MSOI thePost Numero 123

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Il Settimanale di M.S.O.I. Torino


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MSOI Torino M.S.O.I. è un’associazione studentesca impegnata a promuovere la diffusione della cultura internazionalistica ed è diffuso a livello nazionale (Gorizia, Milano, Napoli, Roma e Torino). Nato nel 1949, il Movimento rappresenta la sezione giovanile ed universitaria della Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale (S.I.O.I.), persegue fini di formazione, ricerca e informazione nell’ambito dell’organizzazione e del diritto internazionale. M.S.O.I. è membro del World Forum of United Nations Associations Youth (WFUNA Youth), l’organo che rappresenta e coordina i movimenti giovanili delle Nazioni Unite. Ogni anno M.S.O.I. Torino organizza conferenze, tavole rotonde, workshop, seminari e viaggi studio volti a stimolare la discussione e lo scambio di idee nell’ambito della politica internazionale e del diritto. M.S.O.I. Torino costituisce perciò non solo un’opportunità unica per entrare in contatto con un ampio network di esperti, docenti e studenti, ma anche una straordinaria esperienza per condividere interessi e passioni e vivere l’università in maniera più attiva. Cecilia Nota, Segretario M.S.O.I. Torino

MSOI thePost MSOI thePost, il settimanale online di politica internazionale di M.S.O.I. Torino, si propone come un modulo d’informazione ideato, gestito ed al servizio degli studenti e offrire a chi è appassionato di affari internazionali e scrittura la possibilità di vedere pubblicati i propri articoli. La rivista nasce dalla volontà di creare una redazione appassionata dalla sfida dell’informazione, attenta ai principali temi dell’attualità. Aspiriamo ad avere come lettori coloro che credono che tutti i fatti debbano essere riportati senza filtri, eufemismi o sensazionalismi. La natura super partes del Movimento risulta riconoscibile nel mezzo di informazione che ne è l’espressione: MSOI thePost non è, infatti, un giornale affiliato ad una parte politica, espressione di una lobby o di un gruppo ristretto. Percorrere il solco tracciato da chi persegue un certo costume giornalistico di serietà e rigore, innovandolo con lo stile fresco di redattori giovani ed entusiasti, è la nostra ambizione. Jacopo Folco, Direttore MSOI thePost 2 • MSOI the Post

N u m e r o

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REDAZIONE Direttore Editoriale Jacopo Folco Direttore Responsabile Davide Tedesco Vice Direttori Giusto Amedeo Boccheni, Pilar d’Alò Caporedattori Giusto Amedeo Boccheni , Luca Bolzanin, Pilar d’Alò, Luca Imperatore, Pauline Rosa Capi Servizio Rebecca Barresi, Giusto Amedeo Boccheni, Luca Bolzanin, Lucky Dalena, Pierre Clement Mingozzi, Sarah Sabina Montaldo, Daniele Pennavaria, Leonardo Scanavino, Chiara Zaghi Media e Management Daniele Baldo, Guglielmo Fasana, Anna Filippucci, Vladimiro Labate, Jessica Prietto Editing Lorenzo Aprà, Adna Camdzic, Amandine Delclos Copertine Virginia Borla, Amandine Delclos Redattori Gaia Airulo, Erica Ambroggio, Elena Amici, Amedeo Amoretti, Andrea Bertazzoni, Micol Bertolino, Luca Bolzanin, Davide Bonapersona, Maria Francesca Bottura, Fabrizia Candido, Daniele Carli, Debora Cavallo, Emanuele Chieppa, Giuliana Cristauro, Andrea Daidone, Lucky Dalena, Alessandro Dalpasso, Federica De Lollis, Francesca Maria De Matteis, Ilaria di Donato,Tommaso Ellena, Guglielmo Fasana, Anna Filippucci, Alessandro Fornaroli, Corrado Fulgenzi, Francesca Galletto, Lorenzo Gilardetti, Lara Amelie Isai-Kopp, Luca Imperatore, Michelangelo Inverso, Vladimiro Labate, Giulia Marzinotto, Simone Massarenti, Rosalia Mazza, Davide Nina, Pierre Clement Mingozzi, Alberto Mirimin, Chiara Montano, Sveva Morgigni, Virginia Orsili, Daniele Pennavaria, Barbara Polin, Jessica Prieto, Luca Rebolino, Jean-Marie Reure, Valentina Rizzo, Giacomo Robasto, Clarissa Rossetti, Federica Sanna, Martina Santi, Martina Scarnato, Edoardo Schiesari, Jennifer Sguazzin, Stella Spatafora, Elisa Todesco, Francesco Tosco, Tiziano Traversa, Leonardo Veneziani, Alessio Vernetti, Elisa Zamuner. Vuoi entrare a far parte della redazione? Scrivi una mail a thepost@msoitorino.org!


EUROPA 7 Giorni in 300 Parole FRANCIA 11 novembre. 100 anni dopo la firma dell’armistizio che pose fine alla Prima Guerra Mondiale, molti tra i più importanti leader politici hanno partecipato a una commemorazione svoltasi a Parigi. In un discorso, il presidente francese, Emmanuel Macron, ha lanciato una dura condanna contro il nazionalismo.

SCADE IL TERMINE PER LE MODIFICHE AL DEF Il governo italiano non cambia posizione, ma non mancano le novità

Di Rosalia Mazza Il 13 novembre 2018 è il termine imposto all’Italia da Bruxelles per apportare le modifiche richieste al Documento di Economia e Finanza (DEF) presentato alla Commissione europea.

GERMANIA 12 novembre. Horst Seehofer, leader del partito di centrodestra (CSU) e ministro dell’Interno, spesso critico verso Angela Merkel, ha annunciato che lascerà la guida del partito, pur mantenendo il proprio ruolo nel governo. L’annuncio è giunto a poche settimane dalla simile decisione presa dalla Cancelliera tedesca. ITALIA 13 novembre. Si è conclusa la Conferenza di Palermo, intenzionata a chiarire il futuro del processo politico in Libia. Il generale Khalifa Haftar, molto atteso, ha incontrato il premier del governo di unità nazionale della Libia, Fayez al Sarraj, non prendendo, tuttavia, parte alla Conferenza plenaria. 14 novembre. In una lettera indirizzata alla Commissione europea, il ministro dell’Economia Giovanni Tria ha confermato tutti i punti principali del Documento Programmatico di Bilancio italiano, che la Commissione aveva chiesto di rivedere. Il livello di deficit, mantenuto

Dopo una prima bocciatura informale tramite una lettera consegnata al Ministro dell’Economia, Giovanni Tria, dal Commissario europeo per gli affari economici e monetari, Pierre Moscovici, il governo italiano non rivede le proprie posizioni in merito al DEF, e la bocciatura definitiva arriva dalla Commissione europea in data 23 ottobre 2018: nella nuova lettera, la Commissione chiede all’Italia di apportare delle modifiche al documento entro il 13 novembre 2018. Una richiesta senza precedenti, che vede i Paesi membri dell’Unione Europea compatti e concordi nel chiedere all’Italia di rivedere una manovra che porterebbe alla maggiore deviazione dagli obiettivi di crescita nella storia dell’UE. Nonostante il declassamento dell’Italia operato dalle agenzie di rating e i moniti espressi dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella e dal presidente della Banca d’Italia Ignazio Visco, il governo italiano non sembra fare marcia indietro.

In data 13 novembre giunge anche il monito del Fondo Monetario Internazionale, che ritiene particolarmente minacciosa la riforma delle pensioni e la “Quota 100”, che non favorirebbe i giovani e non permetterebbe il dovuto ricambio della forza lavoro italiana. Intanto, il Consiglio dei ministri ha approvato delle modifiche al Documento Programmatico di Bilancio, inviato a Bruxelles entro i termini previsti. Nella lettera di accompagnamento alle modifiche, il Ministro Tria mette in evidenza che le stime su deficit e crescita non cambiano, nonostante le opinioni esposte dalla Commissione europea. Sostiene infatti che “resta prioritaria l’esigenza di rilanciare le prospettive di crescita, per colmare il perdurante divario tra l’attuale livello del PIL e quello registrato prima della crisi economica e finanziaria, nonché per fare fronte al rallentamento del ciclo”. Nello stesso documento si chiede che vengano rispettate le procedure riservate ai casi eccezionali (la necessaria manutenzione delle infrastrutture italiane innalza il rapporto debito/ PIL) e si prevede un incremento della privatizzazione del patrimonio pubblico, volto a ottenere maggiori coperture per i costi derivanti dalla manovra. MSOI the Post • 3


EUROPA al 2,4%, è il triplo di quanto era stato prospettato dal precedente governo. POLONIA 11 novembre. A Varsavia, la marcia organizzata da gruppi di estrema destra per celebrare l’indipendenza del Paese si è tenuta parallelamente alla celebrazione e ufficial , promossa dallo Stato. Le due manifestazioni, separate solo da un cordone di polizia in tenuta antisommossa, hanno raccolto nel complesso oltre 200.000 persone. REGNO UNITO 9 novembre. La Scozia sarà il primo Paese al mondo a inserire la storia del movimento LGBT+ e le attività di sensibilizzazione contro omofobia e transfobia nel programma scolastico nazionale. Lo ha annunciato il ministro dell’Istruzione, John Swinney. 13 novembre. Una bozza di accordo sui termini della Brexit è stata raggiunta, dopo oltre 2 anni di negoziazione tra Londra e Bruxelles. La bozza è stata, infatti, approvata dal cabinet britannico, nonostante le critiche di molti parlamentari. Theresa May ha dichiarato che tale accordo sarebbe “il migliore che si potesse negoziare”. SPAGNA 13 novembre. Il Ministero dell’Ambiente ha annunciato la presentazione di una nuova proposta di legge che imporrebbe il divieto, dal 2040, alla vendita di tutti i veicoli che utilizzano combustibili fossili. L’iter parlamentare sarà probabilmente lungo, considerato che il partito di governo non ha la maggioranza. A cura di Luca Pons

