MSOI thePost Numero 125

Page 1

30/11 -06/11

Il Settimanale di M.S.O.I. Torino


3 0 / 1 1

-

0 6 / 1 2

MSOI Torino M.S.O.I. è un’associazione studentesca impegnata a promuovere la diffusione della cultura internazionalistica ed è diffuso a livello nazionale (Gorizia, Milano, Napoli, Roma e Torino). Nato nel 1949, il Movimento rappresenta la sezione giovanile ed universitaria della Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale (S.I.O.I.), persegue fini di formazione, ricerca e informazione nell’ambito dell’organizzazione e del diritto internazionale. M.S.O.I. è membro del World Forum of United Nations Associations Youth (WFUNA Youth), l’organo che rappresenta e coordina i movimenti giovanili delle Nazioni Unite. Ogni anno M.S.O.I. Torino organizza conferenze, tavole rotonde, workshop, seminari e viaggi studio volti a stimolare la discussione e lo scambio di idee nell’ambito della politica internazionale e del diritto. M.S.O.I. Torino costituisce perciò non solo un’opportunità unica per entrare in contatto con un ampio network di esperti, docenti e studenti, ma anche una straordinaria esperienza per condividere interessi e passioni e vivere l’università in maniera più attiva. Lorenzo Grossio, Segretario M.S.O.I. Torino

MSOI thePost MSOI thePost, il settimanale online di politica internazionale di M.S.O.I. Torino, si propone come un modulo d’informazione ideato, gestito ed al servizio degli studenti e offrire a chi è appassionato di affari internazionali e scrittura la possibilità di vedere pubblicati i propri articoli. La rivista nasce dalla volontà di creare una redazione appassionata dalla sfida dell’informazione, attenta ai principali temi dell’attualità. Aspiriamo ad avere come lettori coloro che credono che tutti i fatti debbano essere riportati senza filtri, eufemismi o sensazionalismi. La natura super partes del Movimento risulta riconoscibile nel mezzo di informazione che ne è l’espressione: MSOI thePost non è, infatti, un giornale affiliato ad una parte politica, espressione di una lobby o di un gruppo ristretto. Percorrere il solco tracciato da chi persegue un certo costume giornalistico di serietà e rigore, innovandolo con lo stile fresco di redattori giovani ed entusiasti, è la nostra ambizione. Davide Tedesco, Direttore MSOI thePost 2 • MSOI the Post

N u m e r o

125

REDAZIONE Direttore Editoriale Davide Tedesco Direttore Responsabile Giusto Amedeo Boccheni Vice Direttori Luca Bolzanin, Luca Rebolino Caporedattori Arianna Salan, Fabrizia Candido, Matteo Candelari, Pauline Rosa, Luca Imperatore Capiservizio Fabrizia Candido, Guglielmo Fasana, Alessandro Fornaroli, Lorenzo Gilardetti, Vladimiro Labate, Pierre Clément Mingozzi, Andrea Mitti Ruà, Giacomo Robasto, Arianna Salan Media e Management Daniele Baldo, Guglielmo Fasana, Anna Filippucci, Vladimiro Labate, Jessica Prietto Editing Lorenzo Aprà, Adna Camdzic, Amandine Delclos Copertine Virginia Borla, Amandine Delclos Redattori Gaia Airulo, Erica Ambroggio, Amedeo Amoretti, Andrea Bertazzoni, Micol Bertolini, Davide Bonapersona, Maria Francesca Bottura, Fabrizia Candido, Federica Cannata, Daniele Carli, Debora Cavallo, Sabrina Certomà, Giuliana Cristauro, Andrea Daidone, Alessandro Dalpasso, Federica De Lollis, Francesca Maria De Matteis, Ilaria Di Donato, Tommaso Ellena, Anna Filippucci, Alessandro Fornaroli, Corrado Fulgenzi, Francesca Galletto, Lorenzo Gilardetti, Vittoria Beatrice Giovine, Lara Amelie Isaia Kopp, Michelangelo Inverso, Vladimiro Labate, Simone Massarenti, Rosalia Mazza, Davide Mina, Pierre Clément Mingozzi, Alberto Mirimin, Chiara Montano, Anna Nesladek, Virginia Orsili, Francesco Pettinari, Barbara Polin, Luca Pons, Jessica Prieto, Mario Rafaniello, Jean-Marie Reure, Valentina Rizzo, Giacomo Robasto, Federica Sanna, Martina Scarnato, Andrea Domenico Schiuma, Natalie Sclippa, Jennifer Sguazzin, Stella Spatafora, Diletta Sveva Tamagnone, Francesco Tosco, Alessio Vernetti, Elisa Zamuner. Vuoi entrare a far parte della redazione? Scrivi una mail a thepost@msoitorino.org!


IL SALUTO DI JACOPO FOLCO AI LETTORI DI MSOI thePOST Affidando ai lettori il ruolo di guardiani dei principi democratici il compito dell’informazione diviene difendere il discorso pubblico, trasmettere le notizie con il massimo grado di obiettività, non cedere al desiderio di compiacere, stimolare il contraddittorio lontani dalle polemiche urlate Questo sarà l’ultimo numero di MSOI thePost che avrò l’onore di firmare. Desidero ringraziare i lettori e i collaboratori di MtP per avermi concesso il privilegio inestimabile di realizzare un sogno, divenuto la mia casa e la mia famiglia. Ho affrontato questa esperienza con il massimo impegno, traendone grandi soddisfazioni, quasi sempre merito altrui. Certamente sviluppando un legame profondo che resterà, indissolubile. Sono felice che il mio ultimo atto da Direttore Editoriale sia cedere il testimone a Davide. Sin dagli inizi abbiamo condiviso la volontà di costruire una rivista diversa, ancorata agli storici valori della Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale, e legata soprattutto a quello spirito di servizio che la anima sin dal 1944. Il codice di comportamento della SIOI è così divenuto il linguaggio di un ginnasio rivolto ad ogni studente appassionato di scrittura e relazioni internazionali. Ho quindi la certezza che la nuova direzione innoverà questa testata senza dimenticarne l’identità editoriale, fondata sulla convinzione che per poter svolgere la loro funzione civile i giornali non possano avere altri padroni che i lettori, come altri scrissero prima di me. Affidando loro il ruolo di guardiani dei principi democratici, il compito dell’informazione diviene difendere il discorso pubblico, trasmettere le notizie con il massimo grado di obiettività, non cedere al desiderio di compiacere, stimolare il contraddittorio lontani dalle polemiche urlate. La nostra guida sono stati i fatti, passaggi necessari per giungere ad un giudizio consapevole, frutto naturale di moderatezza e obiettività. In questo ci siamo opposti ad una recente tendenza: far corrispondere alla crisi dei tempi quella del loro racconto. Questa è l’occasione più opportuna per ringraziare tutte le persone con cui ho lavorato. In questi tre anni ho conosciuto quasi centoquaranta colleghi universitari. Menti brillanti, dedite al lavoro, proiettate nella modernità ma mai dimentiche di ciò che insegna il passato. L’esperienza più gratificante della mia direzione sono stati i momenti di confronto con loro: li ringrazio della pazienza e di ciò che mi hanno trasmesso. Li ringrazio anche di aver dimenticato festività, serate e nottate per poter pubblicare articoli sempre di pregio, nati da un costante e delicato lavoro di indagine. L’esistenza stessa della testata si deve, innanzitutto, alla fiducia delle istituzioni che tuttora la supportano. Riconoscimento e gratitudine vanno innanzitutto ad Edoardo Greppi e Alberto Oddenino, Presidente e Segretario della sezione Piemonte e Valle d’Aosta della SIOI, che hanno creduto in questo progetto quando ancora non esisteva, ispirandone la nascita con indicazioni preziose e fondamentali consigli. Grazie a Franco Frattini e Sara Cavelli, Presidente e Direttore Generale della SIOI, per non aver fatto mancare parole di incoraggiamento e indirizzo che ricorderò sempre. Nel nostro primo anno di vita, Giulia Marzinotto è stata, in qualità di Segretario del club torinese di MSOI, una guida capace tanto di esigere qualità quanto di stimolare il germogliare di idee nuove. Il miglior editore concepibile. Alessia, Elisabetta, Lorenzo, Martina, Vladislav: in questa avventura, così come nella vita, vi siete dimostrati amici insostituibili. Grazie sopratutto a Davide. Mi permette di salutarvi con la consapevolezza che la redazione continuerà ad onorare il talento dei suoi autori. A lui e alla sua instancabile professionalità il compito di cucire addosso al giornale una veste nuova. L’abbiamo disegnata con lui, Giusto e Pilar in ore che non cesserò mai di ricordare. Per me è tempo di sbagliare da professionisti, come cantava Paolo Conte, quindi arrivederci dal vostro più affezionato lettore. Jacopo Folco

