MSOI thePost numero 119

Page 1

19/10 - 25/10

Il Settimanale di M.S.O.I. Torino


1 9 / 1 0

-

2 5 / 1 0

MSOI Torino M.S.O.I. è un’associazione studentesca impegnata a promuovere la diffusione della cultura internazionalistica ed è diffuso a livello nazionale (Gorizia, Milano, Napoli, Roma e Torino). Nato nel 1949, il Movimento rappresenta la sezione giovanile ed universitaria della Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale (S.I.O.I.), persegue fini di formazione, ricerca e informazione nell’ambito dell’organizzazione e del diritto internazionale. M.S.O.I. è membro del World Forum of United Nations Associations Youth (WFUNA Youth), l’organo che rappresenta e coordina i movimenti giovanili delle Nazioni Unite. Ogni anno M.S.O.I. Torino organizza conferenze, tavole rotonde, workshop, seminari e viaggi studio volti a stimolare la discussione e lo scambio di idee nell’ambito della politica internazionale e del diritto. M.S.O.I. Torino costituisce perciò non solo un’opportunità unica per entrare in contatto con un ampio network di esperti, docenti e studenti, ma anche una straordinaria esperienza per condividere interessi e passioni e vivere l’università in maniera più attiva. Cecilia Nota, Segretario M.S.O.I. Torino

MSOI thePost MSOI thePost, il settimanale online di politica internazionale di M.S.O.I. Torino, si propone come un modulo d’informazione ideato, gestito ed al servizio degli studenti e offrire a chi è appassionato di affari internazionali e scrittura la possibilità di vedere pubblicati i propri articoli. La rivista nasce dalla volontà di creare una redazione appassionata dalla sfida dell’informazione, attenta ai principali temi dell’attualità. Aspiriamo ad avere come lettori coloro che credono che tutti i fatti debbano essere riportati senza filtri, eufemismi o sensazionalismi. La natura super partes del Movimento risulta riconoscibile nel mezzo di informazione che ne è l’espressione: MSOI thePost non è, infatti, un giornale affiliato ad una parte politica, espressione di una lobby o di un gruppo ristretto. Percorrere il solco tracciato da chi persegue un certo costume giornalistico di serietà e rigore, innovandolo con lo stile fresco di redattori giovani ed entusiasti, è la nostra ambizione. Jacopo Folco, Direttore MSOI thePost 2 • MSOI the Post

N u m e r o

119

REDAZIONE Direttore Editoriale Jacopo Folco Direttore Responsabile Davide Tedesco Vice Direttori Giusto Amedeo Boccheni, Pilar d’Alò Caporedattori Giusto Amedeo Boccheni , Luca Bolzanin, Pilar d’Alò, Luca Imperatore, Pauline Rosa Capi Servizio Rebecca Barresi, Giusto Amedeo Boccheni, Luca Bolzanin, Lucky Dalena, Pierre Clement Mingozzi, Sarah Sabina Montaldo, Daniele Pennavaria, Leonardo Scanavino, Chiara Zaghi Media e Management Daniele Baldo, Guglielmo Fasana, Anna Filippucci, Vladimiro Labate, Jessica Prietto Editing Lorenzo Aprà, Adna Camdzic, Amandine Delclos Copertine Virginia Borla, Amandine Delclos Redattori Gaia Airulo, Erica Ambroggio, Elena Amici, Amedeo Amoretti, Andrea Bertazzoni, Micol Bertolino, Luca Bolzanin, Davide Bonapersona, Maria Francesca Bottura, Fabrizia Candido, Daniele Carli, Debora Cavallo, Emanuele Chieppa, Giuliana Cristauro, Andrea Daidone, Lucky Dalena, Alessandro Dalpasso, Federica De Lollis, Francesca Maria De Matteis, Ilaria di Donato,Tommaso Ellena, Guglielmo Fasana, Anna Filippucci, Alessandro Fornaroli, Corrado Fulgenzi, Francesca Galletto, Lorenzo Gilardetti, Lara Amelie Isai-Kopp, Luca Imperatore, Michelangelo Inverso, Vladimiro Labate, Giulia Marzinotto, Simone Massarenti, Rosalia Mazza, Davide Nina, Pierre Clement Mingozzi, Alberto Mirimin, Chiara Montano, Sveva Morgigni, Virginia Orsili, Daniele Pennavaria, Barbara Polin, Jessica Prieto, Luca Rebolino, Jean-Marie Reure, Valentina Rizzo, Giacomo Robasto, Clarissa Rossetti, Federica Sanna, Martina Santi, Martina Scarnato, Edoardo Schiesari, Jennifer Sguazzin, Stella Spatafora, Elisa Todesco, Francesco Tosco, Tiziano Traversa, Leonardo Veneziani, Alessio Vernetti, Elisa Zamuner. Vuoi entrare a far parte della redazione? Scrivi una mail a thepost@msoitorino.org!


EUROPA 7 Giorni in 300 Parole BELGIO 14 ottobre.Pochi mesi prima delle elezioni regionali, nazionali ed europee, si sono tenute le elezionilocali. Nelle Fiandre, dove la leadership è mantenutadai separatisti di Alleanza Neo-Fiamminga. In Vallonia, dove i socialisti sono stati messi in difficoltà dal Partito dei lavoratori. Nella regione di Bruxelles, nella quale hanno vinto molti sindaci di Ecolo, partito verde; uno di questi, padre del calciatore Vincent Kompany, è il primo sindaco di colore in Belgio.

FRANCIA 16 ottobre. A 15 giorni dalle dimissioni del ministro dell’InternoGerard Collomb e a due mesi da quelle di Nicolas Hulot, ministro dell’Ambiente, il presidente Macron ha annunciato una nuova formazione di governo. Il posto di Collomb è andato aChristophe Castaner, già incaricato alle Relazioni con il Parlamento e vicino al Presidente. Critiche dall’opposizione, con il deputato socialista Vallaud: “15 giorni,per comporre un governo così aperto al macronismo, sono troppi”. GERMANIA 14 ottobre. Nelle elezioni regionali in Baviera il partito conservatore della CSU, alleato del governo Merkel, ha perso la maggioranza assolutadei seggi, ottenendo il 37% dei voti. Crollo anche per i socialisti

NADEF IN PARLAMENTO

La manovra incassa il consenso delle Camere

Di Rosalia Mazza L’11 ottobre 2018 il Parlamento italiano ha approvato la NaDef (Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza) con 161 voti favorevoli al Senato e 331 alla Camera. Nonostante abbiano respinto le risoluzioni di minoranza, i parlamentari hanno espresso consenso riguardo ad alcuni dei punti fondamentali della manovra: riforma della Legge Fornero e reddito di cittadinanza. Il Governo ha presentato la linea economica del Paese (fino al 2021) anche alla Commissione Europea: il 15 ottobre 2018 la Commissione ha pubblicato sul proprio sito il Draft Budgetary Plan, il Documento Programmatico di Bilancio nel quale si riassumono gli interventi della politica economica italiana – attraverso misure che rimarrebbero invariate nella Legge di Bilancio – e che motiva il rapporto debito/PIL al 2.4%. È proprio quest’ultimo indice ad aver sollevato incertezze e critiche, e che potrebbe portare alla bocciatura del Def da parte della Commissione Europea: la Commissione, che dovrà esprimere un primo giudizio in merito al documento entro il 30 novembre 2018, aveva già reso pubbliche le proprie preoccupazioni in merito al debito pubblico italiano e alla manovra,

che non rispetterebbe il Patto di Stabilità e Crescita dell’UE, attraverso una lettera indirizzata al Ministro dell’Economia Giovanni Tria. L’approvazione del Parlamento è arrivata nonostante le preoccupazioni espresse da Istat, Banca d’Italia, Corte dei Conti e Ufficio Parlamentare di Bilancio. Contrario alla manovra è anche il Presidente dell’Inps, Tito Boeri, a causa del vertiginoso aumento del debito pensionistico che si verificherebbe a causa delle riforme inserite nel documento. Nonostante le critiche e i rischi di ulteriori tensioni tra Italia e Unione Europea, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte e i vicepremier Luigi di Maio e Matteo Salvini hanno presentato la riforma con grande ottimismo, dichiarando una riduzione del rapporto debito/PIL fino all’1,8% nel 2021, con ulteriori riduzioni del deficit a partire dal 2022. Nella manovra sarebbero inoltre previsti fondi per interventi straordinari di manutenzione e controllo delle infrastrutture, che comporterebbero un ulteriore incremento del deficit per il primo anno. La novità emersa dopo l’approvazione da parte del Parlamento è che gli interventi previsti dalla manovra non entrerebbero in vigore da gennaio, ma in seguito al primo trimestre del 2019. MSOI the Post • 3


EUROPA (SPD), con il 10%, la metà rispetto alle ultime elezioni di 5 anni fa. Crescita invece perl’estrema destra diAfD (10%) e per i Verdi(17%, il doppio del 2013). ITALIA 15 ottobre. Il Consiglio dei Ministri ha approvato il Documento Programmatico di Bilancio, sintesi del bilancio statale per il 2019. La Commissione europea valuterà se sia compatibile con le leggi sulla disciplina di bilancio e con gli impegni presi dall’Italia. REGNO UNITO 14 ottobre. “Alcuni nodi sono ancora da sciogliere, tra cui un’intesa sulla frontiera irlandese per evitare il ritorno di un vero e proprio confine”. Così ha detto Michel Barnier, capo-negoziatore europeodella Brexit. Nessuna delle parti vuole un confine “duro” tra Repubblica d’Irlanda e Irlanda del Nord, ma il governo May non può permettersi di uniformare la politica doganale nordirlandese a quella europea. Accogliendo questa proposta dell’UEperderebbe l’appoggio del DUP (partito nordirlandese) e con esso la maggioranza parlamentare. SPAGNA 16 ottobre. Il governo spagnolo ha ritirato lo status diplomatico dell’ambasciatore fiammingo nel Paese, André Hebbelinck. La misura è dovuta a recenti affermazioni del presidente della Camera fiammingo, il separatista Jan Peumans: tra le altre cose, ha criticato l’incarcerazione dei leader indipendentisti catalani, definendoli “prigionieri politici”. A cura di Luca Pons