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CENTO ANNI DOPO LA FINE DELLA GRANDE GUERRA

A Parigi oltre 70 capi di Stato e di Governo ricordano l’armistizio

Di Alessio Vernetti A Parigi l’11 novembre si sono ritrovati molti dei big globali (originale: tutti i big della Terra): Merkel, Trump, Macron (in veste di padrone di casa), Putin, Gutierres, per citarne alcuni. Il motivo? Il centesimo anniversario dall’armistizio di Compiègne, sottoscritto l’11 novembre 1918 tra l’impero tedesco e le potenze alleate, che pose fine al primo conflitto mondiale. “Il patriottismo è l’esatto contrario del nazionalismo e dell’egoismo” - ha affermato il Presidente della Repubblica francese nel discorso di poco meno di un quarto d’ora pronunciato all’Arco di Trionfo, davanti agli oltre 70 capi di Stato e di Governo arrivati nella ville lumière. “Per quattro anni l’Europa - ha continuato Macron, sotto la pioggia - rischiò di suicidarsi. La lezione della Grande Guerra non può essere quella del rancore di un popolo contro gli altri”. “Sommiamo insieme le nostre speranze invece di opporre una all’altra le nostre paure”, ha detto rivolto ai leader mondiali presenti, concludendo poi con: “Viva la pace, viva l’amicizia fra i popoli”. La Cancelliera tedesca Angela Merkel, dal canto suo, ha dichiarato - in apertura del Forum

della Pace cominciato qualche ora dopo la commemorazione - che il progetto europeo di pace nato dopo il 1945 è minacciato dall’ascesa del nazionalismo e del populismo: “Un equilibrio pacifico fra gli interessi degli uni e degli altri e anche il progetto europeo di pace oggi sono di nuovo rimessi in discussione”. “La pace che abbiamo oggi, che a volte ci sembra troppo facile - ha ammonito la Cancelliera - è lungi dall’essere scontata e dobbiamo batterci per essa”. Una sintonia perfetta, dunque, tra la Cancelliera tedesca e il Presidente francese, che si erano già incontrati il giorno prima sul luogo dell’armistizio, in Piccardia, per rinnovare l’amicizia franco-tedesca. Destinatario implicito delle parole dei due leader europei è stato, senza dubbio, Donald Trump, il quale è stato oggetto di diverse contestazioni per le strade della capitale francese. Il Presidente degli Stati Uniti aveva pubblicato un tweet polemico poco prima dell’inizio delle commemorazioni, e ha disertato inoltre l’apertura del Forum della Pace. A margine delle commemorazioni, tuttavia, ha incontrato il suo omologo russo Vladimir Putin, col quale ha affermato di aver avuto un buon colloquio.


NORD AMERICA 7 Giorni in 300 Parole

HILLARY CLINTON 4.0

Mrs. Clinton revamps her proposes for 2020 Presidential Elections Perhaps as the one with the guts, experience and determination to defeat Mr. Trump (if he decides to run again for presidency in 2020). By Kevin Ferri

STATI UNITI 9 novembre. Un’ex marine ha aperto il fuoco durante una festa studentesca in corso nella città di Los Angeles, uccidendo 12 persone. Ian David Long, 28 anni e autore del gesto, dopo la sparatoria si è tolto la vita. Non è ancora chiaro il movente, ma lo sceriffo della Contea di Ventura, Geoff Dean, ha comunicato che il giovane avrebbe sofferto di disturbi mentali. Si tratta dell’ennesima sparatoria, che riapre il dibattito sul possesso delle armi da fuoco negli Stati Uniti. 9 novembre. Alla vigilia delle celebrazioni per il centenario dell’armistizio della Prima Guerra Mondiale, Donald Trump ha attaccato con un tweet la proposta di creare un esercito europeo di Emmanuel Macron: “è un grosso insulto, ma forse l’Europa dovrebbe prima pagare la sua quota alla Nato, che gli Stati Uniti sovvenzionano in gran parte”.

11 novembre. La California è devastata dalle fiamme. Il bilancio con il passare dei giorni è salito a 50 morti e 200 dispersi. Bruciando 505 km quadrati e contenuto solo del 35%, Camp Fire è considerato il più devastante e mortale incendio della storia della California. Favorito da una siccità senza precedenti, ha costretto più di 250 mila persone

In July 1999, Mrs. Clinton began her independent political career. Her Senate platform included support for a balanced budget, the death penalty and incremental healthcare reform. It was a decisive break from her early1990s political positions. Hillary Clinton 2.0 was a moderate, building on the success of her communitarian appeals. She emphasized her religious background, voiced strong support for Israel, voted for the Iraq War, and took a hard line against Iran. Unfortunately, she couldn’t surpass Barack Obama during the 2008 Presidential Election. Soon after Obama’s victory, Hillary Clinton 3.0 emerged. She believed she could never win a primary as a moderate, so she entered the 2016 primary as a progressive. Consequently, she moved further left as senator Bernie Sanders came closer to derailing her nomination. With this being said, we should expect Hillary Clinton 4.0 to stand out hard against the competition in the 2020 Presidential Elections. She has decisively to win those Iowa caucus-goers who have never warmed up to her. They will see her now as strong, partisan, left-leaning, and all-Democrat.

The mid-term elections held during the month of November have been fundamental as they gave Democrats the opportunity to get back into the fight against Republicans and ultimately President Donald J. Trump. Many new personalities emerged from the grassroots of the Democratic Party and it is interesting to make an overall comparison between Mrs. Clinton’s proposals and those of the candidates that fought intensively to conquer Congress. During the mid-term electoral campaign, it was evident that policy proposals were tailored specifically on each States’ electorate necessity. In fact, contrary to Republican proposals, there was no official common agreement on policies in the Democratic Party. All candidates were running singularly and bringing forward a program which was independent from the other candidates of the same party (see M.S.O.I. thePost’s mid-term election special). Hillary Clinton 4.0 promises a strong comeback trying to form a common political front in order to obtain the votes of the median electorate which she clearly lost against President Donald J. Trump. However, the outcome is uncertain and it seems that the main problem are not policies, but trust. MSOI the Post • 5


NORD AMERICA a lasciare le proprie abitazioni.

AMAZON APRIRÀ DUE NUOVI QUARTIERI GENERALI NEGLI USA

13 novembre. Amazon ha annunciaSi è conclusa la gara tra città per offrire le migliori condizioni all’azienda to che aprirà due nuove sedi a New York e ad Arlington, in Virginia. In una vera e propria gara al miglior offerente di incentivi e sgravi fiscali, per ospitare il nuovo quartier generale di Amazon, si erano candidate 238 città del Canada e degli Stati Uniti. Una pubblicità enorme per il Di Luca Rebolino colosso dell’e-commerce. 14 novembre. Juul Labs, produttore leader di sigarette elettroniche negli Stati Uniti, ha ritirato dal mercato alcuni degli aromi più popolari per disincentivarne il consumo da parte dei giovani. La decisione è arrivata dopo che la Food and Drug Administration (FDA) aveva riportato “l’epidemico consumo delle sigarette elettroniche tra gli adolescenti” e richiesto che le società coinvolte provvedessero al contenimento di tale problema.

CANADA 14 novembre. I cittadini di Calgary hanno votato contro la candidatura della loro città per i Giochi Olimpici invernali del 2026. Secondo quanto riferito dal Calgary Herald, i voti contrari a ospitare le Olimpiadi sarebbero stati 171,750 (56,4%), i favorevoli 132,832 (43,6%). La decisione definitiva sul ritiro spetterà, tuttavia, al Consiglio municipale. Se l’esito del referendum dovesse essere confermato, rimarrebbero in corsa le città di Milano, Cortina d’Ampezzo e Stoccolma. A cura di Jennifer Sguazzin

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Il colosso di Jeff Bezos aprirà due nuove sedi, a Crystal City in Virginia, vicinissima a Washington D.C., e a Long Island, nel Queens (NY).

Le complesse trattative sono così giunte a conclusione. È passato, infatti, un anno dall’annuncio della multinazionale di voler aprire un nuovo quartiere generale statunitense, dopo quello di Seattle. In principio, sarebbe dovuto nascere un solo HD2 (Headquarter 2), della stessa importanza del primo. Adesso, con la creazione di due nuove sedi, non è ancora chiaro come si si strutturerà la gerarchia tra le tre sedi. La multinazionale dell’ecommerce aveva lanciato una vera e propria gara su scala nazionale, a cui hanno partecipato centinaia di città e numerosi Stati. Le richieste dell’azienda erano alte, prime fra tutte la vicinanza a un aeroporto internazionale, la possibilità di attrarre talenti e la prossimità a un’area urbana di almeno 1 milione di abitanti. Alla competizione hanno partecipato ben 238 località degli Stati Uniti. Le diverse città hanno fatto a gara per offrire le condizioni migliori: il sindaco di Stonecrest (Georgia) aveva addirittura dichiarato ironicamente che: “Bezos potrà essere sindaco, AD, re, quel che preferisce”.