MSOI the Post • 3


EUROPA 7 Giorni in 300 Parole

BREXIT: UN “PERCORSO AD OSTACOLI” I risultati ottenuti e gli obiettivi da raggiungere

FRANCIA 24 novembre. Non accenna ad arrestarsi la protesta dei “Gilet gialli”. Nella giornata di domenica, infatti, oltre 80 mila manifestanti hanno invaso gli Champs-Elysées per protestare, ancora una volta, contro l’aumento delle tasse sui carburanti. La protesta, volta ad attirare l’attenzione del presidente francese, Emmanuel Macron, ha tentato di arrivare in rue de Faubourg, sede dell’Eliseo, rimanendo, però, bloccata all’ingresso di Place del la Concorde. 27 novembre. Il presidente francese Macron ha lanciato un nuovo “Patto sociale”. Secondo quanto riportato dalla stampa francese, il titolare dell’Eliseo reputerebbe necessario un cambio di rotta, un pensiero sorto dalle numerose polemiche relative agli scandali che hanno interessato il Presidente e il proprio entourage. Il focus, secondo Macron, deve essere posto sul “ricostruire la fiducia nelle società”, rinnovando argomenti ormai presenti sui tavoli delle discussioni da anni. ITALIA 28 novembre. Annuncio a sorpresa del ministro dell’Interno, Matteo Salvini. Durante la votazione parlamentare relativa al decreto sicurezza, il Vicepremier ha affermato che “l’Italia non firmerà il Global Compact for Migration”, documento 4 • MSOI the Post

Di Federica Cannata Domenica 25 novembre, i 27 Capi di Stato e di Governo dell’Ue hanno approvato l’accordo di uscita del Regno Unito dall’Unione. Si articola in due parti e regola questioni come il confine tra l’Irlanda del Nord e la Repubblica d’Irlanda, i diritti dei cittadini Ue, le spese di cui deve farsi carico a causa del recesso e, in ultimo, prevede un periodo di transizione che, fino a dicembre 2020, farebbe rimanere – in base al c.d. backstop – tutto il Regno Unito nell’unione doganale e nel mercato unico. Si tratta di un consenso tutt’altro che scontato visto che, da una parte, i leader dell’Ue avrebbero potuto chiedere ulteriori condizioni per la c.d. “parità competitiva”, ovvero avanzare nuove istanze. Dall’altra, Madrid minacciava di non votarlo per la questione di Gibilterra che, invece, si è risolta con l’accettazione da parte dell’UK di non estensione dell’accordo di divorzio anche all’enclave britannica, e di porre il veto a qualsiasi futuro accordo che la riguarda tra UK e Ue. La sfida più difficile però è il via libera dell’accordo dal Parlamento di Westminster – il voto è previsto per metà dicembre dove, tra divisioni interne alle fazioni e lo scontento del partito

nordirlandese, la trattativa non sembrerebbe essere sostenuta da una maggioranza. In effetti, una buona parte del partito conservatore ritiene che, a causa di questo accordo, il “sogno” dell’”indipendenza” del Regno Unito dall’Ue sia stato infranto e la sua posizione calpestata, al punto da ritenere che l’UK sia stato ridotto a “uno Stato schiavo” o a uno “Stato vassallo”. Certamente la May non incasserà il voto favorevole del partito nazionalista scozzese e del partito liberal-democratico, mentre sembrerebbe poter contare su qualche voto dell’ala laburista; sebbene la posizione ufficiale del partito laburista sia quella di opporsi a qualsiasi accordo che non soddisfi la condizione di godere delle stesse opportunità di cui si gode da Paese membro. La premier britannica comunque non sembrerebbe essere senza speranze, considerando che potrebbe convincere i più euroscettici che questo accordo sia da preferire a un possibile annullamento della Brexit, se venisse accolta (e vincesse) la proposta laburista di un referendum per rimanere nell’Ue; e i più moderati che questo accordo sia migliore rispetto ai rischi che potrebbero derivare dall’uscita senza un accordo.


EUROPA essenziale per la cooperazione in materia di politica migratoria e la cui firma è prevista tra due settimane a Marrakech. REGNO UNITO 28 novembre. In un clima di puro caos generato dagli ultimi avvenimenti legati alla Brexit, è giunta una doccia fredda da Westminster. Secondo quanto riportato da una “simulazione” effettuata da funzionari del governo, le stime annunciano un calo del Pil della Gran Bretagna del 3,9%, in caso di uscita di Londra dall’UE. Meno incoraggianti sono, inoltre, apparse le stime effettuate dalla Bank of England, che avrebbe parlato di un crollo del Pil, in 5 anni, di oltre il 10,5% con un generale impoverimento del Paese.

SVIZZERA 25 novembre. Bocciato il referendum che proponeva la sovranità giuridica della Svizzera rispetto ai trattati internazionali. Con il 67% di voti contrari, la Confederazione Elvetica ha rifiutato il tentativo, del partito Udc, di sovvertire l’ordine giuridico, con l’intento: “legge elvetica, fuori i giudici stranieri”. Soddisfazione da parte del governo di Berna che temeva ripercussioni sulla stabilità del Paese, anche in vista di una rinegoziazione del quadro di accordi bilaterali con l’UE. A cura di Simone Massarenti

LA COMMISSIONE EUROPEA BOCCIA DEFINITIVAMENTE IL DEF Il supporto da parte dell’ECOFIN è certo gravando in particolar modo su investitori e imprese e limitando, di conseguenza, gli investimenti – nazionali e dall’estero.

Di Rosalia Mazza Il 21 novembre 2018 la Commissione Europea ha pubblicato, seguendo le direttive dell’Art. 126(3) del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), un rapporto sulle condizioni economiche e finanziarie dello Stato italiano. Tale rapporto rappresenta una bocciatura definitiva del DEF (Documento di Economia e Finanza) proposto dall’attuale governo. Il fine ultimo del documento è valutare la procedura da seguire nei casi di deficit eccessivo, una procedura che “è parte del Patto di Stabilità e Crescita” concordato tra i 28 membri dell’UE. Come si legge nelle conclusioni di tale documento, il rapporto debito/ PIL dell’Italia “è il secondo più alto dell’Unione Europea e uno dei più alti al mondo. Nel 2017 ha rappresentato un onere medio di 37000 euro per abitante, oltre a un costo annuale per sostenerlo di 1000 euro per abitante”. Le previsioni per il 2019, se si applicasse il DEF, non sarebbero migliori: secondo la Commissione, infatti, tale manovra non agevolerebbe, anzi penalizzerebbe ulteriormente l’economia,

L’attuazione di una procedura d’infrazione nei confronti dell’Italia sembra inevitabile, ma il governo italiano non sembra cedere: i due vicepremier, Luigi Di Maio e Matteo Salvini, hanno espresso, seppur con toni differenti, la volontà di procedere con l’applicazione delle disposizioni contenute nel DEF, seppure condividano la necessità di evitare una procedura che, se applicata dall’UE, sarebbe deleteria per il nostro Paese. Il ministro dell’Economia Giovanni Tria e il presidente del Consiglio Giuseppe Conte sembrerebbero, invece, più aperti alla prospettiva di un’eventuale trattativa. In un incontro con il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker, con il commissario europeo per gli Affari Economici e Monetari Pierre Moscovici e con il vicepresidente della Commissione europea Valdis Dombrovskis, il Premier Conte e il ministro Tria hanno affrontato una Commissione che ritiene la procedura d’infrazione come inevitabile, in linea con i restanti membri dell’UE. Il premier Conte ha richiesto flessibilità e una maggiore cautela da parte della Commissione europea, in modo da non indebolire ulteriormente il mercato finanziario. Bisognerà attendere il summit Eurogruppo/ECOFIN previsto per il 3 dicembre 2018.

