MSOI thePost Numero 118

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Il Settimanale di M.S.O.I. Torino


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MSOI Torino M.S.O.I. è un’associazione studentesca impegnata a promuovere la diffusione della cultura internazionalistica ed è diffuso a livello nazionale (Gorizia, Milano, Napoli, Roma e Torino). Nato nel 1949, il Movimento rappresenta la sezione giovanile ed universitaria della Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale (S.I.O.I.), persegue fini di formazione, ricerca e informazione nell’ambito dell’organizzazione e del diritto internazionale. M.S.O.I. è membro del World Forum of United Nations Associations Youth (WFUNA Youth), l’organo che rappresenta e coordina i movimenti giovanili delle Nazioni Unite. Ogni anno M.S.O.I. Torino organizza conferenze, tavole rotonde, workshop, seminari e viaggi studio volti a stimolare la discussione e lo scambio di idee nell’ambito della politica internazionale e del diritto. M.S.O.I. Torino costituisce perciò non solo un’opportunità unica per entrare in contatto con un ampio network di esperti, docenti e studenti, ma anche una straordinaria esperienza per condividere interessi e passioni e vivere l’università in maniera più attiva. Cecilia Nota, Segretario M.S.O.I. Torino

MSOI thePost MSOI thePost, il settimanale online di politica internazionale di M.S.O.I. Torino, si propone come un modulo d’informazione ideato, gestito ed al servizio degli studenti e offrire a chi è appassionato di affari internazionali e scrittura la possibilità di vedere pubblicati i propri articoli. La rivista nasce dalla volontà di creare una redazione appassionata dalla sfida dell’informazione, attenta ai principali temi dell’attualità. Aspiriamo ad avere come lettori coloro che credono che tutti i fatti debbano essere riportati senza filtri, eufemismi o sensazionalismi. La natura super partes del Movimento risulta riconoscibile nel mezzo di informazione che ne è l’espressione: MSOI thePost non è, infatti, un giornale affiliato ad una parte politica, espressione di una lobby o di un gruppo ristretto. Percorrere il solco tracciato da chi persegue un certo costume giornalistico di serietà e rigore, innovandolo con lo stile fresco di redattori giovani ed entusiasti, è la nostra ambizione. Jacopo Folco, Direttore MSOI thePost 2 • MSOI the Post

N u m e r o

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REDAZIONE Direttore Editoriale Jacopo Folco Direttore Responsabile Davide Tedesco Vice Direttori Giusto Amedeo Boccheni, Pilar d’Alò Caporedattori Giusto Amedeo Boccheni , Luca Bolzanin, Pilar d’Alò, Luca Imperatore, Pauline Rosa Capi Servizio Rebecca Barresi, Giusto Amedeo Boccheni, Luca Bolzanin, Lucky Dalena, Pierre Clement Mingozzi, Sarah Sabina Montaldo, Daniele Pennavaria, Leonardo Scanavino, Chiara Zaghi Media e Management Daniele Baldo, Guglielmo Fasana, Anna Filippucci, Vladimiro Labate, Jessica Prietto Editing Lorenzo Aprà, Adna Camdzic, Amandine Delclos Copertine Virginia Borla, Amandine Delclos Redattori Gaia Airulo, Erica Ambroggio, Elena Amici, Amedeo Amoretti, Andrea Bertazzoni, Micol Bertolino, Luca Bolzanin, Davide Bonapersona, Maria Francesca Bottura, Fabrizia Candido, Daniele Carli, Debora Cavallo, Emanuele Chieppa, Giuliana Cristauro, Andrea Daidone, Lucky Dalena, Alessandro Dalpasso, Federica De Lollis, Francesca Maria De Matteis, Ilaria di Donato,Tommaso Ellena, Guglielmo Fasana, Anna Filippucci, Alessandro Fornaroli, Corrado Fulgenzi, Francesca Galletto, Lorenzo Gilardetti, Lara Amelie Isai-Kopp, Luca Imperatore, Michelangelo Inverso, Vladimiro Labate, Giulia Marzinotto, Simone Massarenti, Rosalia Mazza, Davide Nina, Pierre Clement Mingozzi, Alberto Mirimin, Chiara Montano, Sveva Morgigni, Virginia Orsili, Daniele Pennavaria, Barbara Polin, Jessica Prieto, Luca Rebolino, Jean-Marie Reure, Valentina Rizzo, Giacomo Robasto, Clarissa Rossetti, Federica Sanna, Martina Santi, Martina Scarnato, Edoardo Schiesari, Jennifer Sguazzin, Stella Spatafora, Elisa Todesco, Francesco Tosco, Tiziano Traversa, Leonardo Veneziani, Alessio Vernetti, Elisa Zamuner. Vuoi entrare a far parte della redazione? Scrivi una mail a thepost@msoitorino.org!


EUROPA 7 Giorni in 300 Parole

LETTONIA ALLE URNE: FILORUSSI PRIMO PARTITO Avanzano i populisti di Kaimiņš

FRANCIA 9 ottobre. Scontri a Parigi tra la polizia e i manifestanti scesi in piazza per contestare le politiche del presidente Macron. Le proteste sono scoppiate quando i sindacati della Confédération générale du travail (CGT), della Force ouvrière (FO) e due sindacati studenteschi nazionali hanno denunciato le politiche che stanno provocando la distruzione del welfare francese, favorendo disuguaglianza e violazione dei diritti della popolazione. Macron è intanto alle prese con un delicato rimpasto di governo, dopo le improvvise dimissioni del ministro dell’Interno Collomb. ITALIA 8 ottobre. Lo spread, ossia il differenziale di rendimento tra i titoli di Stato italiani e quelli tedeschi, sfonda la soglia dei 300 punti base, per la prima volta dal 2013. Il vicepremier Di Maio, parlando a Berlino, non ha mostrato preoccupazione per l’attuale situazione e ha dichiarato che “non è in gioco l’adesione all’UE”, mentre il ministro dell’Economia Tria ha provato a rassicurare i mercati sostenendo la manovra di 37 miliardi proposta nel DEF. POLONIA 10 ottobre. Il presidente Andrzej Duda ha assistito al giuramento di 27 nuovi giudici della Corte Suprema da lui nominati, nonostante l’opposizione in-

Di Giuliana Cristauro Il 6 ottobre scorso la Lettonia è stata chiamata alle urne per rinnovare il Saeima, il Parlamento della Repubblica. Il Partito Socialdemocratico “Armonia” (Saskaņa) di orientamento filorusso ha ottenuto il 19% dei consensi, divenendo la prima forza politica del paese. Kpv Lv (acronimo per A chi appartiene lo Stato?), partito di orientamento populista, ha ottenuto il 14,1 % dei voti. Il Nuovo Partito Conservatore (JKP) ha conseguito il 13,6% dei consensi. L’Unione dei Verdi e dei Contadini (ZZS), attualmente al governo, ha ottenuto soltanto il 10% dei consensi e gli altri due partiti dell’attuale coalizione di centrodestra (Alleanza Nazionale e l’Unità) hanno perso la metà dei voti rispetto alle precedenti elezioni del 2014. Con l’indipendenza della Repubblica Baltica dall’Unione Sovietica, a partire dal 1991, il voto è sempre stato influenzato da ragioni etniche. Non sorprende, quindi, che anche durante le precedenti elezioni del 2014 il partito filorusso “Armonia” avesse raggiunto un’alta percentuale di consensi, anche se poi escluso dalle trattative per la formazione del governo. Non è ancora certo che il partito venga coinvolto nelle trattative per la formazione dell’esecutivo dato che, al momento, l’unica

forza politica disposta ad allearsi coi filorussi è Kpv Lv. Il partito di impronta populista Kpv Lv è stato fondato nel 2016 dall’attore Artuss Kaimiņš. La campagna elettorale del partito si è basata su un programma senza dubbio autoritario che vede nell’accentramento dei poteri e nell’adozione di riforme radicali gli strumenti per combattere gli scandali sulla corruzione e sul riciclaggio di denaro sporco, che da molti anni gravano sulla Lettonia. Con lo slogan populista “lo Stato deve ricominciare da se stesso”, Kpv Lv ha raccolto molti consensi soprattutto tra le classi disagiate e tra i lettoni che hanno dovuto far fronte ai disagi economicisuccessivi all’ingresso della Lettonia nell’Unione Europea nel 2004. Kaimiņš si è detto favorevole ad un accordo con “Armonia”, a condizione che quest’ultima abbandoni l’idea di introdurre il russo come seconda lingua nelle scuole e che riconosca l’invasione della Lettonia da parte dell’Unione Sovietica e della Crimea da parte di Mosca. Tuttavia, in caso di accordo, servirebbe un terzo alleato e l’Unione dei Verdi e dei Contadini è molto divisa in tal senso. L’avanzata del populismo, anche in Lettonia, conferma l’affermazione dei movimenti sovranisti e antieuropei in Europa. MSOI the Post • 3


EUROPA terna e dell’Unione europea. La Commissione europea, pertanto, ha deferito la Polonia alla Corte di Giustizia europea per le crescenti ingerenze dell’esecutivo nel potere giudiziario.

