delle nazioni del Golfo, di Israele e, soprattutto, degli USA. Verrebbe da pensare che ci sia anche il consenso del Vecchio Continente, invece no. L’Unione Europea, infatti, non solo disapprova quanto affermato da UANI, ma anzi sembrerebbe porsi in difesa dell’Iran. I diplomatici dei principali paesi europei, infatti, hanno concordato di stabilire meccanismi finanziari per facilitare i pagamenti sull’import-export iraniano, petrolio compreso. Una cosa non da poco se si considera che il petrolio rappresenta l’entrata principale nel bilancio dell’Iran, in un clima in cui gli USA si stanno facendo in quattro per fargli terra bruciata intorno, forzando tutti gli acquirenti del suo petrolio a cessare le importazioni. MSOI the Post • 7


MEDIO ORIENTE ufficiale, ha espresso pubblicamente il proprio disaccordo rispetto all’atteggiamento di Trump nei confronti dell’Iran ritenendo necessaria una linea comune delle Nazioni Unite per favorire una stabilità della regione. ISRAELE 26 settembre. L’ex premier laburista ed ex ministro della Difesa israeliano, Ehud Barak è stato nominato presidente della società Intercure, la quale controlla, a sua volta, la Canndoc-Pharma. Quest’ultima è specializzata da anni nella ricerca, produzione e commercializzazione della cannabis medica, settore strategico e di grande interesse per Israele. TURCHIA 26 settembre. Il presidente turco Tayyip Erdogan, in occasione di un’intervista rilasciata a New York, ha annunciato l’evacuazione delle milizie “terroriste”, con particolare riferimento ai gruppi qaedisti presenti a Idlib. Si tratta del risultato di un’intesa raggiunta con Vladimir Putin, la quale prevede, inoltre, la creazione di una “zona demilitarizzata” di circa 15 km sul fronte che separa l’esercito di Damasco dai ribelli anti-Assad. YEMEN 25 settembre. Human Rights Watch (HRW) ha accusato le milizie Houthi in Yemen di torture, sequestro di ostaggi e altre gravi violazioni dei diritti umani. Tale condanna è il risultato di un’indagine svolta interrogando ex detenuti. A cura di Anna Filippucci

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DALL’ACCORDO SUL NUCLEARE AL TERRORISMO ECONOMICO

Dopo il ritiro unilaterale dall’accordo a maggio, Trump rincara la dose contro l’Iran

Di Lorenzo Gilardetti All’Assemblea Generale dell’ONU di New York il presidente statunitense Trump ha monopolizzato la scena concentrando il suo intervento contro l’Iran, con gravi accuse che non hanno lasciato indifferente né la platea, né soprattutto l’omologo iraniano Rouhani. Si tratta di un duro colpo nei confronti dell’Iran e di quell’accordo sul nucleare iraniano voluto fortemente da Obama e approvato nel 2015, dal quale gli USA stanno ormai prendendo sempre più le distanze: prima con il ritiro unilaterale a maggio 2018, poi con le sanzioni imposte ad agosto, e infine negli ultimi giorni con l’annuncio di nuove sanzioni a partire dal 5 novembre prossimo. Donald Trump ha chiesto esplicitamente all’Assemblea di isolare economicamente Teheran per tutelare i Paesi vicini: l’Iran sarebbe infatti secondo il presidente USA “sponsor del terrorismo” e responsabile del caos politico e dell’escalation di violenza in Siria e Yemen, mentre i vertici iraniani si sarebbero appropriati di “miliardi di dollari” dalle casse statali per reinvestirli in armamenti nucleari.

Non si è fatta attendere la risposta di Hassan Rouhani, protagonista dell’accordo del 2015, che oggi vede nell’attacco statunitense l’intento di destabilizzare il suo governo, già alle prese con la gestione di unadifficilecrisieconomicanelPaese, causata proprio dalle ingenti sanzioni: il presidente iraniano ha parlato di “terrorismo economico” da parte degli USA, e ha sottolineato la mancanza di rispetto delle istituzioni internazionali. È stata però l’Unione Europea a tendere la mano a Teheran in nome della salvaguardia dell’accordo: l’alto rappresentante per gli affari esteri Federica Mogherini ha infatti annunciato che esiste un piano: un nuovo sistema ancora non meglio esplicato e chiamato Special Purpose Vehicle. Si tratta di un’entità giuridica che potrà garantire le transizioni finanziarie con l’Iran e che potrebbe quindi mantenere intatti i rapporti economicocommerciali tra Iran e UE, di fatto arginando le sanzioni USA: se da un lato il segretario di Stato statunitense Mike Pompeo si è detto deluso dalla scelta di Bruxelles, dall’altro è più che mai evidente l’intento UE di preservare quanto più possibile l’accordo, con o senza Washington.


RUSSIA E BALCANI 7 Giorni in 300 Parole

RAFFORZATA LA COOPERAZIONE TRA RUSSIA E BOSNIA La visita del Ministro degli Esteri russo a pochi giorni dalle presidenziali

BOSNIA HERZEGOVINA 21 settembre. Il ministro degli Affari Esteri della Federazione Russa, Sergey Lavrov, si è recato in visita a Sarajevo alla vigilia delle elezioni politiche in Bosnia del prossimo 7 ottobre. Lavrov è stato accusato di aver esercitato una certa ingerenza negli affari interni del Paese per una visita effettuata presso il governo della Republika Srpska, parte del Paese dominata da cittadini di etnia serba e di fede ortodossa. Lavrov ha, inoltre, dichiarato che farà visita alle fondazioni occupate nella costruzione di un tempio per la Chiesa ortodossa serba. KAZAKISTAN 26 settembre. A seguito della legge recentemente varata per punire i crimini sessuali contro i bambini, ha avuto luogo il primo caso di castrazione chimica su un uomo condannato per pedofilia. Le autorità kazake hanno dichiarato di voler investire molto su queste “punizioni esemplari”, tanto da aver già stanziato migliaia di euro. RUSSIA 24 settembre. Dopo aver già scontato una pena detentiva di un mese, Aleksey Navalny è stato nuovamente arrestato e condannato a scontare altri 20 giorni di prigione con l’accusa di aver autorizzato l’ennesima manifestazione non autorizzata. Il principale oppositore di Putin, questa