MSOI the Post • 5


NORD AMERICA 7 Giorni in 300 Parole STATI UNITI 23 novembre. Le autorità statunitensi hanno confermato il ripristino del controllo sugli incendi che, per settimane, hanno colpito lo Stato della California. Gli ultimi bilanci hanno fissato a 85 il numero delle persone che hanno perso la vita. Oltre 250 sarebbero, invece, i dispersi e più di 14 mila le abitazioni distrutte. 24 novembre. Pubblicato dal governo americano il Fourth National Climate Assessment, un rapporto relativo ai rischi e ai disastri che potrebbero essere generati dal cambiamento climatico. Le dichiarazioni rese note dalla Casa Bianca si sono poste, dunque, in netto contrasto con la posizione assunta finora dal presidente Trump in merito al riscaldamento globale. 25 novembre. Ordinata la chiusura temporanea degli accessi al territorio nordamericano situati a sud della città di San Diego. Il provvedimento è stato preso in seguito al tentato ingresso negli Stati Uniti da parte di centinaia di migranti, fermati dalle forze statunitensi mediante l’uso di gas lacrimogeni. Minacciata da Donald Trump “la chiusura permanente” del confine. 26 novembre. Condannato dagli Stati Uniti il sequestro messo in atto da Mosca ai danni di 3 navi ucraine presenti nello stretto di Kerch. Le accuse sono giunte in occasione di una riunione d’emergenza del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. 27 novembre. Donald Trump ha confermato la possibilità di aumentare i dazi, attualmente imposti sui prodotti cinesi, 6 • MSOI the Post

IL FINANZIAMENTO DEL PEACEKEEPING DA PARTE DEGLI STATI UNITI

L’evoluzione del sistema di finanziamento statunitense negli anni

Di Alessandro Dalpasso Il sistema di finanziamento del peacekeeping è stato ideato e studiato insieme alla nascita del fenomeno stesso, nei primi anni ‘60 del secolo scorso. Fin dagli albori di questa prassi, gli Stati Unitisi sono distinti per essere fra i contributori di primissimo piano. L’apice di questo trend, già in crescita, si è poi registrato nei primi anni ’90, quando la Casa Bianca contribuiva per un terzo del budget totale. Tuttavia, nel 1994 il Congresso ha votato e deciso in modo unilaterale di imporre un tetto finanziario. Da quell’anno, infatti, l’amministrazione statunitense non può contribuire, per legge, a più del 25%del budget totale del peacekeeping delle Nazioni Unite. La storia delle contribuzioni a stelle e strisce ha subito un’ulteriore evoluzione dal 1995 al 2002, quando il Congresso ha deciso di tornare sui suoi passi e decise di rimuovere l’ostacolo del tetto finanziario massimo, permettendo, di conseguenza, agli Stati Uniti di pagare, nella loro interezza, quanto dovuto. Nell’anno fiscale 2018-2019, però, l’amministrazione del presidente Trump ha destinato somme per il 28%, per un totale di 1,4 miliardi di dollari, delle

spese totali del Palazzo di Vetro nel campo del mantenimento della pace (attestandosi su un livello decisamente maggiore rispetto ad ogni altro Stato Membro). Questo è reso possibile dal fatto che dal 2013, sotto la presidenza di Barack Obama, è stato deciso di usare il sistema dei “crediti”, per colmare il gap tra il limite massimo di spesa e quanto è effettivamente dovuto all’ONU. Questi crediti si formano quando una missione di peacekeeping costa meno di quanto era stato stimato dal primo budget di previsione; i finanziamenti vengono quindi accantonati per essere riutilizzati nell’anno fiscale successivo. Non si tratta di un processo che avviene in automatico, poiché è il Congresso a decidere del loro utilizzo. Nel 2017, ad esempio, l’amministrazione Trump, in aperto contrasto con le politiche ONU, che sono poi sfociate nel ritiro del seggio USA dall’UNESCO, decise di non utilizzare i crediti dell’anno successivo e si attestò sul prestabilito 25%. Per rendere un’idea dell’enormità del problema di una soglia arbitraria basti pensare che se gli Stati Uniti per altri 3 anni si fermassero al 25% sarebbero in debito con le Nazioni Unite per più di 1 miliardo di dollari.


NORD AMERICA dal 10 al 25%. Le modifiche potrebbero entrare in vigore a partire dal prossimo 1 gennaio.

UN FUTURO SENZA ARMI PER IL CANADA? Liberali pronti a fare un nodo alle canne di pistole e fucili

28 novembre. Il colosso statunitense General Motors ha annunciato la chiusura di 5 stabilimenti. Oltre 14 mila sarebbero i posti di lavoro coinvolti nel taglio operato dalla società americana. Di Nicolas Drago

CANADA 23 novembre. Il premier Trudeau e il presidente messicano Enrique Pena Nieto hanno discusso, durante una conversazione telefonica, dell’imminente firma del nuovo USMCA, programmata in occasione del G20 di Buenos Aires, il 30 novembre. 24 novembre. In occasione dell’Holodomor Memorial Day, il Primo Ministro ha ricordato il ruolo decisivo della comunità ucraina locale nella costruzione dell’attuale società canadese. “Il Canada continua a stare con il popolo ucraino nei suoi sforzi per proteggere e preservare la propria sovranità”, ha affermato Justin Trudeau. 25 novembre. Il primo ministro Justin Trudeau ha celebrato la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne ricordando le attività svolte dal proprio governo a tutela dell’eguaglianza di genere. “La violenza di genere ci danneggia tutti e impedisce a intere comunità di raggiungere il loro pieno potenziale”, ha dichiarato il Premier canadese. A cura di Erica Ambroggio

L’aumento vertiginoso di episodi di violenza armata nei centri delle più importanti città canadesi sta costringendo la classe politica a riesaminare la normativa sulle armi da fuoco. A lanciare l’allarme sono stati i consigli comunali delle città di Toronto e Montréal che, a seguito degli incidenti del luglio e agosto scorsi, hanno demandato al governo federale la proscrizione di tutte la armi d’assalto. Il ministro per la sicurezza delle frontiere e per la riduzione del crimine organizzato Bill Blair è stato incaricato dal capo di governo Justin Trudeau di mettere al vaglio un disegno di legge, noto come Bill C-71, già approvato dalla Camera e attualmente in fase di prima lettura al Senato, con lo scopo di reintrodurre verifiche più approfondite del casellario giudiziario di chi intende acquistare armi, oltre a stabilire l’obbligo di presentare la licenza di porto d’armi al momento dell’acquisto; in aggiunta, le armerie dovranno curare registri dettagliati dei loro inventari e delle loro vendite per permettere alle forze di polizia e agli istituti statistici di consultare dati completi e accurati. A tal proposito, la discussione

serrata tra Liberali e Conservatori sulla messa al bando delle armi trova però entrambi i partiti d’accordo sulla necessità di creare un database federale che permetta di risalire all’origine delle armi con cui vengono commessi reati, generalmente reperite per mezzo del contrabbando alla frontiera con gli Stati Uniti - dove il diritto di possedere un’arma è difeso dalla solennità della Costituzione o attraverso il furto a spese dei cittadini che detengono pistole in casa legalmente. Al fine di arginare il fenomeno nel breve periodo, il ministro Blair ha annunciato recentemente lo stanziamento di ulteriori 86 milioni di dollari da destinare in via prioritaria alle strutture doganiere e all’addestramento del personale addetto ai controlli di frontiera. Sul piano internazionale, infine, il Canada si sta preparando a firmare e a ratificare il Trattato sul Commercio delle Armi (Arms Trade Treaty), entrato in vigore nel dicembre 2014 come strumento di garanzia della corretta regolamentazione degli Stati membri sul commercio internazionale delle armi, affinché esse non vengano impiegate per supportare il terrorismo, il crimine organizzato internazionale, la violenza di genere, e per violare i diritti umani o il diritto umanitario internazionale.

MSOI the Post • 7


MEDIO ORIENTE 7 Giorni in 300 Parole

IL CASO HEDGES E LA SOLITUDINE DEGLI ACCADEMICI

Le relazioni diplomatiche tra Regno Unito ed Emirati Arabi potrebbero non essere più le stesse

IRAN 25 novembre. Un sisma di magnitudo 6,3 della scala Richter ha colpito la provincia iraniana di Kermanshah. Si ritiene che l’epicentro fosse nei pressi di Sarpol-e Zahab. Il governatore della provincia, Hushang Bazvand, ha reso noto l’evento: il numero dei è deceduti, pari a 170, e il numero dei feriti, a 70. La provincia non è nuova a questo tipo di eventi, poiché solo un anno fa, un altro terremoto di magnitudo 7,3 ha ucciso 620 persone. Le onde del sisma sono state avvertite in ben 8 province iraniane e ha provocato feriti, nonché l’interruzione dell’erogazione di energia elettrica.

