MSOI thePost Numero 121

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Il Settimanale di M.S.O.I. Torino


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MSOI Torino M.S.O.I. è un’associazione studentesca impegnata a promuovere la diffusione della cultura internazionalistica ed è diffuso a livello nazionale (Gorizia, Milano, Napoli, Roma e Torino). Nato nel 1949, il Movimento rappresenta la sezione giovanile ed universitaria della Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale (S.I.O.I.), persegue fini di formazione, ricerca e informazione nell’ambito dell’organizzazione e del diritto internazionale. M.S.O.I. è membro del World Forum of United Nations Associations Youth (WFUNA Youth), l’organo che rappresenta e coordina i movimenti giovanili delle Nazioni Unite. Ogni anno M.S.O.I. Torino organizza conferenze, tavole rotonde, workshop, seminari e viaggi studio volti a stimolare la discussione e lo scambio di idee nell’ambito della politica internazionale e del diritto. M.S.O.I. Torino costituisce perciò non solo un’opportunità unica per entrare in contatto con un ampio network di esperti, docenti e studenti, ma anche una straordinaria esperienza per condividere interessi e passioni e vivere l’università in maniera più attiva. Cecilia Nota, Segretario M.S.O.I. Torino

MSOI thePost MSOI thePost, il settimanale online di politica internazionale di M.S.O.I. Torino, si propone come un modulo d’informazione ideato, gestito ed al servizio degli studenti e offrire a chi è appassionato di affari internazionali e scrittura la possibilità di vedere pubblicati i propri articoli. La rivista nasce dalla volontà di creare una redazione appassionata dalla sfida dell’informazione, attenta ai principali temi dell’attualità. Aspiriamo ad avere come lettori coloro che credono che tutti i fatti debbano essere riportati senza filtri, eufemismi o sensazionalismi. La natura super partes del Movimento risulta riconoscibile nel mezzo di informazione che ne è l’espressione: MSOI thePost non è, infatti, un giornale affiliato ad una parte politica, espressione di una lobby o di un gruppo ristretto. Percorrere il solco tracciato da chi persegue un certo costume giornalistico di serietà e rigore, innovandolo con lo stile fresco di redattori giovani ed entusiasti, è la nostra ambizione. Jacopo Folco, Direttore MSOI thePost 2 • MSOI the Post

N u m e r o

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REDAZIONE Direttore Editoriale Jacopo Folco Direttore Responsabile Davide Tedesco Vice Direttori Giusto Amedeo Boccheni, Pilar d’Alò Caporedattori Giusto Amedeo Boccheni , Luca Bolzanin, Pilar d’Alò, Luca Imperatore, Pauline Rosa Capi Servizio Rebecca Barresi, Giusto Amedeo Boccheni, Luca Bolzanin, Lucky Dalena, Pierre Clement Mingozzi, Sarah Sabina Montaldo, Daniele Pennavaria, Leonardo Scanavino, Chiara Zaghi Media e Management Daniele Baldo, Guglielmo Fasana, Anna Filippucci, Vladimiro Labate, Jessica Prietto Editing Lorenzo Aprà, Adna Camdzic, Amandine Delclos Copertine Virginia Borla, Amandine Delclos Redattori Gaia Airulo, Erica Ambroggio, Elena Amici, Amedeo Amoretti, Andrea Bertazzoni, Micol Bertolino, Luca Bolzanin, Davide Bonapersona, Maria Francesca Bottura, Fabrizia Candido, Daniele Carli, Debora Cavallo, Emanuele Chieppa, Giuliana Cristauro, Andrea Daidone, Lucky Dalena, Alessandro Dalpasso, Federica De Lollis, Francesca Maria De Matteis, Ilaria di Donato,Tommaso Ellena, Guglielmo Fasana, Anna Filippucci, Alessandro Fornaroli, Corrado Fulgenzi, Francesca Galletto, Lorenzo Gilardetti, Lara Amelie Isai-Kopp, Luca Imperatore, Michelangelo Inverso, Vladimiro Labate, Giulia Marzinotto, Simone Massarenti, Rosalia Mazza, Davide Nina, Pierre Clement Mingozzi, Alberto Mirimin, Chiara Montano, Sveva Morgigni, Virginia Orsili, Daniele Pennavaria, Barbara Polin, Jessica Prieto, Luca Rebolino, Jean-Marie Reure, Valentina Rizzo, Giacomo Robasto, Clarissa Rossetti, Federica Sanna, Martina Santi, Martina Scarnato, Edoardo Schiesari, Jennifer Sguazzin, Stella Spatafora, Elisa Todesco, Francesco Tosco, Tiziano Traversa, Leonardo Veneziani, Alessio Vernetti, Elisa Zamuner. Vuoi entrare a far parte della redazione? Scrivi una mail a thepost@msoitorino.org!


BIG DATA, INTERNET OF THINGS E GDPR

Un ponte fra tutele individuali e interesse pubblico nella società digitale?

Di Alessandro Fornaroli e Stella Spatafora Alessandro Pansa, direttore generale del Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza del governo italiano, ha chiamato il ‘dato’, “con la sua disponibilità e fruibilità, sovrano in divenire del nostro tempo e del nostro spazio”. Dietro a questa suggestiva metafora, c’è l’universo fiorente del digitale, in cui è sempre più evidente l’importanza dell’analisi di enormi moli di informazioni, acquisite attraverso ogni dispositivo o piattaforma online, che avviene attraverso sistemi di intelligenza artificiale a questo preposti, come il deep learning. La diffusione di applicazioni che hanno modificato radicalmente tante nostre abitudini ci ha proiettato in quella che viene definita da Pansa “la quarta dimensione”, che solo ultimamente ha trovato riconoscimento e recepimento nell’ordinamento giuridico. Dal punto di vista amministrativo infatti, il grande interrogativo su cui tanto si discute oggi è l’estensione del campo di tutela per i dati. La differenza rispetto al passato consiste nel fatto che le informazioni di per sé non ‘sensibili’, quindi non utili a rivelare qualità dell’utente a cui si riferiscono, possono oggi essere rielaborate per individuare un profilo associabile a una data persona

semplicemente integrandole tra di loro. In questa maniera è possibile attribuire abitudini, preferenze e schemi a dati che da soli non sarebbero affatto rilevatori. Un esempio banale sono le inserzioni di prodotti per la prima infanzia: se un individuo di sesso femminile in età fertile si dovesse trovare nei pressi di un ospedale per un periodo stabile, verrà probabilmente individuato come potenziale cliente. Un secondo problema da affrontare riguarda invece la distribuzione delle tecnologie di machine learning, ovvero di analisi del dato grezzo. Il grande capitale richiesto per accedere a questo tipo di commercio fa sì che ad avvalersene siano soltanto grandi gruppi societari, i proprietari delle grandi piattaforme social o commerciali e quelli di infrastrutture per il web, gli hosting provider o gli apparati pubblici legittimati ad acquisire dati sulla popolazione. Da un duplice punto di vista, economico e politico e poiché, come già sosteneva da Sun Tzu, l’informazione è potere, questa situazione di asimmetria informativa si presta a diverse critiche. Relativamente all’aspetto economico, data la definizione di contratto come “accordo di due o più parti per costituire, regolare o estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale” (Art. 1321 c.c.), uno squilibrio

in termini di conoscenza potrebbe ritenersi incisiva e rilevante, in quanto favorirebbe nettamente la figura in possesso dell’elaborazione dei dati e dei pattern di comportamento dell’utente/acquirente. La questione è se una conoscenza delle caratteristiche e decisioni del consumatore non porti a prevederne le scelte. L’obiettivo, di cui il Codice del Consumo (D.L. 206/2005) fornisce solo una parziale risposta, è quello di impedire che questo accada, fornendo strumenti di regolazione tra i rapporti patrimoniali dei soggetti. Dal punto di vista della libertà personale, invece, ci si chiede quanto le nostre scelte siano autonome rispetto alle ingerenze esterne e quanto, dal punto di vista dell’espressione popolare per la decisione politica, il voto possa essere ritenuto frutto di un’azione consapevole del pensiero, oppure influenzato da fattori ambientali, esterni. Ai sensi dell’Art. 48 della Costituzione, questo deve essere “personale, eguale, libero e segreto”. La libertà è l’unico concetto astratto difficilmente valutabile nell’epoca della digitalizzazione. In seguito agli scandali che hanno coinvolto la Brexit e il presidente americano Trump, è stato evidenziato come la componente umana appaia elemento di una possibile strategia

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di condizionamento, la cui materializzazione del pericolo, come noto, si è concretizzata con la sottrazione di dati sensibili operata da Facebook e Cambridge Analytica. La tecnica psicografica adottata da queste agenzie, inoltre, non è altro che un’azione più capillare rispetto ai piccoli test di risposta neurale a campionamento limitato di fronte a varie bozze di discorsi politici. Infine, si è dimostrato chiaro come la privacy non riguardi

solo l’ambito privato ma debba assurgere a interesse collettivo, poiché, come nel caso dell’istituto elettorale, rappresenta un insieme di interessi collettivi vitale per la sicurezza del Paese. A livello dei diritti, non dovrebbe più limitarsi a un mero diritto individuale ma dovrebbe in taluni casi costituire uno strumento di sicurezza pubblica in grado di tutelare lo Stato da eventuali monopoli informatici o ingerenze esterne. A tal proposito, la GDPR 4 • MSOI the Post

rappresenta un primo step. Il 25 maggio 2018 è stata data piena attuazione al Regolamento 679/2016 (GDPR). Il nuovo Regolamento europeo sulla protezione dei dati ha abrogato la Direttiva 95/46/CE e può essere considerato come l’apice di un lungo cammino verso una considerazione sempre più innovativa dei dati, optando per un approccio mirato agli sviluppi della società digitale. L’Unione Europea ha sempre prestato

molta attenzione al trattamento dei dati personali, prediligendo una regolamentazione datocentrica, costantemente alla ricerca di equilibrio tra la circolazione delle informazioni, i vari attori coinvolti nel trattamento dei dati e i vari interessi in gioco. Inoltre, l’Unione si è sempre distinta per la sua politica “forte” nel trattamento dei dati personali, divenendo punto di riferimento oltre confine.