FRONTIERE DISCUSSE

Il G6 di Lione fra sicurezza e immigrazione

Di Simone Massarenti SVEZIA 10 ottobre. L’incarico di formare un nuovo governo, conferito al leader della coalizione di centrodestra Ulf Kristersson, si è arenato di fronte all’indisponibilità dei socialdemocratici, guidati dal premier uscente Stefan Lofven, a dare il loro appoggio al nuovo esecutivo. Qualora Kristersson non dovesse trovare un’altra soluzione, lo speaker del Parlamento dovrà affidare l’incarico a un’altra personalità, la quale, molto probabilmente, sarà lo stesso Lofven UNIONE EUROPEA 10 ottobre. Il primo vicepresidente della Commissione europea, Frans Timmermans, si è candidato ufficialmente per succedere a Jean-Claude Juncker alla guida della Commissione europea. Per le elezioni europee del 2019, infatti, il PPE ha deciso di schierare il tedesco Manfred Weber, mentre nel PSE, oltre a Timmermans, si era già fatto avanti un altro Vicepresidente della Commissione: lo slovacco Maros Sefcovic. Sul fronte dei partiti euro-scettici, invece, non vi è stata ancora alcuna candidatura ufficial . e .

A cura di Alessio Vernetti

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Si è svolto a Lione, nelle giornate dell’8 e 9 ottobre, il summit fra i Ministri degli Interni dei Paesi del G6 per discutere circa le strategie e le politiche da attuare a livello europeo al fine di affrontare al meglio la spinosa “questione migratoria”. I titolari dei dicasteri dei 6 Paesi più grandi dell’Unione si sono riuniti nella città del Rodano a titolo ‘informale’ per colloquiare circa le attuali condizioni della politica di accoglienza e lotta al terrorismo in Europa, con lo strascico di mesi di polemiche e aspri dibattimenti fra i Paesi continentali. Le prime difficoltà si sono presentate nella conciliazione fra il neo ministro francese Eduard Philippe, succeduto a Gerard Collombe, e il ministro degli Interni italiano Matteo Salvini, giunto nella città transalpina con lo scopo di incentivare, attraverso una netta posizione italiana, una politica comune europea. A monte della cena inaugurale il premier francese Emmanuel Macron ha rimarcato l’“importanza di un senso di responsabilità da parte di ogni Paese, poiché si tratta di tutelare la sicurezza e il benessere dei cittadini”. Come rimarcato dalle pagine di Euronews, l’arrivo che

ha suscitato più clamore e mobilitato i media è stato quello di Matteo Salvini il quale, ostentando sicurezza e portando avanti una linea dura già da mesi, ha dichiarato che la strada verso un’Europa più sicura sarà costruita da un nuovo “fronte del buon senso”, citando i propri alleati Marine Le Pen e Viktor Orban, tacciati dalle Istituzioni Europee di essere un pericolo per la stabilità dell’Unione. Al tavolo delle trattative non sono mancate però le richieste anche da parte di altri Paesi come, ad esempio, la Spagna: il paese iberico, protagonista delle vicende migratorie in quanto direttamente interessato dal fenomeno, ha richiesto, stando alle dichiarazioni del quotidiano El Pais, maggiori fondi per far fronte alla crisi migratoria. In particolare, ne sono stati richiesti per aiutare il Marocco, paese del Maghreb fra i più interessati dal fenomeno e dal quale provengono, stando alle stime di Madrid, il maggior numero di immigrati irregolari. Il clima, già rovente, è stato reso incandescente dalle dichiarazioni del ministro degli Interni polacco Joachim Brudzinski il quale, durante il confronto di Lione, ha affermato che consiglierà al proprio Primo Ministro l’uscita della Polonia dal Global Compact, la cui firma è prevista per il dicembre prossimo a Marrakesh.


NORD AMERICA 7 Giorni in 300 Parole

LNG CANADA

Maxi investimento privato nel settore della produzione energetica

Di Erica Ambroggio STATI UNITI 6 ottobre. La nomina di Brett Kavanaugh per la Corte Suprema è stata confermata al Senato. I voti favorevoli sono stati 50 e i contrari 48. Si tratta di una vera e propria vittoria politica per Donald Trump, il quale è così riuscito a indirizzare la Corte in senso conservatore, nonostante le accuse di molestie sessuali giunte da 3 donne. 6 ottobre. Elon Musk ha finanziato, con una donazione di 480.000 dollari, un sistema di filtraggio dell’acqua per le scuole di Flint. La città del Michigan era stata al centro della crisi dell’inquinamento da piombo dell’acqua. 9 ottobre. L’ambasciatrice presso le Nazioni Unite degli Stati Uniti, Nikky Haley, si è dimessa dall’incarico. Ha dichiarato che alla base della scelta vi sarebbero stati dei “motivi personali”. Diversi sostenitori, tuttavia, ritengono che la reale motivazione sia da ricercare in una non condivisione della linea politica adottata dall’Amministrazione Trump e che fosse, spesso, tagliata fuori da altre figure politiche di rilievo, come Pompeo e Bolton. 9 ottobre. Registrata la peggiore giornata alla Borsa di Wall Street degli ultimi 8 mesi.

Settimana ricca di soddisfazioni, quella del primo ministro canadese, Justin Trudeau, che, in soli 2 giorni, ha conquistato 2 delle più importanti vittorie economiche del proprio percorso politico. Nella notte del 30 settembre, il Premier è riuscito, infatti, a raggiungere l’atteso accordo concernente uno dei principali Trattati commerciali in cui il Canada si veda impegnato: il NAFTA, ora noto come USMCA. Il gran clamore generato dal placarsi, per ora, delle tensioni con il partner statunitense non ha tuttavia oscurato l’arrivo di un ulteriore, ed economicamente cruciale, traguardo. All’indomani della nascita del nuovo trattato di libero scambio il primo ministro Trudeau ha presentato “il più grande investimento privato nella storia canadese: LNG CANADA”. L’annuncio ha mostrato una vera e propria “maxi opera”, la cui importanza, a livello energetico, non avrebbe eguali nella storia dello Stato nordamericano; 40 miliardi di dollari (C$) sarebbero infatti stati destinati alla costruzione del più grande “progetto infrastrutturale” finalizzato alla creazione e all’esportazione di gas naturale liquefatto. Firma dell’investimento, una joint venture composta da Shell, Petronas, PetroChina, Mitsubi-

shi e Korea Gas Corporation. Durante la conferenza stampa tenuta dai rappresentati delle società azioniste del progetto, è stato annunciato l’immediato avvio dei lavori di costruzione che dovrebbero terminare nell’anno 2024. Durante la presentazione dell’infrastruttura si è, inoltre, dichiarato che, al raggiungimento della piena operatività dell’impianto, l’ammontare delle esportazioni potrebbe raggiungere i 26 milioni di tonnellate all’anno. Rotta delle vendite sarà, principalmente, il mercato asiatico: “La domanda di gas naturale liquefatto dovrebbe raddoppiare entro il 2035 e gran parte della crescita arriverà dall’Asia”, ha dichiarato Ben van Beurden, amministratore delegato della Royal Dutch Shell. L’opera verrà costruita nella provincia canadese della Columbia Britannica, nell’area della città di Kitimat e sarà caratterizzata, come riportato dal Premier, “da un impianto di liquefazione di gas naturale, un gasdotto e un terminale di esportazione verso i mercati esteri asiatici”. Un progetto imponente, dunque, che contribuirà non solo a incrementare il ruolo strategico canadese nelle attività di produzione energetica a basso impatto ambientale, ma anche, come menzionato dallo stesso Trudeau, alla creazione di nuovi posti di lavoro: 10.000, secondo le stime effettuate.

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NORD AMERICA Caduta dovuta ai timori degli investitori per la tenuta del settore tecnologico, dopo l’introduzione dei nuovi dazi con la Cina. Trump ha attaccato la Fed accusandola di essere “impazzita” e di aver alzato i tassi di interesse troppo in fretta. 10 ottobre. Un funzionario dell’Intelligence cinese è stato estradato negli USA per essere processato. Accusata di spionaggio industriale, è la prima spia cinese processata negli Stati Uniti.

KAVANAUGH NOMINATO ALLA CORTE SUPREMA

Le accuse di molestie sessuali dividono il Paese La seconda accusa è stata avanzata da Deborah Ramirez, la quale ha riportato di essere stata molestata dall’allora diciottenne Kavanaugh durante una festa nel dormitorio di Yale. Immediata la risposta della Casa Bianca a difesa del giudice: “E’ una campagna di calunnie coordinata dai democratici”. Di Jennifer Sguazzin Il 6 ottobre scorso, con 50 voti a favore e 48 contrari, il Senato ha confermato la nomina del giudice Brett M. Kavanaugh alla Corte Suprema. Figura di spicco tra i conservatori, Kavanaugh è stato al centro di un’animata protesta in seguito alle accuse di molestie sessuali rivoltogli da tre donne.

CANADA 7 ottobre. Dopo un mese di settembre particolarmente rigido, caratterizzato da forti piogge e nevicate, gli agricoltori della provincia canadese dell’Alberta hanno registrato un raccolto pari solo al 40% rispetto all’anno precedente. 9 ottobre. Inaspettatamente il nuovo governo della provincia del Québec permetterà agli insegnanti già in servizio di indossare simboli religiosi nelle aule. Decisione giunta a seguito di una settimana di dibattiti concernenti la promessa elettorale di impedire, ai funzionari pubblici, di esibire appunto simboli religiosi nei luoghi di lavoro. A cura di Luca Rebolino

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La prima a farsi avanti contro il giudice è stata Christine Blasey Ford, professoressa di psicologia dell’Università di Palo Alto. Dopo aver inviato una lettera confidenziale a inizio estate, ha deciso di abbandonare l’anonimato dichiarando: “Non sono qui perché voglio esserlo. Sono terrorizzata. Sono qui perché penso che sia mio dovere civico raccontarvi cosa mi è successo”. Il 27 settembre scorso, la professoressa è stata ascoltata dalla Commissione Giustizia del Senato degli Stati Uniti per il tentato stupro subito durante una festa nell’estate del 1982. All’epoca Kavanaugh aveva 17 anni e Ford 15. Il giudice ha respinto le accuse: “È un’accusa completamente falsa. Non ho mai fatto niente di simile né all’accusatrice, né a qualsiasi altra persona”.