Di Amedeo Amoretti Venerdì 21 settembre, il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov si è recato sul territorio bosniaco. Il diplomatico ha anzitutto incontrato a Sarajevo Igor Crnadak, ministro degli Esteri bosniaco, e, in seguito a Banja Luka Milorad Dodik, Presidente della Repubblica serba della Bosnia ed Erzegovina e candidato alle presidenziali nazionali. Il doppio meeting si colloca in un quadro molto complesso che porta alle elezioni presidenziali dell’8 ottobre. Lavrov ha affermato la ferrea volontà a stringere maggiori rapporti economici con la regione in virtù dei legami diplomatici favorevoli che intercorrono tra i due Paesi. Infatti la Russia svolge un ruolo di garante, insieme a Germania, Francia, Regno Unito, USA, e UE, degli accordi di Dayton, che stabiliscono l’indipendenza della Bosnia ed Erzegovina e dividono la sua amministrazione in due entità autonome. Pertanto, Lavrov ha affermato di supportare “la sovranità, l’integrità territoriale e le competenze costituzionali delle due entità e la costituzionalità di tutti e tre gli individui al potere in Bosnia”.

In contraddizione con tali affermazioni, però, sembra ciò che riporta un articolo pubblicato l’8 agosto da Foreign Policy. La rivista statunitense punta il dito contro le strategie russe atte a sostenere le rivendicazioni indipendentiste dell’entità serba, il cui presidente Dodik ha stretto forti legami con Mosca, andando in visita 9 volte. La Federazione russa, infatti, sosterrebbe la volontà bosniaca di adesione all’UE, ma non la sua ammissione nella NATO. Per evitare avvicinamenti all’alleanza militare occidentale, la Russia intende costruire una milizia paramilitare congiunta a difesa del territorio. Infatti, come sottolinea Predrag Ceranic, preside della Facoltà di studi di sicurezza di Banja Luka, “i Balcani e il Medio Oriente sono strategicamente importanti per le grandi potenze e la guerra in Medio Oriente influenza la loro rivalità nei Balcani”. Già a maggio, il segretario di Stato degli USA, Mike Pompeo, aveva accusato la Russia e la Turchia di destabilizzazione della regione. Lavrov, però, ha voluto denunciare la narrativa con cui si presentano i Balcani a un punto di scelta tra l’Occidente e la Russia: Mosca, infatti, rivendica i suoi stretti legami con la regione, grazie al suo ruolo che ha portato a processi di pacificazione mediata o in seno all’ONU.

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RUSSIA E BALCANI volta, aveva chiesto ai propri concittadini di scendere in piazza per protestare contro la riforma delle pensioni, avallata dallo stesso Presidente russo. RUSSIA 26 settembre. I candidati sostenuti dal presidente russo Vladimir Putin hanno subito una netta sconfitta nelle regioni di Khabarovsk, Vladimir e Valdivostok. Ne hanno tratto vantaggio gli esponenti dei due principali partiti di opposizione, quello dei liberal-democratici e quello dei comunisti. Secondo i commentatori, l’esito elettorale non sarebbe che il risultato della impopolare riforma delle pensioni che sta elaborando la Duma sotto l’egida del Presidente russo.

UCRAINA 26 settembre. Le autorità ucraine hanno minacciato di voler sospendere l’accordo siglato con la Federazione Russa nel 2003 che regola il traffico navale fra i due Paesi. L’Ucraina non ha accolto con favore la costruzione del Krymsky Most, il ponte che collega la Crimea al territorio russo. Secondo Kiev, Mosca starebbe impedendo al porto ucraino sito sul Mar d’Azov di accogliere numerose navi di grandi dimensioni a causa dell’ostruzione operata dal ponte, per il quale, la Federazione, ha speso più di 18 milioni di dollari. A cura di Andrea Bertazzoni

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LO SCISMA DELLA CHIESA ORTODOSSA Russia e Ucraina: un conflitto tra territorio e fedeli

Di Lara Aurelie Kopp-Isaia Il conflitto tra Russia e Ucraina continua su molteplici fronti. Kiev sta affrontando il conflitto con i separatisti filo-russi nelle regioni orientali del Paese; la Russia, invece, rischia di perdere un potere fondamentale, quello sui cristiani ortodossi ucraini. Ad aprile, il presidente ucraino Porošenko ha chiesto ufficialmentealpatriarcaecumenicodi Costantinopoli Bartolomeo, capo supremo della Chiesa ortodossa, l’indipendenza della Chiesa ucraina. Alcuni ritengono che questa richiesta sia una strategia politica, in vista delle elezioni del marzo 2019. Prima della richiesta dell’autocefalia, solamente l’8% della popolazione avrebbe votato per Porošenko. Se il suo progetto d’indipendenza avrà successo, avrà molte più possibilità di ottenere il secondo mandato. La struttura della Chiesa ortodossa ucraina è anomala, poiché i fedeli sono divisi in tre giurisdizioni: Chiesa ortodossa ucraina del patriarcato di Mosca, Chiesa ortodossa ucraina del patriarcato di Kiev, Chiesa ortodossa autocefala ucraina. Solamente quella legata a Mosca è canonica, riconosciuta dalle altre Chiese ortodosse. Per la Costituzione Ucraina, Chiesa e Stato sono enti separati, ma sebbene lo

siano, subiscono una reciproca influenza. La Chiesa di Kiev ha avuto un ruolo fondamentale durante la rivoluzione del 2014. Attualmente la Chiesa è l’istituzione sociale di cui i cittadini ucraini si fidano maggiormente. La richiesta di autocefalia non è solamente una richiesta religiosa, ma è anche politica: togliere il potere russo sulla chiesa ucraina simboleggia un passo avanti nel processo di allontanamento dalla Russia. A inizio settembre, a Istanbul si è tenuto, durante il concilio ecumenico ortodosso, un incontro tra il Patriarca russo Kirill e quello di Costantinopoli Bartolomeo. Durante l’incontro è stata affrontata la questione della Chiesa ucraina, ma non è stato raggiunto un accordo a riguardo La decisione finale non è stata ancora presa, e attualmente ciò che potrebbe succedere si divide in due scenari principali: vi potrebbe essere la deliberazione di un Tomos sull’autocefalia della Chiesa ortodossa ucraina con Filaret Denisenko della Chiesa ortodossa ucraina di Kiev, come patriarca, oppure vi potrebbe essere la creazione di una Chiesa locale subordinata a Costantinopoli La questione della concessione dell’autocefalia potrebbe provocare un vero e proprio scisma all’interno dell’Ortodossia a livello globale.