YEMEN 28 novembre. Secondo i dati del World Food Program, sono 14 milioni le persone che stanno soffrendo la fame in Yemen, dove si è verificato un calo nell’arrivo di grano. Le derrate alimentari sono infatti diminuite del 50% nelle ultime due settimane. La causa è che le compagnie marittime che riforniscono il Paese preferiscono proseguire e saltare lo scalo per via della grande insicurezza che le navi 8 • MSOI the Post

Di Lucky Dalena

magnanimità della corona.

Alle finestre di qualche municipio, su qualche terrazza, sventolano ancora le bandiere gialle di Amnesty che chiamano a gran voce la verità per Giulio Regeni. Una ferita ancora aperta per noi italiani, che ad oggi non sappiamo davvero cosa sia successo a Giulio, solo tra le strade del Cairo.

Al di là del lieto fine, il caso Hedges avrà delle conseguenze diplomatiche importanti. Gli equilibri relazionali fra i due paesi sono già incrinati a causa della posizione sul conflitto yemenita: gli Emirati, senza alcun dubbio, supportano la posizione Saudita, che però è vista come responsabile della grave crisi umanitaria in corso in Yemen, sia da parte dei britannici che da molti altri governi occidentali. Senza contare che l’Arabia Saudita è nell’occhio del ciclone anche per l’affare Khashoggi.

Gli accademici del mondo, determinati a servire la conoscenza, si muovono senza paura in contesti che molto spesso li portano a rischiare la vita. Una storia più a lieto fine della nostra è però quella di Matthew Hedges, dottorando alla Durham University, che ha potuto finalmente riabbracciare la moglie nei giorni scorsi. La sua ricerca lo ha portato negli Emirati lo scorso maggio, per analizzare il contesto di sicurezza nel Golfo, in particolare in relazione alle cosiddette primavere arabe. Qui, però, è stato arrestato e condannato in seguito alle accuse di spionaggio per conto dei servizi segreti. Accuse che il governo britannico nega categoricamente, mentre la controparte mostra un video di confessione a supporto della propria tesi e concede il perdono proprio nel giorno di festa nazionale, a sottolineare la

Proprio a causa di queste tensioni, come ha dichiarato a numerosi quotidiani inglesi la moglie di Hedges, il Foreign & ice Commonwealth Off ha provato la via di risoluzione più delicata, senza grandi reclami ma piuttosto molto dialogo a porte chiuse per negoziare la liberazione e il perdono dell’accademico inglese. In questo contesto, però, chi potrebbe davvero beneficiare delle tensioni è il grande nemico saudita, il Qatar: dopo l’embargo dello scorso anno, l’isolamento del piccolo paese del Golfo potrebbe attenuarsi, se le relazioni tra gli Emirati, e di conseguenza i partner sauditi, e i paesi occidentali dovessero tendersi ulteriormente.


MEDIO ORIENTE corrono stando attraccate al porto. Le città yemenite, infatti, sono sotto assedio dall’Arabia Saudita e dagli alleati, con il sostegno degli USA, per rovesciare i ribelli Houthi. Si noti che il porto di Hodeidah è la porta d’accesso al Paese per il 70% delle merci, compresi gli aiuti umanitari. Il porto ha una capienza di sette navi. Questa settimana ne è attraccata soltanto una.

L’ESERCIZIO DEMOCRATICO (O)STENTATO Secondo la monarchia bahrenita le elezioni sono state un successo: è veramente così?

Di Lorenzo Gilardetti

LIBIA 26 novembre. Il prezzo del petrolio riprende quota dopo due anni. Non è tuttavia un momento fortunato per il paese nordafricano poiché, proprio ora che il prezzo del greggio sta aumentando ed il governo di Tripoli è intenzionato ad aumentarne la produzione, i membri dell’OPEC hanno deciso di ridurla drasticamente, fino alla fine del 2019. Basti pensare che tra luglio e ottobre la produzione è passata da 670.000, a 1,28 milioni BPD, con una crescita che non si vedeva dall’inizio del conflitto quando la produzione era di circa 1,6 milioni di BPD. A cura di Andrea Daidone

Il 24 novembre scorso si sono tenute in Bahrein, Paese governato da una monarchia costituzionale, le elezioni parlamentari per l’assegnazione di 40 degli 80 seggi totali (il 50% sono assegnati dal re): 293 i candidati (mai così tanti dal 2002), e più di 350 mila gli aventi diritto al voto (50 mila in più rispetto all’ultima tornata elettorale). Ma non si può misurare da queste cifre e da quelle di un’affluenza record, sbandierate dal Bahrein all’opinione pubblica internazionale, la democrazia di un Paese nel quale la popolazione sciita è per la maggior parte esclusa dalla vita politica e l’opposizione al governo è stata prima indebolita e poi estromessa. Se già nel 2010 il partito di opposizione sciita Al-Wefaq, critico nei confronti della dinastia sunnita Al Khalifa a capo del Paese sin dal 2002, aveva disertato le elezioni, il 2011 aveva poi segnato una fase importante di rivolta sull’onda della primavera araba: ma le repressioni e gli arresti del biennio 2011-2012 mettevano fine agli entusiasmi che vedevano possibile un rinnovamento politico. Nel 2014 però Al-Wefaq era tornato all’attacco delle elezioni-farsa e aveva invitato la popolazione al boicottaggio,

suscitando una reazione forte: dopo aver guadagnato accuse di terrorismo e istigazione alla violenza da parte della corona, il leader Sheikh Ali Salman venne arrestato e poi condannato all’ergastolo, fino ad arrivare alla messa al bando del partito (sorte toccata anche alla forza di opposizione Waad) nel 2016. Oggi in Bahrein, dove le deboli voci contrarie alla monarchia hanno nuovamente invitato all’astensione, oltre alla libertà politica anche quella di stampa è pressoché inesistente: se infatti i più di 200 osservatori selezionati per garantire la correttezza nei seggi elettorali sarebbero membri di associazioni filogovernative, è provato da recenti fermi che sia sufficiente un tweet contrario al governo per essere arrestati. Sarebbero circa 4000 i detenuti politici oggi in un Bahrein che conta più di 1 milione di abitanti, e la cui monarchia può godere dell’appoggio nel golfo dell’Arabia Saudita e a livello internazionale di Regno Unito e USA, ma che nonostante ciò si trova a dover risollevare un’economia attualmente molto instabile. Anche alla dinastia Al Khalifa, da più di tre lustri al potere, il futuro impone una sfida importante. MSOI the Post • 9


RUSSIA E BALCANI 7 Giorni in 300 Parole ALBANIA 26 novembre. A Peja, in Kosovo, si è tenuto un incontro tra i rappresentanti del governo albanese e di quello kosovaro. Nel corso di questo evento, il primo ministro albanese Edi Rama ha dichiarato di appoggiare la decisione del Kosovo di aumentare dal 10 al 100% le tasse sui prodotti provenienti dalla Serbia e dalla Bosnia. In particolare, Rama ha definito la decisione di Pristina “una giustificata reazione politica al comportamento ostile tenuto dalla Serbia”.

ARMENIA 24 novembre. In vista delle elezioni parlamentari, che si terranno il prossimo 9 dicembre, migliaia di persone hanno manifestato per le strade e le piazze di Yerevan, per esprimere sostegno nei confronti di Nikol Pashinyan, candidato alle prossime elezioni.

KAZAKISTAN 26 novembre. Il premier canadese Justin Trudeau ha annunciato che il governatore generale del Canada, Julie Payette, si recherà in visita ufficiale in Kazakistan dal 3 al 5 dicembre. Si tratta della prima visita di un Governatore 10 • MSOI the Post