4 • MSOI the Post

THERESA MAY BOCCIA L’IDEA DI UN PERIODO “POST BREXIT” Le relazioni tra UE e Regno Unito cesseranno entro i tempi previsti

Di Andrea Mitti Ruà Arrivata l’altro ieri 16 ottobre al Vertice di Salisburgo, insieme agli altri presidenti dei Paesi membri dell’UE, Theresa May ha sottolineato ai microfoni dei giornalisti che “Non ci sarà un’estensione delle relazioni tra Regno Unito e Unione Europea oltre i termini previsti dall’accordo”. La questione, lungamente dibattuta nei mesi precedenti, è stata nuovamente affrontata dal Primo ministro inglese, la quale ha dovuto dare una risposta alle critiche interne mosse dagli indipendentisti pro-Brexit dell’UKIP; erano infatti trapelate, nei giorni scorsi, ipotesi secondo le quali il Governo inglese avrebbe voluto chiedere a Bruxelles un’estensione dei rapporti commerciali in seguito all’uscita del Paese dall’Unione. L’ipotesi era stata proposta dai negoziatori dell’UE per dare maggior tempo al Governo inglese di trovare una soluzione a diversi problemi riguardanti, tra gli altri, i confini con l’Irlanda (paese membro dell’Unione), l’imposizione di dazi doganali e la possibilità per i cittadini di muoversi liberamente all’interno dell’Unione dei 27 Stati. Nonostante ciò, la posizione negoziale del Regno Unito non è mai stata chiara né definita in quanto politici rile-

vanti a favore della Brexit, tra cui l’ex sindaco di Londra ed ex ministro per gli affari esteri Boris Johnson, si sono opposti a questo ulteriore periodo di transizione, definito Temporary custom agreement (TCA). Ma quando avrebbe dovuto entrare in vigore questo TCA? In seguito al voto referendario tenutosi il 23 giugno 2016, il Governo inglese ha attivato l’articolo 50 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, il quale prevede la fuoriuscita di uno dei Paesi membri dall’Unione. Le negoziazioni, iniziate nel 2017, si protrarranno fino al 29 marzo 2019, giorno di effettiva avvenuta della Brexit. Considerando però la lentezza delle negoziazioni e gli scarsi risultati a cui si è giunti fino ad oggi, era stato proposto il TCA a partire da marzo 2019 fino al 2020, così da permettere al Governo britannico di trovare una soluzione a quei problemi che difficilmente saranno risolti entro il termine ufficiale della Brexit. “Abbiamo lavorato a lungo, e stiamo ancora lavorando, per trovare un accordo che vada a beneficio del Regno Unito e dell’Unione Europea”, ha dichiarato May al termine del Vertice, aggiungendo che “Da parte nostra non c’è mai stata la volontà di estendere il periodo negoziale”.


NORD AMERICA 7 Giorni in 300 Parole STATI UNITI 12 ottobre. L’uragano che ha colpito la Florida, provocando danni devastanti a moltissime abitazioni lungo la costa est degli Stati Uniti, ha causato la morte di decine di persone e imponenti disagi. 13 ottobre. Il presidente Trump ha incontrato Andrew Brunson, un pastore evangelico accusato dal governo di Erdogan di aver preso parte al fallito colpo di stato, nel 2016, e per questo detenuto nelle carceri turche per 2 anni, fino al recente rilascio. Accolto nello Studio Ovale, Brunson ha recitato una preghiera insieme al Presidente, ringraziandolo per aver operato in favore della sua scarcerazione.

15 ottobre. Dopo la sparizione, a Istanbul, del giornalista saudita Jamal Khashoggi, noto dissidente del regime e da anni editorialista del Washington Post, il presidente Trump si era espresso, in prima battuta, in favore “di misure severe contro l’Arabia Saudita”, potenzialmente coinvolta nella vicenda. Durante un successivo colloquio telefonico con il re Salman, Trump ha poi rivisto la propria posizione, sostenendo l’estraneità della monarchia saudita dai fatti a favore di una versione che vedrebbe il giornalista rapito e poi ucciso da criminali comuni. 16 ottobre. Il co-fondatore di

THE TRUMP ADMINISTRATION AND CLIMATE CHANGE

What are the underlying interests in resisting climate change policies?

By Kevin Ferri On December 12, 2015, 196 representatives to the United Nations Framework Convention on Climate Change marked the beginning of an historic climate change agreement: The ‘Accord de Paris’. In short, this agreement deals with the questions of greenhouse gas emissions mitigation, adaptation, and finance. Clearly, it was former president Barack Obama who pushed for such a result: “one of the reasons I ran for this office was to make sure that America does its part to protect this planet for future generations”. However, on his 2016 presidential campaign trail, Donald Trump talked skeptically about or even denied climate change, and he vowed to pull out from the Paris Agreement once he was elected. He did so on June 1st, 2017 even though in accordance with article 28 of the agreement, the earliest withdrawal possible would’ve been in 2020. The main reasons to his decision may be summarized in 5 points. First, the Trump Administration is closely tied to the fossil fuel industry (especially the petrochemical mogul Koch Industries), and interest groups are a defining feature of American politics. Second, social and po-

litical polarization made the exit so much easier as the constituency had not reacted negatively to the proposal. Third, Trump is skeptical of climate change, and he refuses to acknowledge the responsibility in global climate cooperation. Fourth, Trump had the need to adapt policies to his “America First” slogan. He believed that the agreement would undermine U.S. competitiveness and impaired both employment and traditional energy industries. Furthermore, he put an overwhelming weight on economic costs and small emphasis on ecological benefits. Lastly, Trump sought to destroy Obama’s political legacy by rolling back Obama-era climate regulations. In an interview on Sunday with CBS’s “60 Minutes”, president Trump backed off his long-held claim that global warming is a hoax. But he also made assertions unsupported by science “I’m not denying climate change, but it could very well go back”. On the contrary, other leaders are moving past Trump to protect the world from climate change. “We were very much united until December 2015 in Paris,” said Ban Kimoon “Now unfortunately the level of solidarity is being loosened, especially by the Trump Administration. Even though it is just one country, it has caused big political damage”.

MSOI the Post • 5


NORD AMERICA Microsoft, Paul Allen, è morto di cancro, all’età di 65 anni. La malattia lo aveva colpito da giovane, costringendolo ad abbandonare l’azienda, per occuparsi dei propri problemi di salute. Oltre ai numerosi riconoscimenti per l’impegno e il contributo fornito nel settore tecnologico, Allen è oggi ricordato anche per le importanti opere di filantropia. 17 ottobre. A seguito della recente legalizzazione della marijuana in Canada, coloro che lavorano nell’industria della cannabis rischiano ora di rimanere esclusi dai confini statunitensi. Infatti, gli agenti di frontiera USA possono impedire l’accesso nel territorio a chiunque sia coinvolto nel traffico illegale di marijuana; condizione valida per tutti i canadesi che, adesso, operano nel settore. CANADA 12 ottobre. Il governo di Ottawa ha stanziato 50 milioni di dollari per l’UNRWA, l’agenzia ONU che opera in favore dei rifugiati palestinesi. I fondi serviranno a supportare l’intervento sanitario, educativo e al generale sostentamento dell’area. Ancora una volta, la politica di Trudeau mostra la propria distanza da quella del presidente Trump, autore di un taglio dei fondi all’UNRWA pari a 300 milioni di dollari. 17 ottobre. Dopo la legalizzazione della marijuana a scopo medico, nel 2001, il Canada ha legalizza la cannabis anche nel suo uso ricreativo. In attesa dei primi negozi di vendita, i canadesi potranno già acquistarla online. A cura di Martina Santi

6 • MSOI the Post

RILASCIATO IL PASTORE BRUNSON DALLA PRIGIONIA TURCA

È l’inizio della distensione dei rapporti tra Turchia e USA?