Questo maxi-investimento dell’azienda genererà enormi ricadute strategiche sulle economie locali, basti pensare che saranno stanziati 5 miliardi di dollari e sono previste 50.000 assunzioni. Il modello rimane quello di Seattle, dove gli uffici si articolano su ben 33 edifici. A New York è stimato che la sola sede occupi uno spazio urbano pari a quello dell’Empire State Building. Si sono levati, però, anche molti dubbi e perplessità sull’operazione. C’è chi ha criticato la sfrenata gara tra autorità pubbliche per attirare il colosso privato. Infatti, per le due nuove sedi, sono pronte grandi agevolazioni fiscali, come sgravi sulla tassazione e incentivi sulle assunzioni. È stato calcolato che proprio lo Stato di New York pagherà 1,5 miliardi dollari per la scelta di Amazon, vale a dire quasi 50.000 dollari per ogni nuovo dipendente. Alexandria Ocasio-Cortez, nuovo volto radicale dei Democratici, residente proprio nel Queens, ha aspramente contestato la proposta della sua città. Ha evidenziato come venga favorita una società multimiliardaria, a discapito invece delle necessità di investimenti per la popolazione di uno dei quartieri più in difficoltà tà della cit .


MEDIO ORIENTE 7 Giorni in 300 Parole

ARABIA SAUDITA: MENO PETROLIO, PIÙ STRATEGIA Previsto uno dei maggiori tagli di sempre alla produzione di petrolio per tutto il 2019

LIBIA 13 novembre. Diffusa una foto che ritrae la stretta di mano avvenuta tra il generale Haftar e al Sarraj, premier del governo nazionale libico. Si tratterebbe del risultato di un incontro tenutosi con il leader italiano Giuseppe Conte, impegnato nella Conferenza di Palermo. Il generale Haftar aveva annunciato, nei giorni scorsi, che non sarebbe stato presente alla Conferenza, ma che si sarebbe comunque recato in Italia per partecipare ad alcuni incontri paralleli.

Di Andrea Daidone C’è vento di cambiamento nel mercato del petrolio, da quando il ministro dell’energia saudita, Khalid al-Falih, ha auspicato e poi annunciato un maxi-taglio alla produzionegiornaliera di petrolio pari 1 milione di barili. Misura applicata dopo la decisione della Corona saudita di tagliare appunto la produzione, con una decorrenza,da dicembre, di 500,000 barili di petrolio al giorno. La ragione di questo taglio è che le analisi tecniche hanno mostrato la necessitàdiridurre la quantità estratta per ribilanciareil mercatointernazionale.

15 novembre. Diversi e duri scontri sono scoppiati nel distretto di Ben Ghashir, a sud di Tripoli, tra la 7/a Brigata e i miliziani della Forza di siDi diverso avviso pare essere la curezza centrale. GIORDANIA 14 novembre. Un tribunale militare giordano ha condannato 10 persone perché ritenute colpevoli di “atti di terrorismo, detenzione illecita di armi e produzione di esplosivi”. Si tratta di una sentenza relativa all’attentato avvenuto nel 2016 a Karak, durante il quale morirono 10 persone. 11 novembre. Aumenta il bilancio delle vittime provocate dalle inondazioni causate dalle piogge che hanno colpito le zone centrali e meridionali della Giordania. Secondo fonti ufficiali, vi sarebbero, per ora, 11 morti. Sui social network circolano, inoltre, filmati dell’inondazione avvenuta pres-

Russia, che assai preoccupata di stressare la domanda preferisce un approccio più attendista: il fine di Mosca è quello di non focalizzare l’attenzione interamente sui tagli alla produzione, ma piuttosto di analizzare l’andamento del mercato per capire le sue evoluzioni. Mentre l’obiettivo ultimo ed unanime è quello di mantenere la stabilità del mercato,il prezzo del barile, ha però subìto un notevole aumento. È passato infatti dalla diminuzione di un sesto intervenuta nel corso del mese precedente, all’aumento improvviso di lunedì 12 novembre, in seguito proprio all’annuncio di Ryad. Le decisioni

ufficiali circa i

tagli alla produzione di petrolio saranno comunque prese dal vertice ministeriale congiunto dei paesi produttori OPEC(e non OPEC), che si terrà a Vienna in dicembre. C’è tuttavia l’esigenza di non reagire oltre il necessario, come ha evidenziato il Suhail al-Mazrouei, ministro dell’energia degli Emirati Arabi, e di agire con strategia. Egli ha però anche aggiunto che «se avremo la necessità di tagliare la produzione di 1 milione di barili al giorno, lo faremo». L’ideadell’OPEC sembra chiara e decisiva: proseguire con i tagli fino a raggiungere la quota prevista di 1 milione di bpd, per tutto il 2019, apportando miglioramenti in corso d’opera laddove necessario. Quest’ultima annotazione è stata inserita per volere di Mosca, che vede con preoccupazione queste decisioni poiché potrebbero arrivare a produrredistorsionisul prezzo del greggio, già piuttosto altalenante. Resta comunque la profonda necessità di intervenire, poiché si sta verificando sempre più velocemente un eccesso di offerta rispetto alla domanda. Se ciò dovesse verificarsi, si creerebbe un drammatico crollo dei prezzi e, di conseguenza, incertezze per molti governi alla guida di stati come Arabia Saudita, Emirati e Russia, che basano le loro economie principalmente sull’oro nero.

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MEDIO ORIENTE so il sito archeologico di Petra, dove turisti disperati corrono e cercano di salvarsi dall’acqua salendo sui monumenti più alti. Fenomeni atmosferici simili, dicono gli esperti, non si verificavano da decenni nello Stato mediorientale.

CONFERENZA DI PALERMO: UN PASSO AVANTI PER LA LIBIA?

Nessuna dichiarazione finale scritta, ma nonostante le difficoltà ci sono impegni per il futuro

IRAQ 14 novembre. Le alluvioni hanno colpito anche Baghdad, con gravi danni. 6 milioni di dollari custoditi nella Banca centrale irachena sono andati Di Lorenzo Gilardetti a ritagliarsi un ruolo centrale distrutti e perduti a causa delle infilnella questione libica a discapito trazioni d’acqua, come ha riportato la Si è tenuta tra il 12 e il di Parigi, ci sono gli inviati ONU stessa Banca centrale. 13 novembre a Palermo la Ghassan Salamé e Stephanie

PALESTINA/ ISRAELE 14 novembre. In seguito a un’altra settimana di scontri nella Striscia di Gaza, si è raggiunta una tregua tra i ribelli palestinesi e il governo israeliano. In seguito al cessate il fuoco, il ministro della Difesa israeliano, Lieberman, ha annunciato le proprie dimissioni. Il Leader del partito Israel Beitenu, parte della coalizione di governo, ha, infatti, dichiarato che “tale tregua significa soccombere ad Hamas”. Un’uscita del proprio partito dalla coalizione di governo potrebbe dare luogo, secondo i media, ad elezioni anticipate. YEMEN 12 novembre. Almeno 149 persone, inclusi civili, sono state uccise nella città portuale di Hodeidah durante 24 ore di scontri tra forze lealiste yemenite e insorti Huthi. Lo hanno reso noto fonti mediche e militari. Tra le vittime ,7 civili, 110 insorti e 32 lealisti. A cura di Anna Filippucci 8 • MSOI the Post

Conferenza internazionale per la Libia. Se da un lato hanno fatto rumore le assenze di grandi protagonisti, come Trump, Putin, Markel e Macron, dall’altro è significativo l’incontro avvenuto, non senza difficoltà,trailgeneraleKhalifaHaftar e il presidente del governo di unità nazionale Fayez al Sarraj. Passa inevitabilmente dai due leader e dall’ONU il tortuoso percorso per una riconciliazione nazionale libica, dopo che è ormai fallito l’utopico progetto della Conferenza di Parigi (maggio 2018), che pianificava le elezioni nel Paese a dicembre. A rivelarsi vincente è stata la strategia italiana di allargare il tavolo delle trattative anche a potenze interessate da vicino come Algeria, Tunisia, Turchia ed Egitto. È soprattutto grazie alla mediazione del capo di Stato egiziano al Sisi (particolarmente influente sulla Libia) che si è scongiurata la completa disertazione di Haftar. Il generale ha sì partecipato solo parzialmente e si è allontanato anzitempo, ma la stretta di mano con al Sarraj è significativa, tanto quanto il riconoscimento internazionale da lui guadagnato. Tra i soddisfatti, oltre a un’Italia che torna quindi

Williams: la ripresa economica avverrà infatti anche grazie alla re-istituzione di una banca centrale unica secondo il loro piano. Per l’ONU l’obiettivo finale successivo alla ripresa economica (e a un disarmo delle milizie) rimangono le elezioni, rimandate alla primavera del 2019; fino ad allora in Libia dovrebbe permanere una tregua. Non mancano gli scontenti: la Turchia in primis, esclusa dal vertice informale Haftaral Serraj in quanto potenza nemica dichiarata del generale libico. Il vicepresidente turco Fuat Oktay si è dichiarato “profondamente deluso” e ha deciso di abbandonare i lavori in anticipo. Chi si aspettava dalla Conferenza di Palermo una soluzione definitiva sulla Libia non può di certo parlare di un successo: la strada è ancora lunga, e la riconciliazione nazionale è un’operazione delicata; in un Paese così tanto frammentato, se forzata, può rivelarsi infatti controproducente. Villa Igiea è solo un passo che prelude al prossimo, una Conferenza in Libia nei primi mesi del 2019, quello sì decisivo.