Il GDPR, dunque, è nato con l’obiettivo di far progredire ulteriormente la normativa europea, offrendo “un quadro più solido e coerente in materia di protezione dati nell’Unione affiancato da efficaci misure di attuazione, data l’importanza di creare il clima di fiducia che consentirà lo sviluppo dell’economia digitale in tutto il mercato interno” (Considerando 5, 6 e 7). Si tratta di un nuovo impianto normativo volto a delineare una connessione tra protezione dei dati personali e libera circolazione dei dati, in modo da creare un terreno fertile di tutele aggiornate ed efficienti nell’era digitale. È da tempo, infatti, che si parla di progressivo “spostamento” della nostra vita nel mondo digitale. Inoltre, è sempre più ridondante il fenomeno dell’Internet of things, la cui peculiarità risiede proprio nell’ambito del trattamento automatico dei dati e dunque nelle grandissime quantità di informazioni che i dispositivi smart processano in modo automatico e semi automatico per offrire determinati servizi e perseguire diversi scopi. Ovviamente, come il mondo fisico, anche il mondo online presenta molteplici rischi, alcuni analoghi a quelli che si possono presentare nella realtà, altri legati piuttosto ad attacchi informatici, danneggiamento di dati e accessi non autorizzati. A fronte di ciò, è opportuno chiamare in causa la sicurezza informatica, che mira a preservare in particolare: l’Availability (Disponibilità), l’Integrity (Integrità) e la Confidentiality (Confidenzialità) di informazioni, infrastrutture informatiche e dati. Dunque, sviluppo

se da delle

un lato lo tecnologie,


in particolare dell’IoT, offre affascinanti aspettative, legate al miglioramento e alla semplificazione delle nostre vite, dall’altro lato, le caratteristiche intrinseche di vari dispositivi IoT presentano importanti sfide per la sicurezza. A fronte di ciò, risulta doveroso offrire apposite garanzie agli utenti che gli oggetti smart di cui si servono e che utilizzano i loro dati siano privi di vulnerabilità, per scongiurare attacchi informatici e, più ampiamente, preservare l’individuo da furti di dati o danneggiare la sicurezza o la salute. Inoltre, un aspetto fondamentale da tenere in considerazione è il rispetto di questi dispositivi della privacy individuale. Il diritto alla privacy e il rispetto della riservatezza degli utenti rappresenta il fulcro centrale per realizzare appieno le nuove opportunità offerte dalla tecnologia. La sicurezza è tra gli obiettivi centrali del GDPR, nel quale ogni trattamento è considerato un’attività rischiosa, che deve essere preservata con le giuste cautele in un’ottica di accountability. Nelle parole di Danilo Benedetti, autore del saggio IA e (in)sicurezza informatica (in Intelligenza artificiale, protezione dei dati personali e regolazione, a cura di F. Pizzetti, Torino,2018), l’Art. 32 afferma che “il trattamento dei dati personali debba avvenire in modo tale che gli stessi non possano essere attribuiti a un interessato specifico senza l’utilizzo di informazioni aggiuntive, sempre che tali informazioni aggiuntive

siano conservate separatamente e soggette a misure tecniche e organizzative tese a garantire la non attribuzione a una persona identificata o identificabile”. Inoltre, è necessario che i dati trattati siano adeguati, pertinenti e limitati alle finalità da raggiungere, attuando dunque il principio di minimizzazione dei dati (Art. 5, lett. c).

lungimiranti che sappiano rispondere alle necessità dei nuovi sviluppi tecnologici, tra cui spiccano l’Internet delle cose, l’intelligenza artificiale, la robotica, i Big Data e le piattaforme, i sistemi connessi e autonomi. A fronte di ciò, risulta doveroso considerare i dati non solo come rischio, ma come nuovo fattore competitivo per le economie di un mondo connesso.

In generale, il nuovo Regolamento risulta molto utile poiché in grado di assicurare una tutela effettiva ai trattamenti dei dati in un’ottica sempre più orientata all’evoluzione delle nuove tecnologie, con particolare riguardo all’Intelligenza artificiale e dell’IoT. Come si è accennato poc’anzi, l’impianto normativo è incentrato sulla responsabilità, legata dunque alla necessità da parte del titolare del trattamento di porre adeguate valutazioni dei rischi e attuare appropriate misure per farvi fronte.

La Commissione europea sembra aver colto questa esigenza e ha recentemente proposto un pacchetto di misure necessarie per la creazione di uno spazio digitale, che consenta lo sviluppo di nuovi prodotti e servizi basati sul trattamento dei dati e sulla condivisione dei dati tra imprese e tra imprese e settore pubblico, in modo tale da garantire un circolo virtuoso tra i diversi attori in gioco. Le inquietudini legate ai problemi di privacy sono dunque legittime, ma non devono essere utilizzate a sproposito per irrigidire il flusso dei dati.

L’apparato normativo del GDPR dunque è volto a un’evoluzione costante e orientata ai concreti sviluppi del ventunesimo secolo, rafforzando il legame tra le imprese e la normativa, per espandere e interconnettere i poli dell’innovazione in tutta l’Unione europea, consolidando un ecosistema sostenibile per l’innovazione. Infatti, è importante ribadire che in un’economia dei dati, sia l’ambito economico e imprenditoriale, sia l’ambito normativo e regolativo debbono focalizzare gli obiettivi sull’ innovazione, adottando strategie

Ebbene, il GDPR deve risultare uno strumento efficace mediante il quale l’Unione europea possa raggiungere una nuova frontiera economica: quella del mercato unico digitale. Con le parole del President Juncker: “Digital technologies and digital communications are permeating every aspect of life. We need to work for a Europe that empowers our citizens and our economy. And today, both have gone digital”.

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EUROPA 7 Giorni in 300 Parole GERMANIA 29 ottobre. Angela Merkel, durante una conferenza stampa, ha annunciato la fine della sua avventura alla guida dell’Cdu. La dichiarazione, sorprendente viste le imminenti elezioni europee del prossimo anno, ha lasciato sgomenti esperti e politici internazionali, considerata l’impronta lasciata della Merkel negli ultimi 13 anni di attività politica tedesca ed europea. La Cancelliera, visto il clamore suscitato, ha dichiarato di aver preso questa decisione “per concentrarsi sui propri compiti da capo di governo”. Fra i possibili successori sono stati identificati i nomi di Jens Spahn, vecchio rivale di Angela Merkel e attualmente ministro della Salute, Annegret KrampKarrenbauer e Friedrich Merz.

ITALIA 29 ottobre. Il Consiglio comunale di Torino ha bocciato la TAV; in una votazione caratterizzata da dure contestazioni da parte dell’opposizione, la Sala Rossa di Palazzo di Città ha votato a favore della sospensione dell’opera in attesa che venga effettuata un’analisi sui costi e benefici. Con 23 voti favorevoli e 2 contrari, l’ordine del giorno proposto dal M5S pone, quindi, un macigno sulla strada per la realizzazione dell’opera, scatenando forti reazioni da parte dell’opposizione e dei rappresentanti della classe imprenditoriale piemontese. 6 • MSOI the Post

BREXIT, I POSSIBILI EFFETTI PER IL REGNO UNITO E L’UE I rischi di un mancato accordo

Di Federica Cannata

sulle proprie esportazioni.

Il recesso senza precedenti di uno Stato membro dell’Unione europea e la difficoltà di giungere alla negoziazione della Brexitcreanounclimadiincertezza economica, politica e sociale, sia nel continente, sia nel Regno Unito. Tuttavia, quel che è certo è che a due anni esatti dalla notifica al Consiglio europeo dell’intenzione di lasciare l’Ue, il Regno Unito diventerà uno Stato terzo, con o senza un accordo.

L’azzardo di un mancato accordo pesa altresì sul settore dell’edilizia, per il probabile aumento del costo del materiale edile importato, che farebbe variare il prezzo concordato dei progetti correnti e, al tempo stesso, per il timore di non poter concludere gli affari per effetto della possibile futura carenza di manodopera.

L’ipotesi di “no deal” renderebbe le aziende europee che esportano nel Regno Unito meno competitive sul mercato inglese, dato che il prezzo del loro output potrebbe subire un rincaro, dovuto all’eventuale introduzione dei dazi. Inoltre, potrebbero subire un calo della domanda dal Regno Unito sui loro prodotti, per effetto di un ulteriore deprezzamento della sterlina, che andrebbe a beneficio delle esportazioni britanniche, che aumenterebbero. Il Regno Unito, d’altronde, potrebbe non beneficiare più dei vantaggi derivanti dal far parte del mercato unico, col rischio di una parte consistente

Prescindendo dal raggiungimento di un accordo, invece, il trasferimento delle sedi dell’Agenzia europea per i medicinali e dell’Autorità bancaria europea da Londra ad Amsterdam e Parigi, potrebbe incidere sul bilancio dell’UE, se quest’ultima anticipasse i costi del dislocamento. D’altra parte, le capitali del continente traggono dei benefici da questa ‘concorrenza’ e dall’esigenza di imprese, banche e colossi internazionali di avere una sede anche nel continente. Tra tutti questi ‘effetti Brexit’, probabilmente il più temuto è l’‘effetto domino’ sugli altri Paesi della membership dell’UE, a fronte della spinta rampante delle forze politiche euroscettiche.


EUROPA SPAGNA 28 ottobre. Nuova mossa politica di Carles Puigdemont. In videoconferenza da Bruxelles, dove si trova ancora oggi “esiliato”, l’ex Presidente della Generalitat ha annunciato la nascita del nuovo movimento Crida Nacional per la Republica, realtà politica che prende vita dal sentimento di rivalsa sorto dopo il referendum del 1 ottobre 2017; una data significativa per la Catalogna e per la storia spagnola. Il movimento, guidato da Laura Turrul, figlia del recluso Jordi Turull, diverrà una realtà politica a partire dal gennaio 2019, costituendo un ulteriore passo verso il riconoscimento della Repubblica catalana

UNGHERIA 27 ottobre. Studenti in piazza per difendere la CEU. In seguito alla decisione dei dirigenti dell’ateneo di chiudere parzialmente la sede presente nella città di Budapest, a causa dei provvedimenti discriminatori promossi da Viktor Orban, migliaia di studenti si sono riversati nelle strade della capitale magiara per protestare contro questa decisione e contro il governo, reo di “non aiutare i giovani studenti ungheresi a rimanere nel proprio paese”. A cura di Simone Massarenti

ANGELA MERKEL SI RITIRERA’ A PARTIRE DAL 2021

La Cancelliera tedesca ha dichiarato che non intende ricandidarsi al prossimo congresso della CDU e alle prossime elezioni federali tedesche