Infine, la terza ad aver mosso accuse contro Kavanaugh è Julie Sweatnick. La donna ha dichiarato di aver partecipato a decine di feste durante le quali Kavanaugh, da ubriaco, aveva assunto un comportamento aggressivo nei confronti delle ragazze. A renderlo noto è stato l’avvocato Michael Avenatti, lo stesso che ha rappresentato la pornostar Stormy Daniels nel caso contro Trump. La nomina a giudice della Corte Suprema è una questione di grande rilevanza poiché si tratta di una posizione ricoperta a vita e di forte impatto sulle questioni sociali. Considerate le posizioni estremamente conservatrici di Kavanaugh sui diritti delle donne, sono in molti a temere una stretta sulla legge sull’aborto, nota come Roe v. Wade, pronunciata anch’essa dalla Corte Suprema nel 2015. Mentre le elezioni di metà mandato si stanno avvicinando, Trump porta a casa una grande vittoria: una Corte Suprema polarizzata, ma inclinata verso il fronte più conservatore. Dall’altro lato, però, stiamo assistendo ad una nuova ondata, sulla scia del movimento femminista #metoo, che sta portando a un’inedita rappresentanza femminile nelle imminenti elezioni di metà mandato.


MEDIO ORIENTE 7 Giorni in 300 Parole ARABIA SAUDITA 9 ottobre. Lo scorso martedì il giornalista saudita Jamal Khashoggi è entrato nel consolato del proprio Paese a Istanbul per non uscirne successivamente. Secondo la polizia turca, infatti, Khashoggi sarebbe rimasto all’interno dall’edificio, così come secondo la sua compagna. I sospetti indicano che il giornalista, scomodo al regime di Riyad, sia stato ucciso tra le mura dello stesso consolato. 11 ottobre. A seguito delle accuse della comunità internazionale sulla responsabilità saudita nel caso Khashoggi, le autorità turche hanno dichiarato di aver aperto un’indagine congiunta con i corrispettivi sauditi. 15 sospetti sono stati rilasciati. EGITTO 8 ottobre. Le forze di sicurezza libiche hanno catturato il terrorista Hisham Ashmawi, ex ufficiale dell’esercito accusato di essere responsabile di diversi attentati in Egitto. Tra le imputazioni, anche un tentato attacco contro un alto funzionario di Stato. 10 ottobre. Il figlio dell’ex presidente Morsi è stato arrestato al Cairo con l’accusa di diffondere fake news, in seguito a un’intervista rilasciata la scorsa settimana in merito alla detenzione del padre. Lo scopo di Abdullah Morsi era quello di ottenere migliori condizioni igienico-sanitarie per l’ex Presidente egiziano, il quale, al momento, si trova in carcere in condizioni precarie. ISRAELE 10 ottobre.

Netanyahu

CHI È NADIA MURAD

Il Nobel per la Pace scappato dagli orrori di Daesh

Di Lucky Dalena She is “inspiring and much needed”, dice Emma Graham-Harrison sul The Guardian. Ma chi è la donna che, insieme al medico e attivista congolese Denis Mukwege, ha ricevuto il Nobel per la Pace 2018? Nadia è irachena: yazidi, nello specifico. Gli yazidi, il cui nome deriva da Izdis (testimoni di Dio) sono un popolo tanto antico quanto discreto. La complessità della loro fede contiene elementi dell’Islam, del Cristianesimo e anche dello Zoroastrismo. Il divino è identificato in Yasdan, mentre il suo messia in terra è l’angelo Malak Taus, identificato da molti come sheitan, un demone. Se alcune religioni minoritarie come gli Alawiti o i Drusi permettono la conversione, uno yazidi è per sempre: ci devi nascere e, a meno di non voler essere ripudiati dalla propria comunità, ci devi morire. Come accaduto a molte minoranze religiose, nei secoli si sono divisi in piccole comunità nel nord-est dell’Iraq, nord-est della Siria e sud-est della Turchia. Sviliti e perseguitati dal sedicente Stato Islamico, è negli ultimi anni che hanno subito il bagliore dell’attenzione internazionale. Tra le molte vittime di Daesh, si sono registrati

circa 50.000 yazidi tenuti sotto assedio tra le inospitali montagne irachene senza cibo né acqua. Nadia Murad è una di loro. Rapita dal sedicente Stato Islamico nel 2014, è diventata prigioniera e schiava sessuale di coloro che si dichiarano fautori della jihad sessuale. La sua famiglia è stata uccisa. Ha provato a scappare ma non ci è riuscita. È stata portata a Mosul per poi essere venduta. È stata ricomprata, e rivenduta. “Ad un certo punto, c’erano solo gli stupri, e niente altro” – racconterà poi. Tre mesi dopo, Nadia riesce a fuggire per sempre. Prende la sua storia con tutti i suoi orrori, e decide di raccontarla. Perché è così che si fa con ciò che va ricordato per far sì che non accada più. Raggiunto un campo rifugiati nel Kurdistan, dopo la sua fuga ha portato la sua voce in Germania, dove ha trovato ad ascoltarla il mondo intero. La prima donna sopravvissuta a tali atrocità, è diventata ambasciatore ONU per il traffico di esseri umani. Le è stato riconosciuto il premio Sakharov per la libertà di pensiero. Ed è stata la prima donna irachena a vincere il Nobel per la pace. Per quelle centinaia, migliaia di donne che non ce l’hanno fatta a scappare dagli orrori di Daesh. Ma soprattutto, per noi.

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MEDIO ORIENTE ha espresso rammarico per l’uscita di scena dell’ambasciatrice statunitense alle Nazioni Unite Nikki Haley, le cui posizioni sono molto vicine a quelle del governo di Israele. Al contrario, la leadership palestinese ha definito il suo operato come “orribile”.

IL GIALLO SULLA SPARIZIONE DEL GIORNALISTA DISSIDENTE SAUDITA SI INFITTISCE Le indagini turche e statunitensi portano all’accusa del governo di Mohammad bin Salman

Di Anna Filippucci

MAROCCO 9 ottobre. La Marina Reale marocchina ha soccorso 615 migranti mentre tentavano di raggiungere la Spagna; il Marocco ha di fatto superato la Libia come Paese di transito per coloro che vogliono attraversare il Mediterraneo. IRAQ 5 ottobre. Il Nobel per la Pace è stato assegnato a Nadia Murad, attivista per i diritti delle donne. Yazida irachena rapita, torturata e violentata dai militanti dell’ISIS è diventata il simbolo della lotta del suo popolo e di quella delle donne vittime di stupri di guerra. Il premio è stato dato anche al Dott. Mukwege, ginecologo congolese che ha curato migliaia di vittime di abusi sessuali. A cura di Anna Nesladek

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Il 2 ottobre 2018 il giornalista saudita Jamal Khashoggi, 59 anni, è entrato nel consolato saudita a Istanbul e da allora se ne sono perse le tracce. L’uomo viveva in auto-esilio negli Stati Uniti da quasi un anno: si era stabilito al di fuori del proprio paese in quanto temeva per la propria vita, dopo aver esposto posizioni fortemente critiche nei confronti di Mohammad bin Salman e il suo operato. Trattandosi di un giornalista molto noto che collaborava per varie testate internazionali, tra cui il Washington Post, la sua scomparsa ha fomentato le tensioni già presenti tra la Turchia e l’Arabia Saudita. Khashoggi si era recato ad Istanbul, nel consolato, per presentare dei documenti necessari per completare il proprio divorzio con la prima moglie, rimasta in Arabia Saudita. Prima di entrare, ha lasciato il proprio telefono all’attuale fidanzata, alla quale ha detto di aspettare fuori e chiamare soccorsi nel caso in cui dopo 4 ore non fosse ancora uscito. Passato un po’ di tempo, la donna, preoccupata per le sorti del compagno, ha informato la polizia turca. L’Arabia Saudita, considerata responsabile per l’accaduto in quanto la scomparsa sarebbe avvenuta all’interno del consolato non ha reso, per ora, pubblico alcun risultato delle indagini;

sostiene inoltre che il giornalista sarebbe uscito dall’edificio e che quindi l’onere delle indagini spetterebbe, al contrario, alla Turchia. Tuttavia, le telecamere esterne mostrano che il giornalista non è mai uscito dall’edificio, mentre quelle interne risultano misteriosamente non funzionanti. Anche se non formalizzata, l’accusa della Turchia è che l’Arabia Saudita abbia organizzato l’omicidio o il rapimento del giornalista. Il New York Times ha riferito che 15 uomini sauditi, vicini al governo di bin Salman, sarebbero arrivati il mattino del giorno della sparizione di Khashoggi, per poi ripartire la sera stessa. Il Washington Post ha affermato, inoltre, che delle pesanti valigie sarebbero state viste caricare su un furgone e che, lì dentro, si suppone ci fosse il corpo smembrato del giornalista scomparso. Entrambi i giornali si appoggiano a dati che trapelano dalle indagini statunitensi e turche; tali informazioni avvalorano l’ipotesi di un’esecuzione premeditata da parte del governo saudita ma, benché utilizzate dai media di tutto il mondo, non sono state rese pubbliche o iconfermate da fonti ufficial . Si tratta di accuse pesanti e il presidente Trump, così come Erdogan, non ha voluto sbilanciarsi, per evitare di compromettere le proprie relazioni con la monarchia saudita.