RUSSIA E BALCANI 7 Giorni in 300 Parole BULGARIA 12 novembre. Il leader del partito di maggioranza Gerb, Tsvetanov, ha annunciato alla stampa che il governo non sottoscriverà il Patto globale per l’immigrazione dell’ONU, perché “metterebbe in pericolo gli interessi nazionali”. Hanno rifiutato anche USA, Polonia, Ungheria, Austria, Slovacchia e Repubblica Ceca. KOSOVO 13 novembre. Il presidente del Kosovo Hashim Thaci ha incontrato Vladimir Putin a Parigi durante le celebrazioni per il centenario del termine della Prima Guerra Mondiale, discutendo brevemente della normalizzazione dei rapporti tra Serbia e Kosovo. Sul punto, il Presidente russo si è dichiarato pronto a sostenere una soluzione pacifica, come dichiarato da Thaci sulla sua pagina social. Il Cremlino per ora non ha rilasciato alcun comunicato riguardo all’incontro.

MACEDONIA 13 novembre. Condannato a 2 anni di carcere per abuso di potere, l’ex premier Gruevski ha annunciato su Facebook di aver chiesto asilo politico all’Ungheria, dove sarebbe fuggito visti i buoni rapporti col premier Viktor Orban. Coinvolto nell’inchiesta “Tank”, insieme ad altri ex funzionari ora agli arresti, Gruevski era ricercato per non essersi presentato a scontare la pena detentiva.

L’INADEGUATEZZA DEGLI ACCORDI DI DAYTON Nella Bosnia post-elezione regna il caos politico

Di Amedeo Amoretti Il 7 ottobre, la Bosnia è stata chiamata alle urne per eleggere i 3 Membri alla Presidenza. Gli Accordi di Dayton del 1995 stabiliscono l’amministrazione del territorio in due entità autonome: una serba, e una croato-bosniaca. Le tre comunità nazionali eleggono il proprio rappresentante alla Presidenza statale. Questo sistema, però, evidenzia gravi falle nella politica che spesso portano a una mancanza di cooperazione tra i 3 Presidenti. Milorad Dodik è stato eletto come Membro della Presidenza dalla comunità serba. A Banja Luka, capitale dell’ente statale serbo, non è arrivata la netta vittoria che ci si aspettava, ma il suo partito è riuscito a mantenere la presidenza della Repubblica serba. La figura di Dodik potrebbe rappresentare un problema per l’unità del Paese in virtù del suo sostegno all’indipendenza dell’entità serba. Egli gode, inoltre, di un forte sostegno da parte di Putin che, secondo quanto riportato dalla rivista Foreign Policy, in realtà però vorrebbe mantenere lo status quo, poichè già notevolmente impegnato in Siria e in Ucraina. Come rappresentante dei croati, invece, è stato eletto Zeljko

Komsic. A Monstar, l’11 ottobre, però, centinaia di croati si sono riversati in strada urlando “Non il mio Presidente”. La manifestazione, capeggiata dallo sfidante nazionalista alle presidenziali Dragan Covic, voleva alzare la voce contro un sistema elettorale ai suoi occhi illegittimo: l’elezione del più moderato Komsic sarebbe stata influenzata dalla maggioranza bosniaca, che gode del diritto di voto anche del rappresentante croato. Alle proteste, Komsic ha risposto inviando una lettera alle autorità europee, in cui assicura la legittimità e la trasparenza delle elezioni, sottolineando la volontà di una duratura partnership con l’UE. Infine, Sefik Dzaferovic rappresenterà la comunità bosniaca alla Presidenza. Egli sostituisce Bakir Izetbegovic, presidente per due mandati consecutivi, ma ha affermato di volerne seguire le orme e la politica. Secondo Radio Free Europe, Dzaferovic potrebbe favorire maggiori rapporti con la Turchia e con investitori arabi nel paese. Anche per lui, sono arrivate critiche soprattutto dal Primo Ministro della comunità serba, Zeljka Cvijanovic, che lo accusa di essere un criminale di guerra. Dzaferovic, in una lettera a Cvijanovic, chiede il ritiro immediato delle accuse perchè menzognere sul suo ruolo nella guerra jugoslava.

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RUSSIA E BALCANI ROMANIA 12 novembre. A pochi mesi dal prossimo conferimento della presidenza di turno dell’UE, il presidente Iohannis ha affermato che la Romania “non sarebbe pronta”, richiedendo, inoltre, le dimissioni dell’esecutivo della premier Dancila. Il Paese ha ricevuto dure critiche da Bruxelles per i recenti passi indietro nella lotta alla corruzione e nella riforma della giustizia. RUSSIA 11 novembre. Il presidente Putin si è espresso sull’idea, di Emmanuel Macron, di un “esercito europeo”, a margine delle celebrazioni di Parigi per il centenario dell’armistizio. La proposta, criticata da Trump, è invece stata accolta da Putin che, in un’intervista, la definisce “un desiderio naturale” dell’UE e un “fattore positivo di rafforzamento della multipolarità mondiale”.

UCRAINA 11 novembre. Nel Donbass controllato dai filorussi si sono svolte le discusse elezioni per eleggere i Presidenti delle autoproclamate Repubbliche di Lugansk e Donetsk, con vincitori rispettivamente Pasechink e Pushilin, quest’ultimo successore di Zakharchenko, ucciso il 31 agosto in un attentato. UE, NATO e USA hanno condannato le elezioni definendole “finte”. Il governo ucraino accusa apertamente Mosca di violare il diritto internazionale e l’integrità territoriale dello Stato. A cura di Mario Rafaniello 10 • MSOI the Post

LE AUTOPROCLAMATE REPUBBLICHE POPOLARI AL VOTO

Le elezioni nel Donbass riaccendono le polemiche e le tensioni

“Si sono svolte sotto un’occupazione, dove non c’è libertà di espressione, né libertà di movimento nè di fare campagna elettorale, e in generale nessuna libertà di scelta per le persone nell’eleggere i candidati”. Kurt Volker, inviato speciale statunitense per l’Ucraina, ha così commentato le elezioni, svoltesi domenica 11 novembre, dei leader e dei membri delle assemblee parlamentari delle autoproclamate “Repubbliche popolari” di Donetsk e Lugansk. Il risultato ha rispettato le attese. Sono stati confermati, infatti, Leonid Pasechnik col 68% dei voti a Lugansk, e Denis Pushilin col 61% dei voti a Donetsk. Quest’ultimo era succeduto nell’agosto scorso a Aleksandr Zakharchenko, leader separatista morto a causa di un’esplosione nella capitale del Donbass. L’Ucraina e i Paesi occidentali hanno condannato lo svolgimento di queste elezioni, giudicandole in contrasto con gli accordi di Minsk del 2015. Il presidente ucraino Poroshenko si è spinto oltre: “mi aspetto che le false elezioni suggeriranno l’imposizione di nuove sanzioni”. Per la portavoce del Dipartimento di Stato americano Heather Nauert “è stato un tentativo di Mosca di istituzionalizzare i suoi delegati in Donbass”, un modo quindi per dare legittimità a leader già approvati dal Cremlino.

Secondo le commissioni elettorali, l’affluenza si è attestata al 77% nella regione di Lugansk, mentre è arrivata all’81% nella “Repubblica di Donetsk”. Questi dati sono stati contestati da Dmytro Tymchuk, coordinatore del centro di informazione OSINT, secondo cui alcuni sondaggi locali del giorno precedente indicavano in 28% la percentuale massima di persone intenzionate a partecipare al voto. Per Radio Free Europe, i separatisti avrebbero utilizzato alcuni stratagemmi: si riporta che presso i seggi fossero presenti banchetti di generi alimentari con prezzi molto scontati e che si regalassero voucher per ricariche telefoniche. Si riferiscono poi di minacce a coloro che non avrebbero votato per il leader uscente di Lugansk Pasechnik. La Russia, dal canto suo, rigetta ogni accusa e rilancia con le parole del portavoce del presidente Putin Dmitry Peskov: “la deprecabile situazione riguardante l’implementazione degli accordi di Minsk è provocata dalla riluttanza di Kiev a onorarli”. Al contrario, le elezioni nelle autoproclamate repubbliche, secondo il rappresentante russo presso l’OSCE Aleksandr Lukashevich, rappresenterebbero un gradino ulteriore per il dialogo tra il Donbass e Kiev nell’implementazione degli accordi.