Di Leonardo Veneziani Se si facesse un sondaggio ai cinquecento milioni di europei sul leader europeo più conosciuto, probabilmente la risposta sarebbe un plebiscito: Angela Merkel. Dopo cocenti elezioni in Baviera e in Assia, in cui la CDU (Christliche Demokratische Union, partito di maggioranza relativa) e la sua gemella bavarese CSU hanno perso milioni di voti, la Cancelliera della Repubblica Federale di Germania ha voluto segnare un forte cambio di passo e di immagine della dirigenza del partito. Al potere dal 2005, Angela Merkel ha annunciato, durante una conferenza stampa – lasciando di sorpresa persino i più vicini a lei – che non intende ricandidarsi come leader della CDU al congresso che avrà luogo a inizio dicembre ad Amburgo. La stessa volontà è stata inoltre espressa verso le prossime elezioni, previste per il 2021, e quindi per il Cancellierato, come anche per altri incarichi in seno all’Unione Europea. Colei che ha più plasmato i destini della Germania e dell’Unione Europea da inizio secolo ha quindi deciso di lasciare totalmente la politica e ritirarsi a vita privata. Tale prospettiva lascia quindi orfana la CDU e la Germania di un leader, nonché grosse incertezze per la

tenuta della Grande Coalizione con l’SPD (Sozialistische Partei Deutschlands). Reduce dal voto in Assia, difatti, dove ha perso il 10% rispetto alle ultime elezioni in una storica roccaforte rossa, molti spingono affinché s’interrompa l’alleanza con la CDU per il governo federale. Questa situazione, però, crea altrettante opportunità a coloro che si sono candidati per succederle. A rivendicare il ruolo di degno erede di Angela Merkel vi sono tre contendenti: Annegret Kramp-Karrenbauer, segretario generale della CDU e favorita dalla Cancelliera, sostenitrice della politica di apertura ai diritti e ai migranti di Angela Merkel. Jens Spahn, attuale ministro della Sanità e riferimento dell’ala conservatrice del partito, molto critico verso la politica migratoria e contro i “valori tradizionali” del governo Merkel. Infine, l’ex capo dei deputati al Bundestag (Parlamento tedesco), Friedrich Merz, grande avversario di Merkel. Nel caso di un’impasse, la dirigenza della CDU è pronta a giocarsi il nome del ministropresidente del Nord-Reno Vestfalia, Armin Laschet, che guida il Land più popoloso della Germania e la più grande federazione regionale della CDU. MSOI the Post • 7


NORD AMERICA 7 Giorni in 300 Parole STATI UNITI

PITTSBURGH SYNAGOGUE SHOOTING LEAVES 11 DEAD President Donald J. Trump visits the city despite being unwelcome

26 ottobre. Salah bin Jamal Khashoggi, figlio del giornalista scomparso lo scorso 2 ottobre, è giunto, insieme alla sua famiglia, nella città di Washington in seguito alla revoca del divieto di espatrio imposto, dallo Stato saudita, nei mesi passati. 27 ottobre. Un uomo armato di fucile e pistole ha fatto irruzione all’interno della sinagoga Tree of Life del quartiere di Squirrel Hill, nella città di Pittsburgh, uccidendo 11 perone e ferendone 6. Robert Bowers, 46 anni e autore della strage, avrebbe dichiarato alla polizia: “tutti gli ebrei devono morire”. Con 29 capi d’accusa, l’omicida potrebbe incorrere nella pena di morte.

28 ottobre. Il segretario alla Sicurezza Nazionale, Kirstjen Nielsen, ha rassicurato i cittadini americani in merito alla carovana di migranti proveniente dal Centro America e diretta verso gli Stati Uniti. “Chi sceglie di entrare illegalmente verrà fermato”, ha dichiarato Nielsen durante un’intervista andata in onda su Fox News Sunday. 29 ottobre. Donald Trump ha inviato più di 5000 militari nelle aree della California, del Texas e dell’Arizona confinanti con il Messico. Come riportato dal Wall Street Journal, le truppe dovranno inizialmente dislocarsi nelle zone di transito tra i due 8 • MSOI the Post

By Kevin Ferri The United States, once again, find themselves crying more victims due to the terrible phenomenon of gun violence. On October 26, Robert Bowers, 46, drove to Tree of Life synagogue armed with a Glock .357, handguns and a Colt AR-15 rifle. He entered the synagogue, made statements indicating his desire to “kill Jews”, and so he did. Eleven people were left lifeless on the ground. Needless to say, this tragedy spiraled into an inevitable cluster of protests against gun violence. Specifically, against president Trump’s visit to the city, which took place on Tuesday. More than 70,000 people signed an open letter from Pittsburghbased Jewish leaders saying that President Trump was “not welcome” in the city unless he “fully denounces white nationalism”. This is clearly comprehensible as the total number of incidents caused by an improper use of a weapon is around 48,000 in 2018 alone. President Trump and members of Congress denounced the violence but show no signs of actually doing anything to stop it. So, Americans will continue to die from guns at a rate of one every 15 minutes. In February 2018, President Donald Trump signed a bill into law rolling back an Obamaera regulation that made it

harder for people with mental illnesses to purchase a gun. The National Rifle Association (NRA) ‘applauded’ Trump’s action. Chris Cox, NRA-ILA executive director, said the move “marks a new era for lawabiding gun owners, as we now have a president who respects and supports our arms”. Hence, it appears clear that the Republican members of the Congress still has close links with the NRA and its pressure still runs high in the Oval Office as well. On the other hand, former President Barack Obama responded to the Pittsburgh synagogue shooting with a call for Americans to fight “the hateful rhetoric against those who look, love, or pray differently”. “We grieve for the Americans murdered in Pittsburgh,” Obama said on Twitter late Saturday. However, it was also difficult for him to passlawsagainstgunviolence.Only 2 laws were passed during his two-term presidency. The NRA spends millions to influence Congress and the White House to advance its agenda. And its monetary prowess is still growing. But for how much longer can they hide behind the Second Amendment of the US Constitution and its “right to bear arms”?


NORD AMERICA Stati per poi fornire supporto alle operazioni locali. 30 ottobre. Il presidente Trump ha preso posizione in merito allo ius soli definendola “una cosa ridicola”. Tuttavia, la possibilità di una sua eliminazione richiederebbe una modifica del testo costituzionale. 31 ottobre. Il segretario di Stato americano, Mike Pompeo, ha rilasciato dichiarazioni in merito al conflitto in Yemen. “Arrivato il momento di porre fine alla guerra”, rivolgendo l’attenzione sia alle operazioni saudite sia alle attività dei ribelli Houthi. CANADA 26 ottobre. Funzionari turchi hanno dichiarato che il presidente Recep Tayyip Erdogan avrebbe condiviso, durante una telefonata, informazioni importanti con il primo ministro canadese, Justin Trudeau in merito all’omicidio del giornalista Jamal Kashoggi. Entrambi i leader hanno concordato sulla necessità di “rivelare tutti gli aspetti della scomparsa”. 29 ottobre. Il primo ministro Trudeau ha tenuto un discorso in occasione del Canada - United States Council for Advancement of Women Entrepreneurs and Business Leaders. Il Premier candese ha ricordato la necessità di sostenere l’eguaglianza di genere affermando che sarà necessario proseguire il lavoro intrapreso per assicurare che tale valore si trasformi in una realtà effettiva. A cura di Erica Ambroggio

“QUESTA È UN’INVASIONE E NOSTRI MILITARI VI STANNO ASPETTANDO” La risposta ‘muscolare’ di Trump alla carovana dei migranti centroamericani

Di Luca Rebolino Si sta infiammando il dibattito politico, a pochi giorni dal voto delle elezioni di midterm, ancora una volta sul tema dell’immigrazione. La gigantesca carovana di migranti, che è partita dall’Honduras ed è diretta verso gli Stati Uniti, è ora in Messico. In risposta, Trump ha già dispiegato migliaia di soldati sul confine meridionale. Carovane spontanee di questo tipo si formano spesso in Honduras: i migranti viaggiano in gruppo per limitare rischi come rapine o rapimenti. Questa, partita il 12 ottobre, è però particolarmente grande. All’inizio, infatti, era composta da 2.000 persone, ma ora si stima che si sia arrivati a 8.000, per tutti coloro che si sono uniti al cammino lungo il percorso in America centrale. Trump ha minacciato nelle ultime settimane di prendere provvedimenti drastici verso i migranti e gli stessi Stati che ne sono attraversati, primo fra tutti il Messico, se non li dovessero fermare. Proprio quest’ultimo ha da poco emesso dei permessi di soggiorno temporanei per farli transitare e per raggiugere gli Stati Uniti. Trump ha, quindi, dispiegato in Texas, Arizona e California 5.200 militari, un contingente che, se affiancato alle 2.000 truppe già presenti al confine, supera in numero i militari americani in servizio in Siria e in Iraq.

Il Presidente ha dichiarato infatti che difenderà “i sacri confini” da questa fiumana di gente, “composta anche da delinquenti e membri di gang”. Ha intenzione poi di costruire “intere città di tendopoli” per gestire i richiedenti asilo, mentre le loro richieste vengono esaminate. Ha ribadito, quindi, la necessità di “avere un muro di persone che li fermi”. Sempre sul tema dell’immigrazione, ha dichiarato di voler restringere il campo di applicazione dello ius soli. Infatti, vuole eliminare la possibilità di concedere la cittadinanza ai figli nati in territorio statunitense da genitori entrati illegalmente. Un provvedimento, questo, che vorrebbe scoraggiare iniziative come le carovane di migranti, ma la cui adozione è problematica, dal momento che non si può modificare la costituzione federale con un decreto esecutivo. Questa prova di forza e i toni minacciosi usati per gestire la questione sono un chiaro messaggio all’elettorato, alla vigilia di un voto che inciderà enormemente sui suoi futuri due anni di governo. Con questa missione, dall’esplicativo nome “Operazione Patriota Fedele”, Trump sta spostando nettamente l’attenzione mediatica sull’immigrazione, declinata proprio come una questione di sicurezza nazionale. MSOI the Post • 9


MEDIO ORIENTE 7 Giorni in 300 Parole

“Democracy dies in darkness”*

Le inquietanti rivelazioni sul caso Kashoggi gettano un’ombra scura sul regime di MbS Di Anna Filippucci

ARABIA SAUDITA 30 ottobre. Secondo diverse fonti saudite, che hanno riportato la notizia al New York Times, il principe Ahmad Bin Abdulaziz sarebbe tornato a Riad da Londra in risposta alla crisi Khashoggi. Questo ritorno potrebbe rappresentare una sfida per il leader de facto della corona saudita, il Principe Mohammed bin Salman. ISRAELE 27 ottobre. Inaspettatamente, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha visitato il proprio omologo in Oman, in un clima amichevole. Durante la visita ha sottolineato l’importanza dell’amicizia tra Israele e i Paesi del Golfo contro il comune nemico iraniano. TURCHIA 30 ottobre. L’Arabia Saudita non si sarebbe mostrata molto “disponibile a cooperare” sul caso Khashoggi, secondo quanto riportato da alcuni ufficiali turchi. Sembrerebbe, infatti, che l’interesse saudita sia concentrato sulla dimostrazione della colpevolezza della vittima per eventuali reati 10 • MSOI the Post

Da ormai un mese, l’intera opinione pubblica internazionale è sotto shock a causa delle rivelazioni che, mano a mano, stanno mostrando la trama che ha portato all’assassinio del 58enne saudita, editorialista del Washington Post Jamal Kashoggi. Seppure piuttosto evidente fin dall’inizio, ci sono voluti 18 giorni perché l’Arabia Saudita, più in particolare nella persona del principe ereditario Mohammed bin Salman (MbS), ammettesse la propria responsabilità dell’omicidio. La sparizione, ed in seguito il delitto, sono avvenuti nell’ambasciata saudita di Istanbul, dunque anche la polizia turca ha avviato fin da subito le indagini. Ben presto l’analisi dei fatti ha portato all’accusa da parte di vari media internazionali, ma anche alcune fonti turche, del principe saudita stesso e dei suoi consiglieri più vicini. Ciò che colpisce di più dell’intera vicenda è la spregiudicatezza che ha caratterizzato il comportamento di MbS. Se infatti in seguito al discorso del Presidente Erdogan davanti al Parlamento, durante il quale il leader turco ha manifestato alcune perplessità sul comportamento saudita e ha chiesto l’estradizione delle 18 persone accusate dell’omicidio, il principe non è sembrato preoccupato. Nemmeno gli articoli infervoratii della stampa occidentale, tanto odiata da MbS, sembrano sortire risultati.