SI RIACCENDE LA TENSIONE TRA RUSSIA E UCRAINA

Navi ucraine attaccate e sequestrate nel mare di Azov

Di Lara Aurelie Kopp-Isaia Nella mattina del 25 novembre scorso, si è riaccesa la tensione tra Russia e Ucraina: la Guardia costiera russa ha speronato un rimorchiatore ucraino che accompagnava due navi militari dirette a Mariupol, uno dei principali porti ucraini che affaccia sul mare di Azov. Le imbarcazioni ucraine stavano per attraversare lo stretto di Kerch quando sono state intercettate dalla Marina russa, che ha aperto fuoco contro di loro. Dopo lo scontro, le navi sono state sequestrate e scortate fino al porto di Kerch. In base a un trattato del 2003 stipulato dai due Paesi, lo stretto di Kerch e il Mare di Azov sono definiti acque territoriali condivise. Ma, a seguito dell’annessione della Crimea, la Russia esercita un rigido controllo sul traffico navale, considerandole come proprie acque territoriali. Secondo alcuni analisti, le azioni russe possono essere considerate come un blocco economico. A seguito dello scontro, i due Paesi si sono accusati a vicenda. Kiev considera lo scontro come una diretta aggressione, poiché le navi stavano effettuando un trasferimento programmato e comunicato con largo anticipo. Invece, il Servizio di Sicurezza Federale russo (FSB) ha dichiarato che le navi, senza aver comunicato le loro inten-

zioni, erano “entrate in un’area temporaneamente chiusa delle acque territoriali russe”. Il Cremlino ritiene che l’Ucraina abbia provocato volontariamente la Marina russa. Dopo aver convocato d’urgenza il Consiglio militare, durante il quale ha dichiarato che l’Ucraina è stata vittima di un’aggressione pianificata, il presidente Poroshenko ha proposto al Parlamento d’introdurre la legge marziale che comporta una limitazione di alcune libertà e la concessione di poteri straordinari al governo. Il parlamento ucraino ha approvato la legge marziale, ma ne ha dimezzato la durata e limitato l’efficacia territoriale; la legge sarà in vigore solamente nelle regioni confinanti con la Russia. Si è trattato del primo scontro diretto tra Mosca e Kiev da quando la Crimea, nel 2014, è stata annessa alla Russia. Il Consiglio di sicurezza dell’ONU si è riunito in una sessione straordinaria: il Segretario dell’ONU Guterres ha invitato le parti a prendere provvedimenti volti a contenere l’incidente e a ridurre le tensioni. L’Alto rappresentante della politica estera Ue Mogherini ha dichiarato che “la situazione del mar di Azov dimostra come le tensioni e l’instabilità possano alimentarsi quando non si rispettano le norme basilari di cooperazione internazionale”.


RUSSIA E BALCANI canadese nel Paese. Julie Payette incontrerà il presidente Nazarbayev, e altri esponenti del governo kazako, al fine di intensificare le relazioni tra i due Paesi.

LA RUSSIA HA DISCRIMINATO LA COMUNITÀ LGBT

Una sentenza della CEDU mette in luce le discriminazioni russe

Di Vladimiro Labate

RUSSIA 25 novembre. Nello stretto di Kerch, all’uscita del Mar d’Azov, una nave dell’esercito russo ha intercettato e bloccato un convoglio di 3 navi ucraine accusate di essere entrate illegalmente nelle acque territoriali russe. Nel corso dell’operazione, una delle navi è stata speronata e 6 marinai sono rimasti feriti.

UCRAINA 26 novembre. Il Parlamento ucraino, con 276 voti a favore su 450, ha approvato la richiesta presentata dal presidente Poroshenko di reintrodurre la legge marziale in tutte le regioni costiere e in quelle confinanti con la Russia, a partire dal 28 novembre e per i successivi 30 giorni. La decisione è stata presa a seguito dell’incidente avvenuto il giorno prima nello Stretto di Kerch. A cura di Davide Bonapersona

Martedì scorso 27 novembre la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) si è espressa su un caso che vedeva opposti 7 attivisti LGBT russi e il Cremlino. La Corte ha stabilito che tra il 2009 e il 2014 Mosca ha discriminato la comunità LGBT non concedendole il permesso di svolgere manifestazioni pubbliche. Ciò avrebbe violato gli articoli 11, 13 e 14 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, i quali tutelano il diritto alla libertà di riunione, a un ricorso effettivo e al divieto di discriminazione. Alla base di queste violazioni ci sarebbe, secondo la sentenza, “il continuo rifiuto da parte delle autorità russe ad approvare le richieste degli organizzatori di tenere delle manifestazioni LGBT”. Tale rifiuto era “chiaramente motivato dalla disapprovazione delle autorità per il tema delle manifestazioni”. Per la CEDU, infatti, esso non poteva essere giustificato dalle preoccupazioni per l’ordine pubblico, che potevano sorgere dal pericolo delle contro-manifestazioni, in quanto “gli ufficiali di Mosca non hanno fatto sforzi adeguati per evitare questo pericolo”. Inoltre, per la Corte, la Russia ha violato il diritto ad un ricorso effettivo: le Corti di appello, a cui facevano ricorso gli organizzatori, non erano obbligate a esprimersi prima della data in cui la manifestazione

avrebbe dovuto tenersi; di solito, infatti, esse si esprimevano dopo la data prevista, respingendo il ricorso. La CEDU, nella sentenza, ha fatto espressamente riferimento a una sentenza simile del 2010, “ribadendo l’impegno” dei firmatari della Convenzione “a rispettare le sentenze finali della Corte”. Secondo la Corte, “la natura delle violazioni […] e il ripetersi del problema richiedevano un impegno sostenuto e di lungo periodo nell’adozione di misure generali”. Il presidente russo Putin ha affermato che la Russia non discrimina gli omosessuali. Secondo una ricerca del Centro per la Ricerca Sociale Indipendente del 2017, in Russia il numero dei crimini d’odio contro la comunità LGBT è raddoppiato negli ultimi cinque anni; tra le cause, ci sarebbe la “legge sulla propaganda gay” del 2013, che vieta di diffondere “la propaganda per le relazioni sessuali non-tradizionali” ai minori. Il 26 novembre, in seguito alla decisione della Corte regionale d’appello di Stavropol di non aprire indagini sul suo caso, Maksim Luponov ha dichiarato che ricorrerà alla CEDU per ottenere giustizia. Sarebbe stato sequestrato e picchiato dalla polizia in Cecenia durante un giro di vite che ha colpito la comunità omosessuale nella primavera del 2017. MSOI the Post • 11


ASIA E OCEANIA 7 Giorni in 300 Parole

ICERD: IL DINIEGO MALESIANO

Il governo malese non ratifica la convenzione ONU sull’eliminazione della discriminazione razziale

Di Daniele Carli CINA. 26 novembre. He Jiankui, scienziato cinese, ha annunciato la nascita dei primi due bebè geneticamente modificati. Il processo di “chirurgia genetica” alla quale i due embrioni sono stati sottoposti sarebbe stato finalizzato a introdurre un gene in grado di renderli più resistenti al virus dell’Hiv e ad altre malattie. La notizia ha immediatamente sollevato critiche all’interno della comunità scientifica mondiale e dell’opinione pubblica. Rappresenterebbe, infatti, un cambiamento epocale nel campo della genetica, ma dalle imponenti implicazioni sul piano dell’etica. Inoltre, se il fatto venisse confermato, si tratterebbe di un esperimento operato illegalmente, secondo l’ordinamento cinese. 28 Novembre. Il giornalista e fotografo cinese Lu Guang è scomparso nello Xinjiang, regione da tempo al centro della repressione della minoranza Uigura da parte del governo centrale. FILIPPINE. 29 novembre. Tre poliziotti sono stati condannati a all’ergastolo per l’uccisione di uno studente di 17 anni nell’ambito della guerra contro la droga intrapresa dal presidente Duterte. Si tratta della prima 12 • MSOI the Post

“Il governo del Pakatan Harapan non ratificherà l’ICERD”. Così si apre il comunicato dell’entourage del primo ministro malese Mahathir Bin Mohamed, trapelato il 23 novembre tramite la stampa nazionale. La decisione arriva dopo un intenso dibattito interno al Paese, nato successivamente al discorso tenuto lo scorso settembre da Mahathir all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, nel quale il Primo Ministro garantiva la ratifica delle rimanenti convenzioni ONU in materia di diritti umani. L’ICERD (International Convention on the Elimination of All Forms of Racial Discrimination) ha come obiettivo quello di condurre i firmatari ad impegnarsi nell’evitare qualsiasi forma di discriminazione razziale e nel dialogo tra le diverse entità etno-culturali presenti nel Paese al fine di raggiungere la parità dei diritti. Determinante ai fini del diniego è stata l’opposizione delle organizzazioni musulmane malay, timorose che la ratifica potesse ‘diluire’ i diritti garantiti loro dalla costituzione in nome dei principi di supremazia musulmana e malay. Difatti, in seguito all’indipendenza dal dominio britannico (1957), la disputa “razziale”, culminata

nel sanguinoso scontro del 13 maggio 1969 a Kuala Lumpur indusse i leader dei diversi gruppi etnici presenti all’interno del Paese - malay (60%) indiani (7%) e cinesi (23%) a sottoscrivere un “contratto sociale” suggellato dalla Costituzione Federale. In esso, la ripartizione di diritti e privilegi, ad esempio quelli concernenti la sfera lavorativa ed educativa, risulta essere appannaggio della maggioritaria etnia malay.“Il governo continuerà a difendere la Costituzione Federale nella quale è compreso il contratto sociale” recita ancora il comunicato governativo. La ratifica dell’ICERD richiederebbe, dunque, la modifica della Costituzione malese, raggiungibile esclusivamente tramite l’approvazione dei ⅔ del Parlamento e con delibera dei membri di governo. “Credo sia quasi impossibile al momento per noi ottenere una maggioranza dei ⅔”, spiega il Primo Ministro. Al momento, infatti, i due maggiori partiti all’opposizione, l’Organizzazione Nazionale dei Malesi Uniti (UMSO) ed il Partito islamista Se-Malaysia (PAS), sono fermamente contrari alla modifica della Costituzione; ulteriori passi in avanti da parte della Malesia verso la parità dei diritti dei propri cittadini sembrano a questo punto rimandati a data da definire.