Di Jennifer Sguazzin Dalle carceri turche all’incontro con il Presidente alla Casa Bianca: il pastore evangelico Andrew Brunson, protagonista suo malgrado della crisi dei rapporti tra la Turchia e gli Usa, è stato rilasciato dopo 3 anni di prigionia. Immediato l’incontro con Donald Trump che lo ha definito “un grande cristiano che ha attraversato una esperienza molto dura”. Giunto allo studio Ovale, il pastore si è inginocchiato e, ponendo una mano sulla spalla del Presidente, ha recitato una preghiera per lui. Il pastore Brunson guidava da oltre 20 anni una piccola congregazione della Chiesa della Resurrezione di Smirne, in Turchia, fino al giorno in cui è stato arrestato e quindi condannato a 3 anni di prigione, per sostegno a organizzazioni terroristiche. È stato accusato di complicità con il Pkk (Partito dei lavoratori del Kurdistan) e di coinvolgimento nel fallito colpo di stato di luglio 2016; organizzato, secondo Ankara, dal leader religioso Fetullah Gulen, in esilio autoimposto negli Stati Uniti. Tale arresto si è trasformato in una crisi diplomatica senza precedenti. Brunson è diventato in breve tempo “oggetto di scambio” tra Turchia e Usa. Infatti, Ankara aveva subordinato la sua liberazione all’estradizione di Gulen dagli Stati Uniti. Tale braccio di ferro portò ad un crollo del-

le relazioni economiche tra i due Paesi, tanto che, in seguito all’imposizione americana di sanzioni contro due Ministri del governo Erdogan e di nuovi dazi sulle importazioni di acciaio e alluminio, la crisi della lira turca si aggravò drammaticamente. Già le prime indiscrezioni sul rilascio del pastore e poi la sua effettiva scarcerazione, hanno spinto la lira turca ad un progressivo recupero sul dollaro. La strada da percorrere è ancora lunga, ma si è registrato un guadagno settimanale del 4%, a fronte delle perdite dello scorso anno, successive ai dazi statunitensi, che ammontavano ad un totale del 30%. Nel ricevere Brunson, il presidente Trump ha ringraziato Erdogan “per il suo aiuto”, sottolineando una lunga negoziazione, successivamente smentita dallo stesso Trump su Twitter: “Non c’è stato alcun accordo con la Turchia per il rilascio e il ritorno del pastore Andrew Brunson. Non faccio accordi per gli ostaggi. Tuttavia, c’è stato grande apprezzamento da parte degli Stati Uniti, cosa che porterà a relazioni buone, forse ottime, tra Usa e Turchia”. Il rilascio di Brunson, oltre a rappresentare un primo passo nell’allentamento delle tensioni diplomatiche tra Stati Uniti e Turchia, è diventato per Trump un ottimo pretesto per mantenere il consenso della sua solida base conservatrice e religiosa tra i repubblicani.


MEDIO ORIENTE 7 Giorni in 300 Parole ARABIA SAUDITA 16 ottobre. Il console saudita in Turchia, Mohammed Uteybi, ha lasciato il suolo turco su ordine di Riad dopo che le autorità di Ankara avevano fatto sapere di non escludere la possibilità di interrogare anche i diplomatici sauditi riguardo la vicenda Khashoggi. 17 ottobre. Il presidente statunitense Donald Trump e il segretario di Stato Mike Pompeo hanno messo in dubbio, tramite dichiarazioni a mezzo stampa e twitter, il coinvolgimento di Riad nel caso Khashoggi. Pompeo ha dichiarato: “c’è un serio impegno per capire quanto sia accaduto”. 17 ottobre. Christine Lagarde, direttrice del Fondo Monetario Internazionale, ha annunciato che non parteciperà alla “Davos del deserto” in Arabia Saudita, così come altri colossi della finanza che, prima di lei, avevano declinato l’invito dopo la vicenda Khashoggi.

IRAN 17 ottobre. Suscitano nuove tensioni le sanzioni imposte dagli USA nei confronti di alcune società iraniane, tra le quali banche. Il Ministero degli Esteri di Teheran ha accusato Washington di creare ostacoli alle relazioni economiche di una nazione già in ginocchio.

ISRAELE 15 ottobre. Le nuove restrizioni su carburante ed elettricità inflitte a Gaza hanno suscitato la reazione violenta dei palestine-

SYRIA: MISSION IMPOSSIBLE

Il terzo inviato ONU per la Siria, Staffan de Mistura, ha annunciato le sue dimissioni

Di Andrea Daidone

finita.

Staffan de Mistura, diplomatico italo-svedese e terzo inviato speciale delle Nazioni Unite in Siria ha annunciato e ufficialment , lo scorso mercoledì, le sue dimissioni con effetto a partire dalla fine di novembre. Si concluderà così la sua quadriennale esperienza come delegato del Palazzo di Vetro a Damasco, cominciata nel luglio 2014, dopo le dimissioni del diplomatico algerino Lakhdar Brahimi, che si dimise dopo due anni di mandato in seguito al fallimento dei colloqui di pace di Ginevra del 2014. Egli, a sua volta, sostituì il primo inviato, Kofi Annan. Quest’ultimo, proverbialmente, non mancò di definire la missione siriana, una “mission impossibile”.

Nonostante gli sforzi di De Mistura per tenere vivi i colloqui di pace di Ginevra, Russia, Iran e Turchia hanno deciso, l’anno scorso, di organizzare dei colloqui ad Astana con i quali, di fatto, l’iniziativa del Palazzo di Vetro (e i relativi sforzi del suo delegato) sono stati accantonati. Ciò non ha però demoralizzato il navigato diplomatico 71enne il quale, di recente, si è speso per evitare un bagno di sangue nell’instabile ragione di Idlib. In un ultimo sforzo per porre fine ai sette anni di violenza in Siria, De Mistura ha fatto la spola fra il Cremlino e la Casa Bianca, tra Turchia, Arabia Saudita e Iran, nonché dialogando con le tribù locali, con l’obiettivo di confezionare una nuova costituzione che possa riportare ordine e pace nella tormentata terra di Siria e che funga da solida e credibile base per la ricostruzione e il ritorno dei rifugiati. La commissione sarà formata da esperti tecnici siriani, esponenti della società civile, esperti internazionali, leader delle tribù locali e, soprattutto, donne. Nel frattempo, si pensa già al suo successore. Nella rosa di nomi, i più accreditati attualmente sono il Coordinatore di Pace per il Medio Oriente, Nickolay Mladenov e l’inviato ONU per l’Iraq, Jan Kubic

De Mistura non ha mancato di sottolineare che non lascerà l’incarico prima di aver raggiunto l’accordo sulla formazione della commissione per redigere la nuova costituzione per la Siria. Le sue dimissioni, tuttavia, arrivano in un momento infausto. La situazione, infatti, è complessa perché gli sforzi di pace delle Nazioni Unite sono intralciati dall’opposizione del governo di Bashar-al-Assad che, contrariamente alle aspettative, sta cominciando a riguadagnare consensi in alcune aree del Paese e potrebbe tentare di stabilire un nuovo potere a guerra

MSOI the Post • 7


MEDIO ORIENTE si, i quali hanno reagito con lanci di “palloni incendiari” verso il confine israeliano.

17 ottobre. Dopo i raid aerei israeliani su Gaza, per i quali si contano 1 morto, a Beit Hanoun a nord Gaza, e una decina di feriti, il ministro della Difesa Lieberman ha, inoltre, imposto la chiusura dei valichi con Gaza per mettere alle strette Hamas.

TURCHIA 13 ottobre. È stato liberato il pastore statunitense Andrew Brunson. La sua detenzione aveva creato forti attriti tra Turchia e USA in quanto accusato di avere legami con PKK e Fethullah Gülen, il responsabile del tentato colpo di stato del 2016. Decisiva l’ala conservatrice USA e la forte pressione economica operata da Washington, che ha fatto sprofondare la lira turca.

15 ottobre. Inquirenti turchi al lavoro nel consolato saudita di Istanbul per fare luce sulla morte del giornalista saudita Khashoggi. Il ministro degli Esteri turco, Cavusoglu, ha dichiarato che Riad “non avrebbe finora fornito alcun tipo di ammissione di responsabilità”.

A cura di Lorenzo Gilardetti

8 • MSOI the Post

L’ORDINE REGNA IN SIRIA

La riapertura delle frontiere siro-giordane e siro-israeliane

Di Jean-Marie Reure. Tutto sembra andare per il meglio. Ormai la stragrande maggioranza della Siria è ritornata sotto il controllo dell’esercito di Damasco e del potente alleato Russo. I primi segni di una rinnovata sicurezza, infatti, non si fanno attendere. Un primo segnale di apertura giunge – forse non a caso – dalle alture del Golan. L’unica frontiera esistente fra Israele e Siria in quella zona è stata riaperta per la prima volta dopo 4 anni al fine di consentire il passaggio di due vetture delle Nazioni Unite. Gli osservatori dell’Onu hanno così potuto, a seguito di un accordo fra governo Siriano, ONU e Israele, giungere nella vicina città di Quneitra. Li si sono incontrati con i leader della comunità Drusa della città di frontiera Siriana. Se si è ancora decisamente lontani da una riapertura dei confini ai civili ed ai mezzi commerciali, si tratta comunque di un passo avanti. La riapertura delle frontiere siriane, chiuse da almeno quattro anni, ha infatti causato una drastica riduzione del volume degli scambi nella regione. Il territorio siriano è storicamente una zona di crocevia, nel quale si snodano alcune fra le più importanti vie commerciali della regione. Secondo elemento positivo, che ci giunge ad appena 3 giorni di

distanza dal primo, è il meeting di sabato scorso tra i ministri degli esteri Giordano Ibrahim al-Jafari e il suo omologo Siriano Walid al-Moualem. I due hanno discusso dell’accelerazione della riapertura delle frontiera siro-giordana. Si tratterebbe effettivamente di aprire anche le frontiere a sud della Siria, riallacciandola con il resto della penisola arabica. Attualmente l’unica frontiera operativa è quella con il Libano (peraltro l’unica frontiera di cui dispone quest’ultimo). Basti infatti pensare che la guerra civile siriana ha causato al vicino Libano un drastico calo delle esportazioni pari almeno al 35 %, pur restando la sua unica frontiera rimanendo pressoché sempre operativa. Rimane, tuttavia, un piccolo dettaglio da risolvere prima di poter pensare alla riapertura delle frontiere: è sito nella cittadina di Idlib, nel nord est del paese. Questo «dettaglio» è costituito dal gruppo Hay’et Tahrir al-Sham (HTS). Si tratta dell’ultimo gruppo resistente (ex affiliato di Al Qaeda) che, violando l’ultimatum che gli era stato imposto, ha proclamato pochi giorni fa di non aver abbandonato la propria scelta della jihad e della lotta rivolta ad espandere la nostra sacra rivoluzione”. Il gruppo, asserragliato da mesi nella cittadina, si giova dell’involontaria protezione di più di 800.000 tra sfollati e abitanti della regione.