ASIA E OCEANIA 7 Giorni in 300 Parole

DAL BANGLADESH AL MYANMAR: IL RIMPATRIO DEI ROHINGYA

Nuovi timori per la minoranza più “friendless” del mondo

CINA 12 novembre. In occasione della visita del primo ministro cinese Li Keqiang, Cina e Singapore hanno concluso una serie di accordi, tra cui il miglioramento del precedente accordo commerciale di libero scambio, volto a garantire alle imprese singaporiane maggiore accesso al mercato cinese. Cina e Singapore hanno giustificato tale miglioramento dei loro rapporti commerciali sostenendo di volere entrambi un “maggiore multilateralismo e libero scambio”, per salvaguardare la precaria stabilità della situazione nel Mar Cinese Meridionale. Li Keqiang ha, inoltre, ribadito di fronte ai membri dell’ASEAN tale necessità di multilateralismo e di collaborazione, fondamentali per risolvere le dispute territoriali in corso tra i vari Paesi asiatici. MALESIA 13 novembre. La Malesia abolirà la pena capitale prevista per 32 reati, compreso l’omicidio. Inoltre, il governo si è impegnato a garantire la piena indipendenza alla Commissione Indipendente per la denuncia e cattiva condotta della polizia (IPCMC). MYANMAR 12 novembre. L’ONG Amnesty

L’inizio del processo di rimpatrio dei circa 700.000 profughi di etnia rohingya arrivati in Bangladesh dal Myanmar nell’agosto del 2017, è iniziato il 15 novembre, come anticipato dal ministro birmano degli Affari sociali Win Myat Aye. L’accordo tra Bangladesh e Myanmar era stato siglato lo scorso dicembre. Sebbene non se ne conoscano i criteri di compilazione, è stata formulata dal governo bengalese, senza il coinvolgimento dell’UNHCR, una lista di nominativi dei primi 2.200 rohingya che, a gruppi di 150 al giorno, verranno trasferiti dal campo Cox’s Bazar al campo di transito di Hla Phone Khaung, nello Stato Rakhine, dal quale dovrebbero in seguito essere ricollocati nei propri villaggi d’origine. A dispetto della paventata costruzione di nuovi “villaggi moderni”, attivisti e rifugiati non sembrano affatto rassicurati, dato che molti dei villaggi originali sono stati rasi al suolo durante le razzie e le terre confiscate ai rohingya sono state date ai buddhisti locali. Inoltre, poiché i nominativi non sono stati resi pubblici, risulta impossibile per gli attivisti verificare che i rifugiati rientrino in patria su base volontaria, condizione fondamentale per non incorrere nella violazione del principio di non-refoulement, per cui un rifugiato non può essere deportato, espulso o trasferito verso territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero

minacciate. Lo scorso giugno, per di più, il Myanmar ha firmato un memorandum d’intesa con le NU, stipulante una serie di condizioni per far sì che il rimpatrio avvenisse sotto garanzia di sicurezza e concedendo un canale per ottenere la cittadinanza. Ciononostante, la rapporteur per i diritti umani dell’ONU in Myanmar, Yanghee Lee, ha affermato di non aver riscontrato l’evidenza di un ambiente in cui sussistono le condizioni necessarie affinché i rohingya possano tornare senza pericolo e vedere garantiti i propri diritti. Piuttosto che tornare in Myanmar, dove temono di esser nuovamente vittime di violenze, stupri e persecuzioni, alcuni rohingya hanno provato a fuggire via mare, verso la Malesia, pagando ingenti cifre per salire a bordo di barconi gestiti da trafficanti. Secondo il Guardian, con l’inizio dei rimpatri, alcuni rifugiati hanno persino tentato il suicidio. La ragione alle spalle di quello che pare un rimpatrio affrettato andrebbe individuata nelle elezioni nazionali bengalesi di fine dicembre. Il quasi milione di rifugiati nel campo Cox’s Bazar è politicamente scomodo, data la situazione di povertà e scarsità di risorse in cui versa il Paese. Ancora una volta, dunque, i rohingya si confermano essere la minoranza più “friendless” del mondo.

MSOI the Post • 11


ASIA E OCEANIA International ha revocato il premio “Ambasciatrice della coscienza” assegnato a Aung San Suu Kyi nel 2009, considerata come una delle più importanti onorificenze nel campo della lotta per i diritti umani. Stando alle parole di Kumi Naidoo, segretario generale dell’organizzazione, “Aung San Suu Kyi non rappresenta più un simbolo di coraggio, di speranza e di imperitura difesa dei diritti umani”. Queste parole sono state pronunciate in riferimento alla sua criticata gestione della crisi dei Rohingya. L’attuale Consigliere di Stato, nonché Ministro degli Affari Esteri e Ministro dell’Ufficio del Presidente, è accusata di aver tradito i valori per i quali era stata premiata e per i quali aveva, inoltre, ricevuto il premio Nobel per la Pace nel 1991. 14 novembre. Mike Pence, vicepresidente degli Stati Uniti ha incontrato Aung San Suu Kyi in occasione del summit ASEAN. Pence ha fortemente criticato la politica della leader birmana nei confronti della minoranza musulmana, di cui circa 720 000 hanno lasciato il Myanmar dal 2017. Secondo il Vicepresidente Pence, il governo birmano “non ha scuse per le violenze perpetrate contro i Rohingya”. SRI LANKA 14 novembre. La crisi politica in Sri Lanka si è aggravata dopo che il primo ministro Mahinda Rajapaksa e il proprio governo sono stati sfiduciati dal Parlamento. Tuttavia, il presidente Maithripala Sirisena e i deputati del partito di Rajapaksa non riconoscono il voto, da loro considerato invalido. A cura di Micol Bertolini

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COREA DEL SUD: SCOSSA ALL’EQUIPE ECONOMICA

Il Presidente rimuove dall’incarico il Ministro delle Finanze e il capo del suo staff politico

Di Virginia Orsili Il presidente della Corea del Sud Moon Jae-In ha rimosso dall’incarico il ministro delle Finanze Kim Dong-yeon e il capo del gabinetto in carico della politica presidenziale Jang Ha-sung. A prendere il loro posto saranno due membri dell’attuale governo: a Hong Nam-ki, già a capo dell’ufficio di coordinazione del governo, andrà il Ministero delle Finanze, mentre Kim Soo-hyun, consigliere agli affari sociali del presidente Moon, sostituirà Jang. A dare l’annuncio venerdì 9 novembre il portavoce del presidente, Yoon Young-chan, durante una conferenza stampa televisiva. Il governo ha chiarito che questa decisione mira a rafforzare le politiche economiche già intraprese che mirano ad instaurare una vera democrazia economica, ribaltando il modello di crescita basato sulle esportazioni e gli investimenti dei grandi conglomerati sudcoreani. Furono proprio i cosiddetti chaebols ad offrire una scappatoia alla povertà nella quale il Paese rischiava di cadere dopo la guerra tra le due Coree. Negli anni 90, grazie ai notevoli privilegi garantiti dallo Stato coreano, alcune tra le mega ditte come Samsung, Hyundai e LG hanno avuto modo di svilupparsi notevolmente. I chaebols sono caratterizzati da un modello economico basato su investimenti tentacolari e su un allargamento continuo delle proprie sfere di attività.

Le posizioni manageriali più importanti vengono occupate dai familiari del capo. In questo modo, tuttavia, la maggior parte delle ricchezze prodotte nel Paese restano concentrate e trasmesse all’interno degli stessi nuclei familiari, lasciando poco margine di mobilità sociale per gli altri cittadini. Ad ogni modo, il governo mira a promuovere un nuovo modello economico basato sulla “crescita trainata dal reddito” attraverso l’aumento del salario minimo del 30% entro due anni, la diminuzione della ore lavorative settimanali, che ad oggi hanno subito un taglio del 25%, e la lotta alla precarietà favorendo l’assunzione a tempo indeterminato. Secondo l’uscente Ministro delle Finanze le politiche intraprese, alle quali sarebbero da imputare il rallentamento della crescita e un tasso di disoccupazione in crescita del 3,8%, andrebbero riviste. Jang, al contrario, avrebbe appoggiato le scelte adottate dal presidente Moon. La questione economica rappresenta un tassello fondamentale del progetto politico di Moon. Eletto lo scorso maggio per aver promesso di ridurre le disuguaglianze in un Paese dominato per anni dall’elite economica, il Presidente ad oggi vede il suo tasso d’approvazione cadere dall’84% al 54%, secondo un sondaggio condotto dalla compagnia Gallup Korea.


AFRICA 7 Giorni in 300 Parole

UN PRESIDENTE PER LA STABILITÀ POLITICA

Le elezioni presidenziali per continuare a mantenere un trend democratico in Madagascar

Di Corrado Fulgenzi ERITREA 13 novembre. Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, con un voto all’unanimità, ha deciso di porre fine alle sanzioni imposte all’Eritrea dal 2009. Con questa risoluzione viene revocato l’embargo sulle armi e ribadito l’impegno alla riappacificazione tra Eritrea e Gibuti, sulla scia dell’accordo di pace siglato lo scorso luglio tra Eritrea ed Etiopia. Il governo etiope ha dichiarato che la revoca delle sanzioni contribuirà alla stabilità del Corno d’Africa e alla normalizzazione delle relazioni tra i Paesi di questa regione. GABON 11 novembre. Il mistero intorno allo stato di salute del presidente Ali Bongo Ondimba è stato chiarito, riconoscendone la gravità, come dichiarato da una portavoce della Presidenza gabonese. Secondo una fonte straniera vicina al Presidente, all’origine della sua ospedalizzazione in Arabia Saudita, vi sarebbe un accidente vascolare. Le redini del Paese sono state, dunque, affidate alla First Lady, Sylvia Bongo Ondimba, che da Riyad continua a coordinare la circolazione delle informazioni riguardanti il marito e gli affari di governo. NIGERIA 12 novembre. Secondo le ultime dichiarazioni del Norwegian

Il 14 novembre, il Madagascar affronterà un momento delicato per il proprio futuro, poiché dopo anni di regime e di un decennio di alternanza al potere, non proprio democratica, dal 2014 sembra aver trovato una stabilità politica. In tale giorno si terranno le seconde elezioni presidenziali (il Paese è una Repubblica semipresidenziale) definibili propriamente democratiche: nel 2013 vinse Hery Rajaonarimampianina, nonché attuale Presidente, che mira a mantenere l’incarico. Per riuscire nel suo intento, ‘Reggie’ dovrà battere i rivali, che sono ben 35. Tra loro, quelli che sembrano avere una maggior possibilità di successo sono Marc Ravalomanana e Frontrunners Andry Rajoelina: entrambi han già occupato il sommo seggio di Antananarivo, ma in circostanze ben diverse. Il primo dopo aver indotto il suo rivale all’esilio nel 2001 e il secondo grazie ad un colpo di Stato proprio ai danni del primo nel 2009. Tanto la campagna presidenziale quanto le votazioni sono state e saranno oggetto di un attento e rigido controllo da parte di osservatori politici internazionali, tra cui istituzioni come l’Unione Europea, ONU e l’Unione Africana, le quali già in passato intervennero a causa degli episodi accennati in precedenza.