ASIA E OCEANIA condanna dopo mesi di violenze messe in atto dalla polizia locale, la quale, con la giustificazione di dover effettuare operazioni antidroga, ha causato la morte di circa 5000 persone. TAIWAN. 24 novembre. In occasione delle elezioni amministrative, il partito della presidente Tsai Ing-wen, Partito Democratico e Progressista, ha subito una pesante sconfitta. In seguito a quello che è sembrato essere un plebiscito, la Presidente ha annunciato le proprie dimissioni da leader del partito, portando, tuttavia, a termine il proprio mandato presidenziale. Grande vincitore di queste elezioni è, invece, stato il partito filocinese KMT. Si ipotizza, tuttavia, in una possibile interferenza cinese. 24 novembre. Contemporaneamente alle elezioni amministrative, i cittadini taiwanesi sono stati chiamati ad esprimersi in merito alla legalizzazione dei matrimoni omosessuali. Il risultato del referendum è stato negativo. Tuttavia, la natura puramente consultiva di tale referendum, non obbliga le autorità a retrocedere dall’impegno preso in seguito a una decisione della Corte Costituzionale. Quest’ultima, nel 2017, aveva, infatti, approvato tale legalizzazione, facendo di Taiwan il primo Stato asiatico a riconoscere tale diritto e concedendo all’esecutivo 2 anni di tempo per effettuare i dovuti interventi. Amnesty International continua a fare pressione sul governo affinché non faccia marcia indietro. A cura di Micol Bertolini

AUSTRALIA : REVOCA DELLA CITTADINANZA AI TERRORISTI Il governo propone l’emendamento del Citizenship Act

Di Virginia Orsili Il primo ministro australiano Scott Morrison ha messo in agenda una serie di provvedimenti nell’ambito della lotta al terrorismo. “Quelli che commettono atti di terrorismo hanno rigettato tutto ciò in cui questo Paese crede”, ha dichiarato Morrison giovedì 22 novembre, durante una conferenza stampa a Sydney. L’esecutivo ha espresso l’intenzione di promuovere nuove leggi per rendere più semplice la revoca della cittadinanza australiana e l’espulsione di tutti coloro accusati di aver commesso atti di natura terroristica. La decisione nasce in un contesto di tensione tra l’esecutivo conservatore e la comunità musulmana. Morrison ha infatti dichiarato che i leader musulmani hanno una “responsabilità particolare” nel prevenire atti di violenza commessi in nome dell’Islam. Responsabilità che si applicherebbe quindi all’escalation di violenza delle ultime settimane. Infatti, il 20 novembre, sono stati arrestati tre cittadini australiani di origine turca nel corso dell’organizzazione di una sparatoria di massa a Melbourne. Meno di due settimane prima, un uomo di origini somale ha accoltellato tre persone, uccidendone una. Le autorità hanno dichiarato che tutti e quattro gli uomini

erano ispirati dalla propaganda del sedicente Stato Islamico e hanno classificato tali atti come “terroristici”. In risposta, i leader musulmani hanno boicottato un incontro organizzato dal primo ministro. In una lettera aperta, si sono dichiarati “preoccupati e contrariati” dalle sue recenti affermazioni. “In questo modo - aggiungono - si sostiene che l’intera comunità sia colpevole degli atti criminali commessi da singoli individui. Queste affermazioni non portano a nulla, se non all’allontanamento di grandi segmenti della comunità musulmana dal Paese”. Il Citizenship Act, in vigore dal 2007, consente di revocare la cittadinanza australiana ai condannati ad almeno 6 anni di prigione per terrorismo e solo quando in possesso di una doppia cittadinanza. Morrison ha definito questi limiti “non realistici”, e mira a rendere possibile la revoca anche nel caso in cui un individuo accusato di terrorismo abbia la possibilità di ottenere la cittadinanza in un altro Stato in virtù della nazionalità dei suoi genitori o nonni. Il governo intendeva presentare la proposta di emendamento durante l’ultima sessione parlamentare dell’anno, apertasi lunedì 26 novembre scorso, ma a seguito di alcune modifiche dell’ultimo minuto, probabilmente volute da Turnbull, i laburisti hanno chiesto e ottenuto una dilazione.

MSOI the Post • 13


AFRICA 7 Giorni in 300 Parole CHAD 28 novembre. In occasione della visita del presidente Idriss Deby in Israele, il primo ministro Benjamin Netanyahu ha annunciato che “visiterà, a sua volta, lo Stato africano”. Tale incontro ha rappresentato la prima occasione, per i due leader politici, di reciproco impegno in una visita ufficiale, da quando i due Paesi hannointerrottoleproprierelazioni diplomatiche nel 1972, a causa del mancato riconoscimento da parte del Chad dello Stato di Israele e del riconoscimento concesso all’Autorità Nazionale Palestinese. KENYA 27 novembre. La prima conferenza globale sull’economia blu, riguardante le risorse ittiche, si è aperta a Nairobi, con la partecipazione di circa 18 mila persone. L’obiettivo del forum è quello di confrontarsi sulle possibili attività da implementare per rendere sostenibile questo tipo di industria. Attenzione particolare è stata rivolta ai Paesi in via di sviluppo, che trovano sostegno nello stesso presidente del Kenya, Uhuru Kenyatta. REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO 27 novembre. Le elezioni che si terranno nel Paese il prossimo 23 dicembre potrebbero rappresentare il primo passaggio di poteri democratico nella storia della RDC. Il Consiglio di Pace e Sicurezza dell’Unione Africana ha, dunque, esortato l’Unione Europea ad annullare le sanzioni applicate nei confronti del candidato scelto da Kabila per la successione, nel timore che queste misure possano 14 • MSOI the Post

VIOLENZE IN KENYA

Il recente rapimento della cooperante italiana Silvia Romano tra terrorismo di Al Shabaab e violenza di Stato

Di Jessica Prieto La sera del 20 novembre, Silvia Romano, giovane attivista della Onlus marchigiana Africa Milele, è stata rapita a Galana Kulalu, villaggio dell’area rurale Chakama, nel sud est del Kenya. La zona in cui è avvenuto il rapimento è considerata un’area non pericolosa, nonostante sia conosciuta come zona soggetta ad infiltrazioni di cellule terroristiche e reclutatori fondamentalisti. La ragazza era arrivata in Kenya da pochi mesi e stava partecipando ad un programma di cooperazione finalizzato alla costruzione di un orfanotrofio. Nel villaggio di Galana Kulalu, le persone vivono in condizioni difficili: i cittadini hanno accesso limitato a cibo e acqua, a causa dell’inquinamento del fiume che attraversa la regione. Secondo le notizie diffuse da alcune testate internazionali nell’ultima settimana, i responsabili del rapimento sarebbero 3 uomini armati, che nel corso dell’incursione nel villaggio hanno ferito altri 5 individui. All’indomani del sequestro, la polizia aveva già arrestato 14 persone che pare fossero in contatto con i veri rapitori. Gli stessi abitanti, per trovare

i presunti colpevoli, si sono organizzati in una caccia all’uomo. La ricerca di giustizia individuale è stata subito bloccata dalle forze di polizia, che hanno inoltre smentito ogni responsabilità della cellula terroristica somala di Al Shabaab. Nonostante la smentita, è necessario ricordare che, in queste zone, l’infiltrazione dell’organizzazione terroristica è ancora forte. La zona del rapimento è famosa per il fenomeno dei ‘returnees’: giovani che scappano dai campi di addestramento di Al Shabaab e che, rimanendo esclusi dai programmi di riabilitazione governativi, si ritrovano a vivere come banditi nelle foreste al di là del fiume Galana, dove appunto sarebbero scappati i rapitori di Silvia. Come altri Paesi dell’Africa, anche il Kenya vive contraddizioni e conflitti interni, alimentando un clima di costante violenza, da cui molti scappano, cercando di arrivare in Europa. Attivisti come Silvia, che quotidianamente lavorano in Paesi meno fortunati del nostro, stanno perciò cercando di ‘aiutarli a casa loro’ e il loro impegno dovrebbe essere riconosciuto e sostenuto in patria, non criticato e fatto oggetto di parole d’odio.