RUSSIA E BALCANI 7 Giorni in 300 Parole

ARMENIA 16 ottobre. Il primo ministro armeno Nikol Pashinyan ha annunciato, in diretta tv, le proprie dimissioni. Al momento della sua elezione, Pashinyan aveva promesso di introdurre una serie di riforme e poi di indire nuove elezioni, le quali dovrebbero, quindi, tenersi entro la fine dell’anno. BIELORUSSIA 11 ottobre. A partire da novembre e per tutto il 2019, la Russia interromperà le forniture di benzina, diesel e nafta alla Bielorussia. Attualmente, tra i due Paesi, è in vigore un accordo che permette alla Bielorussia di importare, ogni anno, milioni di tonnellate di prodotti petroliferi grezzi dalla Russia, senza essere sottoposta al pagamento di tasse. Il Ministero dell’Energia russo ha dichiarato che “la situazione è diventata insostenibile per la Russia” e le forniture verranno interrotte finché l’accordo non verrà rivisto. BOSNIA ED ERZEGOVINA 15 ottobre. Confermato l’impegno diretto dell’Unione Europea a proseguire il mandato militare dell’operazione Althea, per sostenere la Bosnia-Erzegovina nel proprio percorso di stabilizzazione e di integrazione europea. La decisione è stata presa al termine di una riunione, che si è tenuta in Lussemburgo, tra i Ministri degli

L’INTOLLERANZA RUSSA

Testimoni di Geova: persecuzioni e arresti

Di Lara Aurelie Kopp-Isaia Il 10 ottobre scorso, le autorità russe hanno fermato e arrestato cinque membri del movimento religioso dei Testimoni di Geova con l’accusa di estremismo e di detenzione illecita di armi. In Russia, il movimento dei Testimoni di Geova conta più di 395 sedi, ma tutte formalmente chiuse poiché questa minoranza religiosa è stata dichiarata illegale nel 2017 dalla Corte Suprema russa. Una delle ragioni del verdetto della sentenza è che, secondo il Ministero della Giustizia, i libelli del gruppo religioso incitano all’odio. Dopo la decisione della Corte, Svetlana Borisova, rappresentante del Ministero della Giustizia, ha dichiarato che i Testimoni di Geova avevano mostrato segni di attività sospette ed estremiste che avrebbero rappresentato una seria minaccia per la sicurezza nazionale e per i cittadini. Dopo aver reso illegale le loro attività, sono stati posti sullo stesso piano del sedicente Stato Islamico, venendo così considerati anch’essi delle minacce concrete per la nazione. A seguito della sentenza della Corte Suprema, tutte le attività dei Testimoni di Geova sono state criminalizzate e dichiarate illegali. Dal 2017 oltre trecento famiglie, perse-

guitate perché parte del gruppo religioso, hanno chiesto asilo alla Finlandia. Sergey Avilkin, uno dei tanti russi che si sono rifugiati nel Paese scandinavo, in un’intervista per il New York Times, ha dichiarato“Sono sicuro al 100% che, se non fossi partito, ora mi troverei in prigione”. I Testimoni di Geova sono una minoranza religiosa da sempre considerata politicamente neutra. Non sono mai stati, in nessun modo, ostili alle autorità russe. La situazione è leggermente mutata: la loro neutralità da sempre si traduce in mancanza di peso politico, non sono mai stati né aiutati né supportati da alcun apparato statale, diventando spesso un bersaglio politico. L’ostilità della Russia e delle sue autorità nei confronti del gruppo religioso è cresciuta da quando Vladimir Putin ha iniziato il suo terzo mandato, nel marzo del 2012. Infatti, il Presidente russo ha messo al centro della propria politica la Chiesa Ortodossa, discriminando gli altri gruppi religiosi. Queste persecuzioni sono state denunciate da molteplici gruppi e movimenti sostenitori dei diritti umani e della libertà religiosa, tra cui Human Rights Watch, che in un report del 2018 ha accusato le autorità russe di aver violato le libertà costituzionali.

MSOI the Post • 9


RUSSIA E BALCANI Esteri dei Paesi membri dell’UE.

L’ARMENIA OSPITA IL XVII SUMMIT DELLA FRANCOFONIA

I leader del mondo francofono tracciano il futuro dell’IOF

SERBIA 15 ottobre. “Noi riconosciamo il Kosovo come uno Stato indipendente e sovrano”, così ha risposto Kyle Scott, ambasciatore degli Stati Uniti in Serbia, ad una domanda che gli è stata posta da un giornalista locale. Questa affermazione ha ovviamente provocato malumori tra i politici serbi. In particolare, il ministro della Difesa, Aleksandar Vulin, ha così commentato: “Se l’ambasciatore avesse fatto questa affermazione di fronte al presidente Vucic, sarebbe stato sbattuto fuori dal palazzo del governo. Kyle Scott ha dimenticato che la Serbia non è una colonia e non dovrebbe calpestarne la dignità”.

UCRAINA 11 ottobre. Dopo una lunga discussione, alla chiusura del Sinodo del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli, è stata e ufficialment concessa l’autocefalia alla Chiesa ortodossa ucraina di Kiev, che diventerà, quindi, indipendente da quella di Mosca. A cura di Davide Bonapersona 10 • MSOI the Post

Di Mario Rafaniello Si è tenuto il 10 e l’11 ottobre nella capitale armena Yerevan il XVII Summit della Francofonia promosso dall’IOF (Organizzazione Internazionale della Francofonia), alla presenza delle delegazioni di 84 Paesi e di 53 leader. L’IOF rappresenta, tra Stati membri e osservatori, almeno un terzo dei membri delle Nazioni Unite e una popolazione di oltre 900 milioni di persone. Con la recente adesione di Gambia, Irlanda, Malta e Louisiana come osservatori, i membri sono saliti a 88. I leader dei Paesi a lingua o cultura francofona hanno discusso i punti chiave della stessa IOF, come la promozione della pace, della democrazia, dei diritti umani, dell’istruzione e la cooperazione tra i Paesi membri, ringraziando infine le autorità armene per l’ottima preparazione di questo “evento storico”, così come definito dal presidente Sarkissian. In apertura del Summit il presidente francese Macron ha evidenziato il forte legame storico tra Francia e Armenia, che oggi hanno solidi rapporti diplomatici, culminati con l’ingresso del Paese caucasico nell’IOF nel 2004 (dal 2008 come membro effettivo). Le principali attività svolte sono state il Forum economico dei

paesi francofoni, il cui obiettivo di rafforzare le attività economiche tra i membri dell’IOF fu concordato nel summit di Dakar nel 2014, e l’elezione del ministro degli Esteri del Rwanda Louise Mushikiwabo a nuovo Segretario dell’IOF, in sostituzione della canadese Jean Michaëlle. La diplomatica ruandese ha avuto l’appoggio di Unione Africana, Canada e Francia. Macron ha rilasciato dichiarazioni incoraggianti per il nuovo Segretario: “Sono felice di questa nomina perché corrisponde al volto della francofonia di oggi [...]. L’Africa è il continente più giovane. Questa è una lotta per l’istruzione in francese […]. Perché è imparando il francese che si imparano i valori che lo accompagnano’’. Proprio l’avvicinamento dei giovani africani all’IOF è uno degli obiettivi che Macron vorrebbe si realizzasse grazie alla nomina della Mushikiwabo, la quale ha confermato l’intenzione “di dare importanza alla lingua francese in un mondo sempre più multilingue”. Il Summit si è chiuso con l’approvazione del bilancio per il periodo 20192022 e con un programma quadriennale di 18 progetti. La prossima edizione del vertice IOF si terrà a Tunisi nel 2020, in coincidenza del cinquantesimo anniversario dell’organizzazione, fondata nel 1970.


ASIA E OCEANIA 7 Giorni in 300 Parole

SINGAPORE: ARTISTA ARRESTATO DOPO UNA PROTESTA PACIFICA Si mobilitano gli attivisti per i diritti umani dopo la condanna a due settimane di carcere

AUSTRALIA 16 ottobre. Il primo ministro, Scott Morrison, avrebbe dichiarato di “essere aperto al trasferimento dell’ambasciata australiana di Israele dalla città di Tel Aviv a Gerusalemme”. In merito al conflitto israelopalestinese, il Premier ha ribadito il proprio appoggio alla soluzione diplomatica “due popoli, due Stati”. Il trasferimento dell’ambasciata implicherebbe un riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele. CINA 10 ottobre. Le autorità locali della provincia autonoma dello Xinjiang hanno legalizzato i campi di rieducazione per la minoranza islamica uigura. La convalida dei centri di internamento è avvenuta attraverso la revisione di una legge entrata in vigore nel marzo 2017. Essa vietava l’utilizzo del velo per le donne, di barbe lunghe per gli uomini e rafforzava i controlli sulla popolazione e sulle pratiche religiose. Il riconoscimento dei campi di rieducazione rientra all’interno del più ampio obiettivo di “eliminazione dell’estremismo religioso”, portato avanti dal governo centrale. La notizia è giunta a 2 mesi di distanza dall’intervento delle Nazioni Unite contro la Cina, accusata

Di Fabrizia Candido

inchiesta.