Le questioni sulla quale i candidati hanno fatto leva durante la campagna presidenziale, sono state principalmente di natura socioeconomica. Ratsimbaharison, uno dei candidati, ha sottolineato l’importanza di creare nuovi posti di lavoro, sicurezza pubblica e la necessità di importare capitali stranieri nel Paese, anche se ha aggiunto che prima di tutto bisogna pensare a rendere disponibili beni essenziali come cibo e medicinali. Secondo la Banca Mondiale, il 76% della popolazione malgascio vive in estrema povertà, su 25,5 milioni circa di abitanti. Un altro dato preoccupante lo fornisce l’ONU tramite l’Indice di Sviluppo Umano, il quale pone il Madagascar al 161° posto su 189. Inoltre, l’indice di corruzione percepita del 2017 della Transparency International pone lo Stato malgascio al 155° su 180. I risultati provvisori si avranno sin da mercoledì 14 novembre e saranno definitivi entro il 20. Dovranno poi essere sottoposti al giudizio dell’Alta Corte Costituzionale, che dovrà produrre un verdetto entro il 28 novembre. Nel caso in cui nessuno dei candidati ottenesse più del 50%, i due con più voti andranno al ballottaggio del 19 dicembre. MSOI the Post • 13


AFRICA Refugee Council (NRC), l’epidemia di colera si sta propagando velocemente negli accampamenti dei rifugiati che scappano dalle violenze perpetrate dai militanti di Boko Haram nelle regioni a nord-est del Paese. Per ora, il numero delle vittime si attesta a 175. REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO 11 novembre. L’opposizione ha designato Martin Fayulu come unico candidato per le prossime presidenziali. Negli anni passati, Fayulu, è stato incarcerato più volte durante le manifestazioni contro il governo di Kabila, al potere dal 2011. L’attuale Presidente ha dichiarato che “non si presenterà alle prossime elezioni”, in occasione delle quali il proprio partito sarà rappresentato da Ramazani Shadary. Se così fosse, si tratterebbe della prima transizione pacifica del Paese dall’indipendenza del 1960. SOMALIA 9 novembre. 20 morti e una quarantina di feriti sarebbe il bilancio delle due esplosioni avvenute nei pressi di un hotel e di una sede di polizia di Mogadiscio. Secondo le forze dell’ordine, si tratterebbe di un attentato organizzato dalle forze islamiste di al-Shabaab, affiliate ad al-Qaeda.Imilitantidel gruppo si oppongono al governo somalo, sostenuto dalla Comunità Internazionale e, nonostante siano stati cacciati dalla Somalia nel 2011, controllano ancora vaste zone rurali, dalle quali progettano azioni di guerriglia contro obiettivi governativi. A cura di Jessica Prieto

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SAHEL: UNA LISTA DI PROGETTI DA APPROVARE RAPIDAMENTE La sicurezza in Niger è ancora lontana

Di Francesco Tosco La settimana scorsa, a Niamey, in Niger si è tenuta la riunione dei Paesi appartenenti al G5 Sahel. L’obiettivo del meeting resta la questione riguardante la messa in sicurezza e lo sviluppo della fascia di terra semi-desertica che tocca Mauritania, Mali, Burkina Faso, Niger e Chad che prende il nome, appunto, di Sahel. La riunione è stata teatro di un forte dibattito tra ministri, alleati ed esperti che ha portato alla stesura di 40 progetti per i quali saranno stanziati circa 90 milioni di euro. Il prossimo step consisterà nella riunione del 6 dicembre, che si terrà in Mauritania, a Nouakchott. Come annunciato da Angel Losada, inviato speciale dell’Unione Europea in Sahel, durante la prossima riunione, i 12 membri dell’alleanza tra cui gli stati europei di Francia, Italia, Inghilterra, Germania, Spagna e Lussemburgo, si riuniranno per approvare definitivamente i progetti più importanti, dando risalto a quelli su sicurezza e sviluppo delle infrastrutture. Secondo un comunicato di Jean-Marc Gravellini, responsabile dell’unità di coordinamento dell’alleanza del Sahel, la commissione intende

portare avanti il processo di approvazione per dare risposte adeguate e rapide alla situazione di rischio che continua ad affliggere la regione ormai da anni. Infatti, se da un lato è sicuro che i progetti di sviluppo saranno finanziati, dall’altro, sul piano della stabilità, la strada da percorrere è ancora lunga. Infatti, soltanto pochi giorni dopo la riunione, il 6 novembre, nella regione di Banamba, ad est del del Niger, un gruppo jihadista avrebbe imposto le leggi della sharia alla popolazione, impedendo l’insegnamento in lingua francese a circa 2.000 studenti. Tutte le scuole sono state obbligate a chiudere fino a 2 giorni dopo, quando l’esercito si è presentato a ristabilire l’ordine. Nello stesso momento, alla frontiera sud-est del Niger, le forze armate del Paese hanno avviato un’intensa operazione volta a fermare una volta per tutte i gruppi jihadisti attivi nella regione. L’area interessata è quella corrispondente al Parco Naturale W, riserva naturale che si estende lungo il confine tra Niger, Benin e Burkina Faso. Da anni, ormai, il parco sarebbe diventato un rifugio per miliziani dediti più che altro al obanditismo ed al traffic di merci illegali come droga ed armi, oltre che al proselitismo jihadista nelle zone frontaliere.


AMERICA LATINA 7 Giorni in 300 Parole

VENEZUELA: RISPOSTA FERREA DI MADURO ALLE SANZIONI STATUNITENSI Maduro contesta le sanzioni irrogate dagli USA sul commercio dell’oro venezuelano

CUBA 14 novembre. Il Ministerio de Salud Pública di Cuba ha deciso di interrompere il proprio contributo al programma Más Médicos in Brasile a causa delle dichiarazioni del neopresidente Bolsonaro, intenzionato ad apportare delle modifiche al progetto. Tale decisione implica il rimpatrio di 11 mila medici cubani, che dal 2013 lavorano negli ospedali brasiliani. MESSICO 13 novembre. Prosegue a New York il processo nei confronti de el narcotrafficant Joaquin Guzmán Loera, noto come El Chapo. Secondo quanto affermato dalla difesa, l’arresto di El Chapo sarebbe stato utilizzato dal governo messicano per ottenere consensi a livello internazionale. Tuttavia, secondo gli avvocati del narcotrafficante, il vero leader del cartello di Sinaloa sarebbe sempre stato Ismael Zambada García, sfuggito all’arresto. 13 novembre. Prosegue l’avanzata della carovana dei migranti partita dall’Honduras il 13 ottobre e diretta negli USA. Arrivati in Messico, si sono generati più gruppi, diretti verso località differenti: un cospicuo numero di migranti si è recato verso l’area metropolitana di Guadalajara, un altro gruppo ha raggiunto, invece, la capitale Città del Messico. L’ultimo obiettivo dei migran-

Di Sabrina Certomà Il Presidente del Venezuela, Nicolás Maduro, ha dichiarato nel suo ultimo discorso a Caracas che il Paese continuerà a produrre e vendere oro, a dispetto delle sanzioni – “misure unilaterali e illegali” – apposte da Trump lo scorso 1 novembre contro le transazioni finanziarie dell’oro venezuelano. La Casa Bianca ha, infatti, adottato alcune misure che proibiscono ai cittadini americani qualsiasi relazione con l’industria venezuelana, accusata del finanziamento di attività illecite; ciò potrebbe ostacolare lo sviluppo economico del Paese caraibico, oltreché danneggiare il leader socialista. Entrambi i partiti americani appoggiano la linea dura di Trump nei confronti della dittatura di Maduro; anche a seguito delle Midterm elections il Presidente statunitense è, dunque, sicuro del sostegno dei democratici nelle operazioni di boicottaggio del redditizio settore commerciale dell’oro. Queste erano state annunciate agli inizi di novembre dal Consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton in un discorso alla Freedom Tower di

Miami: “Il regime di Maduro ha usato il settore dell’oro come bastione per finanziare attività illecite, arricchirsi e sostenere gruppi criminali. Sono orgoglioso di annunciare questo decreto per imporre sanzioni dure contro il Venezuela”. Dappiù, Bolton aveva definito Venezuela, Cuba e Nicaragua come “troika della tirannia” e “triangolo del terrore”, assicurando che Trump avrebbe intrapreso ulteriori azioni dirette a indebolire i tre regimi. Restrizioni agli spostamenti da e verso Cuba sono state approvate a più riprese dal 2017, mentre si continua a sostenere l’organizzazione di elezioni democratiche in Nicaragua con la speranza di rimuovere il Presidente Ortega. Con le nuove politiche, sarà difficile per il Venezuela riuscire avendereilpropriooro.Tuttavia,solo nell’ultimo anno il Paese ha esportato l’equivalente di circa 870 milioni di dollari, cifra che denota l’importanza di questo settore all’interno dell’economia nazionale. Maduro, in risposta alle sanzioni, ha replicato che “mai il Venezuela rispetterà gli ordini dell’Impero statunitense, per cui continueremo producendo oro”, e ha dichiarato che i proventi della vendita saranno utilizzati a fini sociali.