ASIA E OCEANIA 7 Giorni in 300 Parole CINA. 24 Settembre. La guerra commerciale tra USA e Cina tocca un nuovo apice con l’entrata in vigore di nuovi dazi del 10% su 200 miliardi di dollari di importazioni cinesi. Pechino risponde tassando 60 miliardi di importazioni americane verso la Cina. Oltre alle tensioni sul piano commerciale, i rapporti tra i due Paesi si continuano a deteriorare anche in ambito militare, a causa dell’approvazione della vendita di pezzi di ricambio per gli aerei militari Taiwanesi da parte degli Stati Uniti.

GIAPPONE. 25 Settembre. Il primo ministro Shinzo Abe, in occasione del suo intervento di fronte all’Assemblea Generale dell’ONU, si è dichiarato disposto ad incontrare il leader nordcoreano Kim Yongun. Si tratterebbe di una svolta fondamentale, considerando la linea dura adottata abitualmente da Abe nei confronti della Corea del Nord. Tale incontro si preannuncia in ogni caso teso, dal momento che, probabilmente, verterà sulla spinosa questione del rapimento di numerosi cittadini giapponesi da parte di Pyongyang tra il 1970 e il 1980. HONG KONG. 24 Settembre. Per la prima volta dal 1997, anno in cui Hong Kong è diventata una regione amministrativa speciale della Cina, il governo ha vietato l’esistenza del

INDIA-PAKISTAN: ANNULLATO IL VERTICE DEL 25 SETTEMBRE Manca ancora un punto di intesa

Di Alessandro Fornaroli

Pakistan”.

È fallito il tentativo da parte delle due potenze nucleari confinanti di ristabilire un dialogo costruttivo. Il presidente Narendra Modi lo scorso 18 agosto aveva emesso un comunicato ufficiale sollecitando la controparte ad avviareunaricalibrazionedeirapporti tra i due Paesi, proponendo la partecipazione dei rispettivi Ministri degli Esteri alla 73ª Assemblea Generale ONU a New York il 25 settembre.

La doppia imputazione si riferirebbe all’uccisione di tre funzionari di polizia indiani di stanza in Kashmir e all’emissione da parte del servizio postale nazionale pakistano di alcuni francobolli commemorativi che mostrerebbero scene di quella che viene considerata un’occupazione illegale dell’esercito indiano della regione contesa. Secondo The Nation, le 20 stampe sarebbero state diffuse il 24 luglio, precedendo così le elezioni generali, ritraendo i foreign fighters uccisi dalle truppe indiane nel 2016.

La comunicazione di Nuova Delhi era arrivata dopo il discorso di ingresso del presidente Khan, il quale ha affermato che se l’India avesse fatto un passo verso di loro, il Pakistan ne avrebbe fatto due. Sembrava che, dopo due anni di stallo, ci sarebbe potuto essere un avvicinamento e ufficial fra le alte cariche dello Stato ma, alla vigilia del vertice nello Stato americano, l’India ha denunciato gravi fatti commessi dal governo pakistano, ritirandosi, almeno momentaneamente, da contatti istituzionali. A riferire tale decisione è stato il portavoce indiano degli Affari Esteri Raveesh Kumar il 21 settembre, il quale ha annunciato ai media che l’incontro programmato tra Sushma Swaraj e il corrispettivo Shah Mahmood Qureshi è stato annullato in seguito a recenti eventi che hanno dato prova della “cattiva agenda del

Nel 2015 c’era stata un’ampia apertura con il programma “Comprehensive bilateral dialogue”: un’iniziativa che ha visto una storica visita del Ministro indiano degli Affari Esteri a Islamabad per la Heart of Asia Conference, nel dicembre dello stesso anno. Il progetto, tuttavia, è stato accantonato proprio dopo l’incidente di Pathankot nel gennaio del 2016, quando un gruppo di guerriglieri attaccò una base militare indiana sul confine dello Stato del Punjab. Da quel momento, l’India ha posto la responsabilità di creare l’ambiente favorevole per le trattative sulle spalle del Pakistan.

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ASIA E OCEANIA partito indipendentista (l’HKNP). Fondato nel 2016, l’HKNP è stato ritenuto dalle autorità una minaccia alla sicurezza nazionale. La causa indipendentista perde così ancora più vigore, sostenuta da appena l’11% della popolazione.

MUORE IL PRESIDENTE TRAN DAI QUANG In carica dal 2016, ex Ministro della Sicurezza pubblica vietnamita del Vietnam, unico legale del Paese.

Di Virginia Orsili

MALDIVE. 23 Settembre. Ibrahim Mohamed Solih, del Partito Democratico Maldiviano (PDM) ha vinto le elezioni per la presidenza dell’arcipelago al primo turno, con il 58,3% dei voti. Il suo avversario, il presidente uscente Abdulla Yameen, ha riconosciuto la sconfitta. Durante il suo mandato, quest’ultimo era stato fortemente criticato per le sue posizioni anti occidentali e filocinesi, nonché per aver osteggiato le libertà civili e per la repressione dei propri oppositori, come nel caso dell’esilio forzato del suo predecessore Mohamed Nasheed. VIETNAM. 21 Settembre. Morto a 61 anni Tran Dai Quang, presidente del Vietnam, lasciando un importante vuoto politico nonostante la maggior parte dei poteri sia concentrata nelle mani del segretario generale del Partito Comunista Vietnamita. Antonio Guterres, segretario generale dell’ONU, l’ha ricordato come un rimarchevole promotore dello sviluppo del Vietnam. A cura di Micol Bertolini 12 • MSOI the Post