AFRICA spingere il Presidente uscente a non abdicare al potere, che detiene dal 2001.

SUD SUDAN 23 novembre. Come conseguenza diretta del ritorno della stabilità nel Paese, a seguito della conclusione del conflitto, nei prossimi mesi il Sud Sudan dovrà far fronte al ritorno in patria di almeno 3 milioni di profughi, secondo quanto affermato dal ministro per gli Affari Umanitari Hussein Mar Nyout. La questione dei profughi è legata a quella degli aiuti umanitari necessari a favorire il loro reintegro, che il Ministro stima essere circa 1.5 miliardi di dollari, con appello a donatori internazionali e agenzie ONU. TANZANIA 26 novembre. Il leader del principale partito di opposizione della Tanzania, Chadema, è stato arrestato, con una collega, con l’accusa di non essersi presentato in tribunale per 2 volte. Al politico è stato contestato il reato di proteste illegali. Il Segretario generale del partito ha protestato contro l’arresto, affermando che, ai suoi colleghi, “sia stato negato il rilascio dietro cauzione” e che, dunque, i due imputati non siano nella condizione di difendersi dalle accuse in modo appropriato. A cura di Guglielmo Fasana

NIGERIA, L’ AFFAIRE ENI-SHELL PROSEGUE Dal 2011, stimate a 6 miliardi di dollari le perdite subite dal Paese africano

Di Francesco Tosco I riflettori sono puntati di nuovo su quello che è stato definito “il processo del secolo”, ovvero l’inchiesta partita dal tribunale di Milano sull’accordo siglato dal governo nigeriano con i due giganti energetici ENI e Shell nel 2011. Al processo sono chiamati in qualità di imputati oltre alle due società, altre 13 persone tra cui l’amministratore delegato di ENI, Claudio Descalzi, con il suo predecessore. Oggetto del processo è il contratto con cui i due colossi dell’energia hanno acquisito i diritti di sfruttamento di uno dei più ricchi giacimenti petroliferi del Delta del Niger, OPL245. Secondo l’accusa, le due compagnie avrebbero versato una somma di circa 1,3 miliardi di dollari, sapendo che gran parte di questo denaro sarebbe finito non nelle casse dello Stato, bensì in tasche private. Le indagini hanno ricostruito che l’allora ministro del Petrolio nigeriano Dan Etete ha ricevuto questa somma di denaro tramite una società occulta di sua proprietà, chiamata Malabu. In seguito, il Ministro avrebbe usato i soldi per corrompere

burocrati locali ed esponenti chiave del governo, compreso l’ex Presidente. A dare nuovo vigore all’accusa, l’associazione Global Witness, che ha recentemente pubblicato le proprie indagini svolte sul caso. Il contratto di sfruttamento di OPL245 è stato concluso con un forte vantaggio delle compagnie petrolifere a danno dello Stato nigeriano, che l’associazione stima aggirarsi attorno ai 6 miliardi di dollari. Il caso di Eni e Shell è un esempio di come le immense risorse di un Paese possano portare profitto soltanto a pochi. Ava Lee, attivista di Global Witness, parla di come quei soldi sarebbero potuti servire per formare 6 milioni di nuovi insegnanti, oltre che per potenziare svariati altri ambiti in cui il Paese risulta molto carente. Si spera che la scia di questo maxi-processo possa portare al cambiamento dell’industria petrolifera e del modo con cui essa conduce i propri affari all’estero. Si parla già di un possibile nuovo accordo che potrebbe subentrare al precedente. Starà al presidente nigeriano Buhari avere l’ultima parola, anche se in molti lo sconsigliano dall’accettare.

MSOI the Post • 15


AMERICA LATINA 7 Giorni in 300 Parole BRASILE 26 novembre. La deforestazione in Amazzonia è cresciuta del 13,7%, secondo quanto riportato dai dati ufficiali del governo brasiliano, con una superficie totale distrutta pari a 7900 km quadrati; l’indice peggiore degli ultimi 10 anni. Secondo il ministro brasiliano dell’Ambiente, Edson Duarte, si tratterebbe di una conseguenza diretta dell’ingente presenza di criminalità organizzata nel Paese.

HONDURAS 27 novembre. Il fratello del presidente dell’Honduras Juan Orlando Hernandez è stato accusato, da una Corte statunitense, a di traffico di drog . Nello specifico, sarebbe sospettato di aver fornito protezione armata durante gli spostamenti delle sostanze stupefacenti in Honduras, Messico e Colombia. Arrestato il 23 novembre a Miami, è sospettato di aver commesso 4 reati. Per tre di questi, è previsto l’ergastolo.

MESSICO 26 novembre. In seguito al tentativo, da parte di un centinaio di migranti della carovana proveniente dall’America centrale, di superare illegalmente il confine tra Messico e USA presso San Ysidro, la 16 • MSOI the Post

FERVORE A BUENOS AIRES

L’Argentina si prepara al G20 di venerdì 30 novembre e sabato 1 dicembre

Di Davide Mina Buenos Aires ospiterà questo venerdì e sabato il tredicesimo G20. In questa occasione, le autorità argentine dovranno risolvere diversi problemi, tra cui la messa in sicurezza della Capitale; secondo le previsioni, infatti, dei cortei di protesta inizieranno la sera del giovedì e non finiranno prima di domenica. È stato perciò ordinato che i negozi rimangano serrati durante tutta la durata del G20 e che i distretti commerciali centrali vengano chiusi al pubblico: l’Amministrazione non ha trovato altro e misure per far fronte ai manifestanti. Il Ministro della Sicurezza nazionale, Patricia Bullrich, in un’intervista televisiva, ha consigliato ai cittadini di Buenos Aires, di approfittare del weekend lungo per farsi una vacanza fuori dalla città con la famiglia; aggiungendo poi che Buenos Aires è pronta ad assicurare la pace con 22.000 unità tra ufficiali di polizia e altre forze di pubblica sicurezza. Ma questo fine settimana vedrà contrapposti anche diversi poteri, come quello giudiziario e quello politico.

Il 28 novembre, infatti, un procuratore argentino ha domandato formalmente chiarimenti all’Arabia Saudita e allo Yemen; a seguito della denuncia sporta lunedì 19 novembre dalla ONG Human Rights Watch (HRW), che accusa il principe Mohammed bin Salman dell’omicidio del giornalista dissidente Jamal Khashoggi. Potrebbe essere il primo passo per procedere penalmente in Argentina contro il principe saudita, applicando il principio di giurisdizione universale. Il procuratore ha inoltre chiesto alla Cancelleria argentina di specificare lo status di Salman, come previsto dalla Convenzione di Vienna sui diplomatici del 1963. Il figlio del re Salman era giunto a Buenos Aires poco prima, la mattina del 28 novembre, primo tra tutti i leader del G20. Eppure, a causa dei tempi della domanda del processo giudiziale, sembra che non sarà arrestato: le autorità diplomatiche locali hanno assicurato che ci vorranno 48 ore per rispondere all’appello del procuratore. Nel frattempo il principe ereditario è stato trasportato nella sede dell’ambasciata del suo Paese in Buenos Aires, dove, poco dopo, tutte le finestre sono state serrate.


AMERICA LATINA frontiera è stata temporaneamente chiusa. La riapertura è avvenuta solo dopo la l’impegno, manifestato dal ministro degli Interni messicano Alfonso Navarrete, di rimpatriare i migranti autori del gesto.

SCONTRI AL CONFINE TRA MESSICO E USA Alcuni migranti hanno provato a scavalcare le recinzioni, i soldati statunitensi hanno risposto con lacrimogeni

NICARAGUA 27 novembre. Trump ha firmato un ordine esecutivo per sanzionare, ancora una volta, il Nicaragua e personalità vicine a Ortega. La decisione è giunta in seguito alle continue violazioni dei diritti umani perpetrate dalle autorità nazionali e alla sempre più palese involuzione del processo di democratizzazione del Paese. Dallo scorso aprile risultano più di 350, i morti in seguito alle manifestazioni dell’opposizione, accompagnati da almeno 2000 feriti.