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AMERICA LATINA ti rimane quello di varcare il confine tra il Messico e gli Stati Uniti d’America.

El CHAPO IN GIUDIZIO NEGLI STATI UNITI L’estradizione potrebbe aver avuto un risvolto politico

Di Davide Mina

NICARAGUA 13 novembre. La Commissione Interamericana dei Diritti Umani (CIDH) ha chiesto che vengano adottate misure cautelari nei confronti di 7 donne detenute in Nicaragua per la loro partecipazione alle proteste contro il regime instaurato da Daniel Ortega. La CIDH ha chiesto al Presidente del Nicaragua che venga garantita l’integrità fisica delle detenute. Secondo il Centro Nicaragüense de Derechos Humanos (CENIDH) sarebbero quasi 600, le persone arrestate con l’accusa di aver partecipato alle proteste contro Ortega. VENEZUELA 14 novembre. Secondo la ONG International Rescue Committee (IRC) i venezuelani che hanno raggiunto la Colombia potrebbero duplicarsi, nel numero, nei prossimi 6 mesi raggiungendo i 2 milioni. La IRC ha, inoltre, sottolineato, nel proprio report, il fondamentale sostegno prestato dal governo colombiano, che continua ad accogliere famiglie colpite da pessime condizioni economiche e sanitarie. A cura di Tommaso Ellena 16 • MSOI the Post

Questo martedì ha avuto inizio a New York il processo a Joaquín Guzmán Loera, più noto con il soprannome di El Chapo, parola che nel gergo messicano indica un “piccoletto”. Ma a discapito del nomignolo rasserenante, è noto in tutto il mondo per i processi che lo hanno visto sul banco degli imputati con l’accusa di gestire il narcotraffico tra Messico e Stati Uniti, nonché per le sue ripetute evasioni dalle carceri messicane. Ora, negli Stati Uniti, dovrà difendersi da 17 diversi capi d’accusa (collegati alle 155 tonnellate di cocaina che avrebbe trasportato oltre il confine), davanti alla Corte federale di Brooklyn. L’estradizione di El Chapo dal Messico agli USA avvenuta l’anno scorso nascondeva un contenuto politico: è stata infatti concessa il 20 gennaio 2017, il giorno in cui Trump assunse la presidenza, giusto qualche ora prima che Barack Obama lasciasse l’incarico. “Non hanno voluto dare la vittoria a Donald Trump” ha spiegato a BBC l’esperto di sicurezza Alejandro Hope. “L’estradizione è avvenuta nel primo momento legalmente possibile e politicamente praticabile. È stato come dire: va bene, lo estradiamo, ma Trump non indossi la medaglia.” Hope ha sottolineato che “la decisione era stata presa da un anno, indipendentemente dal processo elettorale statunitense.”

Jorge Chabat, professore del CIPE (Centro di investigazione e insegnamenti economici del Messico) ha dichiarato: “Si tratta di una coincidenza troppo grande per sostenere che non ci sia stata intenzione politica, l’intenzione del governo messicano è mandare il messaggio che ci può essere collaborazione, e che anche Trump, se collabora con il Messico, potrebbe avere una relazione fruttifera in tema di sicurezza”. Chabat ha poi fatto notare che il primo messaggio non esclude il secondo: “potrebbe voler comunicare che El Chapo viene consegnato ad Obama, ma al tempo stesso che stiamo collaborando, per far capire a Trump che il Messico può essere un buon alleato anziché un antagonista”. In seguito all’estradizione, concessa con l’unica condizione di non condannarlo a morte, il Governo messicano si era tuttavia premurato di precisare che non c’era alcuna relazione tra l’estradizione e l’elezione di Trump. Ora El Chapo sarà giudicato da 12 membri della giuria popolare, accompagnati da una scorta e identificati solo con un numero, come misura di sicurezza. Gli avvocati della difesa hanno già contestato le elevate misure di protezione adottate nei confronti dei giurati, in quanto li farebbero sentire in pericolo e condizionerebbero la percezione della pericolosità dell’imputato.


ECONOMIA TAV: UNA STORIA LUNGA QUASI TRENTA ANNI

Tornano accesi i toni sulla realizzazione della linea ad Alta Velocità Torino-Lione

Di Alberto Mirimin Era il 1990 quando, per la prima volta, la Società Nazionale dei Trasporti Ferroviari Francesi (SNCF) pubblicò una nota in cui, congiuntamente alle parole del presidente François Mitterrand, auspicava la realizzazione di una nuova linea di collegamento fra Italia e Francia. Nel corso di questi di 28 anni, si è potuto assistere a quattro accordi internazionali tra i due Paesi, marce di protesta, manifestazioni, scontri, processi e condanne, ma - di fatto - la sua costruzione non è ancora iniziata. Nell’idea originale, la tratta internazionale dell’Alta Velocità Torino-Lione è rappresentata dai 57 chilometri di tunnel di base del Moncenisio, a doppia canna, e dalle due stazioni internazionali di Susa e di Saint-Jean-de-Maurienne, per una lunghezza complessiva dell’opera, destinata al trasporto di merci e persone, di 65 chilometri. La linea, quindi, è per l’89% in galleria: dei 57 chilometri, 45 sono in territorio francese, 12,5 sul versante italiano. Il dibattito politico circa la realizzazione del progetto è tornato in auge quando, contemporaneamente al proprio insediamento

nello scorso giugno, l’attuale ministro dei Trasporti e della Infrastrutture del governo italiano, Danilo Toninelli, ha messo in chiaro che, in linea con quanto dichiarato nel Contratto di Governo, avrebbe proceduto a rivalutazioni sia tecnico-scientifiche sia giuridiche circa la fattibilità dell’opera, mettendo in mano la questione a un gruppo di esperti che potesse compiere un’analisi costi-benefici, rendendosi inoltre disponibile a condividere i risultati ottenuti con i colleghi francesi e con altri esperti internazionali. Tuttavia, la scorsa settimana si è tenuto un importante incontro fra lo stesso Toninelli e la sua omologa francese, Elisabeth Borne, la quale si è dichiarata disponibile a svolgere una nuova analisi costi-benefici, ma ha soprattutto ribadito l’importanza di non perdere i finanziamenti dell’Unione Europea, sia quelli già ricevuti, sia quelli ancora da ricevere. A fare da eco alle parole della Ministra francese, sono arrivate quelle di Paolo Foietta, Commissario straordinario del governo per la ferrovia Torino-Lione, il quale ha sottolineato che “a dicembre devono partire le gare di appalto, altrimenti ci sarà un danno erariale di 75 milioni di euro al mese”, come stabilito mesi

fa da TELT, la società che, dal 2015, è incaricata di gestire la realizzazione dell’opera. A rimarcare le possibili ritorsioni dell’UE a fronte dell’abbandono del progetto, è stato il responsabile del dossier Trasporti della Commissione Europea Enrico Brivio: “La TAV è un progetto importante non solo per Francia e Italia ma per l’intera Europa”, invitando pertanto i due Paesi a “fare sforzi per completare l’opera nei tempi previsti”. Infatti, l’Unione Europea sostiene il progetto, parte della linea strategica Lisbona-Kiev, con un investimento che vale la metà del costo totale: su un progetto da 8,6 miliardi di euro, in sostanza, la Commissione è disponibile a versarne più di 4. Mentre in Francia il Comité pour la Transalpine Lyon-Turin è sempre attivo nella promozione del progetto, in Italia la situazione è in rapida evoluzione. Infatti, mentre sono note le proteste presiedute da ormai due decenni da parte del movimento NOTAV in Val di Susa, solo nelle ultime settimane ha fatto rumore la manifestazione tenuta a Torino in favore dell’opera, a cui hanno partecipato circa 40.000 persone. MSOI the Post • 17


ECONOMIA TIM: SI ACUISCE LA CRISI DI GOVERNANCE E DI RISULTATI DEL GRUPPO L’allontanamento dell’AD Amos Genish mira ad aprire una nuova fase

Di Giacomo Robasto I conti perennemente in rosso del gruppo TIM, che già da gennaio 2016 ha portato sotto un unico marchio anche tutte le attività della ex Telecom Italia, non lasciano senz’altro sonni tranquilli agli amministratori e agli azionisti del gruppo. Sulla scia del 2017, infatti, come già certificato a marzo dalla società di revisione PwC, le attività del gruppo hanno registrato una perdita di 800 milioni di euro, connessa alla svalutazione dell’avviamento domestico per 2 miliardi, senza la quale l’utile netto si sarebbe attestato a 1,2 miliardi euro. Alla presentazione dei risultati del gruppo per il terzo trimestre, tenutasi il 12 novembre scorso a Milano, l’amministratore delegato Amos Genish ha imputato le icoltà diff dell’ultimo trimestre principalmente a due fattori avversi. Da una parte, le decisioni dell’Autorità di vigilanza di passare da una fatturazione di 28 giorni a una di 30 a partire dallo scorso aprile; dall’altra, l’ingresso nel mercato italiano del nuovo operatore Iliad, che ha sconvolto ogni precedente tendenza positiva. 18 • MSOI the Post