Lo scorso 3 ottobre l’artista e attivista trentaquattrenne Seelan Palay è stato condannato in una corte di stato a Singapore a due settimane di carcere, in seguito al suo rifiuto di pagare una sanzione di 2.500 dollari singaporiani (circa 1.570€). Palay è stato giudicato colpevole di aver condotto una performance senza autorizzazione, violando la Sezione 7 del Public Order Act del 2009, concepito per proteggere la sicurezza nazionale.

L’accaduto ha scatenato la reazione di attivisti per i diritti umani e di Amnesty International, i quali hanno accusato Singapore di usare il Public Order Act per restringere la libertà di espressione ed hanno interpretato la sentenza come un assalto alla libertà di parola. Se, da un lato, questi ultimi richiedono l’immediato rilascio di Palay e la fine dei tormenti giudiziari che coinvolgono i difensori dei diritti umani del Paese, dall’altro, non mancano i sostenitori della decisione della Corte che ritengono il Public Order Act e la sua severa applicazione deterrenti del tutto necessari.

La sentenza arriva dopo un anno rispetto ai fatti incriminanti, risalenti all’ottobre del 2017. Palay, in occasione della sua esibizione intitolata “32 Years: The Interrogation of A Mirror”, dedicata al prigioniero politico singaporiano Chia Thye Poh, detenuto per 32 anni (il più lungo periodo di detenzione nella storia del Paese) e rilasciato nel 1998, aveva richiesto ed ottenuto la licenza per esibirsi nello Hong Lim Park. Dopo aver parlato ad una folla di circa 30 persone, Palay si è poi mosso per una processione solitaria con in mano uno specchio, verso la Galleria Nazionale e il Palazzo del Parlamento. Avendo violato la zona di licenza, la polizia lo ha invitato ad abbandonare il luogo. Lui si è rifiutato ed è scattato l’arresto. L’artista è stato poi rilasciato, sotto pagamento di una cauzione di 5.000 dollari singaporiani, in attesa di un

Quello che emerge è un contrasto tra posizioni individualistiche e comunitarie. Mentre le prime tendono a salvaguardare i diritti dell’individuo, le seconde mirano invece a preservare l’ordine pubblico. Citando il padre fondatore di Singapore Lee Kuan Yew in una storica intervista con il giornalista Fareed Zakaria: “L’espansione del diritto dell’individuo di comportarsi bene o male va a scapito della società ordinata. In Oriente l’obiettivo è avere una società ordinata e che tutti possano avere il massimo godimento delle proprie libertà.” Posizioni di questo genere sono comuni anche al Myanmar ed ai Paesi di matrice confuciana, tra cui spicca naturalmente la Cina.

MSOI the Post • 11


ASIA E OCEANIA della detenzione di oltre 1 milione di persone. Pechino, trovandosi al centro delle critiche internazionali, aveva negato l’esistenza dei campi. FILIPPINE 13 ottobre. Confermato il seggio filippino al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite. Manila ha ottenuto un nuovo mandato triennale nonostante le critiche, provenienti da varie ONG, rivolte alla violenta guerra alla droga attuata del presidente Rodrigo Duterte. Secondo quanto riportato da Human Rights Watch, le vittime della lotta al o narcotraffic sarebbero più di 12.000. HONG KONG 14 ottobre. Sono in migliaia i residenti di Hong Kong che hanno protestato contro il progetto Lantau Tomorrow Vision, il quale prevede la costruzione di isole artificiali per attenuare l’emergenza abitativa. I lavori per la realizzazione del progetto dovrebbero cominciare nel 2025, rendendo le prime case disponibili nel 2032; il costo stimato dai media locali è di $63 miliardi. MALESIA 15 ottobre. Il governo malese ha dato il via libera all’abolizione totale della pena di morte. Il tema è al centro delle discussioni parlamentari e l’entrata in vigore potrebbe essere fissata per la fine del 2018. L’esecuzione di 1200 prigionieri condannati è stata sospesa in attesa della revisione della legge vigente, che attualmente prevede la pena capitale nei casi di omicidio, traffico di droga, alto tradimento e per altre tipologie di reato. A cura di Gaia Airulo

12 • MSOI the Post

ONU E WORLD BANK PER IL TERREMOTO IN INDONESIA A circa 2 settimane dall’accaduto, la visita delle alte cariche delle due istituzioni

Di Daniele Carli Venerdì 12 ottobre, a circa 14 giorni dal drammatico terremoto di magnitudo 7,4 e dal seguente tsunami, che hanno devastato l’isola indonesiana di Sulawesi, il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres e il CEO della World Bank Kristalina Georgieva si sono recati in visita ai sopravvissuti delle località colpite dal disastro, i cui danni maggiori sono riscontrabili nei distretti della città di Palu. “Il loro coraggio e il loro spirito di solidarietà sono rimarchevoli”, ha elogiato Guterres, aggiungendo un plauso al governo indonesiano, rappresentato durante la visita dal vice-presidente Jusuf Kalla, per la tempestività ed efficacia delle operazioni. Alle parole del Segretario Generale, fanno eco quelle di Georgieva, dichiaratasi profondamente colpita dalla capacità dei sopravvissuti di rimanere così forti dinanzi ad una tale avversità. Continuano intanto le ricerche spasmodiche dei circa 5.000 dispersi, concentrati soprattutto nel sub-distretto di Balaroa (Palu), una delle località maggiormente colpite dal cosiddetto fenomeno della “liquefazione del terreno”. Ad essi, si unisce il dramma delle migliaia di vittime e dei

circa 200.000 bisognosi di aiuto nelle zone terremotate. Nonostante l’iniziale reticenza del presidente Joko Widodo, timoroso di un’ingerenza eccessiva delle istituzioni internazionali negli affari interni del Paese, la macchina degli aiuti internazionali si è attivata fin dalle prime ore successive al disastro. Circa 50 milioni di dollari sono stati stanziati dall’ONU per sopperire alle necessità primarie dei sopravvissuti. “In quanto Nazioni Unite, abbiamo già persone sul posto pronte ad aiutare; la leadership delle operazioni rimane però in mano al governo indonesiano” ha precisato Guterres. Per quanto riguarda il supporto della World Bank, Georgieva ha potuto annunciare lo stanziamento di 5 milioni di dollari, ai quali si aggiunge la più recente offerta al governo indonesiano di un prestito condizionato di 1 miliardo di dollari da destinare alla ricostruzione. A tal proposito, emblematiche sono le parole del CEO della World Bank: “le catastrofi naturali continueranno a colpire e con il cambiamento climatico saranno anche maggiori; il miglior memoriale che si possa costruire per ricordare le vittime è costruire meglio.”


AFRICA 7 Giorni in 300 Parole MOZAMBICO 13 ottobre. Si rinnova la tensione tra Renamo, partito di opposizione, e Frelimo. Il primo ha accusato il partito alla guida del Paese di aver truccato le elezioni municipali svoltesi il 10 ottobre. Tale accusa ha prodotto un nuovo stallo nelle trattative di pace tra i due schieramenti, ormai vicine al 3° anno di negoziati. Nonostante non ci siano state divulgazioni ufficiali riguardo gli esiti, entrambi i partiti hanno dichiarato di essere in vantaggio.

NIGERIA 12 ottobre. Il gruppo di milizia armata Civilian Joint Task Force (CJTF), il quale combatte Boko Haram, ha rilasciato più di 2200 bambini, tra i quali numerosi bambino-soldato. Molti di questi ultimi si sono resi protagonisti, negli anni, in vari conflitti armati in difesa del proprio Paese e delle proprie case. REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO 17 ottobre. Il governo ha condannato apertamente l’espulsione, avvenuta il 16 ottobre, di circa 28.000 (180.000 nel solo mese di ottobre) cittadini congolesi dall’Angola, accusata di aver violato i diritti umani e di essere responsabile delle vittime provocate dalla decisione del governo angolano. Quest’ultimo ha rigettato qualsiasi tipo di accusa; i rapporti tra i due Paesi confinanti

I SECONDI FINI DELL’ARABIA SAUDITA L’Arabia Saudita promuove la riconciliazione tra Eritrea ed Etiopia, ma nasconde interessi economico-strategici

Di Jessica Prieto Dopo quasi vent’anni dalla guerra scoppiata nel 1998 e terminata nel 2000 tra Eritrea ed Etiopia, per un disaccordo sui confini, nel luglio di quest’anno i due Paesi hanno firmato una dichiarazione di riconciliazione. Tale dichiarazione è stata resa ufficiale lo scorso 16 settembre, attraverso una cerimonia in cui il primo ministro etiope Abiy Ahmed e il presidente eritreo Isaias Afewerki hanno firmato un accordo di pace a Jeddah, in Arabia Saudita, di fronte al re saudita Salman bin Abdulaziz al Saud. Il luogo geografico in cui il trattato è stato siglato ci suggerisce la centralità dall’Arabia Saudita nella vicenda. I Paesi del Golfo e quelli del Corno d’Africa condividono da sempre una lunga storia di relazioni culturali, economiche e politiche. Le loro relazioni s’intensificarono a partire dal 1973, quando in seguito al boom petrolifero le monarchie arabe iniziarono a prestare ingenti somme di denaro alle potenze africane, finanziandone la crescita economica. Superato il disimpegno del ‘900 a causa della crescente instabilità politica nel territorio del Corno (in particolare Somalia, Etiopia ed Eritrea), oggi i Paesi del Golfo sono tornati a es-

sere uno degli attori esterni più rilevanti. Garantendosi un ruolo centrale nella riconciliazione tra Asmara e Addis Abeba, l’Arabia Saudita ha giocato una sapiente mossa nello scacchiere geopolitico africano. Innanzitutto ha incrementato la sua influenza nella Regione del Mar Rosso ed ha acquisito un vantaggio nella sua missione di contenere le spinte egemoniche dell’Iran. Da quando infatti gli Stati Uniti, sotto l’amministrazione Obama, hanno diminuito la loro presenza militare in Medio Oriente; Riad, temendo un’espansione di Teheran, ha subito avviato una campagna diplomatica per estirpare la presenza iraniana in Somalia, Gibuti e Sudan. Evidenti sono infine i benefici economici che si celano dietro questa vicenda. Con la pacificazione di Eritrea ed Etiopia si stabilizza un punto strategico del commercio internazionale come quello del Mar Rosso, da cui passa il 10% del commercio marittimo mondiale. Inoltre, grazie al prestigio guadagnato per il suo ruolo di promotrice di pace, l’Arabia Saudita avrà la possibilità di investire nella regione del Corno, e da lì espandersi nel Continente, rafforzando ulteriormente la sua influenza.