Due sono i fattori che possono spiegare la relativa noncuranza del principe. Innanzitutto, il potere consolidato in patria: MbS ha instaurato un vero e proprio regime autoritario, repressivo nei confronti di qualsiasi forma di opposizione. Tuttavia, nel farlo è riuscito ad inserire una serie di misure, all’apparenza liberali – come la patente per le donne e la riapertura dei cinema – ma puramente di facciata, che hanno tranquillizzato e talvolta addirittura entusiasmato l’opinione estera sul regime. L’apparente apertura ha sortito un altro risultato agognato dal principe, ovvero l’affluenza di capitali stranieri che permettano all’economia saudita di slegarsi dalla dipendenza dal petrolio. Così, gesti come l’embargo imposto al Qatar o il sequestro del primo ministro del Libano, Saad Hariri, sono potuti passare decisamente inosservati. In secondo luogo, e questo è decisamente il dato più importante, il silenzio accondiscendente di Donald Trump: il presidente statunitense ritiene vitale continuare a possedere un rapporto preferenziale con l’Arabia Saudita, dunque ha scelto di non schierarsi mai nel dibattito, nonostante Kashoggi fosse residente negli Stati Uniti e le responsabilità del regime nella sua morte siano ormai comprovate. *sottotitolo del Washington Post, nel quale Kashoggi scriveva come editorialista


MEDIO ORIENTE compiuti in territorio turco, mostrando scarsa propensione per la ricerca di una verità sul caso.

YEMEN: LA GUERRA DURATA “ABBASTANZA A LUNGO”

1 morto ogni 3 ore e 14 milioni di persone a rischio carestia: dagli USA l’appello alla tregua

Di Lorenzo Gilardetti SIRIA 31 ottobre. Il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha nominato il diplomatico norvegese Geir Pedersen, attuale ambasciatore presso la Repubblica popolare cinese, nuovo inviato speciale ONU per la Siria. L’accordo sul nome è stato raggiunto tra i Paesi del Consiglio di Sicurezza e il governo siriano. Il diplomatico sostituirà l’italo-svedese Staffan De Mistura, il quale aveva annunciato le proprie dimissioni qualche mese fa. IRAN 30 ottobre. La Danimarca ha richiamato il proprio ambasciatore in Iran a causa di alcuni sospetti su un probabile attacco che le unità di intelligence iraniane starebbero organizzando per colpire 3 connazionali residenti sul territorio danese. Teheran ha negato ogni accusa e ha, a sua volta, accusato la controparte di voler intaccare le relazioni tra Iran ed Europa. A cura di Lucky Dalena

Da più di 3 anni lo Yemen sta vivendo una guerra che, se dal lato politico non ha portato a nessun risultato, dal lato economico e sociale sta logorando la popolazione civile, che piange da agosto a oggi 575 vittime di guerra, e che secondo l’ONU è per il 50% (14 milioni di persone) in una condizione di pre-carestia. Attualmente il Paese è spaccato: ribelli houthi controllano il nord-ovest, il governo legittimo la restante parte, con una forte presenza di al-Qaeda nel centrosud. L’aumento della criticità per quanto riguarda la carestia (la peggiore a livello globale degli ultimi 100 anni secondo l’ONU) è dovuto all’intensificarsi del conflitto tra la coalizione internazionale a trazione saudita e i ribelli houthi nell’area di Hodeidah, città portuale di riferimento per la capitale e per gli aiuti umanitari, che transitando da qui riuscivano ad arrivare, prima di giugno, a circa 8 milioni di persone nel Paese. I più recenti raid aerei del 14 e del 24 ottobre scorsi sono solo gli ultimi di una lunga serie su quell’area e hanno provocato la morte di più di 30 civili. A risentirne è stata in primis l’economia interna, inficiata anche dalle tasse ai diversi

check-point soprattutto nel nord, che ha fatto registrare un’inflazione oltre che sulla benzina (di oltre il 200%), sui beni di prima necessità come riso (oltre il 130%), pane e acqua in bottiglia, quest’ultima indispensabile in un Paese che nel 2017 ha affrontato l’emergenza colera (non ancora debellata) con la macchina ospedaliera ridotta a mezzo servizio dai bombardamenti. A risollevare nuovamente l’interesse dell’opinione pubblica internazionale sullo Yemen è stato l’omicidio di Jamal Khashoggi: il giornalista saudita aveva chiesto tramite un articolo sul Washington Post la fine della guerra, e secondo indiscrezioni rilanciate dal Daily Express poteva essere in possesso di informazioni sull’utilizzo di armi chimiche nel conflitto. Proprio nella giornata del 31 ottobre il segretario della difesa USA Jim Mattis ha chiesto il “cessate il fuoco” seguito a ruota dal segretario di stato Mike Pompeo, e ha auspicato un’apertura dei negoziati di pace con l’inviato speciale ONU Martin Griffiths entro i prossimi 30 giorni: Occorre trovare un accordo e non è più possibile rimandare: siamo rimasti a guardare abbastanza a lungo”. MSOI the Post • 11


RUSSIA E BALCANI 7 Giorni in 300 Parole ALBANIA 28 ottobre. Un cittadino grecoalbanese è stato ucciso dalle forze di polizia locali nel villaggio greco di Bularat, nell’Albania meridionale. Il 35enne Kostantinos Kacifa avrebbe sparato, durante la festa greca del “Giorno del No”, contro una pattuglia di polizia, che avrebbe cercato di arrestarlo e che, dopo una sparatoria, lo avrebbe ucciso. Ignote le motivazioni del gesto. “Chiederemo un chiarimento alle autorità albanesi”, ha detto il Ministro degli Esteri greco. Due episodi di violenza, presumibilmente collegati con la vicenda, sono stati registrati in Grecia successivamente.

ARMENIA 29 ottobre. Il Parlamento ha rigettato, per la seconda volta, una proposta di modifica del Codice elettorale presentata dal governo di Pashinian. La proposta prevede un cambiamento nel meccanismo di distrubuzione dei seggi dell’aula. Pashinian, diventato Primo Ministro lo scorso maggio in seguito a forti proteste di piazza, si è dimesso lo scorso 16 ottobre. In caso di mancata formazione di un nuovo governo entro 2 settimane dalle sue dimissioni, si andrà, come vuole Pashinian, a elezioni anticipate a dicembre. 31 ottobre. Il Parlamento armeno ha approvato in prima lettura un’amnistia presentata dal 12 • MSOI the Post

ULTIME ELEZIONI PRESIDENZIALI A SUFFRAGIO DIRETTO IN GEORGIA Verrà eletto al secondo turno il nuovo Presidente della Repubblica georgiano

Di Davide Bonapersona Domenica 28 ottobre scorso il popolo georgiano è stato chiamato ad eleggere il nuovo Presidente della Repubblica; tuttavia, solo il 46,7% degli aventi diritto si è recato alle urne. Al termine dello spoglio, la Commissione Elettorale Centrale ha dichiarato che nessuno dei candidati ha raggiunto la maggioranza assoluta. Per questo motivo, l’elezione del nuovo Presidente è quindi rimandata al secondo turno, che dovrà tenersi entro il 2 dicembre. In questa seconda tornata si sfideranno Salome Zurabishvili, che ha ottenuto il 38,63% dei voti, e Grigol Vashadze,che ha invece ricevuto il 37,74%dei consensi. Salome Zurabishvili, nata e cresciuta in Francia, prima di entrare in politica è stata ambasciatrice francese in Georgia. Nel 2005, è stata nominata Ministra degli Esteri, ma è stata sollevata dall’incarico dopo poco più di anno in quanto in disaccordo con l’allora Presidente Saaksashvili e il Parlamento. Ha partecipato alle elezioni da indipendente, ma ha avuto l’appoggio del partito Sogno Georgiano, che ha attualmente la maggioranza in Parlamento e che è stato fondato dal miliardario e oppositore di Saakashvili Bidzina Ivanishvili. Dai suoi sostenitori è apprezzata per via delle ottime relazioni che ha con Europa e Stati Uniti; tuttavia, ha subito pesanti critiche per le sue affermazioni in

merito al conflitto russo-georgiano avvenuto nel 2008. Grigol Vashadze, Ministro degli Esteri dal 2008 al 2012, ha corso come principale rappresentante dell’opposizione e gode dell’appoggio dell’ex presidente Saakashvili. Al secondo turno, potrà contare inoltre sul sostegnodi Davit Bakradze, che con l’11% dei voti è arrivato al terzo posto alle elezioni di domenica. L’OSCE ha monitorato lo svolgimento delle elezioni e ha dichiarato che tutti i candidati hanno potuto svolgere la campagna elettorale liberamente e che agli elettori è stata offerta una vera scelta. Tuttavia, sono stati segnalati alcuni elementi di criticità: nello specifico, gli inviati dell’OSCE hanno riscontrato che l’utilizzo delle risorse pubbliche da parte di alcuni candidati non è sempre stato in linea con la legge. La vera notizia però è che queste elezioni presidenziali saranno le ultime a suffragio diretto. Infatti, a seguito delle ultime riforme costituzionali, alla scadenza del prossimo mandato presidenziale, il Presidente non sarà più eletto direttamente dal popolo, ma da un’assemblea composta da circa 300 persone tra deputati nazionali e funzionari locali. Va comunque notato che, nonostante la carica presidenziale sia stata fortemente indebolita negli ultimi anni, il Presidente riveste ancora un ruolo centrale e influente sulla politica del Paese.