RUSSIA E BALCANI 7 Giorni in 300 Parole

SENTSOV INTERROMPE LO SCIOPERO DELLA FAME

Il regista ucraino detenuto in Russia smette di protestare per evitare l’alimentazione forzata aver fallito.

Di Andrea Bertazzoni BOSNIA ED ERZEGOVINA 7 ottobre. La Bosnia è stata chiamata alle urne per eleggere i 3 nuovi membri della Presidenza. Nella comunità serba Milorad Dodik, nazionalista e alleato di Vladimir Putin, ha ottenuto il 51,4% dei voti, nella comunità croata l’europeista Željko Komšićha ha vinto con il 51%, mentre nella comunità musulmana è stato eletto Šefik Džaferović con il 37%. BULGARIA 7 ottobre. Il corpo della giornalista Victoria Marinova è stato trovato esanime nella città di Ruse, con evidenti segni di stupro. La causa dell’omicidio potrebbe essere ricondotta alla sua attività investigativa: infatti, la reporter, aveva recentemente denunciato i dirigenti del GP Group Joint Stock Company di corruzione e di utilizzo illegale di fondi governativi. Le indagini della polizia hanno portato all’arresto, ad Amburgo, di Severin Krasimirov che sembrerebbe aver confessato l’omicidio. RUSSIA 5 ottobre. Vladimir Putin e il primo ministro indiano Narendra Modi si sono incontrati a Nuova Delhi. Nonostante le minacce di sanzioni economiche giunte da Donald Trump e indirizzate a chi avesse commerciato con la

Lo scorso 5 ottobre il regista ucraino Oleg Sentsov ha annunciato che il giorno successivo avrebbe messo fine al suo sciopero della fame. Il regista aveva iniziato la sua protesta il 14 maggio, dopo essere stato condannato a vent’anni di reclusione con l’accusa di aver tentato di organizzare un attentato terroristico in Ucraina. Sentsov è recluso in un carcere nella zona dell’Artico russo. Il regista originario della Crimea era stato arrestato nel 2015, a qualche mese di distanza dal referendum che ha visto l’annessione della penisola alla Federazione Russa. Secondo quanto riportato dal suo legale Dmitry Dinze, Sentsov sarebbe stato costretto a prendere questa decisione alla luce del fatto che le autorità penitenziarie del carcere russo in cui si trova avrebbero presto iniziato il regime di alimentazione forzata per il detenuto. Nella lettera che il regista ha fatto recapitare alla testata russa Novaya Gazeta, si legge che il regista ringrazia “tutte le persone che lo hanno sostenuto in questa sua lotta durata 145 giorni e che è costata 20 chili di peso” e chiede scusa di non essere riuscito a portare a termine la propria battaglia e di

Le autorità penitenziarie hanno manifestato sollievo nel poter comunicare la decisione del detenuto, sottolineando che i migliori dietologi e medici di Russia avrebbero già intrapreso e sviluppato un piano volto a ripristinare le normali funzioni digestive di Sentsov. Il Servizio federale penitenziario nega di aver costretto il regista a interrompere il suo sciopero della fame, ma ricorda infatti come sarebbe stato lui stesso a manifestare il desiderio di riprendere ad alimentarsi normalmente, dopo i numerosi tentativi di dissuaderlo dal proseguire la sua protesta. Ciononostante, secondo alcune fonti ufficiose, né l’avvocato del regista, né i suoi parenti avrebbero ancora confermato l’effettiva interruzione del suo sciopero della fame. Lo stesso legale del detenuto ha dichiarato, in un’intervista al giornale online lettoneMedusa, che le guardie penitenziarie avrebbero promesso a Sentsov che l’avrebbero reso un vegetale tramite l’alimentazione forzata se non avesse accettato di interrompere lo sciopero della fame. Dinze ha inoltre aggiunto che il suo cliente ha dovuto arrendersi alla volontà del carcere, dal momento che egli stesso è cosciente del fatto di non poter più rendersi conto del suo effettivo stato di salute e del fatto che le speranze di sopravvivere si stavano ormai riducendo. MSOI the Post • 9


RUSSIA E BALCANI Russia nel settore della difesa, il meeting si è concluso con la firma di un accordo tra i due Paesi che prevede l’acquisto da parte dell’India di un sistema difensivo aereo russo. 9 ottobre. Il ministro degli Esteri slovacco, Miroslav Lajčák, e quello russo, Sergey Lavrov, hanno discusso in un incontro bilaterale, tenutosi a Mosca, di questioni internazionali ed energetiche. Lajčák ha sottolineato l’importanza di una duratura partnership con la Russia sia per questioni di sicurezza internazionale, sia per il trasporto di gas naturale proveniente dal territorio russo. SERBIA 9 ottobre. Rappresentanti governativi della Serbia, tra cui lo stesso presidente Vučić, si sono recati ad Astana per firmare un memorandum d’intesa con il Kazakistan. Il testo prevede numerosi accordi di cooperazione in campo militare, edilizio, del traffico aereo e di politiche rivolte ai giovani. Il ministro della Difesa serbo, Aleksandar Vulin, ha, infine, invitato la delegazione kazaka in Serbia. UCRAINA 9 ottobre. Secondo la testata giornalistica russa Kommersant, l’ex presidente dell’Ucraina, Viktor Yushchenko, potrebbe diventare il nuovo delegato ucraino per gli accordi di Minsk, dopo le dimissioni di Leonid Kuchma. Secondo il giornale, la figura di Yushchenko sarebbe un problema per la delegazione russa, in quanto il politico ucraino è uno tra i più accaniti oppositori della Russia. A cura di Amedeo Amoretti

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CRISI DIPLOMATICA ALL’ORIZZONTE L’OPAC nel mirino del cyberterrorismo russo

Di Lara Aurelie Kopp-Isaia Negli ultimi mesi le tensioni tra Occidente e Russia si sono acuite per via del cyberterrorismo. Gran Bretagna, Paesi Bassi, NATO e Stati Uniti hanno pubblicamente mosso accuse nei confronti dell’intelligence militare russa, il GRU. Le accuse riguardano diversi attacchi informatici da parte dei russi contro l’Occidente e le istituzione internazionali. Il 4 ottobre scorso, Gran Bretagna e Paesi Bassi hanno accusato la Russia di aver organizzato nel mese di aprile un attacco cibernetico contro l’OPAC, l’Agenzia per la proibizione delle armi chimiche. L’Agenzia è incaricata di indagare sul caso Skripal, ex spia russa uccisa a Salisbury, nel Regno Unito, con il gas nervino Novichok. Per la sua morte il Regno Unito ha accusato la Russia, dando inizio a un conflitto diplomatico. I 4 sospettati dell’attacco possedevano passaporti diplomatici ed erano esperti d’informatica. Le spie russe, secondo quanto riferito dai Paesi Bassi, sarebbero state immediatamente espulse dopo essere state scoperte a seguito di un controllo di polizia. Stando alle ricostruzioni e alle accuse, le spie, dopo aver noleggiato un auto e aver compiuto diversi sopralluoghi nei

pressi dell’OPAC, hanno tentato di entrare nella rete informatica compromettendo i computer dell’agenzia. Dopo essere stati scoperti sono stati fermati ed espulsi. Il Regno Unito ha collaborato con i Paesi Bassi per sventare l’attacco all’OPAC, e i Premier dei due paesi, rispettivamente Theresa May e Mark Rutte, hanno dichiarato in un comunicato comune che “questo tentativo di accedere al sistema di sicurezza di un’organizzazione internazionale dedicata alla lotta contro le armi chimiche nel mondo mostra come il GRU disprezzi i valori e le regole internazionali alla base della nostra sicurezza comune”. Sergej Lavrov, ministro degli esteri russo, ha subito respinto tutte le accuse, affermando che “la spia-mania in Occidente sta crescendo”. La crisi tra Russia e Olanda ha generato un effetto domino diplomatico. Negli Stati Uniti, il Dipartimento di Giustizia ha accusato e incriminato diversi membri del GRU per cyber-attacchi contro agenzie di anti-doping, tra cui la Wada. Il presidente del Consiglio europeo Tusk, quello della Commissione Europea Juncker e l’Alto Rappresentante Mogherini hanno dichiarato: “Esprimiamo seria preoccupazione per questo tentativo di minare l’integrità dell’OPAC”.


ASIA E OCEANIA 7 Giorni in 300 Parole AUSTRALIA 9 ottobre. Il governo ha presentato un disegno di legge che obbligherebbe i migranti a vivere nelle zone rurali per i primi 5 anni dall’arrivo nel Paese. Il ministro per le Città, le Infrastrutture Urbane e la Popolazione, Alan Tudge, ha spiegato che il provvedimento avrebbe come obiettivo quello di “alleviare la congestione nei grandi centri urbani, in particolare nelle città di Sidney e Melbourne”. Queste due grandi metropoli sono, infatti, mete privilegiate dagli immigrati e ospitano già i 2/5 della popolazione totale, che conta 25 milioni di persone. CINA 8 ottobre. Meng Hongwei, ex presidente dell’Interpol, è stato arrestato con l’accusa di corruzione. A dare l’annuncio, il ministero della Sicurezza Pubblica, di cui Meng è il viceministro. Lo scorso 28 settembre l’uomo aveva lasciato la famiglia residente a Lione per un viaggio in Cina, ma da quel momento si erano perse le sue tracce. Hongwei aveva annunciato, la scorsa domenica, le proprie dimissioni dall’Organizzazione internazionale della polizia criminale.