MSOI the Post • 13


AFRICA tornano, dunque, a essere tesi. SOMALIA 14 ottobre. Ennesimo attacco nel Corno d’Africa, nella città di Baidoa. Un doppio attacco terroristico-suicida è stato messo in atto da parte del gruppo islamista Shabaab. La polizia ha confermato il bilancio di circa 16 morti e 20 feriti. Il gruppo terroristico aveva identificato come luogo prescelto per le esplosioni un caffè bar e un ristorante posti in una zona altamente trafficata. 17 ottobre. I Ministri degli Esteri di Etiopia ed Eritrea si sono incontrati a Mogadiscio, insieme alla controparte somala. Tale incontro avrà, secondo quanto riportato dagli esperti, un forte impatto sulla regione africana, incentivando la diplomazia, la cooperazione e la sicurezza, fattori essenziali per poter ottenere benefici in futuro, sia a livello di rapporti intra-statali che all’interno dei tre Paesi. SOMALILAND 12 ottobre. DP World, società portuale gestita da Dubai, ha deciso di investire 101 milioni di dollari in un maxi progetto per l’ampliamento del porto nella regione del Corno d’Africa. Nonostante il Somaliland non sia stato riconosciuto a livello internazionale dalla sua separazione dalla Somalia, avvenuta nel 1991, l’intesa è stata raggiunta senza alcun ostacolo. A favorire l’accordo, è stata la volontà, da parte dei due contraenti, di voler portare stabilità attraverso una maggiore offerta di posti di lavoro, soprattutto rivolti ai giovani. A cura di Corrado Fulgenzi 14 • MSOI the Post

NIGERIA: 833 BAMBINI HAN POSATO LE ARMI

L’UNICEF sempre in prima fila per la difesa dei diritti umani

Di Francesco Tosco Domenica scorsa a Maiduguri, nel nord.est della Nigeria, è stata una deposta una “pietra miliare” in onore della difesa dei diritti umani, come riferito dal rappresentante UNICEF per il Paese. Infatti, dopo mesi di trattative, Il Civil Joint Task Force (CJTF) ha finalmente ‘congedato’ (liberato) 833 bambini che imbracciavano le armi in suo nome. Nel settembre 2017, il gruppo armato aveva siglato un accordo con le Nazioni Unite, impegnandosi a mettere in atto misure per la lotta e la prevenzione contro il reclutamento e l’utilizzo dei minori in guerra. Nello stesso anno si era stimato che tra le file del CJTF militavano circa 1500 bambini soldato. Il rilascio di domenica non è che il primo atto concreto in direzione dell’impegno preso, che porterà ad ulteriori rilasci nei prossimi mesi. Intanto per quanto riguarda l’arruolamento di bambini è stato lanciato un comunicato dall’ UNICEF in cui si chiede alle parti combattenti nell’area di astenersi immediatamente dal perpetuare la pratica. Il CJTF è nato da qualche anno ed è composto da diverse milizie locali, unitesi per difendere la regione dagli jihadisti di Boko-Haram. Dalla sua nascita l’organizzazione si è macchiata già di diversi crimini di guerra

e crimini contro l’umanità ma, negli ultimi periodi, sembra abbia avviato un percorso di conformità ai costumi internazionali e ai principi umanitari, oltre che alle leggi nazionali e regionali. Come dichiarato da Pernille Ironside, vice rappresentante dell’UNICEF in Nigeria, il gruppo armato sembra particolarmente intenzionato ad adeguarsi alle norme di protezione dei diritti dei bambini. Nonostante la liberazione dei giovani sfruttati, la situazione nel Paese resta molto critica. L’appello delle Nazioni Unite a risparmiare i minori dall’essere arruolati non viene tutt’ora rispettato da molti altri gruppi armati. Spesso, i ragazzi vengono portati via con la forza dalle loro case per essere impiegati in scontri diretti o come supporto. Boko Haram addirittura fa uso regolare di bambini imbottiti di esplosivo, per compiere attacchi terroristici. Dal 2017 l’UNICEF ha soccorso ben più di 8.000 bambini vittime di reclutamento. Grazie a programmi specifici i piccoli vengono aiutati a ritornare alle proprie comunità per ritrovare la propria famiglia, offrendo loro un’istruzione, un supporto psicosociale, ed una qualche normalità, cercando di restituire loro un po’ dell’infanzia che, con quello tutto quello che han passato, hanno irrimediabilmente perduto.


AMERICA LATINA 7 Giorni in 300 Parole

12 OTTOBRE, RICORRENZA CONTROVERSA CHE GUARDA AL FUTURO

Nata per celebrare l’arrivo dei coloni europei nel Nuovo Mondo, oggi assume connotazioni differenti

Di Sabrina Certomà ARGENTINA 16 ottobre. Frattura all’interno della coalizione al governo del Paese: Elisa Carrió, una delle figure più vicine al presidente Macri, ha chiesto al Congreso un giudizio politico nei confronti del ministro della Giustizia Germán Garavano, reo di aver dichiarato che “non è positivo che un ex presidente venga detenuto”, in riferimento ai casi riguardanti Carlos Menem e Cristina Kirchner.

BRASILE 16 ottobre. A meno di 2 settimane dal secondo turno delle elezioni presidenziali l’ultimo sondaggio, realizzato da IBOPE e riguardante le preferenze di voto, ha mostrato in netto vantaggio Jair Bolsonaro, il quale ha accumulato un vantaggio di 18 punti percentuali sul rivale del Partido de los Trabajadores (PT), Haddad, il quale si attesta al 41%. I dati mostrano, inoltre, che il 41% degli intervistati ha dichiarato che “voterà sicuramente per Bolsonaro”, mentre il 35% dell’elettorato è certo di non votare a favore di un politico nostalgico della dittatura militare.

Il presidente della Bolivia, Evo Morales, ha auspicato venerdì scorso 12 ottobre – in un incontro nella sede presidenziale con i rappresentanti delle 36 nazionalità riconosciute ufficialmente dallo Stato – che il processo di decolonizzazione portato avanti dalle popolazioni autoctone sudamericane si concluda con la creazione di un ‘continente plurinazionale’, che rappresenti la sovranità culturale, politica ed economica dei popoli nativi americani. L’incontro si è svolto in occasione del Día de la Descolonización, come è chiamato dal 2011 in Bolivia l’antico Día de la Raza. La festività, che originariamente commemorava l’arrivo degli spagnoli in America nel 1492 e la nuova identità che nacque dalla loro mescolanza con le comunità indigene, implicitamente celebrava la colonizzazione e la superiorità dei colonizzatori sulle popolazioni locali. Sono molti gli Stati sudamericani che negli ultimi anni ne hanno modificato il nome, adeguandolo ai sentimenti e alle rivendicazioni dei cittadini, riconoscendo uno spazio nella memoria collettiva alle culture autoctone e ai caduti durante la resistenza del XV secolo. Così, ad esempio, in Argentina il 12 ottobre è diventato ‘Día

del Respeto a la Diversidad Cultural’ secondo lo spirito dell’art. 75 della Costituzione, che riconosce l’esistenza e la peculiarità dei popoli indigeni oltreché la personalità giuridica delle comunità che compongono lo Stato. In Ecuador e Costa Rica è chiamato ‘Día de las Culturas’. In Guatemala, Venezuela e Nicaragua, invece, si è voluta evidenziare più polemicamente la sofferenza della sottomissione a cui i popoli latinoamericani hanno dovuto sottostare durante la conquista spagnola, nominandolo ‘Día de la Resistencia Indigena’. La commemorazione, tuttora celebrata in Spagna come ‘Día de la Hispanidad’, fu proposta per la prima volta nel 1913, volendo evidenziare la svolta epocale determinata dalla vera e propria unione di due mondi avvenuta quel giorno. Oggi, sono soprattutto i movimenti sociali a mostrarne la controversa rilevanza. Ad esempio, lo stesso Morales, al termine del suo discorso, ha voluto mettere in risalto i benefici economici di cui ha potuto godere la Bolivia a seguito della diversificazione culturale, augurandosi che l’intero pianeta adotti il paradigma plurinazionale; la situazione delle popolazioni indigene, tuttavia, risulta ancora problematica in molte aree del continente. MSOI the Post • 15


AMERICA LATINA HONDURAS 16 ottobre. La Policía Nacional Civil ha arrestato in Guatemala l’ex deputato hondureño Bartolo Fuentes, organizzatore del gruppo di migranti partito il 13 ottobre dall’Honduras con 2.500 persone in fuga dalla povertà che colpisce il Paese centroamericano e diretto verso gli Stati Uniti d’America. Donald Trump ha avvisato il presidente hondureño, Juan Orlando Hernández: nel caso di ulteriori migrazioni gli USA interromperebbero immediatamente l’erogazione degli aiuti economici a favore dello Stato centroamericano. NICARAGUA 17 ottobre. Continuano le proteste contro il governo di Daniel Ortega. Nelle ultime settimane ben 200 manifestanti, molti dei quali giovani studenti, sono stati accusati di terrorismo e rinchiusi in carcere in condizione disumane.