RUSSIA E BALCANI governo in occasione del 100° anniversario della Prima Repubblica Armena e il 2800° anniversario della fondazione della capitale Yerevan. L’amnistia dovrebbe coinvolgere 6500 persone, tra le quali 660 detenuti che dovrebbero essere rilasciati. RUSSIA 28 ottobre. Almeno 68 persone sono state arrestate a San Pietroburgo e Mosca durante delle proteste non autorizzate. Le manifestazioni si sono tenute per sostenere 10 persone, appartenenti al gruppo “Nuova Grandezza”, arrestate con l’accusa di estremismo. Secondo i manifestanti, si tratterebbe di un caso nato dalla provocazione di un agente del Federal Security Service (FSB). 29 ottobre. Il Ministro russo dell’Economia ha annunciato che chiederà di nuovo all’Organizzazione Mondiale del Commercio di istituire, a novembre, un comitato di arbitri per giudicare la legalità dei dazi statunitensi su acciaio e alluminio. 31 ottobre. Nel suo primo giorno di visita a Mosca, il presidente moldavo Igor Dodon è stato insignito dal patriarca di Mosca Kirill dell’Ordine di San Sergio di Radonez “per il supporto attivo mostrato per le pubbliche iniziative della Chiesa ortodossa in Moldavia”. La Chiesa metropolitana moldava è subordinata al Patriarcato russo e supporta le forze filo-russe nel Paese. Questa onorificenza serve a rafforzare i legami tra le due Chiese, dopo la decisione del patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo, di riconoscere l’autocefalia della Chiesa ortodossa ucraina. A cura di Vladimiro Labate

CONCESSA L’AUTOCEFALIA ALLA CHIESA UCRAINA

Durissime le reazioni dal Patriarcato di Mosca

Di Mario Rafaniello La decisione sull’indipendenza della Chiesa ortodossa di Kiev dal Patriarcato di Mosca è stata presa l’11 ottobre nel Santo Sinodo del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli. Il patriarca Bartolomeo, che nella Chiesa ortodossa assume un ruolo di primus inter pares, ha firmato nel Sinodo di Istanbul il discusso Tomos, il decreto ufficiale che concede l’autocefalia. Si revoca quindi la lettera sinodale del 1686, la quale, riconoscendo al Patriarca di Mosca il potere di ordinare il Metropolita di Kiev, ne stabiliva la dipendenza canonica. Il Tomos avràripercussioni sui rapporti tra Mosca e Kiev. Il presidente ucraino Petro Porošenko afferma che:“non si tratta solo di religione, ma di geopolitica. Una chiesa indipendenteha lo stesso peso della lottaper l’adesione all’UE o alla Nato”. La questione si lega alle prossime presidenziali del marzo 2019, dove Porošenko potrebbegodere di maggior consenso grazie al ruolo centrale avuto nel percorso all’autocefalia, vista come unallontanamento dalla pressione russa.Proprio quest’ultima è stata criticatada Bartolomeonel discorso introduttivo alconcilio ecumenico di settembre, incui definì la Russia “responsabile

della dolorosa situazione ucraina” e si rese pertanto disposto ad ascoltare “la richiesta del governo ucraino e le ripetute preghiere di Filaret Denisenko”, cioè l’attuale Patriarca di Kiev. Le reazioni russe sono state durissime. Dmitrij Peskov, portavocedi Putin, aveva avvisato circa “un’inevitabile spaccatura nel mondo ortodosso”.Il portavoce del patriarca russo Kirill, molto vicino al Cremlino e sostenitore dell’annessione della Crimea,parla di “decisioni catastrofiche del patriarcato di Costantinopoli, che ha oltrepassato il limite”, tanto da imputare direttamente a Bartolomeo lo scisma. Dal Dipartimento per le relazioni esterne del Patriarcato di Mosca arrivano anche accuse su influenze esterneda parte degli USA per favorire una situazione d’instabilità in un contesto centrale per la Russia. In una dichiarazione della Chiesa ortodossa russa riunitasi in Santo Sinodo del15 ottobre, si riconosce l’impossibilità di continuare la comunione eucaristica con Costantinopoli.Kirill ha definito il Tomos un “atto illegittimo”. La decisione di Bartolomeo rappresenta per molti l’esito naturale del processo avviato con l’Accordo di Belavezha del ’91 che concesse l’indipendenza all’Ucraina.

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ASIA E OCEANIA 7 Giorni in 300 Parole

ASSE TOKYO-PECHINO: “UNO STORICO PUNTO DI SVOLTA”? I due avversari regionali siglano accordi economici e di cooperazione Di Fabrizia Candido

SRI LANKA 27 ottobre. Iniziata una profonda crisi politica scatenata dalle decisioni del presidente Maithripala Sirisena di licenziare il primo Ministro Ranil Wickremesinghe per sostituirlo con Mahinda Rajapaksa e di sospendere il parlamento. E’ in dubbio la costituzionalità dell’atto. Rajapaksa è un controverso uomo politico con inclinazioni filo-cinesi che, dal 2005 al 2015, aveva ricoperto la carica di Presidente. Si ipotizza che la decisione di Sirisena di nominare l’ex Presidente come Primo Ministro, sia stata presa per garantirsi una nuova coalizione politica che gli permetta di restare al potere. C’è anche chi parla di un complotto finanziato dalla Cina, la quale, attraverso un nuovo Premier filo-cinese, mira ad attenuare le critiche rivolte a Pechino per aver incastrato lo Sri Lanka in un enormedebitoaccumulato nel contesto della Nuova Via della Seta. INDONESIA 29 ottobre. Un Boeing 737 della compagnia low-cost indonesiana Lion Air si è schiantato in mare appena tredici minuti dopo il decollo, causando la morte di tutti i 189 passeggeri a bordo. Sono in corso le indagini per comprendere le cause dell’incidente. 14 • MSOI the Post

Il 26 ottobre, a 40 anni dalla firma del trattato di amicizia sino-giapponese e 7 anni dopo l’ultima visita di un capo nipponico in Cina, Shinzo Abe, accompagnato da circa 500 uomini d’affari, si è recato a Pechino per una missione di tre giorni. Con l’intenzione di trasformare le relazioni “da competitive a cooperative”, i due Paesi hanno siglato accordi dal valore di 18 miliardi di dollari. Tra questi, risulta particolarmente rilevante quello del currency swap: 200 milioni di yuan per 3,4 trilioni di yen, ovvero circa 30 miliardi di dollari. Questa manovra dovrebbe agevolare il commercio bilaterale e ridurre l’utilizzo del dollaro statunitense, nonché garantire stabilità finanziaria. L’accordo sarà valido per tre anni con possibilità di estensione. Le parti hanno anche firmato un memorandum di cooperazione per un accordo di compensazione in yuan presso la sede di Bank of China a Tokyo. Tale accordo, secondo la Banca Popolare Cinese, faciliterà le operazioni transfrontaliere delle imprese e degli istituti finanziari dei due Paesi, oltre ad agevolare lo scambio e l’investimento bilaterale. Infine, Tokyo e Pechino hanno promesso di cooperare per lo sviluppo del sudest asiatico promuovendo la Regional Comprehensive Economic Partnership. Il riavvicinamento tra Cina

e Giappone sembra essere scaturito dalla comune avversione alle misure protezionistiche adottate dagli USA. Tokyo, in particolare, teme l’impatto di tali misure sulla sua industria automobilistica: molte imprese assemblano in Cina ed esportano negli USA. Inoltre Trump, scaturendo un forte sentimento di insicurezza, ha ripetutamente ribadito agli alleati militari in Asia orientale di dover provvedere alla propria difesa, insinuando che potrebbe presto giungere la fine della presenza militare statunitense nella regione e incoraggiando il Giappone a comprare più armi americane. Infine, nonostante la partnership economica, Tokyo e Pechino restano rivali regionali. La Cina è diffidente verso i tentativi di Abe di modificare la costituzione pacifista nipponica, mentre il Giappone teme il dominio regionale cinese. Tokyo infatti ancora non ha aderito formalmente alla BRI e per ostacolare il progetto, estende le sue attività navali al conteso Mar Cinese Meridionale, come nel caso della prima esercitazione terrestre dalla seconda guerra mondiale, svoltasi nelle Filippine ad inizio ottobre, in cooperazione con Washington e Manila. Pechino, infine, non dimentica l’impatto della prima e della seconda guerra sino-giapponese, conflitti che hanno inciso sulla disputa per il controllo delle isole Senkaku/Diaoyu e su quella per la sovranità di Taiwan.


ASIA E OCEANIA Questo è solo l’ultimo della sequela di incidenti arei che dal 2000 hanno coinvolto compagnie aree indonesiane. CINA 29 ottobre. Pechino ha legalizzato l’utilizzo di prodotti animali come ossa di tigri o corni di rinoceronte per scopi medici. La notizia, che ha indignato gruppi di attivisti come il WWF, arriva a meno di una anno dal divieto ufficiale sul commercio di avorio. BANGLADESH 30 ottobre. I governi di Bangladesh e Myanmar hanno annunciato il rimpatrio dei rifugiati appartenenti alla minoranza musulmana dei Rohingya. Nell’agosto 2017, più di 720.000 cittadini birmani Rohingya erano emigrati in Bangladesh dopo una severa repressione militare. Secondo quanto accordato, a partire da metà novembre, i rifugiati saranno rimandati in Myanmar. L’ONU ha recentemente segnalato che il genocidio dei Rohingya continua, sotto gli occhi incuranti del governo birmano. PAKISTAN 31 ottobre. La Corte Suprema ha assolto Asia Bibi, una donna cristiana che nel 2010 era stata condannata a morte per blasfemia. Bibi era stata denunciata da altre donne musulmane per aver insultato il profeta Maometto. L’assoluzione, motivata da alcune contraddizioni nelle testimonianze, ha tranquillizzato la comunità cristiana e gli attivisti per i diritti umani. Al contrario, il capo del partito islamista pakistano, Khadim Hussain Rizvi, sta organizzando una protesta a livello nazionale contro il verdetto finale. A cura di Gaia Airulo

LE SPESE PER IL VERTICE APEC L’acquisto di auto di lusso innesca proteste in Papua Nuova Guinea