HONG KONG 6 ottobre. Rifiuto del visto giornalistico per il corrispondente della sezione Asia del Financial Time Victor Mallet. Lo scorso agosto, il giornalista aveva moderato un

L’EPURAZIONE CONTINUA

Il Presidente dell’Interpol accusato di corruzione dopo giorni senza notizie

Di Micol Bertolini Meng Hongwei, Presidente dell’Organizzazione Internazionale della Polizia Criminale (Interpol) da novembre 2016, risultava scomparso da ormai una decina di giorni, finchè, domenica scorsa 7 ottobre, l’Organizzazione ha reso note le proprie dimissioni con effetto immediato. Il giorno seguente, il governo cinese ha confermato la sua detenzione da parte delle autorità, in quanto accusato di corruzione per aver accettato delle tangenti. L’Interpol ha accettato le dimissioni senza mettere in dubbio la loro ricevibilità e senza richiedere ulteriori spiegazioni della parte delle autorità cinesi. Primo cittadino cinese a ricoprire una carica di tale rilievo in seno ad un’organizzazione internazionale, Meng Hongwei costituiva un tassello fondamentale della politica cinese, essendo contemporaneamente anche vice-ministro della pubblica sicurezza del suo Paese natale. A causa di tale appartenenza alle alte sfere del governo cinese, la sua elezione all’Interpol era stata accolta con particolare scetticismo dall’opinione pubblica internazionale: al centro delle critiche, il non rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo da parte della RPC e il rischio che la Cina approfittasse

di tale ruolo per dare la caccia ai dissidenti politici e ai cittadini all’estero accusati di corruzione. Tuttavia, in questi ultimi tempi, Meng Hongwei era stato gradualmente allontanato dal governo, rimosso prima dal Comitato del Partito Comunista del Ministero, poi dalla carica di Vice Presidente dell’Amministrazione per gli Oceani e infine dal Ministero dell’Interno, sostituito da Zhao Kezhi, fedelissimo di Xi. Tale decadenza sembra dovuta ai suoi legami con Zhou Yongkang, noto rivale dell’attuale Presidente, condannato all’ergastolo nel 2014 per corruzione. Si tratterebbe dunque dell’ennesima vittima della campagna anti-corruzione promossa da Xi Jinping dal 2012. Questa battaglia del Presidente, però, per quanto si ponga come obiettivo la risoluzione di un problema grave e reale in Cina, è risultata spesso soltanto un pretesto per disfarsi degli oppositori politici. In particolare, Human Rights Watch ha duramente condannato l’impiego del shuanggui, un tipo di detenzione segreta che permette alla CCDI di aggirare diverse garanzie al fine di non intralciare le indagini. Certo è che l’epurazione di Xi pure non aveva mai interessato un personaggio di tale levatura sul piano internazionale. MSOI the Post • 11


ASIA E OCEANIA incontro insieme all’attivista pro-indipendenza Andy Chan, leader del partito Hong Kong National Party messo al bando a settembre. Human Rights Watch denuncia il rischio di “una rapida spirale verso il basso dei diritti umani a Hong Kong”.

INDIA 9 ottobre. Il ministro Affari esteri, Mobasher Jawed Akbar, è stato accusato di molestie sessuali. Prima di entrare nel mondo della politica, Akbar aveva occupato posizioni di rilievo in alcune delle redazioni più importanti per il Paese, come The Telegraph, The Asian Age e The Sunday Guardian. A partire da lunedì, diverse giovani giornaliste hanno voluto dar voce alla loro denuncia su twitter. Quasi tutte le testimonianze parlano di aggressioni avvenute al momento di un colloquio di assunzione svolto all’interno di camere di hotel. INDONESIA. 9 ottobre. In seguito al sisma del 28 settembre, il corpo militare indonesiano ha rifiutato l’ingresso nel paese ad alcune ONG straniere e invita, quelle già presenti sul territorio, a ritirarsi. Da diversi giorni, numerose organizzazioni francesi come Pompiers Missions Humanitaires e Aides Actions Internationales Pompiers hanno denunciato la mancata collaborazione dell’arma indonesiana nelle operazioni di soccorso. L’interesse sarebbe quello di evitare qualsiasi tipo di ingerenza straniera. A cura di Virginia Orsili 12 • MSOI the Post

AUSTRALIA: IMMIGRAZIONE COME OPPORTUNITÀ L’economia non mente: record di crescita

Di Alessandro Fornaroli

mini di impiego.

Dal 1990 l’Australia ha visto una crescita demografica del 50% circa, passando dai 17 milioni dell’ultimo decennio del secolo scorso fino ai 25 milioni attuali. Il flusso migratorio interessato è composto principalmente da immigrati permanenti in attesa di visto, rifugiati e importatori di capitali, beni o servizi.

Il primo punto evidenziato dallo studio è che i nuovi residenti contribuiscono più di quanto consumino, aumentando dunque la ricchezza pro capite. Il gettito fiscale che li colpisce è superiore rispetto alle spese governative circa i servizi da loro consumati. Un altro fattore da non sottovalutare è che i richiedenti visti sono tutti giovani individui in età lavorativa, elemento che ha permesso di abbassare sensibilmente l’età media, che si prevede raggiungerà i 40 anni nel 2040. È importante sottolineare che una popolazione più giovane necessita di minori aiuti sanitari e comporta conseguentemente un minore aggravio per l’erario statale.

Questa situazione ha portato gli australo-nativi ad avvicinarsi all’elettorato di estrema destra, rappresentato soprattutto dal ministro degli Affari Interni Peter Dutton e dall’ex Primo ministro Tony Abbott. Secondo l’Australian Population Research, infatti, molti cittadini pensano che un aumento così ampio della popolazione agisca direttamente sugli stipendi, sui prezzi di affitto delle case, sulle infrastrutture e sul servizio sanitario nazionale. A screditare questi timori è intervenuto Philip Lowe, governatore della Australian Reserve Bank, il quale ha screditato l’idea, diffusa dal Partito Liberale, dell’immigrazione come danno economico citando un report stilato dall’agenzia Fairfax Media. Secondo tale documento, suddiviso in 4 asserzioni principali, limitare o peggio fermare la regolarizzazione di studenti e lavoratori stranieri costerebbe al governo di Canberra miliardi di dollari, riducendo inoltre la crescita in ter-

Dal lato lavorativo, invece, si è visto come l’immigrazione non porti a una riduzione o stagnazione delle retribuzioni. La loro presenza si traduce automaticamente in un aumento della domanda, alimentando così il ciclo economico e permettendo alle imprese locali di espandersi con tutte le appendici di impiego e salari che ne derivano. L’ultimo punto evidenzia come tale situazione abbia permesso all’Australia di superare brillantemente gli effetti della grande crisi finanziaria del 2008, avendo affrontato 36 trimestri positivi per il PIL nazionale, battendo anche il colosso americano oltreoceano.


AFRICA 7 Giorni in 300 Parole CAMERUN 7 ottobre. Lo svolgimento delle elezioni politiche è stato costellato da scontri a fuoco avvenuti tra le forze governative e le milizie separatiste delle aree anglofone. Si teme che le sparatorie abbiano potuto influire sull’affluenza elettorale.

TERREMOTO ELETTORALE Tra dichiarazioni affrettate e tumulti, si attendono ancora i risultati

Di Federica De Lollis

COSTA D’AVORIO 5 ottobre. La città di Abidjan ospiterà il Centro di eccellenza contro la fame e la malnutrizione, frutto della collaborazione tra il governo nazionale e il World Food Program delle Nazioni Unite. Il progetto mira allo sviluppo di nuove pratiche e conoscenze utili alla prevenzione della malnutrizione in Africa centrale e occidentale. ETIOPIA 8 ottobre. Il portavoce del Fronte di Liberazione Nazionale Oromo ha negato di aver firmato un accordo a proposito del disarmo delle proprie milizie, accusate di aver provocato scontri lungo il confine eritreo. L’impegno, che il Fronte ritiene vincolante, è il mantenimento della pace in terra etiope.

REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO 5 ottobre. Il ginecologo congo-

Al netto delle presidenziali del 7 ottobre scorso, Maurice Kamto, capo del Movimento per la Rinascita Camerunense (MRC) si è proclamato vincitore. Ai giornalisti ha detto: “Abbiamo raggiunto il nostro obiettivo… Invito il Presidente uscente a studiare un modo pacifico per il trasferimento del potere”. Il ministro per l’Amministrazione Territoriale Paul Atanga Nji, tuttavia, ha precisato che il Consiglio Costituzionale, unico organo competente a dare pubblicità ai risultati delle elezioni, non si è ancora pronunciato. L’attesa per gli esiti potrebbe essere più lunga del previsto: la procedura di voto prevede un unico turno di consultazioni, dal quale uscirà vincitore il candidato che ottiene la maggioranza dei consensi. In caso di ricorsi presso la Corte Suprema Camerunense, le elezioni si considereranno terminate soltanto una volta che questa si sia pronunciata. Le ultime consultazioni nel Paese si sono rivelate politicamente tumultuose e perfino pericolose nella regione anglofona secessionista: le forze armate che sorvegliavano i seggi hanno sparato ed ucciso tre ribelli che pare tentassero di ostacolare l’esercizio del voto. Le aspettative alla vigilia delle

elezioni erano orientate verso l’invariabilità della situazione presente, con la conferma del governo ultratrentennale di Paul Biya, uno degli ultimi presidenti storici del continente. Ma la vicenda si è articolata diversamente. Anzitutto, dei 9 candidati, solo 7 si contendevano la presidenza, per via della presenza di due grandi coalizioni. Uno di questi, Akere Muna, ha chiesto di ritirare la propria candidatura per poi allearsi al compagno di coalizione Kamto meno di 24 ore dopo, ma l’organo competente, l’ELECAM, non ha autorizzato la mossa del candidato. Al termine delle consultazioni, Maurice Kamto, ex Ministro del precedente governo Biya e uno tra i candidati più discussi, ha rivendicato la vittoria sostenendo di aver ricevuto un mandato di governo dai cittadini. Il gesto integrerebbe una violazione della legge elettorale, ma l’esecutivo sembra non aver dato credito alle affermazioni di Kamto. L’unico dato certo è l’astensione dilagante, che i media locali hanno definito ‘voter apathy’. Questa tendenza è segno di una profonda rassegnazione rispetto ad un eventuale rinnovo di Biya, il quale non presenta proposte di sviluppo per il Paese, lasciandolo bensì ancorato alla produzione di olio e cacao. Un altro aspetto non trascurabile è che la popolazione sembra non essere pronta ad una nuova generazione politica. L’incertezza aumenta con l’attesa. Soltanto la pubblicazione dei risultati, a prescindere dal partito vincente, darà una scossa al Paese.

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AFRICA lese Denis Mukwege ha vinto il Premio Nobel per la Pace. Conosciuto come Doctor Miracle, per più di 20 anni ha curato le donne vittime di stupro, arma di guerra in un Paese a lungo dilaniato dal conflitto civile. 6 ottobre. Un camion cisterna e un autobus si sono scontrati vicino alla capitale Kinshasa. L’incendio che ne è scaturito ha provocato la morte di 50 persone. 100 i feriti, ma il numero delle vittime sarebbe ancora incerto. SIERRA LEONE 10 ottobre. Il governo ha dichiarato di aver annullato il contratto per il nuovo aeroporto di Freetown, con l’ammissione di non possedere le risorse sufficienti a ripagare gli investitori cinesi.

SOMALIA 10 ottobre. Alcuni miliziani del gruppo terroristico di al-Shabab hanno giustiziato 5 uomini accusati di essere spie dei governi somalo, inglese e statunitense, i quali non hanno rilasciato dichiarazioni. L’episodio dimostra l’ininterrotto svolgimento delle operazioni di al-Shabab nelle aree rurali. A cura di Barbara Polin

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IL DESTINO DI UNA NAZIONE

Il Mozambico firma accordi di esplorazione petrolifera

Di Guglielmo Fasana Che una nazione venga ritenuta dagli addetti ai lavori ricca di riserve di combustibili fossili è paradossalmente motivo di entusiasmo e preoccupazione al tempo stesso. Spesso, infatti, e specialmente nei Paesi in via di sviluppo, lo sfruttamento delle risorse naturali va a braccetto con l’instabilità politica, passando rapidamente ad essere da trait d’union a mela della discordia. Si tratta della “Oil curse”, la cosiddetta maledizione del petrolio, che abbiamo visto abbattersi in anni recenti su Paesi come la Libia e il Venezuela, piombati nel caos anche per la gestione poco accorta di una materia delicata come quella energetica. In questo caso è il Mozambico ad essere chiamato in causa. Il Paese sta attraversando ormai da diversi mesi una congiuntura tutt’altro che positiva: si è infatti passati dai pubblici elogi sulle riforme da parte degli alti quadri del Fondo Monetario Internazionale nel 2014, a una crisi profonda, innescata dalla scoperta di prestiti stimati in 2 miliardi di dollari nascosti dal governo nel 2016. Sono seguiti una brusca battuta d’arresto della crescita economica e la perdita dello status di ‘promessa’ tra gli Stati emergenti dell’Africa sub-sahariana. Ora, proprio in questo contesto di incertezza, il governo intende sfruttare fino in fondo le sue

risorse naturali per supplire almeno in parte alle difficoltà nel finanziarsi in tutti gli altri settori economici. Lunedì scorso 8 ottobre, il governo mozambicano ha siglato nuovi accordi con 2 compagnie statunitensi e russe, che porteranno alla costruzione di almeno 10 pozzi, a fronte di un investimento iniziale di circa 700 milioni di euro. In aggiunta, anche una compagnia italiana e una sudafricana si preparano a firmare un accordo simile. Le stime prevedono che il Paese, che è stato capace di attirare investimenti per un totale stimato di 30 miliardi di dollari nel settore energetico, diventerà il quarto maggiore esportatore di gas e petrolio al mondo, a partire dal 2022. Questi accordi si vanno a sommare a quelli già conclusi nei primi giorni dell’agosto 2018, relativi all’esplorazione e allo sfruttamento delle risorse della regione dello Zambesi del Nord. La speranza è che questo flusso di capitale straniero, riversato in Mozambico dalle compagnie energetiche, sia inquadrato in una strategia di più ampio respiro, che comprenda la redistribuzione delle entrate derivanti dal petrolio: secondo una stima del 2015 della CIA, circa il 46% della popolazione vive sotto la soglia di povertà e la predazione delle risorse naturali rischia di esacerbare le disuguaglianze.


AMERICA LATINA 7 Giorni in 300 Parole

COLOMBIA, LA STRADA VERSO LA PACE VA A RILENTO Il governo di Ivan Duque non sembra intenzionato ad andare incontro agli ex-guerriglieri

ARGENTINA 10 ottobre. L’ex ministro della Pianificazione Federale, Julio De Vido, è stato dichiarato responsabile della tragedia ferroviaria di Once, avvenuta il 22 febbraio 2012, la quale ha provocato 51 morti e più di 600 feriti. De Vido è accusato di frode contro la Pubblica Amministrazione e con questa prima sentenza è stato anche interdetto dai pubblici uffici. BRASILE 8 ottobre. Il primo turno delle elezioni presidenziali brasiliane ha visto trionfare il candidato Jair Bolsonaro, il quale ha ottenuto il 47, 60 % dei voti; al ballottaggio del prossimo 28 ottobre, Bolsonaro dovrà sfidare il candidato del PT, Fernando Haddad, l’erede politico di Lula, il quale ha però totalizzato solo il 27, 97% delle preferenze. COLOMBIA 7 ottobre. L’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), Filippo Grandi, si è recato in visita a Villa del Rosario, al confine tra il Venezuela e la Colombia per assistere in prima persona alle conseguenze della grave crisi migratoria venezuelana. Grandi ha espresso il suo sostegno alla Colombia e ha dichiarato che il “processo di regolarizzazione effettuato è un esempio per i paesi dell’America Latina”.

Di Elena Amici Sono numerosi gli ostacoli all’attuazione del processo di pace in Colombia, dove il processo di reintegrazione in società degli ex-guerriglieri si è rivelato molto più difficile del previsto. Oltre agli ex-membri delle FARC (le Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia, che hanno ufficialmente deposto le armi nel 2016) rimane la tensione causata dall’ELN, l’Esercito di Liberazione Nazionale, organizzazione guerrigliera di stampo marxista che, ad oggi, conta circa 2000 membri. Durante la presidenza di Juan Manuel Santos furono firmati accordi con le FARC, nonostante l’esito negativo del referendum popolare del 2016 per ratificare gli accordi di pace, e avviate nuove trattative con i leader dell’ELN. Tuttavia, il rifiuto di questi ultimi di rilasciare tutti i loro ostaggi ha gettato i negoziati in una fase di stallo, a maggior ragione dopo l’elezione di Ivan Duque. L’attuale presidente, infatti, propone una ‘linea dura’ contro i guerriglieri e non ha intenzione di riaprire le trattative finché l’ELN non rilascerà gli ultimi 10 ostaggi. Inoltre, Duque ha dichiarato che non accetterà più il ruolo del Venezuela

come mediatore nel processo di pace, accusando il Paese di simpatie per i ribelli. Una strategia troppo unilaterale, stando a un comunicato dell’ELN, secondo i quali Duque si rifiuta “di dare continuità al processo di pace” aggiungendo nuove condizioni a quelle stabilite in precedenza. Nel frattempo, le Nazioni Unite lanciano l’allarme: mancano le risorse per il reinserimento degli ex-membri FARC, secondo una risoluzione che il Segretario Generale Antonio Guterres presenterà in settimana al Consiglio di sicurezza dell’ONU. Dal 2016 ad oggi sono stati assassinati 71 ex-guerriglieri, 9 solo negli ultimi tre mesi, principalmente ad opera di dissidenti che si rifiutano di accettare gli accordi. Inoltre, per accedere ai benefici del processo di pace i combattenti devono essere processati, ma sta al governo provvedere rappresentazione legale; il processo va a rilento e le FARC si sentono tradite e abbandonate dallo stesso governo. Jean Arnault, capo della missione ONU nel Paese, ha invitato il presidente Duque a continuare sulla strada degli accordi di pace nonostante le numerose difficoltà, “ a beneficio non solo della Colombia ma anche di tutta la comunità internazionale”. MSOI the Post • 15


AMERICA LATINA 10 ottobre. Nelle principali città del Paese si sono tenute delle manifestazioni universitarie. Migliaia di studenti sono scesi per le strade per chiedere al Governo colombiano maggiori investimenti nell’istruzione pubblica. Il neo presidente Iván Duque ha dichiarato di comprendere le richieste dei manifestanti e ha chiesto loro del tempo.