Giustificazioni che, evidentemente, non sono parse sufficienti e credibili ai membri del consiglio di amministrazione della società. Infatti, il CDA, riunitosi in seduta straordinaria martedì 13 c.m., ha optato per la sfiducia al manager israeliano Amos Genish, con dieci voti a favore del licenziamento e cinque contro. L’occasione, tra l’altro, è stata un pretesto per uno scambio di accuse sulla gestione della società tra i rappresentanti dei due soci di peso: il gruppo francese Vivendi, che possiede un pacchetto azionario del 23,9% e il fondo attivista statunitense Elliott, che detiene il 9,2% del capitale azionario. L’allontanamento di Genish dal gruppo si è definitivamente concretizzato con la vendita, da parte dello stesso, di un pacchetto azionario dal valore di 500.000 euro. Operazione che, avvenuta soltanto un’ora dopo la sua sfiducia, ha chiuso del tutto la sua posizione sul titolo. Di certo, si sa già che il successore alla guida del gruppo sarà il quarto manager in cinque anni a ricoprire questa carica, indice del fatto che quella di TIM è una poltrona che scotta. Negli ultimi cinque anni molto

è dipeso dall’avvicendarsi di nuovi azionisti di maggioranza nel capitale della società, con interessi e aspirazioni in parte differenti, e dalla strategia di sviluppo del gruppo in un business, quello della telefonia mobile, sempre in enorme e continua trasformazione. Se, infatti, il brand TIM, come lo conosciamo oggi, è stato introdotto in Italia nel 1995 per iniziare a servire l’allora nascente business della telefonia mobile, oggi la strategia del gruppo punta soprattutto sulla distribuzione di contenuti in mobilità fruibili attraverso il traffico dat i . Contenuti che, stando alla relazione annuale del gruppo 2017, “devono essere di intrattenimento e non solo, disponibili attraverso importanti accordi di partnership con player nazionali e internazionali, produzioni e coproduzioni di opere inedite”. Su questo tema TIM ha ancora molto da lavorare. Ma molte delle speculazioni sul futuro passano da qui, dal versante dei contenuti. Sembra, infatti, che la clientela odierna non si accontenti più del semplice traffico dati. Spetta ora al nuovo management del gruppo provare a dare nuove risposte.


DIRITTO INTERNAZIONALE ED EUROPEO RICONGIUNGIMENTI FAMILIARI NELL’UE

Immigrazione e burocrazia: un connubio di difficile gestione

Di Luca Imperatore La riunificazione dei nuclei familiari nell’Unione Europea è regolata dalla Direttiva 2003/83, che stabilisce particolari condizioni per i rifugiati e i richiedenti asilo che intendono entrare nell’Unione a tale scopo. Le disposizioni della Direttiva ex art. 7(1) sono volutamente strutturate “a maglie più larghe” per i richiedenti asilo, al fine di permettere un agevole ricongiungimento anche qualora la documentazione, in possesso degli interessati, non sia completa o disponibile. Nei casi che coinvolgono tematiche migratorie, il ricongiungimento familiare è subordinato (o quanto meno successivo) alla procedura di immigrazione stabilita da un dato Paese membro. La Corte di Giustizia dell’UE (CGUE) ha recentemente pronunciato un’importante sentenza sul caso K. & B. (C380/17), interrogandosi su quale debba essere la sorte della procedura di ricongiungimento di titolari di protezione internazionale, qualora la richiesta venga introdotta oltre il tempo-limite di tre mesi e imponga, quindi, il pieno rispetto delle condizioni di cui all’art. 7(1) Direttiva 2003/83. K. è una cittadina afghana, madre di un minore residente nei

Paesi Bassi. A detto minore, nel 2012, era stata garantita protezione internazionale ma egli non aveva avanzato domanda di riunificazione familiare entro il termine previsto, vedendosi rigettare la domanda. B. è, invece, una ragazza eritrea alla quale i Paesi Bassi avevano garantito protezione nel 2014. Anche in questo caso, la domanda di ricongiungimento familiare è stata negata (al padre), poiché avanzata un mese oltre il termine ultimo. In entrambi i casi, i ricorrenti adducevano a motivazione del ritardo una carenza di informazioni o un’incomprensione con le autorità che avrebbero dovuto fornire loro il supporto legale necessario. La CGUE, nel decidere la questione, ha tenuto in considerazione la giurisprudenza in materia e l’approccio seguito dalla Corte europea dei diritti dell’uomo in relazione alla vita privata e familiare. Secondo i giudici della Corte, vigono i tradizionali princìpi di equivalenza ed effettività (il secondo dei quali vieta alle procedure nazionali di rendere eccessivamente difficoltoso o irrealizzabile lo scopo ultimo della norma europea). La Corte ha, quindi, ritenuto che il tempo-limite di tre mesi per la presentazione della domanda (come stabilito dalla normativa olandese) non rappresentasse per se un ostacolo al diritto

al ricongiungimento familiare, purché gli Stati informino debitamente i soggetti interessati. La decisione della Corte mostra come l’approccio olandese, che tende a differenziare tra ricongiungimento familiare di beneficiari di protezione internazionale e non, può essere mantenuto, non violando la Direttiva europea. Il fatto che una domanda di ricongiungimento avanzata oltre il termine dei tre mesi determini l’applicabilità dei requisiti sanciti dall’art. 7(1) della Direttiva non viola i diritti fondamentali dei ricorrenti. Ciò, sebbene possa apparire un problema secondario, determina conseguenze rilevanti, specialmente se si considera la grande icoltà diff che un richiedente asilo può incontrare nel ricevere e comprendere informazioni burocratiche, nonché nel reperire documentazione e informazioni attendibili circa il suo stato familiare. In questo caso, il lavoro fatto dalla Corte non si è basato sul bilanciamento proporzionato degli interessi (attuato, invece, dalla Corte EDU), bensì sulla necessità di non vanificare l’effetto utile della Direttiva, che risulta, in questo caso, pienamente salvaguardato. MSOI the Post • 19


DIRITTO INTERNAZIONALE ED EUROPEO PROGETTO SPECIAL

Sticky Policies per un’innovativa tutela della privacy

Di Stella Spatafora Siamo alla continua ricerca di spazi online, anche mediante l’uso di dispositivi diversi da computer e smartphone. L’Internet of Things è simbolo di ciò: oggetti in grado di connettersi e svolgere svariate funzioni. Proprio per il suo potere di permeare la quotidianità di tutti, l’IoT è sinonimo di problemi di privacy e sicurezza. Ciò ha reso evidente l’‘impreparazione’ dell’apparato normativo, che non ha dato molta importanza alla diversa natura dell’IoT, paragonando questioni a esso collegate a quelle delle tecnologie d’informazione tradizionali. Nell’IoT, però, ogni dispositivo può dare origine a una serie di risultati differenti. Oltre a ciò, tali dispositivi possono presentare carenze in termini di qualità (ad esempio, molti dispositivi non dispongono di una banda larga o di ampio spazio di memoria). Da ciò derivano più rischi per la sicurezza dell’oggetto; inoltre, dal punto di vista del produttore, investire nella sicurezza di tali dispositivi è ancora troppo dispendioso in relazione al loro valore. La tutela del diritto alla privacy e il rispetto della riservatezza degli individui risulta20 • MSOI the Post

no, però, essere fondamentali per assicurare la fiducia degli utenti nei confronti di tali tecnologie. Ciò consentirebbe l’instaurazione di un vero e proprio rapporto di fiducia tra utente e dispositivo smart, permettendo una diffusione migliore e più trasparente dell’Internet of Things. A tal fine, lo sviluppo di strategie e Regolamenti posti a garanzia di sicurezza e privacy individuale rappresentano un importante passo in avanti. È un percorso ancora in itinere che, però, ha già dato i suoi frutti, sia in ambito di ricerca sia di soluzioni disponibili sul mercato. Per ciò che riguarda la ricerca, in ambito europeo è stato condotto un promettente studio sulle Sticky Policies: un’area di ricerca sulla privacy che propone di ‘agganciare’ ogni dato creato alle policy richieste per un utilizzo adeguato e legittimo. Le Sticky Policies permetterebbero di identificare i dati trattati, il fine di utilizzo, il tipo di trattamento consentito, l’elenco di chi può averne accesso e di chi può trasmetterli; specificando, altresì, le caratteristiche minime di sicurezza, ecc. Le Sticky Policies sono al centro di uno studio della Commissione Europea a supporto del progetto SPECIAL (Scalable Policy-awarE linked data arChi-

tecture for prIvacy, trAnsparency and compLiance), effettuato da un gruppo di aziende private e università. Il progetto ha l’obiettivo di superare la contraddizione tra i Big Data, da un lato, e le questioni di privacy e sicurezza dei dati, dall’altro, proponendo una soluzione tecnica per creare un punto d’incontro tra innovazione tecnologica e sicurezza. In particolare, il progetto propone lo sviluppo di una tecnologia in grado di: supportare il consenso dell’utente nel momento di raccolta e registrazione di dati, in linea con le specifiche norme giuridiche; garantire un controllo di accesso e utilizzo delle informazioni; assicurare resistenza in termini di performance, scalabilità e sicurezza di tutti gli elementi necessari a garantire la privacy; rendere maggiormente comprensibili gli elementi di “privacy in Big Data”, in maniera tale da poter essere gestibili dai soggetti interessati, dai titolari del trattamento e dai responsabili del trattamento. Il progetto SPECIAL vuole quindi permettere a cittadini e organizzazioni di condividere sempre più dati, mantenendo elevate le garanzie di tutela e supportando così la fiducia tra i vari attori coinvolti nell’era 4.0.


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