Di Francesca Galletto Lo scorso 19 ottobre, il popolo papuano ha manifestato il proprio dissenso attraverso una giornata di sciopero. Il fattore scatenante è stato l’acquisto di circa 50 auto di lusso, nello specifico 40 Maserati dal valore di 100.000 euro ciascuna e 3 Bentleys, in vista del vertice APEC. La Cooperazione Economica AsiaPacifica (APEC) è nata nel 1989 ed il suo prossimo summit si terrà il 17 e 18 novembre a Port Moresby, capitale della Papua Nuova Guinea. Il governo ha giustificato la spesa sostenendo che i veicoli sarebbero serviti per mantenere gli standard dei mezzi normalmente utilizzati dai leader politici durante questo tipo di incontri. In più ha dichiarato che, una volta terminato il vertice, le auto saranno rivendute e che per il loro acquisto sono state sfruttate sponsorizzazioni private. Ciò nonostante, punto focale della protesta resta la non congruenza tra le scelte di allocazione delle risorse ritenute prioritarie dal governo e le reali necessità sentite dalla popolazione. La Papua Nuova Guinea è infatti uno dei Paesi più poveri dell’APEC: secondo le Nazioni Unite il 40% della popolazione vive con meno di 1$ al giorno. Il Paese sta ancora lavorando per affrontare le

conseguenze del devastante terremoto avvenuto nel mese di febbraio e lamenta una carenza di farmaci in un momento in cui malattie come polio, malaria e tubercolosi sono riemerse nel Paese. In tale scenario, la protesta ha cercato di mettere in evidenza la necessità di maggiori investimenti indirizzati ai settori più vicini alla popolazione, quali infrastrutture e salute. Anche se le proteste non sono state in opposizione all’APEC, ma contro la gestione degli investimenti e dei fondi da parte del governo, ci si chiede quanto possa giovare alla Papua Nuova Guinea aver accettato di ospitare il vertice. Da una parte l’attività economica e gli eventi annessi all’incontro diplomatico potrebbero rappresentare nuove opportunità per il Paese, ad esempio l’impulso a migliorare le infrastrutture nella capitale. Dall’altra parte, però, come osservato da Rohan Fox, ricercatore della Papua Nuova Guinea presso l’Australian National University, bisogna considerare l’enorme effetto sul budget governativo e la disuguaglianza nella distribuzione delle risorse, le quali verranno concentrate nella capitale a discapito di altre zone del Paese più bisognose.

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AFRICA 7 Giorni in 300 Parole ANGOLA 27 ottobre. Durante la settimana, il governo dell’Angola ha espulso circa 330.000 rifugiati provenienti dal Congo e non solo. Le forze di sicurezza locali, avrebbero, inoltre, compiuto svariati crimini violando i diritti umani. L’accaduto non è passato inosservato all’Alto commissario delle Nazioni Unite, il quale ha immediatamente messo sotto inchiesta il Paese. CAMEROUN 30 ottobre. Nel Nord Ovest del Paese, vicino alla città di Bamenda, un missionario americano è stato ucciso da un gruppo indipendentista molto attivo nella regione. Sembrerebbe che il pastore stesse tornando verso la città su un’autovettura che sarebbe stata crivellata di proiettili, non lasciandogli scampo. GABON 29 ottobre. Il partito democratico, già al potere da decenni, si è aggiudicato anche il secondo turno delle elezioni legislative. Ali Bongo, presidente dal 2009, è stato riconfermato, con la maggioranza dei voti, con 126 seggi su 143.

MALI 27 ottobre. Nella città di Ber, a Nord del Mali, 2 militari, appartenenti ai caschi blu dell’ONU, sono stati uccisi. Nella mattinata, infatti, un gruppo di miliziani avrebbe preso di mira le postazioni occupate dall’ONU per poi essere subito respinti. Lo stesso 16 • MSOI the Post

LA FEBBRE DELL’ORO SCOPPIA IN MALAWI Il futuro di molti malawiani potrebbe cambiare, ma il governo vuole porre un freno

vantaggio, innescando così una forte svalutazione del prezzo locale dell’oro.

Di Corrado Fulgenzi La cittadina di Nathenje, situata nel centro del Malawi, a circa 20 chilometri di distanza dalla capitale Lilongwe, si è scoperta una miniera d’oro per il commercio locale, letteralmente. Infatti, da 4 mesi a questa parte, ossia da quando è stata trovata la prima pepita, migliaia di cercatori d’oro da ogni parte del Paese e dagli Stati confinanti (Mozambico, Tanzania, Zambia) si sono riversati nella regione. Il governo, paventando tra l’altro il rischio di favorire la creazione di focolai per l’HIV, ha dissuaso le comunità locali dall’assecondare l’attività dei cercatori e il loro commercio, oltre che dal parteciparvi. Molti cittadini malawiani, però, sfidano la legalità per provvedere ai propri bisogni e a quelli delle loro famiglie: molto spesso si preferisce l’incertezza dell’estrazione mineraria al lavoro agricolo, proprio grazie ai margini di profitto relativamente alti che la prima attività garantisce rispetto alla seconda. La febbre aurifera si è comunque già tradotta in un’aspra competizione tra le migliaia di cercatori, che i compratori hanno potuto sfruttare a loro

Il presidente della Cooperativa di estrazione mineraria di Nyasa, Percy Maleta ha sottolineato l’importanza di costituire una strategia a lungo termine, per migliorare l’efficienza dell’economia locale: “Abbiamo fatto pressioni al governo affinché i nostri minatori possano riunirsi in cooperative o associazioni. Questo assicurerà loro una migliore preparazione e potranno agire più facilmente esul mercato ufficial ”. Maleta ha inoltre sottolineato che “quelli che comprano l’oro sono contrabbandieri, danneggiano il Malawi”. Non tutti sono però della stessa opinione. I compratori intermediari, in particolare, vorrebbero che il fenomeno rimanesse privo di regolamentazioni. Il boom dell’estrazione mineraria illegale ha risuonato in sei altre regioni del Malawi, un Paese senza sbocchi sul mare, che, pur avendo negli ultimi anni effettuato delle importanti riforme strutturali e osservato dei tassi di crescita sostenuti, è ancora afflitto da povertà estrema e bassa diversificazione dell’economia. L’attività di estrazione è da sempre legata a problemi di carattere sociale, ambientale e sanitario. 3 donne di Lilongwe avrebbero già perso la vita lungo il fiume di Nanthenje a causa di un cedimento del terreno dal quale stavano estraendo il prezioso metallo.


AFRICA giorno, un altro gruppo di caschi blu sarebbe caduto in un’imboscata riportando soltanto alcune ferite. SOMALIA 27 ottobre. Il Paese, in questi giorni, sta vivendo la sua maggiore crisi di potere dall’elezione del presidente Farmajo avvenuta nel febbraio 2017. Agli inizi di settembre, 5 Stati regionali hanno annunciato la sospensione della loro cooperazione con il governo centrale. La settimana scorsa, mentre uno dei cinque avrebbe firmato un accordo con il governo, gli altri quattro, Galmudug, lo stato del Sud Ovest, il Puntaland e Jubbaland hanno aggravato il distacco. SUDAFRICA 28 ottobre. Nell’ultima settimana, 2 omicidi politici hanno riportato il governo a occuparsi di questa tematica. Da decenni ormai, molto spesso, le questioni tra vari esponenti del partito di Mandela si risolvono nel sangue e, con le elezioni del 2019 in arrivo, il pericolo di ulteriori violenze è in costante aumento. SUD SUDAN 31 ottobre. Dopo 2 anni, il capo dei ribelli Riek Machar è ritornato a Juba. L’attuale presidente, Salva Kiir, ha accolto nella capitale il vecchio rivale, dopo la conclusione degli accordi di pace firmati nelle settimane precedenti ad Addis Abeba. REPUBBLICA CENTRAFRICANA 26 ottobre. Il presidente dell’Assemblea nazionale, Abdou Karim Meckassoua è stato destituito nella mattinata dalla maggioranza dei deputati. La mozione ha avuto origine dalle accuse di sottrazione di fondi pubblici e di favoritismo presentate la settimana scorsa. A cura di Francesco Tosco

DENIS MUKWEGE: “L’UOMO CHE RIPARA LE DONNE”

Il ginecologo congolese ha ricevuto il Premio Nobel per la Pace per il suo impegno a fianco delle donne vittime di abusi sessuali

Di Jessica Prieto Il 5 ottobre 2018, in Norvegia, si è tenuta la cerimonia di assegnazione del Premio Nobel per la Pace. Quest’anno il prestigioso riconoscimento è andato a Denis Mukwege e a Nadia Murad, per il loro attivismo nel porre fine allo stupro come arma di conflitto armato.

molte sono state escluse dalle loro comunità. Le ragazze sono aiutate a tornare a scuola e viene offerta loro consulenza legale per quante intendono rivolgersi alla giustizia.

Mukwege, originario della Repubblica Democratica del Congo, è da anni impegnato nella cura di donne vittime di violenze sessuali. Secondo alcuni dati, dal 1998 il dottore avrebbe aiutato decine di migliaia di donne abusate nel corso di scontri tra gruppi armati che cercano di controllare le ricche zone minerarie delle regioni orientali del Congo.

Mukwege si è inoltre battuto a livello internazionale per far riconoscere lo stupro come arma di guerra utilizzato dal nemico per ricattare e piegare la popolazione. Durante i conflitti armati infatti, gli stupri di gruppo sono utilizzati per seminare il panico e distruggere comunità. La tecnica, peraltro, non è certo una singolarità congolese: per esempio, durante la seconda guerra mondiale e la guerra dei Balcani degli anni ’90 si registrarono casi di ‘campi dello stupro’, dove centinaia di donne venivano rinchiuse e violentate dalle forze armate.

Specializzatosi in ginecologia in Francia, negli anni ’90, il dottore è tornato subito nel suo Paese natale, dove, nella città di Panzi, nella periferia di Bukavu, ha costruito il suo ospedale, dotato di una clinica ginecologica e ostetrica. L’impegno del medico per le donne vittime di violenze, va però oltre le cure fisiche. Con il suo centro, infatti, offre alle donne anche cure psicologiche e le aiuta a sviluppare nuove competenze per guadagnarsi da vivere, dal momento che

Ad oggi, lo stupro è riconosciuto come crimine contro l’umanità dalla Convenzione di Ginevra e con il riconoscimento internazionale ricevuto da Mukwege si libera la violenza sessuale dalla sua prigione cognitiva, che l’ha resa per secoli un tabù. Il successo del medico africano è perciò una vittoria per tutte le donne che, non solo nel Congo, ma in tutto il mondo, hanno avuto il coraggio di accusare i loro molestatori per riprendersi la loro dignità violata.

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AMERICA LATINA 7 Giorni in 300 Parole

AUMENTA L’INFLUENZA CINESE IN AMERICA LATINA Xi Jinping apre le porte al Centroamerica

BRASILE 30 ottobre. Jair Bolsonaro è il nuovo presidente del Brasile con il 55,13% dei voti, dopo aver superato al ballottaggio Fernando Haddad, fermatosi al 44,87%. Nel suo primo discorso al Paese, il nuovo Presidente ha rimacato l’idea dell’inizio di “una nuova era”, che chiude definitivamente il flirt con il socialismo, il comunismo, il populismo e l’estremismo di sinistra. Bolsonaro ha ricevuto la maggior parte dei voti dal sud del Brasile e dalle grandi città, mentre il nord e il nord-est, le zone più povere del Paese, hanno appoggiato Haddad.