Si è spento il 21 settembre il presidente del Vietnam Tran Dai Quang. Al momento del decesso era ricoverato presso l’ospedale militare 108, ad Hanoi. L’ex ministro della Salute Nguyen Quoc Trieu, a capo di un comitato nazionale per la salute dei leader nel Paese, ha affermato che il Presidente era malato da luglio “di una rara e seria malattia virale”, per cui si era recato in Giappone 6 volte. L’ultima apparizione pubblica risale al mercoledì precedente, in occasione della visita di una delegazione cinese. Il suo mandato era cominciato nel 2016, quando il 2 aprile fu eletto come guida del Paese. Dal 2011 al 2016 fu Ministro della Sicurezza pubblica ed è proprio all’interno di questo Ministero che intraprese la sua scalata sociale a partire dagli anni ‘70. Il Vietnam si trova sotto l’autoritario controllo del Partito Comunista del Vietnam che, come quello cinese, tenta di instaurare una forma di capitalismo di Stato. Sono quattro le personalità al vertice: il Presidente, che ricopre il ruolo di capo di Stato, incarico di valenza eminentemente cerimoniale, il Primo Ministro, che si occupa della guida del governo, il Capo dell’Assemblea Nazionale ed il Capo del Partito Comunista

partito

Per quanto tra le varie cariche il Presidente benefici di poteri minori, l’ampio margine di manovra di Tran Dai Quang era dato dalla sua appartenenza alla linea dura del partito, un gruppo che aveva preso il controllo nel 2016, dopo un ricambio interno che ha luogo ogni 5 anni. Inoltre, in qualità di Ministro della Sicurezza pubblica, il Presidente era anche a capo dell’intero corpo di polizia e dei servizi di intelligence. Negli ultimi due anni, le personalità più potenti all’interno del Partito si sono servite di questo Ministero per arrestare i sospetti compagni corrotti e per reprimere i dissidenti. Phil Roberston, vice direttore di Human Rights Watch Asia ha detto che il Presidente verrà ricordato per la sua “pluriennale violazione dei diritti umani e per aver messo dietro le sbarre il più alto numero di prigionieri politici nella storia recente del Paese”. Negli ultimi mesi il Presidente era stato criticato per aver fatto approvare una legge che prevede l’apertura di uffici in Vietnam di alcune compagnie tecnologiche, tra cui Facebook, al fine di poter raccogliere dati sugli utilizzatori e trasmetterli poi agli organi statali. L’incarico verrà ora assunto dal Vice Presidente Dang Thi Ngoc Thinh, fino a quando il Comitato Centrale del Partito non segnalerà un nuovo nome, che dovrà essere approvato dall’Assemblea Nazionale, per la quale è convocata una sessione il prossimo mese.


AFRICA 7 Giorni in 300 Parole CONGO 26 settembre. Il presidente Joseph Kabila ha dichiarato che le elezioni del 23 dicembre sono “irreversibili”e che garantirà la loro imparzialità e la loro credibilità a livello internazionale. SENEGAL 26 settembre. Scioperi e rivolte all’università di Dakar, la più antica del Paese. Centinaia di studenti manifestano al grido di “master pour tous”, affinchè i master universitari siano tutti ad accesso libero. I professori, invece, denunciano la presenza di un sistema “congestionato” e sovraffollato, la cui unica soluzione sarebbe il “decongestionamento”, ovvero una rigida selezione degli studenti, per ottenere delle formazioni adeguate e professionali. “Gli studenti devono capire che la formazione universitaria non può essere per tutti”, ha dichiarato Sylla Sow, insegnante di diritto pubblico all’ l’UCAD (Cheikh Anta Diop di Dakar).

SUDAFRICA 24 settembre. A New York è stata inaugurata alle Nazioni Unite una scultura a Nelson Mandela. L’ex Presidente sudafricano è stato rappresentato con le mani alzate in segno di pace ed è stata dedicata al Palazzo di vetro da Guterres con il presidente Cyril Ramaphosa, dichiarando “Nelson Mandela ha incarnato i più alti valori dell’Onu: pace, perdono,

IL RAPPER E IL PRESIDENTE

L’arresto e le probabili torture subite non hanno fermato Bobi Wine dal tornare in Uganda

Di Barbara Polin Aeroporto internazionale di Entebbe, Uganda, 20 settembre. L’auto dai finestrini oscurati è la capofila di una lunga serie di furgoni e motociclette con destinazione Magere, un sobborgo a nord della capitale Kampala. Saranno i 50 chilometri più osservati del Paese: a bordo di una delle auto c’è Bobi Wine, cantante pop e deputato all’opposizione, che viene scortato dalle forze dell’ordine dalla pista di atterraggio al proprio domicilio. Ai media che lo intervisteranno, Wine denuncerà il sequestro del passaporto, e la stretta sorveglianza imposta ai suoi familiari e amici. La notizia del ritorno di Wine in Uganda è giunta inaspettata. È dal 2016 che il cantante, all’anagrafe Robert Kyagunyi Sentamu, rappresenta un potenziale avversario politico del presidente Museveni, al potere dal 1986. Ha iniziato con il rifiutarsi di collaborare all’inno elettorale del Presidente in carica, che ha aspramente criticato per lo scarso contributo dato alla nazione, e ha proseguito con la propria candidatura parlamentare come deputato indipendente a metà 2017. La sua popolarità come cantante

pop e rapper ha attratto il sostegno dei giovani ugandesi, a oggi costituenti il 66% della popolazione nazionale e probabilmente l’unica forza sociale in grado di disarcionare in modo democratico il longevo Museveni, il quale è stato il soggetto-feticcio di “Freedom”, la canzone più popolare di Wine e il suo motto politico. Il 14 agosto, tuttavia, un’ombra ha oscurato la stella nascente di Wine: accusato di aver gettato pietre contro l’auto presidenziale, insieme ad altri 30 contestatori è stato arrestato e rinchiuso in un luogo segreto dal quale è stato fatto uscire in occasione del processo, durante il quale è apparso semiincosciente e incapace reggersi in piedi. Le proteste di massa per le strade delle maggiori città e una crescente pressione internazionale hanno indotto le autorità di Kampala a rilasciare Wine perché fosse ricoverato negli Stati Uniti. L’accusa di cospirazione è rimasta in vigore e un nuovo processo è stato fissato per ottobre. Ai giornalisti che lo intervistavano sul perché fosse tornato, Wine ha risposto che in Uganda ci sono 40 milioni di persone che hanno bisogno di speranza, e che lui le avrebbe incontrate a fronte di ogni ostacolo.

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AFRICA compassione, dignità umana”. La dedica della statua ha preceduto un summit sulla pace che ha richiamato a New York, per l’Assemblea Generale, un numero record di capi di Stato e di governo africani.