VENEZUELA 17 ottobre. Continuano ad allarmare le proiezioni effettuate dal Fondo Monetario Internazionale riguardo alla situazione economica venezuelana. Qualora le politiche economiche non dovessero essere riviste o migliorate l’inflazione potrebbe raggiungere quota 12.000.000% nel 2023. Tra i vari effetti di questo fortissimo aumento dei prezzi il FMI sottolinea che il tasso di disoccupazione, che nel 2013 era al 7,4%, potrebbe attestarsi a quota 44%.

A cura di Tommaso Ellena 16 • MSOI the Post

GRAZIA REVOCATA A FUJIMORI L’ex Presidente potrebbe essere incarcerato per crimini contro l’umanità

Di Davide Mina La libertà personale dell’ottuagenario Alberto Fujimori sembra avvicinarsi al capolinea. All’ex Presidente peruviano era stato concesso l’indulto alla fine del 2017 dall’allora presidente Pedro Pablo Kuczynski, dando luogo a numerose polemiche in ambito nazionale e internazionale. In questo modo, infatti, evitava la pena per crimini contro l’umanità cui era stato condannato nel 2009. Fujimori era stato condannato a 25 anni di detenzione in quanto mandante delle stragi di Barrios Altos (1991) e La Cantuta (1992), in cui morirono 25 persone per mano del corpo militare segreto Colina, che rispondeva ai vertici delle Forze Armate peruviane, nonché dei sequestri di un imprenditore e di un giornalista. La sentenza di annullamento della grazia, emessa in prima istanza dal giudice Hugo Núñez della Corte suprema del Perù, accoglie l’istanza dei familiari delle vittime. L’indulto è stato annullato per irregolarità formali e per contrarietà agli accordi internazionali in materia di diritti umani; il magistrato ha disposto la cattura di Fujimori per ricondurlo al medesimo carcere da cui era uscito da 9 mesi e 7 giorni. Secondo lo stesso magistrato, Fujimori dovrebbe attendere altri 14 anni prima di scontare la pena:

tornerebbe libero solo nel 2032, a 94 anni. Tuttavia, l’ex Presidente potrebbe continuare ad evitare la pena, per due ragioni. In primo luogo, nel momento in cui è stata emessa la sentenza, Fujimori ha accusato un malore nel suo domicilio di Lima. Come dichiarato dal medesimo, solo grazie al proprio figlio minore, il parlamentare Kenji Fujimori, è stata chiamata tempestivamente un’ ambulanza. È stato così portato in una clinica nella quale è stato ricoverato prima che potesse essere arrestato, e dalla quale non è stato ancora dimesso. Dovrà attendere e sperare che le autorità competenti non chiedano il trasferimento in carcere. Inoltre, giovedì scorso 11 ottobre il Congresso, di maggioranza fujimoriano, ha approvato una legge che concede i domiciliari agli anziani condannati. Beneficeranno dei domiciliari i maggiori di 75 anni, con infermità “gravi o croniche”, che abbiano scontato un terzo della propria condanna. Tutti requisiti in cui Fujimori rientra. Attualmente, la legge è in mano al presidente del Perú, Martín Vizcarra, che ne sta valutando la costituzionalità. Secondo Gloria Cano, direttrice della Associazione per i Diritti Umani (Aprodeh), questa legge non rispetta i principi della Corte Interamericana e verrà annullata.


ECONOMIA LA MANOVRA DEL POPOLO II La finale di Bruxelles

Di Michelangelo Inverso Più passano i giorni che separano il giudizio della Ue e delle istituzioni finanziarie globali dall’approvazione della Manovra del Popolo, più il solco tra il Governo Gialloverde e la Commissione Europea si fa profondo. Dopo i dissidi tra i vicepremier Salvini e Di Maio con i commissari Moscovici e Junker, è stata la volta di Oettinger, il quale ha anticipato che “probabilmente la Commissione respingerà il Def italiano”. La questione è abbastanza lineare per la Commissione Bilancio: se l’Italia sfora l’obiettivo della riduzione del debito pubblico, allora anche gli altri paesi dell’Eurozona si sentirebbero autorizzati a fare lo stesso. L’argomentazione è la stessa usata a suo tempo quando si rinviarono gli aiuti alla Grecia, all’inizio della sua lunga crisi, per evitare che altri Paesi Ue si permettessero comportamenti da “moral hazard”, sulla base di un sicuro salvataggio. Quali poi siano state le conseguenze di questo approccio le conosciamo fin troppo bene. E dunque il rischio, anche questa volta, è quello di un meccanismo che, una volta innescato, provochi una serie di reazioni a catena che esulino dagli ef-

fetti di stabilizzazione auspicati, ottenendone il contrario. Nel concreto, una bocciatura senza appello dell’Italia avrebbe una duplice conseguenza. In primis, creerebbe le condizioni per un declassamento del rating del debito Nostrano da parte delle agenzie Moody’s e Standard & Poor, che daranno il loro giudizio proprio tra il 26 e il 31 ottobre prossimi. Inutile sottolineare come un nostro declassamento renderebbe vano tutto il deficit della manovra, perché gli investitori istituzionali internazionali chiederebbero tassi di interesse più appetibili di ogg che si sottrarrebbero dalle risorse impiegabili per i provvedimenti del Def. Ma il secondo effetto di una bocciatura della Commissione, proprio per questa prima conseguenza, sarebbe quella di accendere uno scontro totale, una battaglia che vedrebbe uno schieramento ben più vasto di quello tra l’Italia e l’Europa. Il governo italiano, infatti, in questa fase storica incarna un unicum nell’Eurozona a livello politico. E, del resto, nell’Eurozona, sono in molti a guardare con grande apprezzamento – o comunque con grande curiosità – ai risultati che incasseranno i Gialloverdi. Già, perché le ele-

zioni europee sono alle porte per tutti, compresa la Commissione Bilancio Ue, i cui esponenti sono a loro volta impegnati in una campagna elettorale sul fronte europeista, ma con molto meno entusiasmo. Il fronte dei nuovi partiti di massa invece, che ha il suo paladino proprio in questo governo “sperimentale”, ha come obiettivo principale quello di impedire un nuovo governo europeo di coalizione tra socialisti e popolari, le due sigle tradizionali, incassando un consenso tale da impedirglielo, proprio come accaduto il 4 marzo in Italia. Un gioco di contrapposizioni democratiche, dunque, che mischia tecnicismi, ideologia politica e consenso popolare in un mix potenzialmente molto pericoloso per la compattezza e, forse, della sopravvivenza dell’Europa. Se dunque la Commissione desse il suo via libera il prestigio italiano in Ue e in patria ne sarebbe certamente rafforzato. Ma se fosse bocciata la Manovra comunque il governo italiano ne uscirebbe rafforzato e suonerebbe la carica in tutta l’Eurozona contro le ‘elite’ filo-Ue. La palla avvelenata è nel campo di Bruxelles, la partita ha inizio. MSOI the Post • 17


ECONOMIA A TRE ANNI DAL DIESELGATE, IL MERCATO DELL’AUTO IN EUROPA È ANCORA IN AFFANNO Benché la flessione delle vendite sia innegabile, non mancano le eccezioni

Di Giacomo Robasto A tre anni dallo scoppio dello scandalo “Dieselgate” in Germania, che ha messo in discussione la veridicità dei dati relativi alle emissioni dei propulsori a gasolio della Volkswagen, il mercato dell’auto sembra ancora risentirne le conseguenze in tutta Europa. Se, infatti, nello scorso mese di agosto i volumi di vendita di molti costruttori europei sono di poco aumentati almeno rispetto al 2017, lo stesso non si può dire per i tre trimestri dell’anno in corso e, soprattutto, per l’appena concluso mese di settembre. In questi 30 giorni le immatricolazioni di auto nuove in Europa sono infatti diminuite del 23,4 %; un risultato per certi versi atteso, legato all’entrata in vigore del nuovo sistema WLTP per misurare le emissioni in sede di omologazione. Solo il confronto del terzo trimestre 2018 con lo stesso periodo dello scorso anno mostra una contrazione più contenuta, pari al 6,9%, ma c’è poco da stare allegri: i numeri parlano chiaro, con un crollo verticale di qualsiasi settore. Solo le auto elettriche si salvano, ovviamente con numeri bassissimi, ma in graduale crescita. 18 • MSOI the Post