COLOMBIA 26 ottobre. Allarmante il messaggio dell’ex presidente Ernesto Samper il quale ha affermato che “suenan tambores de guerra” tra Colombia e Venezuela, a causa della migrazione di migliaia di cittadini in fuga dal regime di Nicolás Maduro. Necessario anche continuare il dialogo con l’Ejercito de Liberación Nacional (ELN); in caso contrario, sarà quasi inevitabile 18 • MSOI the Post

Di Sabrina Certomà Il Segretario di Stato americano Mike Pompeo si è recentemente pronunciato in modo critico nei confronti dell’espansione economica cinese a Panama, qualificando le mire asiatiche come “predatorie” e sottolineandone la natura dannosa per l’economia centroamericana. Invero, gli Stati Uniti costituiscono il mercato di esportazione più importante per Panama, ma, negli ultimi anni, la Cina vi ha fortificato la sua presenza. Ha indotto infatti il Paese ad abbandonare le relazioni con Taiwan per firmare 19 accordi di cooperazione con la Repubblica Popolare nel corso del 2017. L’interesse cinese nei confronti della regione latinoamericana sembra essere dimostrato dalle tre visite che il presidente Xi Jinping vi ha effettuato dal 2013. Attualmente Pechino è il secondo partner commerciale di Honduras, Nicaragua, Costa Rica e Panama, dove le imprese cinesi realizzano già da tempo opere di modernizzazione e costruzione di impianti pubblici, aumentando, inoltre, le importazioni e le esportazioni verso l’Asia. All’interesse

prettamente

economico che spinge la Cina verso l’America Latina vanno affiancati anche i vantaggi geopolitici, ossia il rapido accesso agli Oceani Atlantico e Pacifico e la conseguente possibilità di collocare merci sulla Costa Est degli USA, oltreché lo sviluppo dei legami con l’Africa e l’Europa. Approfittando della zona económica especial in Costa Rica, inoltre, i prodotti manifatturieri di produzione cinese godrebbero di un accesso preferenziale al mercato statunitense (grazie al CAFTA, trattato di libero commercio tra la repubblica Dominicana, la regione centroamericana e gli USA) e potrebbero sfruttare le ingenti materie prime presenti sul territorio. Tra questi Paesi, Panama richiama maggiormente gli interessi del gigante asiatico: è qui che dovrebbe transitare la “Via della Seta”, un ambizioso piano di commercio che vorrebbe ricostruire gli snodi che anticamente collegavano Asia, Europa, Africa e America Latina. Ciò rientra nel progetto “Made in China 2025” annunciato nel 2015 dal Consiglio di Stato cinese, per consolidare l’economia del Dragone come superpotenza mondiale. Tali movimenti concretizzano la volontà di Xi Jinping di contrastare il monopolio economico statunitense: mentre Trump decide di allontanarsi dall’America Latina, rinunciando a trattati commerciali, inasprendo misure protezionistiche e bistrattando i migranti, la Cina si fa avanti.


AMERICA LATINA un nuovo conflitto nazionale. MESSICO 28 ottobre. Continua la marcia di migliaia di persone verso gli Stati Uniti d’America, alla ricerca della tierra prometida. Partiti da San Pedro Sula, in Honduras, sono giunti in Messico, dove il gruppo ha iniziato a diminuire: 1740 persone hanno chiesto asilo al Paese e 100 hanno accettato di tornare in Honduras. 29 ottobre. La Borsa messicana ha chiuso in perdita dopo la decisione del governo di non costruire un nuovo aeroporto a Città del Messico. Il futuro presidente del Paese Andrés Manuel López Obrador, che entrerà in carica nel mese di dicembre e contrario all’opera, ha sottoposto a consultazione popolare la possibilità di mantenere i cantieri aperti. Più del 70% della popolazione, però, ha dichiarato di preferire la riqualificazione della struttura di Santa Lucía e l’ampliamento dell’aeroporto di Città del Messico.

PERÙ 1 novembre. Il ministro per l’Energia e le Miniere Francisco Ísmodes ha annunciato al diario oficial El Peruano che il Perù sta intraprendendo almeno 6 progetti estrattivi, che porteranno nuovi investimenti nel 2019. I siti interessati di maggior rilevanza sono quelli di Quellaveco, Mina Justa e Toromocho. A cura di Natalie Sclippa

JAIR BOLSONARO È IL NUOVO PRESIDENTE DEL BRASILE

Anche il Brasile si uniforma all’ondata populista

Di Francesca Chiara Lionetti Jair Bolsonaro ha vinto le elezioni presidenziali del Brasile con il 55% dei voti, ottenendo al ballottaggio la vittoria sul suo avversario Haddad con un margine del 10%. La vittoria di Bolsonaro non sorprende dato che già al primo turno era stato il candidato più votato. Esponente dell’estrema destra, Bolsonaro fu capitano dell’esercito ai tempi della dittatura militare ed ha affermato più volte che il regime militare rappresenta il passato glorioso del paese. Proprio per le sue posizioni estremiste, razziste, sessiste e nazionaliste la sua elezione spaventa. Nel discorso che ha fatto su Facebook subito dopo la vittoria, tuttavia, ha promesso che “riappacificherà ed unirà il Paese”. Con questa elezione, dopo 15 anni di governi perlopiù progressisti, il Brasile si uniforma alla virata a destra che si è registrata recentemente in America Latina. All’inizio del decennio, infatti, gran parte degli stati della regione erano governati da governi di sinistra o centro, mentre ora la situazione è ribaltata. Soprattutto, il Brasile rincorre

la tendenza populista più generale che si sta notando in tutto il globo. Subito dopo l’annuncio della vittoria, Donald Trump ha chiamato Bolsonaro e si è congratulato con lui, affermando che Stati Uniti e Brasile collaboreranno per quanto riguarda “il commercio, le forze armate e tutto il resto!”. Allo stesso modo anche Salvini e Le Pen si sono complimentati con il neo-presidente. Ancora più preoccupanti delle affermazioni di Bolsonaro sono le ripercussioni che le sue idee potrebbero avere sul piano internazionale. Sulla scia di Trump, Bolsonaro ha affermato che terrà sotto controllo la Cina nei settori dell’energia e dell’infrastruttura e che porterà il Brasile a lasciare accordi multilaterali come quello regionale sul commercio (Mercosur). Bolsonaro ha anche deriso le Nazioni Unite chiamandole “un luogo di incontro per comunisti” e ha paventato il ritiro del Brasile. Il candidato sconfitto Haddad ha invitato i 45 milioni di elettori che lo hanno supportato a non perdere le speranze, garantendo che non permetterà“che il Paese retroceda”. MSOI the Post • 19


ECONOMIA PAULO GUEDES: IL BRACCIO DESTRO DI BOLSONARO Ritratto e programmi del nuovo Ministro dell’Economia brasiliano

Di Alberto Mirimin Il 28 ottobre 2018 è già passato alla storia come la data in cui Jair Bolsonaro, candidato di estrema destra del Partito Social-liberale, è diventato il 28esimo Presidente della Repubblica Federale del Brasile, dopo aver battuto la concorrenza del candidato del Partito dei Lavoratori, Fernando Haddad, con il 56% dei voti. Nel contesto di un Paese con 13 milioni di persone disoccupate, Bolsonaro ha basato la propria campagna elettorale sulla difesa della sicurezza nazionale e sulla critica dei partiti tradizionali, corrotti e non più orientati al soddisfacimento degli interessi del popolo, ponendosi così come un candidato populista, antisistema e rivoluzionario. La particolarità del nuovo Presidente del Brasile è emersa in diverse occasioni, con idee controverse che hanno smosso i sentimenti dell’opinione pubblica mondiale. Significativo, poi, che su un tema estremamente rilevante come l’economia, egli abbia dichiarato, in un’intervista rilasciata al quotidiano O Globo, che “non si intende di numeri e programmi di sviluppo”, e che per questo non se ne occuperà in prima persona. 20 • MSOI the Post

Le politiche economiche di Brasilia saranno infatti gestite dal 79enne Paulo Guedes. Nato a Rio de Janeiro, il guru economico di Jair Bolsonaro si è laureato all’Università di Chicago, dove è venuto in contatto con i Chicago Boys, i riformisti liberali americani guidati da Milton Friedman, tanto da essere considerato a tutti gli effetti un loro discepolo. Nel corso della sua carriera, è stato il fondatore del think tank liberale Millenium e della Banca Pactual, oltre a essere socio dell’impresa Bozano Investimentos. Inoltre, lavora per il giornale O Globo, dove regolarmente pubblica il proprio il proprio pensiero economico e politico. Crede nella “morte della vecchia politica” e nella nascita di “una nuova grande società aperta”, fattori che lo hanno avvicinato al nuovo Presidente del Brasile. Per quanto riguarda la sua visione dello Stato, essa può essere riassunta nella frase da lui pronunciata “quanto menor, melhor”. Guedes considera quello brasiliano uno ‘Stato disfunzionale’, succube della burocrazia, con un modello centralizzato ereditato dai tempi della dittatura militare. Questo sistema, secondo il liberale brasiliano, è il principale colpevole, insieme alla vecchia

classe politica, dell’attuale situazione del Paese, con un debito enorme pari al 77,3% del PIL, aggravato da circa 88 miliardi di euro all’anno di interessi. La particolarità della sua proposta, quindi, si riassume nella volontà di riformare totalmente il sistema di assistenza sociale e il sistema pensionistico, rendendo quest’ultimo un regime a capitalizzazione individuale. Inoltre, il suo programma economico prevede la privatizzazione di tutte le imprese statali, tra cui la Banca del Brasile e la società petrolifera Petrobras. Infatti, secondo l’economista originario di Rio de Janeiro, i contributi pubblici “riducono la competitività delle imprese, fabbricano diseguaglianze sociali e minacciano la crescita dell’economia”. In linea col suo orientale liberale, il futuro Ministro dell’Economia prevede, infine, la riduzione delle tariffe doganali all’importazione, la revisione delle barriere non tariffarie e, parallelamente, la creazione di accordi bilaterali internazionali. Attraverso tutte queste misure, Guedes ha promesso di azzerare il deficit fiscale nel giro di un anno.