ETIOPIA: ALLA RICERCA DI UNA STABILITÀ INTERNA Scontri etnici e il progetto riformista del neo primo ministro Abiy Ahmed

Di Valentina Rizzo TANZANIA 23 settembre. Nelle acque del Lago Vittoria è naufragato un traghetto. Il bilancio sarebbe di 224 vittime. Secondo i cronisti locali l’imbarcazione che poteva trasportare un massimo di 100 persone, ne stava traghettando più di 300, che si erano recate a fare provviste nel grande mercato dell’isola di Ukara. Proprio questo carico, insieme al numero eccessivo di viaggiatori, sarebbe la causa della disgrazia. ZAMBIA 21 settembre. Lo Zambia non riuscirà a saldare il debito contratto con la Cina. Secondo alcune testate giornalistiche nazionali il governo africano sarebbe pronto a vendere allo Stato cinese l’aeroporto di Lusaka e la ZESCO, fornitrice statale di energia elettrica. Nonostante le smentite sia giunta da entrambe le parti, è indubbia la grande influenza che ormai Pechino stia esercitando sul continente africano. Da quando, infatti, Edgar Lungu è salito al potere, ha conferito alle imprese cinesi appalti per oltre 11 miliardi di euro e stretto con Pechino altri impegni finanziari per un ammontare ancora superiore. A cura di Jessica Prieto 14 • MSOI the Post

È difficile liberarsi di un passato caratterizzato da conflitti civili e marcate divisioni tra la popolazione e l’Etiopia ne è oggi il caso emblematico. In queste settimane il Paese sta infatti affrontando nuovamente scontri di connotazione interetnica. Il conflitto più recente è avvenuto il 13 settembre, quando dei giovani oromo, il gruppo etnico più numeroso, hanno innalzato bandiere del Fronte di Liberazione Oromo (OLF), nella capitale Addis Abeba, provocando la reazione dei gruppi rivali, che hanno interpretato il gesto come un tentativo di impadronirsi della città. Fonti governative riportano 28 vittime, 58 secondo Amnesty International. Inoltre nei giorni successivi 2.600 persone sono state arrestate nella capitale e più di 10.000 persone sono state sfollate. L’OLF era parte, insieme ad altre forze politiche, del governo di transizione che nel 1991 ribaltò il regime rosso di Mariàn, ma poco dopo ne fuoriuscì. Abebaw Ayalew, professore all’università di Addis Abeba, sostiene che i conflitti etnici non abbiano sempre caratterizzato la storia dell’Etiopia. Le cose sono cambiate a partire appunto dal 199, quando il nuovo governo implementò un sistema amministrativo basato sulle

divisioni etniche: i diversi gruppi hanno iniziato ad accumulare privilegi e poteri che li hanno messi in competizione per la spartizione delle risorse. Tuttavia, nei primi sei mesi dall’insediamento del neoeletto Abiy, la strategia è stata improntata alla riconciliazione, nel tentativo di allentare le tensioni etniche. Il 15 settembre infatti, in seguito alla firma, lo scorso 7 agosto, di un accordo di riconciliazione con il governo etiope, hanno potuto far ritorno in patria i leader in esilio dell’OLF e il Paese a compiuto un importante passo in avanti verso la pacificazione. L’intesa, firmata ad Asmara, prevede la fine delle ostilità e l’autorizzazione per l’OLF di condurre attività politiche attraverso mezzi pacifici. Il progetto di riconciliazione di Abiy si inserisce all’interno di un più ampio quadro di riforme economiche, diplomatiche e istituzionali. Abiy, di origine oromo, è stato indicato da molti sostenitori come la persona capace di metter fine alle divisioni etniche nel Paese. Il compito è certamente arduo in un Paese come l’Etiopia, secondo per popolazione solo alla Nigeria, con una povertà diffusa e un’aspra competizione tra vari gruppi etnici per le risorse.


AMERICA LATINA 7 Giorni in 300 Parole ARGENTINA 26 settembre. Negoziato l’accordo col Fondo Monetario Internazionale. L’agentina riceverà il maggior prestito della storia dell’Organizzazione, per un ammontare di 57 miliardi di dollari. Secondo Christine Lagarde, Presidente del FMI, questa volta il piano di riforma formulato dall’Argentina funzionerà per due ragioni: “la spesa per il 2019 è incrementata e il prestito potrà essere usato dal Governo come parte del suo bilancio”. COLOMBIA 27 settembre. A seguito di un rapporto delle Nazioni Unite, la Colombia ha registrato un nuovo record nella diffusione di coltivazioni di coca o per narcotraffic . Il presidente Duque ha reagito allineandosi allo statunitense Trump, manifestando, davanti alle Nazioni Unite, una svolta in senso proibizionista. Duque spera di affrontare il narcotraffico con una strategia che includa, oltre a rafforzare l’interdizione aerea, marittima e terrestre, un’offensiva militare contro le frange dissidenti delle FARC.

MESSICO 26 settembre. Il presidente eletto del Messico, Andrés Manuel López Obrado si è riunito con i familiari delle vittime della strage di Ayotzinapa avvenuta 4 anni fa. Secondo le Nazioni Unite il massacro è opera di militari e

NON CESSANO LE PROTESTE CONTRO IL GOVERNO IN NICARAGUA Ortega rifiuta di dimettersi e le violazioni dei diritti umani continuano

Di Francesca Chiara Lionetti Le proteste scoppiate in Nicaragua ad aprile a causa di una riforma dell’apparato sociale continuano ad agitare il Paese. Partite come reazione al taglio delle pensioni, le manifestazioni si sono allargate fino alla richiesta delle dimissioni del presidente Daniel Ortega, in carica dal 2007 e il cui mandato scadrà nel 2021. Ortega, però, rifiuta di lasciare il Governo, sostenendo che il Paese cadrebbe nell’anarchia. Il rapporto pubblicato dall’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani (UNHCR), ha evidenziato che tra il 18 Aprile e il 18 Agosto in Nicaragua sono stati commessi diversi crimini contro i diritti umani. Questi crimini comprendono l’eccessivo uso della forza da parte della polizia, sparizioni forzate, casi di tortura e violenza sessuale nei centri di detenzione, violazioni della libertà di espressione e di riunirsi pacificamente, persecuzione di leader sociali, giornalisti, difensori dei diritti umani e manifestanti. Si stima che a causa delle proteste siano morte circa 300 persone e che ne siano state ferite altre 2.000. Secondo il rapporto, il governo

non ha saputo rispondere in modo adeguato alle proteste (la maggior parte delle quali pacifiche), spesso autorizzando le forze dell’ordine ad usare più forza di quella necessaria o sostenendo l’azione di gruppi paramilitari filogovernativi. Invece di ammettere la responsabilità per gli errori commessi nella gestione della crisi, l’amministrazione ha incolpato i vertici dell’opposizione, i difensori dei diritti umani e i media. Secondo le ricerche svolte da organizzazioni non governative almeno 300 persone sono state accusate di diversi crimini, tra cui terrorismo o crimine organizzato, per aver partecipato o sostenuto le proteste. Un esempio è Felix Maradiaga, di recente accusato di aver finanziato proteste contro l’esecutivo. Maradiaga nega ogni accusa e dice di aver sempre agito secondo “giustizia, non violenza e integrità”. Maradiaga però non si trova in Nicaragua: è stato costretto a scappare così come è successo ad altre migliaia di persone. Secondo l’UNHCR, tra aprile e luglio 23000 cittadini hanno chiesto lo status di rifugiati in Costa Rica. MSOI the Post • 15