PERU’ 10 ottobre. La leader del partito d’opposizione Fuerza Popular, Keiko Fujimori, è stata arresta con l’accusa di finanziamenti illeciti e riciclaggio di denaro. Secondo l’accusa, Fujimori avrebbe ricevuto delle tangenti dall’impresa brasiliana Odebrecht, al centro dell’inchiesta “Lava Jato”. Insieme a lei sono state preventivamente arrestate altre 19 persone. VENEZUELA 8 ottobre. Il consigliere comunale dell’area metropolitana di Caracas, Fernando Albán Salazar, è morto in seguito a una caduta dal 10° piano dell’edificio in cui ha sede il servizio di intelligence nazionale bolivariano (Sebin). Il consigliere era stato arrestato con l’accusa di avere avuto un ruolo nell’attacco con i droni a Maduro lo scorso 4 agosto. I membri del partito First Justice non credono alla versione ufficiale della Sebin, in cui si parla di suicidio, ritenendo, invece, che Albán sia stato assassinato. Washington e UE hanno richiesto un’indagine indipendente sugli avvenimenti. A cura di Elisa Zamuner 16 • MSOI the Post

IL “TRUMP DEI TROPICI” A UN PASSO DALLA PRESIDENZA L’ultra conservatore Bolsonaro potrebbe diventare il nuovo presidente del Brasile

Di Francesca Chiara Lionetti Jair Bolsonaro ha sfiorato la vittoria alle elezioni presidenziali del 7 ottobre scorso. Con il 47,6% dei voti ha superato tutti i suoi avversari, ma non ha raggiunto la soglia del 50%+1, necessaria per la vittoria. Il ballottaggio, che designerà a nuovo presidente del Brasile Bolsonaro o il suo avversario Haddad, si svolgerà il prossimo 28 ottobre. Bolsonaro è stato capitano dell’esercito ai tempi della dittatura militare (1964-1985) ed è poi entrato in politica, nel 1991, come membro del Partito Social Liberal. Esponente dell’estrema destra, ha più volte affermato che il regime militare rappresenta il passato glorioso del Paese, pur smentendo la possibilità di un ritorno a quel regime, qualora venisse eletto. Ha anche affermato di essere a favore dell’impiego della tortura e della pena di morte, così come di voler aumentare i poteri dell’esercito e di alleggerire le leggi sul possesso delle armi. Una delle ragioni della popolarità di Bolsonaro sembra essere legata al problema della violenza in Brasile, che sembra essere aumentata nell’ultimo periodo. Nel 2017 ci sono state più di 60.000 morti per violenza, contando anche quelle dovute agli interventi della polizia. Bolsonaro, ex rappresentante

dell’esercito, sembra essere agli occhi di tanti l’unico candidato in grado di riportare sicurezza nel Paese. I dati sulla violenza sono ancora più preoccupanti se ci si sofferma sulla comunità LGBT+. Nel 2017 le vittime di omofobia sono state 445, il 30% in più rispetto all’anno precedente. Secondo Luiz Mott, antropologo e presidente del Grupo Gay de Bahia, questo incremento è legato alla prominenza di politici ultraconservatori, di cui molti dei quali sono anche rappresentanti della chiesa evangelica. L’elezione di Bolsonaro, apertamente omofobo, potrebbe portare ad un ulteriore inasprimento della situazione. Proprio le posizioni omofobe, maschiliste e razziste del candidato presidente hanno suscitato anche un forte dissenso nel Paese. In agosto, l’anarchica Ludimilla Teixeira ha creato una pagina Facebook chiamata Mujeres Unidas Contras Bolsonaro. Il movimento nato da questo gruppo ha dato vita alla più grande manifestazione di matrice femminista nella storia del Brasile. Centinaia di migliaia di persone hanno espresso il proprio dissenso contro il maschilismo rappresentato da Bolsonaro attraverso lo slogan #EleNão (“non lui”). Ora resta da vedere se l’opposizione manifestata per le strade sarà in grado di affermarsi anche in cabina elettorale.


ECONOMIA TRASPORTO PUBBLICO: TRA UN MESE IL REFERENDUM NELLA CAPITALE Aprirsi alla concorrenza o rompere il monopolio?

Di Francesca Maria De Matteis ATAC S.p.A, azienda che eroga i servizi di trasporto pubblico nel Comune di Roma, nel 2015 registrava un indebitamento complessivo di 1,3 miliardi di euro. Il 65% degli utenti, inoltre, si dichiarava altamente insoddisfatto: mezzi vecchi e sporchi, pochi controlli, bassa manutenzione e soprattutto ritardi. Il referendum consultivo proposto ha ad oggetto l’eventuale privatizzazione di parte o dell’intero servizio di trasporto pubblico romano. L’incarico di ATAC, infatti, vede avvicinarsi il termine del contratto. La scadenza, inizialmente prevista per il 2019, è stata recentemente prorogata al 2021. Il referendum consultivo è uno dei quattro tipi di referendum previsti dalla Costituzione Italiana.x Stando agli articoli 132 e 133, tale strumento di democrazia diretta viene utilizzato per la modifica territoriale di Regioni, Province e Comuni. Il quorum previsto affinché il voto sia validoèdel33% degli aventi diritto: in questo caso, tutto i cittadini iscritti nelle liste elettorali di Roma Capitale. Le domande che saranno poste ai cittadini

della Capitale sono due. La prima di esse è la seguente: “Volete voi che Roma Capitale affidi tutti i servizi relativi al trasporto pubblico locale di superficie e sotterraneo ovvero su gomma e rotaia mediante gare pubbliche, anche ad una pluralità di gestori e garantendo forme di concorrenza comparativa, nel rispetto della disciplina vigente a tutela della salvaguardia e della ricollocazione dei lavoratori nella fase di ristrutturazione del servizio?” Il comitato promotore del referendum, Mobilitiamo Roma, motiva così sul proprio sito le ragioni della posizione da loro assunta: “ATAC non funziona ed è stata usata da tutte le amministrazioni di destra e di sinistra come bacino clientelare per ottenere voti. Occorre mettere a gara il servizio affidandolo a più soggetti, rompendo il monopolio e aprendo alla concorrenza.” Nel corso del 2017, a promuovere la raccolta di firme necessaria, fu il movimento dei “Radicali italiani”, nato nel 2001, che da sempre assume, tra le altre posizioni, il liberalismo democratico e l’antiproibizionismo. Tra loro, il segretario nazionale del partito Riccardo Magi, in cari-

ca dal 2015, si è fatto portavoce della proposta. Il 9 ottobre 2018, durante una conferenza stampa, organizzata da Radicali italiani e Radicali Roma, e nella successiva intervista rilasciata a Radio radicale, insieme al segretario Magi sono intervenuti Alessandro Capriccioli, segretario di Radicali Roma, e l’avvocato Francesco Mingiardi. Il dossier da loro curato a sostegno della proposta contiene dati eloquenti che vanno ben oltre le medie europee. Nonostante sia una delle aziende di trasporto pubblico più grandi del continente, ATAC, che conta circa 12.000 dipendenti, lamenta ogni anno ingenti perdite strutturali a livello di bilancio. Previsto per il 3 luglio scorso, il referendum in questione sarebbe stato rimandato al prossimo 11 novembre, ufficialmente per evitare sovrapposizioni con la campagna elettorale dei municipi III e VIII della capitale. Nell’atto del 1° giugno 2018, emanato dalla sindaca Virginia Raggi, si legge infatti il “rinvio dello svolgimento già fissato per il 3 giugno 2018 dei referendum consultivi promossi dal comitato Mobilitiamo Roma e la convocazione dei relativi comizi per domenica 11 novembre 2018”.

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ECONOMIA IL NOBEL PER L’ECONOMIA PREMIA L’AMBIENTE

Consegnato a due studiosi dei cambiamenti climatici e dell’innovazione il prestigioso premio

Di Alberto Mirimin Lo scorso 8 ottobre l’Accademia Reale Svedese ha assegnato il Premio Nobel per l’Economia 2018, premiando William D. Nordhaus e Paul M. Romer per i loro studi sui rapporti tra cambiamento climatico, nuove tecnologie e andamenti macroeconomici. I due economisti americani, ha sottolineato l’Accademia di Svezia, “Hanno sviluppato metodi che affrontano alcune delle sfide fondamentali e più urgenti del nostro tempo: combinare la crescita sostenibile a lungo termine dell’economia globale con il benessere della popolazione del pianeta”. Inoltre, non troppo casuale probabilmente è stata la contemporanea pubblicazione dell’ultimo rapporto del Comitato intergovernativo delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (IPCC) dedicato alle conseguenze del riscaldamento globale. Secondo il documento, dall’inizio dell’era industriale, l’impatto antropico sul clima ha provocato un aumento della temperatura di 1°, e risulta necessario ridurre del 45% entro il 2030 le emissioni di Co2 così da arrivare a un punto di “emissioni nette zero” entro il 2050. 18 • MSOI the Post