Andando ad analizzare a fondo la situazione, si evince che i numeri del settore sono tutt’altro che soddisfacenti: dall’inizio del mese di gennaio, le immatricolazioni di auto nei paesi dell’Unione europea sono state pari a 12 milioni e 304.000 unità, appena il 2,3% in più dello stesso periodo del 2017. A subire la flessione di vendite più consistente sono stati senz’altro i modelli alimentati a gasolio, il cui calo nel solo 2018 é del 9%, portando così la loro quota di mercato al 47,6%: per notare una quota più bassa bisogna sfogliare a ritroso il calendario fino al marzo 2010. Al tracollo delle vendite le auto a benzina si prendono una piccola rivincita con una flessione del 6% nel mese, mentre il cumulato da inizio anno mantiene il segno positivo (+2%) e una quota di mercato del 39%, la più alta da febbraio 2012. Guardando invece alle performances delle singole case automobilistiche, é di rilievo il calo del 31,4% di Fiat Chrysler Automobiles, che segue comunque la contrazione importante di Volkswagen, che ha di fatto dimezzato i suoi volumi nel corso del mese. Il Lingotto registra il segno meno per tutti i suoi

brand mentre nell’intero periodo mette in evidenza il +66,8% di Jeep e il +7,6% di Alfa Romeo. In un contesto generalizzato di calo del giro d’affari del settore che interessa l’intero Vecchio continente, saltano all’occhio alcuni dati del gruppo francese PSA (che include, oltre ai noti brand Peugeot e Citroën, dal 2017 anche Opel e Vauxhall). Infatti, le immatricolazioni del gruppo d’oltralpe hanno segnato a settembre di quest’anno un traguardo importante, portando la quota di mercato europea del gruppo al 18,2%, di poco superiore alla quota del 15,2% detenuta da Volkswagen. Nonostante la magra soddisfazione dei francesi, che possono comunque minare il primato di Volkswagen nel lungo periodo, l’andamento recente del settore é, almeno in parte, frutto di una incompleta risposta dei costruttori alla evoluzione della mobilità in Europa: i veicoli elettrici sostenibili e basso impatto ambientale non sono ancora proposti su larga scala a prezzi accessibili. In un tempo in cui i veicoli a gasolio sembrano avere i mesi contati, urge trovare delle alternative.


DIRITTO INTERNAZIONALE ED EUROPEO PROTOCOLLO N. 16 CEDU: DOPO L’ENTRATA IN VIGORE,LA SUA PRIMA APPLICAZIONE La Francia è il primo paese ad utilizzarlo: sortirà gli effetti sperati?

Di Pierre Clément Mingozzi Benché ultima nel ratificarlo, prima ad applicarlo. Sembrerà ironico, ma è proprio la Francia ad attivare per la prima volta il Protocollo n. 16 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. Tale Protocollo, infatti, dopo aver raggiunto la decima ratifica, è entrato in vigore dal 1° agosto 2018 e permette, su richiesta degli Stati membri, di richiedere un parere consultivo direttamente alla Grande Camera della Corte EDU. Possibilità, quest’ultima, di primaria rilevanza in quanto avvicina la Corte EDU al rinvio pregiudiziale previsto dal sistema della Corte di Giustizia dell’UE (art. 267 TFUE) e ne indicherebbe, inoltre, una forma di “costituzionalizzazione” in nuce. Come stabilito dal Protocollo, le più alte giurisdizioni degli Stati membri hanno facoltà di richiedere un parere consultivo alla Corte, sia di portata specifica sia generale. E così ha fatto la Cour de Cassation riunita in forma plenaria, tramite sentenza n. 638 (10-19-053) del 5 ottobre 2018. Il “rinvio pregiudiziale” riguarda una sentenza molto

importante ed estremamente dibattuta, peraltro già oggetto di una sentenza da parte della Corte di Strasburgo, ovvero la Mennesson c. Francia (ric. n° 65192/11). In quella occasione, i giudici di Strasburgo diedero torto alla Francia e ragione alla coppia di coniugi che avevano scelto di avere un figlio negli Stati Uniti tramite maternità surrogata. La Francia, difatti, si era rifiutata di riconoscere il rapporto di filiazione al momento della registrazione presso le autorità consolari francesi, in quanto tale pratica è considerata illegale e perciò contraria all’ordine pubblico e ai valori fondamentali della Repubblica. La Corte, tuttavia, adita a stabilire o meno se vi fosse stata violazione degli articoli 8 e 14 della Convenzione, evidenziò che, seppur ampio, il margine di apprezzamento lasciato agli Stati membri non è infinto, quanto piuttosto limitato nei casi in cui siano coinvolti aspetti fondamentali della persona, tra i quali il riconoscimento del rapporto di filiazione. Nel costatare violazione dell’art. 8, la Corte non ritenne invece che vi fosse stata violazione dell’art. 14. Nel caso in oggetto, tuttavia, la Cour de Cassation ha deciso di

sospendere il nuovo procedimento intentato dai genitori per la revisione del processo e richiedere alla Corte di Strasburgo un parere su due questioni principali relative agli effetti di tale decisione nell’ottica – ipotetica – di prevenire altre possibili violazioni future. L’ordinamento francese, infatti, si trova attualmente in un momento di ambiguità e tensioni riguardo la tematica della procreazione assistita. Per tale motivo, alcuni studiosi hanno evidenziato che “le renvoi devant la Cour européenne des droits de l’homme devrait permettre d’aligner la jurisprudence”. In attesa della pronuncia della Corte, quello che si può senza dubbio evidenziare è che questo primo “rinvio” apre grandi spazi di potenziale sviluppo sia per il sistema di protezione dei diritti umani stabilito a livello Convenzionale, sia per i sistemi giuridici degli Stati membri. Infatti, grazie al ricorso francese, a è ufficialmente iniziat quella che dovrà essere – almeno secondo gli auspici – un’interazione attiva e proficua trale Supreme Corti e la Corte EDU. “Le Protocole du dialogue” riuscirà ad essere davvero tale? MSOI the Post • 19


DIRITTO INTERNAZIONALE ED EUROPEO DWAYNE JOHNSON c. MONSANTO

Per la prima volta si sostiene in tribunale il legame tra l’erbicida glifosato e il cancro

Di Chiara Montano In data 11 agosto 2018, la multinazionale di biotecnologie agrarie Monsanto è stata condannata al pagamento di un risarcimento di 289 milioni di dollari a favore di un singolo individuo. Secondo il giudice di San Francisco che ha pronunciato la sentenza, la multinazionale sarebbe infatti colpevole per non aver adeguatamente informato i consumatori dei rischi alla salute connessi con l’utilizzo del proprio prodotto. In particolare, il ricorrente, Dwayne Johnson, aveva ricoperto per alcuni anni il ruolo di custode di istituti scolastici nella zona di San Francisco, venendo ripetutamente a contatto con l’erbicida incriminato, nell’esercizio delle proprie mansioni. I primi sintomi di una malattia si sono manifestati, per il sig. Johnson nel 2014, all’età di 42 anni. Poco dopo, gli è stato diagnosticato un linfoma non-Hodgkin. In seguito alla diagnosi, il sig. Johnson ha intentato la causa contro la ditta Monsanto, che ha sede a St. Louis, in Missouri, la quale ha rigettato le accuse e ha già annunciato di voler ricorrere in appello. La difesa dei legali della multinazionale si fonda sul fatto che 20 • MSOI the Post

il tipo di linfoma diagnosticato al sig. Johnson impiega diversi anni per manifestarsi, ragion per cui il custode avrebbe dovuto esserne affetto prima del suo incarico nel distretto scolastico. Inoltre, i legali della multinazionale richiamano gli oltre 800 studi e valutazioni scientifiche, che hanno escluso la cancerogenicità del glifosato, fra cui quelli delle Agenzie europee EFSA ed ECHA. Da parte loro, i legali del sig. Johnson hanno sostenuto durante il processo, durato alcuni mesi, che l’azienda Monsanto abbia per anni “combattuto contro la scienza”, prendendo di mira alcuni scienziati, che sostenevano la potenzialità nociva e la sussistenza di rischi per la salute umana, causati dagli erbicidi. Ciò che rende questa sentenza particolarmente significativa è che si tratta della prima denuncia di fronte ad un tribunale, in cui si sostiene il legame tra il glifosato ed il cancro. Inoltre, esistono circa 5.000 denunce negli Stati Uniti, simili a quella del sig. Johnson, per cui il caso Dewayne Johnson c. Monsanto potrebbe costituire un precedente importante, a cui potenzialmente potrebbero seguire centinaia di altre denunce contro l’azienda Monsanto, peraltro recentemente acquista-

ta dalla multinazionale tedesca Bayer Ag. La questione è destinata, probabilmente, a suscitare ulteriore scalpore, anche perché il 7 settembre scorso è deceduto, in Argentina, Fabian Tomasi, divenuto l’emblema della lotta contro il glifosato. Il lavoro di Tomasi consisteva nel riempire i serbatoi degli aerei utilizzati per lo spargimento di erbicidi; in seguito, gli è stata diagnosticata la polineuropatia tossica, una sindrome neurologica che comprende una serie di malattie infiammatorie e degenerative che colpiscono il sistema nervoso periferico. Sebbene non avesse mai cercato una rivalsa economica, dal 2014, Tomasi aveva deciso di intraprendere una lotta per riconoscere il legame tra la sua malattia e il proprio lavoro, sottolineando anche il fatto che il numero di tumori nella campagna dove lavorava era di circa tre volte superiore rispetto a quello delle città. Per comprendere meglio i risvolti della vicenda, occorrerà attendere le pronunce relative agli ulteriori gradi di giudizio, se la multinazionale procederà effettivamente all’impugnazione, come ha dichiarato.


MSOI the Post • 21


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.