AMERICA LATINA poliziotti locali e federali, ma le indagini si sono concluse senza chiarire l’effettiva partecipazione di esponenti del narcotraffico né i legami dei membri delle Forze Armate e Forze dell’Ordine con il governo precedente. Con questa azione, il Presidente punta a differenziarsi dai suoi predecessori, non ancora esclusi dall’indagine su Ayotzinapa, mostrandosi più attento alla situazione umanitaria in cui versa il Paese VENEZUELA

26 settrembre. 6 Paesi (Argentina, Chile, Colombia, Paraguay, Perù e Canada) hanno sollecitato la Corte Penale Internazionale a portare avanti delle indagini sui supposti crimini contro l’umanità commessi dal governo di Maduro in Venezuela fin dal suo insediamento il 12 aprile 2014. La richiesta si basa principalmente sui rapporti elaborati dalle Nazioni Unite, dall’Organizzazione degli Stati Americani, e dalla Commissione Interamericana per i Diritti Umani. 26 settembre. A margine delle accuse rivolte alla Corte Penale Internazionale, Maduro è intervenuto all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, accusando il proprio esecutivo e il Venezuela stesso di essere oggetto di un’offensiva diplomatica operata dagli Stati Uniti. . A cura di Pilar d’Alò 16 • MSOI the Post

PRESIDENZIALI IN BRASILE: IL RUOLO DELL’ESERCITO Il candidato Jair Bolsonaro incontra il favore dei militari e della popolazione

Di Davide Mina Secondo un sondaggio pubblicato da Datafolha a giugno, in Brasile le Forze Armate sono l’istituzione con il più alto indice di fiducia (78%). La Presidenza, attualmente esercitata da Michel Temer, il Congresso e i partiti politici, al contrario, incontrano la sfiducia del 60% dei brasiliani. Forte dei consensi, il candidato vicepresidente dell’estremista di destra Jair Bolsonaro, un generale in pensione di nome Antonio Hamilton Mourao, ha dichiarato: “Se fossi antidemocratico, non starei partecipando alle elezioni, ma starei con la mia 45 (ndr. riferimento a un’arma da fuoco), pulendola bene e aspettando giorni migliori”. La settimana scorsa, Mourao ha ironizzato sui diritti umani: “i diritti umani sono per gli uomini retti”, mentre Bolsonaro, con meno giochi di parole, ha elogiato un torturatore del regime militare e ha promesso che avrebbe scelto sei militari nel Gabinetto di Governo e promosso una legge per agevolare il porto d’armi. Il protagonismo sempre più accentuato dei militari ha destato scalpore in un Paese che ha visto tramontare l’ultimo regime solo trent’anni fa. Va detto però che il tendenziale favore per le milizie era già emerso nel recente passato,

quando l’attuale Presidente aveva nominato per la prima volta un militare come Ministro della Difesa. Inoltre, nelle elezioni del 2014 il numero dei militari candidati ammontava a 13 e oggi sono raddoppiati, puntando a incarichi prestigiosi sicuri di un forte vantaggio elettorale. Secondo Vera Chaia, dell’Università Cattolica di San Paolo, la ragione per cui il Paese si ritrova oggi in una condizione così singolare è che, a differenza degli altri Paesi dell’America Latina, non sono stati processati i responsabili di assassinii, torture e sparizioni perpetrati durante il regime militare del 1964-1985. Oggi dunque, il Brasile vede l’affermarsi di una situazione in cui si sommano elementi peculiari: la sempiterna richiesta di maggiore sicurezza nelle città, la recente disaffezione di parte dell’elettorato nei confronti del partito socialista PT a seguito dell’inaspettato scandalo Lava Jato, e l’ancora più recente attentato ai danni di Jair Bolsonaro. SU quest’ultimo punto, in particolare, si è espresso il Capo dell’esercito, affermando che “l’attentato ci dimostra che sarà difficile che il nuovo governo goda di stabilità e governabilità; potrebbe inoltre essere considerato illegittimo”.


ECONOMIA LA MAISON ITALIANA GIANNI VERSACE ACQUISTATA DA MICHAEL KORS

Michael Kors, Jimmy Choo e Gianni Versace: il nuovo triumvirato del fashion luxury

Di Francesca Maria De Matteis

tella, e alla nipote Allegra.

di essere azionista dell’azienda.

L’annuncio ufficiale di vendita della casa di alta moda italiana Versace a Michael Kors del 25 settembre scorso ha rappresentato un secondo passo mosso dall’azienda di abbigliamento e accessori di lusso statunitense nell’ambito della sua strategia di espansione globale.

Adesso Versace entra a far parte di una holding internazionale e Donatella Versace stessa si dichiara entusiasta all’idea di diventare parte di un gruppo guidato da John Idol, già presidente e amministratore delegato della Michael Kors Holdings Limited. Lei rimarrà, comunque, direttore creativo di Versace e suo fratello Santo presidente del Consiglio di Amministrazione. Insieme a Idol, prevedono che il marchio Versace raggiungerà presto i 2 miliardi di dollari di fatturato.

Dietro alla vendita di tutte le azioni del marchio Gianni Versace S.p.A. alla Michael Kors Holdings Limited ci sarebbe dunque una scelta strategica condivisa dall’intera famiglia Versace. Questa, formata come detto da Santo, Donatella e Allegra, ha dichiarato che la manovra consentirà al marchio di non rimanere indietro in un mondo globalizzato, nel quale più si è piccoli maggiore è il rischio di venire isolati. La stessa Donatella ha dichiarato di essere convinta che un tale cambiamento permetterà al loro business di “raggiungere il suo pieno potenziale”.