Il lavoro di Nordhaus, che negli anni Novanta fu il primo a teorizzare un modello per valutare gli impatti del cambiamento climatico sull’economia, ha avuto il merito di concentrarsi nella ricerca del rimedio più efficace per risolvere i problemi causati delle emissioni di gas serra. In particolare, lo studioso 77enne ha individuato la soluzione nell’imposizione di una Carbon tax globale da imporre uniformemente a tutti i Paesi. Questa misura, infatti, dovrebbe convincere le industrie a ridurre l’uso dei combustibili fossili nel processo produttivo, a favore, quindi, dell’uso di fonti di energia rinnovabile. Ciò cambierebbe il mercato: aumenterebbero i prezzi dell’energia fondata sul carbonio, che a loro volta farebbero abbassare la domanda nei suoi confronti, favorendo così un’economia più green. Dall’altra parte, il 62enne Paul Romer è stato premiato grazie alla sua teoria della crescita endogena. Essa si sviluppa intorno alla crescita economica e poggia le proprie basi nel concetto di progresso tecnologico. Infatti, quest’ultimo è da intendersi come processo endogeno che porterebbe lentamente allo sviluppo della produttività. Di conseguenza, questo processo indurrebbe, nel lungo

periodo, un aumento della ricchezza. Risulta paradossale che entrambi gli autori provengano dagli USA, Paese che sotto l’amministrazione Trump più di ogni altro si è battuto contro gli accordi di Parigi, con cui viene perseguito l’obiettivo di limitare al di sotto dei 2° Celsius il riscaldamento medio globale. Ma, tra gli oppositori, non c’è solo la figura del Tycoon americano. Infatti, se è vero che l’Europa è pronta a presentare un programma per la riduzione delle emissioni di gas, altri Paesi stanno manifestando opinioni contrarie, con Australia, Arabia Saudita e Giappone in prima linea. In particolare, il governo di Canberra ha concretamente respinto il rapporto del Comitato dell’ONU per il clima che impone di eliminare tutte le centrali a carbone entro la metà del secolo. In definitiva, benché i cambiamenti climatici siano sempre più critici, il riconoscimento assegnato a questi studi mira anche a spostare l’attenzione dell’opinione pubblica verso un problema mondiale intergenerazionale che nessuno può più permettersi di sottovalutare o, ancor peggio, ignorare.


DIRITTO INTERNAZIONALE ED EUROPEO ACCESSO AL MARE: FRA SVILUPPO SOSTENIBILE E DIRITTI UMANI Il caso Bolivia c. Cile deciso dalla Corte internazionale di giustizia: un’occasione persa?

Di Luca Imperatore Il primo ottobre scorso la Corte internazionale di giustizia (di seguito CIG) ha prodotto un’importante pronuncia sul caso Bolivia c. Cile. L’antichissima questione atteneva all’impossibilità, da parte della Bolivia, di avere un accesso costiero all’Oceano Pacifico (si consideri, a tal proposito, che unitamente al Paraguay, la Bolivia è l’unico Stato dell’America del Sud a non avere alcuno sbocco sul mare). La controversia, radicata nel 2013 dinanzi la Corte dell’Aia, vedeva la Bolivia affermare che: “Chile has the obligation to negotiate with Bolivia in order to reach agreement granting Bolivia a fully sovereign access to the Pacific Ocean” (Sentenza CIG, §13). Si ricordi chela Bolivia al momento dell’indipendenza dalla Spagna, nel 1825, vantava circa 400 km di coste sull’Oceano, poi perdute durante molteplici conflitti con gli Stati confinanti (prevalentemente Perù e Cile). A partire dagli inizi del passato secolo, la Bolivia avanzava richieste di restituzione e lamentava una condizione, a suo dire, ingiusta e dannosa. Gli esiti delle trattative si sono, però, sempre rivelati totalmente fallimentari. Nella sentenza, che rigetta la richiesta, si legge: “In interna-

tional law, the existence of an obligation to negotiate has to be ascertained in the same way as that of any other legal obligation. […] However, the fact that a given issue is negotiated at a given time is not sufficient to give rise to an obligation to negotiate. In particular, for there to be an obligation to negotiate on the basis of an agreement, the terms used by the parties, the subject-matter and the conditions of the negotiations must demonstrate an intention of the parties to be legally bound” (§91). Come nota Diane Desierto, il carattere “curioso” dell’interpretazione adottata discende dal fatto che la Corte pare non aver tenuto in alcuna considerazione il rispetto dei diritti umani, la necessità di uno sviluppo sostenibile e la riduzione della povertà nei due Paesi, fondandosi unicamente su presupposti privatistici. Pare dunque aver trascurato che entrambi siano Stati parte della Convenzione interamericana dei diritti umani e del Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali e abbiano votato favorevolmente per la Dichiarazione di Rio del 1992. Secondo alcuni, la Corte avrebbe dovuto considerare elementi extra-negoziali quali la condizione di profonda arretratezza della Bolivia e l’invece imponente sviluppo economico del Cile. Avrebbe inoltre dovuto

considerare che, secondo stime della Banca Mondiale, i Paesi in via di sviluppo privi di accesso al mare sono costretti a far fronte a situazioni economiche più difficili di quelle di altri Stati, in grado di pregiudicarne lo sviluppo. Inoltre, l’assenza di un accesso marittimo diretto provocherebbe impedimenti di rilievo nel godimento di risorse considerate common heritage of mankind, come l’Area internazionale dei fondi marini. La sentenza della Corte si chiude con un generico richiamo al principio di “buon vicinato” tra le parti sostenendo che, in fondo, un accordo può essere trovato per via diplomatica. Considerazione quest’ultima che pare bypassare il dato secondo il quale ogni tentativo negoziale portato avanti nell’ultimo secolo non ha prodotto alcun risultato, decretando un fallimento delle trattative che lascia poche speranze per un futuro cambiamento di rotta. Al netto del fatto che la Bolivia abbia o meno direttamente addotto motivazioni inerenti il rispetto dei diritti fondamentali e il principio di sviluppo sostenibile, quella prospettata dinanzi la CIG si è rivelata essere un’occasione mancata per ampliare gli obblighi statali in materia di sostenibilità, sviluppo e diritti fondamentali. MSOI the Post • 19


DIRITTO INTERNAZIONALE ED EUROPEO IL PARLAMENTO EUROPEO APPROVA LA PROCEDURA CONTRO L’UNGHERIA

Per la prima volta nella storia dell’Unione, il Parlamento europeo ha votato l’attivazione della procedura prevista dall’art. 7 TUE

Di Federica Sanna Il 12 settembre scorso è stato certamente un giorno delicato a Strasburgo. Oltre all’annuale discorso sullo State of the Union tenuto dal presidente della Commissione Juncker e al voto in merito alla direttiva sul copyright, il Parlamento Europeo ha affrontato la votazione circa l’attivazione della procedura dell’art. 7 TUE nei confronti del governo ungherese di Orbán. Il Parlamento, votando a favore della risoluzione, ha inteso mettere in luce le decisioni antidemocratiche assunte dal governo ungherese e l’evidente rischio che il Paese stia superando la sottile linea esistente tra un governo democratico e un regime autoritario. L’art. 7 TUE prevede che, su proposta di 1/3 degli Stati membri, del Parlamento Europeo (come in questo caso) o della Commissione, il Consiglio, previa approvazione del Parlamento, possa, a maggioranza dei quattro quinti dei suoi membri, constatare l’esistenza di un evidente rischio di violazione grave da parte di uno Stato membro di uno dei valori dell’UE elencati all’art. 2 TUE (rispetto della di-

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gnità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani). L’Ungheria ha reagito alla decisione lamentando un voto di vendetta nei propri confronti da parte dell’Europa e la sua propaganda interna sostiene che a votare contro il Paese siano stati quelli che “vogliono riempire l’Europa intera di migranti musulmani”. Il Primo Ministro ungherese ha inoltre ipotizzato il ricorso alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea. Al contrario, diversi esponenti dell’organo legislativo dell’UE hanno sottolineato come lo scopo del procedimento non sia quello di imporre sanzioni all’Ungheria, ma quello di ristabilire l’utilizzo di pratiche tollerabili e aderenti ai valori europei. In seguito al voto del Parlamento, la discussione è ora nelle mani del Consiglio. L’Ungheria, in sede di votazione, avrà sicuramente il sostegno polacco e probabilmente degli altri paesi del gruppo Visegrad (Slovacchia e Repubblica Ceca), mentre non è ancora chiara quale sarà la posizione assunta dall’Italia (i due partiti

di governo hanno infatti votato in maniera opposta in plenaria). Ad ogni modo, il Consiglio, in questa fase, può soltanto constatare l’esistenza delle violazioni lamentate dal Parlamento Europeo. Al fine di imporre sanzioni, invece, è necessario raggiungere l’unanimità della decisione, come previsto dal secondo paragrafo dell’art. 7. In questo caso, il Consiglio potrebbe deliberare la sospensione del diritto di voto dell’Ungheria in sede europea e il freno ai finanziamenti, di cui però farebbero principalmente le spese i cittadini ungheresi. Contestualmente, allo Stato verrebbe richiesto di continuare ad adempiere agli obblighi derivanti dal vincolo di adesione all’UE. A prescindere dall’esito finale di tale procedura, è importante sottolinearne il valore politico: nell’unico caso precedente di utilizzo dell’art. 7 (nei confronti della Polonia, procedura non portata poi a termine), lo stimolo proveniva dalla Commissione e non dal Parlamento Europeo, il quale, per la prima volta, si è assunto la responsabilità di mettere in chiaro la portata non negoziabile dei valori fondanti dell’Unione Europea.


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