ECONOMIA TRA TRADIZIONE E INNOVAZIONE, PAM PANORAMA PUNTA ALL’ESPANSIONE ALL’ESTERO

La catena di supermercati italiana svela i piani di sviluppo inediti e guarda oltreconfine

Di Giacomo Robasto Pam Panorama, società del gruppo Pam che proprio in questi giorni d’autunno taglia il traguardo dei 60 anni di attività, ha da poco svelato i propri piani di sviluppo strategici per i prossimi due anni, che si preannunciano piuttosto impegnativi. Crescita dell’area food, raddoppio dei punti vendita di piccola e media superficie in Italia e debutto dell’insegna in Europa. Sono questi i principali obiettivi che l’amministratore delegato del gruppo, Gianpietro Corbari, ha presentato alla stampa a Milano la settimana scorsa. Se oggi, infatti, il gruppo conta già oltre 1.000 punti vendita di diversa metratura solo in Italia in cui, nel 2017, il comparto food rappresentava il 94% dei 2,4 miliardi di euro di fatturato -, entro il 2020 esso punta ad arrivare al 98%. La ricetta del successo fin qui ottenuto e dello sviluppo nel futuro prossimo si fonda sugli investimenti nello sviluppo della rete, ai quali Pam Panorama conta di dedicare risorse importanti: dei 120 milioni di euro pianificati fino al 2020, circa la metà sarà

destinata alle nuove aperture, mentre i restanti 60 milioni saranno investiti in tecnologia (sviluppo applicazioni online) e in ristrutturazioni dei punti vendita esistenti. In particolare, Pam Panorama sta già ora lavorando a un nuovo format per gli ipermercati più grandi che sarà pronto entro settembre 2019, a partire da una semplice ristrutturazione: avranno una superficie di vendita inferiore e saranno integrati con l’e-commerce, mentre lo spazio libero verrà sfruttato per le produzioni dell’azienda con l’obiettivo di servire tutta la rete. Naturalmente, gli impegni della catena si stanno concentrando anche sull’ecommerce, che attualmente non rappresenta soltanto l’1% del fatturato totale del gruppo, ma è destinato senz’altro ad aumentare nei prossimi mesi. Infatti, a settembre 2017 Pam Panorama ha inaugurato a Milano un’inedita business partnership con Amazon, che propone ai consumatori una gamma di oltre 8.000 prodotti che vengono consegnati a domicilio entro un’ora dall’ordine a un costo aggiuntivo di € 7,99 o in una finestra a scelta di due ore senza costi aggiuntivi per ordini superiori a 50 euro. Il

successo riscosso dall’iniziativa ha permesso di estendere il servizio anche a Roma, ed è probabile che nel medio termine anche altre grandi città potranno beneficiare della nuova partnership. Per l’espansione all’estero, che sarà graduale e partirà dall’Europa, il programma di Pam Panorama è semplice: il piano prevede l’ingresso nei mercati esteri dapprima attraverso una piattaforma online, seguita, a breve, da punti vendita di piccole dimensioni che mirano a rappresentare il meglio dell’italianità quanto a varietà e qualità dei prodotti esposti. Il format dei grandi ipermercati, infatti, sviluppatosi negli Stati Uniti negli anni Cinquanta del secolo scorso, secondo Corbari non rappresenta affatto la strategia vincente per promuovere il settore agroalimentare all’estero, poiché essi sarebbero incapaci di attrarre l’attenzione del consumatore. Il connubio tra tradizione e innovazione è, quindi, l’idea alla base della strategia attuale di Pam Panorama, che finora ha portato i suoi frutti e certamente, visti i buoni presupposti, è difficile pensare che non abbia successo anche in futuro. MSOI the Post • 21


DIRITTO INTERNAZIONALE ED EUROPEO L’UNIVERSALITÁ DEI DIRITTI FONDAMENTALI La Corte EDU alla prova del caso Provenzano c. Italia

Di Luca Imperatore Il 25 ottobre scorso, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato l’Italia nelcasoProvenzano c. Italia (n. 55080/13). A seguito della pubblicazione della sentenza, un coro nutrito e piuttosto curioso di contestatori si è levato contro i giudici di Strasburgo. Sorprende, in tutto ciò, la titanica quantità di commentatori che hanno sentenziato sui poteri della Corte europea, sulla “accettabilità” della sua giurisdizione e finanche sull’utilità o meno della stessa. Lascia, oltremodo, stupiti che alcune di queste voci provenissero da grandi testate giornalistiche e da altissimi funzionari pubblici, di vario colore politico, alcuni dei quali sono addirittura incappati in clamorose gaffe, ultima delle quali il confondere la Corte di Strasburgo con un organo dell’Unione europea. Ciò che più incuriosisce è la tesi di coloro che ritengono inaccettabile che si sia condannato uno Stato per la violazione dei diritti umani di un noto mafioso. Il ricorso in parola era stato presentato nel 2013 per lamentata violazione dell’articolo 3 Conv., in relazione al regime di “carcere duro” cui era stato sottoposto il ricorrente fino al momento della sua morte. Reiterando la centralità e l’inderogabilità della disposizione di cui all’articolo 3 Conv., la Corte ha 22 • MSOI the Post

ribadito che è compito dello Stato assicurare una condizione di detenzione che sia compatibile con il rispetto della dignità umana e con le condizioni di salute dell’interessato. In tal senso, quelle del noto boss risultavano particolarmente precarie: lo stesso soffriva di morbo di Parkinson, di particolari encefalopatie e di epatite C, tutte corredate da un quadro clinico piuttosto instabile che lo aveva progressivamente allettato e costretto ad alimentazione artificiale, tramite sonda gastrica. Si certificava, inoltre, che la capacità locutoria del soggetto si era deteriorata sino a dar luogo a espressioni verbali ormai incoerenti e incomprensibili.

co e cognitivo, tale da inficiare gravemente la sua oggettiva pericolosità. Ciononostante, non è chiaro quanto queste condizioni siano effettivamente state prese in considerazione al fine di giustificare la continuata applicazione del c.d. “carcere duro”. In virtù di ciò, la Corte ha ritenuto di dover censurare la condotta dello Stato italiano, nella misura in cui le autorità nazionali hanno esteso l’applicabilità del “41 bis”, senza un debito bilanciamento con le condizioni di salute del Provenzano, dal 23 marzo 2016 alla sua morte (13 luglio 2016). Nel fare ciò, la Corte ha comunque negato ogni diritto a un risarcimento economico.

In relazione alle condizioni generali di detenzione dei condannati al c.d. regime carcerario del 41 bis ord. pen., la Corte – richiamando una solida giurisprudenza in materia – ha escluso ogni violazione dei diritti fondamentali del Provenzano. La stessa si è poi interrogata circa la liceità della proroga di detto regime di detenzione nel corso dell’ultimo periodo di vita del ricorrente, ossia quello caratterizzato dalla fase più estrema delle condizioni di salute esposte supra. Pur conscia delle finalità della disposizione in oggetto, la Corte ha rilevato che il Provenzano si trovava in una documentata condizione di progressivo decadimento psichi-

La vicenda appare estremamente rilevante poiché mostra con non nuova veemenza l’essenza stessa di quelli che sono definiti “diritti fondamentali”. Forse, di tanto in tanto, è doveroso ricordare a noi stessi, al di fuori di ogni ipocrisia, che se realmente si crede nell’universalità dei diritti umani, questi ultimi non sono e non possono essere confinati alle sole “persone buone” –indipendentemente da ciò che questo significhi –, ma devono essere rispettati e protetti in ogni circostanza e condizione. Soltanto così facendo, dunque, la giustizia può compiutamente dirsi “superiore” a ogni forma di umana aberrazione.


DIRITTO INTERNAZIONALE ED EUROPEO IL NEW DEAL DEI CONSUMATORI

La Commissione Europea propone l’introduzione di uno strumento di ricorso collettivo davanti alla Corte di Giustizia dell’UE per tutelare gli interessi dei consumatori europei

Di Federica Sanna L’art. 47 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea statuisce che ogni individuo i cui diritti e le cui libertà garantiti dal diritto dell’UE siano stati violati ha diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice, il quale, in base alle indicazioni dell’articolo, deve essere indipendente e imparziale. L’accesso alla Corte di Giustizia dell’UE oggi è possibile tramite il procedimento del rinvio pregiudiziale, ovvero il caso in cui il giudice nazionale trasmetta una questione al giudice europeo circa l’interpretazione o la validità delle disposizioni di diritto dell’Unione, oppure attraverso il ricorso diretto, con il quale i cittadini chiedono alla Corte di verificare la legittimità degli atti adottati dalle istituzioni, denunciano la mancata adozione di un atto da parte degli Stati membri oppure invocano pretese risarcitorie conseguenti a danni patiti in ragione della responsabilità civile delle istituzioni. In base all’art. 263, par. 4, TFUE, la persona fisica o giuridica che ricorre alla Corte europea deve necessariamente avere un interesse individuale e diretto nei confronti degli atti di cui si chiede la verifica.

Il presente sistema di accesso alla giustizia è stato causa di una discriminazione nei fatti tra i cittadini europei e i cittadini americani nei recenti scandali che hanno coinvolto grandi aziende e colpito milioni di consumatori. Nel noto Dieselgate, per esempio, la possibilità per i consumatori americani di utilizzare lo strumento della class action ha permesso loro di ricevere ingenti risarcimenti per i danni subiti, mentre, a causa della mancanza di un istituto simile nell’ordinamento europeo, i consumatori cittadini dell’Unione sono stati compensanti in maniera decisamente meno soddisfacente e non hanno ottenuto un risarcimento di tipo economico. Consapevole di tale situazione e dell’incremento del rischio di violazioni delle norme dell’UE a danno degli interessi collettivi dei consumatori dovuto alla globalizzazione economica, la Commissione europea ha presentato nell’aprile 2018 una proposta nota come il “New Deal” dei consumatori, rientrante nell’ambito dell’adozione della Strategia per il Mercato Unico Digitale. La proposta della Commissione prevede l’introduzione dello strumento del ricorso collettivo europeo alla Corte di

Giustizia rivolto ai consumatori che hanno subito un danno. Un soggetto riconosciuto, quale per esempio un’organizzazione dei consumatori, potrà presentare ricorso in sede europea a nome e per conto di un gruppo di consumatori che sono stati lesi da pratiche commerciali illecite. La differenza rispetto al modello di class action statunitense risiede nel fatto che i ricorsi non potranno essere presentati da uno studio legale, ma soltanto da soggetti che non hanno scopo di lucro e che soddisfano determinati requisiti di ammissibilità. La proposta intende infatti conseguire un equilibrio tra gli obiettivi di agevolare l’accesso alla giustizia per salvaguardare gli interessi dei consumatori e di assicurare adeguate garanzie contro i contenziosi abusivi. La proposta di direttiva presentata dalla Commissione europea dovrà ora essere esaminata e approvata dal Parlamento Europeo e dal Consiglio. Prevedibilmente, il processo di approvazione potrebbe essere ostacolato dalle pressioni delle grandi aziende portatrici di interessi in merito che tenderanno, come avviene già ora, a ritardare l’esame della direttiva almeno fino a dopo le prossime elezioni europee. MSOI the Post • 23


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