Michael Kors, nel luglio 2017, aveva infatti rilevato per circa un miliardo di euro il brand di scarpe con sede a Londra, fondato dallo stilista malesiano omonimo, Jimmy Choo. Otto mesi più tardi, l’azienda registrava già un giro d’affari di 4,72 miliardi di dollari. Come rivelato sopra, poco più di un anno dopo, nel settembre 2018, la società dello stilista newyorkese ha acquistato per 2,12 miliardi di dollari una seconda casa di moda, l’italiana Versace. Fondata nel 1978 da Gianni Versace a Milano, dove aveva sede l’atelier della madre, è oggi condotta dalla sua famiglia. Sin dalla sua nascita, la maison italiana ha innovato con creatività e originalità, influenzando la moda e lo stile a livello mondiale. Assassinato a cinquantun anni a Miami, Gianni aveva lasciato le redini dell’impero ai suoi due fratelli, Santo e Dona-

La celebre famiglia di stilisti non si è astenuta dal curare ulteriori dettagli rilevanti del contratto. La holding americana coprotagonista della negoziazione, già acquirente del marchio Jimmy Choo, come prima conseguenza, cambierà il nome in Capri Holdings Limited. In questa verrà, quindi, investita parte delle quote ricavate dalla vendita da ciascuno dei tre Versace coinvolti. Tra loro, la figlia di Donatella e nipote di Gianni, Allegra Versace Beck, alla quale lo zio lasciò in eredità la quota di maggioranza, il 50%, rendendola azionista di controllo. Il gruppo Blackstone LP, inoltre, venderà la propria partecipazione, circa il 20%, cessando così

Secondo recenti indiscrezioni, anche altre importanti case di moda italiane, come Trussardi e Ferragamo, sembrerebbero inclini a seguire l’esempio dettato dalla famiglia Versace. Sull’onda della globalizzazione, quindi, il settore del fashion luxury appare pronto ad affrontare un periodo di cambiamenti e novità. Protagonisti di questa fase di ristrutturazione generale sono i grandi gruppi quotati di rilevanza internazionale, che potrebbero quindi creare una sorta di oligopolio del lusso. MSOI the Post • 17


ECONOMIA L’ECONOMIA DI GAZA È IN CADUTA LIBERA

Un report della Banca Mondiale lancia l’allerta sul territorio palestinese

Di Alberto Mirimin È stato presentato il 27 settembre all’incontro dell’Ad Hoc Liason Commitee (AHLC, ente che coordina gli aiuti internazionali per i palestinesi) di New York il documento di 38 pagine della Banca Mondiale col quale viene lanciata l’allerta sulla situazione economica della Striscia di Gaza, dichiarata “in caduta libera”. I fattori che hanno portato a tale condizione, riferisce la Banca Mondiale, sono molteplici. In particolare, l’Organismo finanziario internazionale menziona da un lato la decisione dell’Autorità della Palestina di ridurre di 30 milioni di dollari i pagamenti mensili a Gaza, dall’altro il taglio dei finanziamenti statunitensi annuali al territorio palestinese deciso dall’amministrazione Trump. Come se non bastasse, ad aggravare la situazione c’è la continua confisca di terreni e risorse naturali da parte dello Stato di Israele. Proprio la ‘spending review’ statunitense ha rappresentato un duro colpo per il territorio compreso fra Egitto e Israele. Infatti, negli ultimi mesi, l’amministrazione di Donald Trump ha cancellato aiuti per 200 mi18 • MSOI the Post

lioni originariamente indirizzati allo sviluppo della Cisgiordania e Gaza, e altri pari a 10 milioni per i progetti di dialogo e coesistenza israelo-palestinese. Questo, a sua volta, ha conseguentemente portato a ulteriori tagli al bilancio operati all’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei rifugiati (UNRWA), le cui risorse sono state dimezzate proprio a seguito del calo dei contributi dei tradizionali Stati finanziatori, tra cui spiccano gli Stati Uniti. Proprio in merito a ciò, la Banca Mondiale ha aggiunto che la crisi dell’UNRWA potrebbe rapidamente condurre al collasso del sistema pubblico e dei servizi di base a Gaza, dal momento che dall’Agenzia dipendono circa 275 scuole e 22 cliniche mediche, nonché l’intero sistema assistenziale, che tramite politiche di sostegno al reddito, sussidi e distribuzione di pasti nelle scuole contribuisce alla sopravvivenza di circa l’80% della popolazione della Striscia. I dati che emergono dall’ultimo rapporto dell’UNCTAD (United Nations Conference on Trade and Development), pubblicato mercoledì 12 settembre e dedicato alla situazione economica nei Territori palestinesi,

mostrano una situazione disastrosa. Nella Repubblica semipresidenziale di Gaza si toccano livelli record di disoccupazione, pari al 27% nel 2017, che arriva al 50% nella fascia di popolazione con meno di 30 anni. Ad aggravare la tradizionale impossibilità da parte della popolazione di utilizzare le proprie risorse umane e naturali, si denota una produzione agricola in calo, mentre le attività industriali e commerciali vengono significativamente ostacolate dall’occupazione militare. La continua crescita della popolazione, poi, ha portato a un eccessivo pompaggio dell’acquifero costiero della Striscia di Gaza, determinando così un abbassamento del suo livello di acqua. Per confermare la gravità di questi dati, basti pensare che solo nel primo trimestre del 2018 l’economia di Gaza si è contratta del 6%. A conclusione della propria relazione, la Banca Mondiale ha, quindi, asserito che, allo stato attuale delle cose, Gaza diventerà invivibile entro il 2020. Sempre che questo disperato appello non induca i finanziatori internazionali ad aumentare nuovamente i flussi di aiuti verso la Striscia.


DIRITTO INTERNAZIONALE ED EUROPEO AMBIENTE, CAMBIAMENTO CLIMATICO E MIGRAZIONI Il caso degli Internally Displacements

Di Luca Imperatore Il cambiamento climatico è una tematica complessa e di difficile gestione. Gli effetti di tale fenomeno sull’ambiente sono sotto gli occhi di tutti (o quasi) e le proiezioni per il futuro anche prossimo sono lungi dall’essere rincuoranti. La questione migratoria, d’altro lato, è stata particolarmente sentita sul piano politico e sociale, negli ultimi anni, in particolare in relazione alla c.d. “crisi migratoria” nel Mediterraneo. C’è, però, un fil rouge che lega questi due fenomeni e che rappresenta il prodotto dell’interazione (alquanto nefasta) tra di essi. È il caso delle migrazioni che hanno luogo proprio a causa di degli effetti del cambiamento climatico sull’ambiente. I principali protagonisti della vicenda sono coloro che vengono definiti internally displaced persons (o IDP). L’attenzione nei confronti di questi soggetti è andata via via aumentando nel corso degli ultimi vent’anni, anche a causa dell’ingente aumento numerico dei coinvolti. Si definiscono IDP coloro che sono costretti a lasciare le proprie case e terre per sfuggire a condizioni ambientali non più favorevoli alla vita umana. Le cause di questo abbandono sono le più diverse. Secondo Walter Kälin, ex Rappresentante del Segretario generale ONU per

i diritti umani degli IDP, la caratterizzazione degli scenari di questo fenomeno va identificata in base alla causa che ha determinato la migrazione. In tal senso occorre differenziare tra (I) sudden onset disasters come uragani o improvvise calamità naturali; (II) slow onset environmental degradation quali l’innalzamento dei livelli del mare, la desertificazione, la salinizzazione delle falde acquifere del sottosuolo e la siccità; (III) la condizione di Stati insulari o costituiti da arcipelaghi di piccole isole che tendono a perdere progressivamente porzioni di territorio; (IV) la classificazione di determinate zone geografiche come “non più idonee alla vita umana”; (V) i conflitti armati e gli scontri violenti per il controllo delle risorse naturali. Comprese le cause possibili, permane il problema della classificazione giuridica (e conseguentemente della protezione ivi derivante) di questa particolare tipologia di migranti. È difficile assimilarli a migranti economici, stante il fatto che – in linea di principio – non avrebbero iniziato alcuna migrazione se non per causa di sconvolgimenti ambientali. Altrettanto arduo è farli rientrare nella definizione fornita dalla Convenzione di Ginevra del 1951 sullo status dei rifugiati, dal momento che la Convenzione prevede l’attraversamento di una frontiera nazionale.

Analogamente, risulta assai complesso considerare il cambiamento climatico o il disastro ambientale quale atto persecutorio fondato sulla “razza, religione, nazionalità, appartenenza a un particolare gruppo sociale od opinione politica” del migrante (come stabilito dal comma 1) del primo articolo della Convenzione). Tali soggetti sembrano dunque essere privi di una tutela specifica dal momento che non rientrano nelle categorie comunemente accettate per i migranti titolari di un diritto di protezione specifico. La questione non è secondaria posto che si tratta della protezione di milioni di persone, secondo l’UNHCR. A onor del vero, bisogna anche considerare che l’Africa e l’America Latina hanno predisposto strumenti di protezione dei rifugiati dai confini più mobili, tali da permettere di includere almeno gli IDP che fuggono da improvvise calamità naturali. È, quindi, forse necessario avviare un concreto lavoro di gestione del cambiamento climatico, anche in considerazione del rischio di veder aumentare il numero degli IDP negli anni. Il parziale fallimento degli accordi di Parigi del 2015 e il trend attuale, però, non lasciano presagire buoni sviluppi. MSOI the Post • 19


DIRITTO INTERNAZIONALE ED EUROPEO “BULK INTERCEPTION”: QUALE LIMITE TRA PRIVACY E SECURITY? La Corte di Strasburgo alla prova dell’attualità

Di Pierre Clément Mingozzi Allo stato attuale dell’informazione, -in quella che, sempre più spesso, viene definita post-Snowden society-, la possibilità di uno scontro tra la necessità di garantire alti livelli di sicurezza nazionale e la protezione dei diritti individuali è difficile da scongiurare. È infatti ciò su cui è stata chiamata a decidere la Corte europea dei diritti dell’uomo, nel recente caso Big Brother Watch and Others v. the United Kingdom (Applications nos. 58170/13, 62322/14 and 24960/15). Nello specifico, i tre ricorrenti - a vario titolo giornalisti e attivisti -, ritenendo che le bulk interception portate avanti congiuntamente dal Regno Unito e dagli Stati Uniti, scoperte tramite il c.d. caso Snowden, costituissero una violazione dei propri diritti convenzionalmente riconosciuti, decisero di ricorrere alla Corte riguardo “(1) the bulk interception of communications; (2) intelligence sharing with foreign governments; and (3) the obtaining of communications data from communications service providers”. Sempre secondo i ricorrenti, il sistema di 20 • MSOI the Post

intercettazioni e di scambio delle medesime messo in atto dal Regno Unito tramite il Regulation of Investigatory Powers Act 2000 (RIPA), avrebbe comportato un accesso diretto e non mediato da parte del Regno Unito a dati sensibili e dunque meritevoli di protezione. Nel merito, la Corte, partendo dal presupposto che “it would be wrong automatically to assume that bulk interception constitutes a greater intrusion into the private life of an individual than targeted interception, which by its nature is more likely to result in the acquisition and examination of a large volume of his or her communications (par. 316)”, ha tuttavia riconosciuto, prendendo in considerazione anche la regolamentazione della materia nel domestic level, che il regime siffatto di intercettazioni “cannot be in accordance with the law within the meaning of Article 8” (par. 467). Passando successivamente alla presunta violazione dell’art. 10 CEDU e ribadendo la validità dei criteri stabiliti nel Weber case (Application no. 54934/00), la Corte ha stabilito inoltre che, nel momento in cui tali parametri vengano garantiti,

ciò debba essere fatto tramite l’istituzione di un organo indipendente, che possa vagliare il corretto utilizzo dei dati raccolti. In aggiunta, per ciò che riguarda la professione giornalistica, la Corte ha evidenziato che la tutela delle fonti risulta essere uno degli aspetti fondamentali da proteggere affinché il diritto all’informazione possa essere pienamente garantito. In quest’ottica, è chiaro il senso del richiamo fatto dalla Corte agli obblighi positivi e negativi che gravano sugli Stati membri della Convenzione. Infatti, oltre all’obbligo di non interferire negativamente nel godimento dei diritti, gli Stati membri sono chiamati anche ad agire positivamente affinché ad ogni livello sia assicurata l’istituzione degli strumenti più adeguati a garantire il godimento più completo dei diritti stabiliti dalla Convenzione. In ultima analisi, è il bilanciamento tra la legittima necessità della sicurezza nazionale e la protezione dei diritti individuali a dover esser promosso e, possibilmente raggiunto. Eventualità questa, non sempre di facile realizzazione.


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