VENEZUELA 27 novembre. Le opposizioni venezuelane, unitesi nel Frente Amplio Venezuela Libre, si stanno organizzando per svolgere alcune proteste pacifiche contro il presidente Maduro. L’obiettivo è quello di “aumentare la pressione sulla dittatura per porre fine all’usurpazione”, in modo da impedire il rinnovo del mandato presidenziale a partire dal prossimo 10 gennaio.

A cura di Sabrina Certomà

Di Elisa Zamuner Domenica 25 novembre un gruppo di 500 migranti, giunti in Messico in queste ultime settimane dopo aver viaggiato in carovana per più di 4000 km, ha marciato per le strade di Tijuana, città al confine con gli USA; dalla città la protesta si è spostata fino ad arrivare al confine con la California. A quel punto, alcuni tra i manifestanti sono riusciti a superare il cordone di sicurezza e hanno cominciato a correre verso le recinzioni per scavalcarle. I soldati statunitensi di guardia al confine hanno iniziato a sparare gas lacrimogeni sulla folla per far sì che si disperdesse e tornasse indietro. L’uso dei lacrimogeni ha colpito anche diverse donne e bambini e ciò ha scatenato diverse polemiche. Secondo Rodney Scott, ufficiale dei Border Patrol agents ovvero la polizia di frontiera, i migranti avrebbero aggredito i soldati lanciando loro pietre, provocando la dura risposta: “abbiamo provato a colpire solo gli istigatori, in particolare quelli che avevano assalito gli agenti, ma una volta che quel tipo di gas viene lanciato si disperde nell’aria”. La ONG American Friends Service Committee (AFSC) ha duramente criticato le modalità di repressione utilizzate

dai soldati. Pedro Ríos, direttore del Mexico Border Program dell’AFSC ha dichiarato che “le autorità statunitensi dovrebbero investire le loro risorse nell’elaborazione delle richieste di asilo e nella tutela dei diritti umani”. La risposta del governo Usa non si è fatta attendere: il valico di San Ysidro è stato immediatamente chiuso per qualche ora ed il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha autorizzato i militari ad usare tutta la forza necessaria. Il ministro dell’Interno messicano, Alfonso Navarrete, ha assicurato che verranno aumentate le misure di sicurezza ai confini e ha dichiarato di aver già deportato centinaia di migranti arrestati domenica. La gestione della crisi però vedrà come protagonista, assieme a Trump, il nuovo presidente del Messico López Obrador, che si insedierà il prossimo 1 dicembre. Il nuovo governo messicano vorrebbe infatti lavorare ad un nuovo accordo con gli Usa per rimodellare il sistema di asilo statunitense, rivelatosi debole ed impotente dinanzi alle numerose richieste inoltrate dai migranti; inoltre il Messico necessiterebbe ulteriori risorse per accogliere i migranti, ora stipati al confine. MSOI the Post • 17


ECONOMIA TURCHIA: LE CAUSE DI UNA CRISI SUPERABILE L’inflazione tocca il 25% e Erdogan riapre il dialogo con l’Europa

Di Alberto Mirimin Da quando Recep Tayyip Erdoğan è stato nominato, nel 2003, Primo Ministro della Repubblica di Turchia, il PIL pro capite del Paese è passato da 2.500 a 10.000. Milioni di persone sono uscite dalla povertà e, ad oggi, secondo i dati del Fondo Monetario Internazionale, la Turchia è la 16° potenza economica del mondo. Tuttavia, il Paese, soprannominato Mezzaluna sul Bosforo, da diversi mesi si trova in una condizione di dura crisi economica. L’Istituto statistico turco (TurkStat) ha riferito che l’inflazione anno su anno a ottobre è stata del 25,2%, rispetto al 24,5% di settembre. Inoltre, parallelamente a questo fenomeno, si sta assistendo ad una svalutazione della moneta locale, lo YTL (Yeni Türk lirasi, Nuova Lira Turca), che ad ottobre faceva segnare una diminuzione del valore rispetto all’inizio del 2018 pari a circa il 40%. I prezzi, conseguentemente, sono aumentati del 2,67% rispetto al mese precedente. Ma come si spiega questa recessione? In pratica, essa é dovuta alla quasi totale dipendenza turca 18 • MSOI the Post

dagli investimenti esteri. Infatti, il modello proposto dall’amministrazione Erdogan, basato principalmente sul settore dell’edilizia (dalla fine degli anni ‘90, la produzione industriale si è ridotta da oltre il 22% dell’economia a circa il 16%), non richiede molta innovazione e ricerca, quanto piuttosto un continuo flusso di capitale in prestiti esteri. Qui sorge il problema: dopo il rialzo dei tassi della Fed, che ha rafforzato la valuta americana, le società turche si sono ritrovate con uno squilibrio nella bilancia commerciale, dato che prendono a prestito in dollari mentre i loro clienti pagano in lira turca, oggi svalutata. Quindi, per ottenere i dollari necessari a rimborsare i loro prestatori, esse sono costrette a guadagnare quantità di lire sempre maggiori. A ciò, poi, si aggiunge il fatto che il turismo è drasticamente diminuito e quindi non più capace di compensare le uscite, aggravate inoltre dal fabbisogno energetico, che la Turchia importa quasi interamente. Il risultato è eloquente: nel solo periodo gennaio-luglio di quest’anno il Paese ha importato circa 143 miliardi di dollari e ne ha esportati circa 96, registrando un deficit di cir-

ca 47 miliardi di dollari (il 5,5% del PIL). In questo contesto, Erdogan sta cercando di spostare l’attenzione, additando la causa della svalutazione della lira al complotto straniero. Da qualche mese, a seguito dell’arresto in Turchia del pastore Andrew Bonson, accusato di essere una spia, le relazioni diplomatiche fra Turchia e USA sono molto tese. Con l’obiettivo di prendere le difese del proprio cittadino, Trump ha, infatti, annunciato di voler raddoppiare i dazi sull’acciaio e sull’alluminio provenienti dalla Turchia, minacce alle quali Erdoğan ha risposto parlando di boicottaggio verso i prodotti elettronici fabbricati negli Stati Uniti e di imposizione di dazi su alcuni beni americani. In vista di questa situazione, l’attuale Presidente della Repubblica turco ha dovuto cercare aiuto altrove. Infatti, oltre all’investimento di 15 miliardi promesso in agosto dal Qatar, la Turchia, dopo un anno e mezzo di stallo, ha ufficialmente ripreso il dialogo con la UE, che, dati alla mano, rimane il suo principale partner commerciale, con la Germania saldamente in testa.


ECONOMIA AMAZON DIVIENE OPERATORE POSTALE ED ENTRA A PIENO TITOLO NELLA LOGISTICA ITALIANA Il colosso dell’E-commerce é di fatto un nuovo concorrente di Poste Italiane

Di Giacomo Robasto Il punto di forza di Amazon, che gli ha consentito di diventare il portale di E-commerce per eccellenza non solo negli Stati Uniti ma anche nell’Unione Europea, è la logistica. É innegabile, infatti, che alla base del successo del gigante americano che fa capo a Jeff Bezos vi siano l’efficienza dei magazzini, nonché la rapidità delle operazioni di smistamento e trasporto delle merci, consegnate a casa degli utenti nel minor tempo possibile. Tuttavia, nonostante la notorietà già raggiunta anche in Italia, Amazon ha erogato per parecchi mesi servizi postali senza licenza. Per questo motivo, nello scorso mese di Agosto, l’AGCOM (autorità italiana per le garanzie nelle comunicazioni) non ha esitato a comminare ad Amazon Italia una multa salata, pari a 300mila Euro. L’autorità garante, infatti, in seguito ad un’analisi di mercato sui servizi di consegna dei pacchi, ha riscontrato che il gruppo Amazon svolgeva, nel ben più esteso perimetro di attività della filiera del commercio online, anche attività postali. E ha quindi deciso di deliberare la sanzione massima prevista dalla legge in

caso di operatività senza titolo autorizzativo. Vista l’entità non trascurabile della sanzione amministrativa, la reazione di Amazon non si é fatta attendere. Infatti, dopo la presentazione della richiesta di accreditamento presso il Ministero dello Sviluppo Economico avvenuta a metà ottobre, é di questa settimana la notizia secondo cui Amazon rientra ora nella lista dei 4463 operatori postali in Italia. Le due società attraverso le quali l’azienda americana opera nel Belpaese, “Amazon Italia Logistica” e “Amazon Italia Transport”, entrambe di diritto italiano a responsabilità limitata, entreranno quindi in concorrenza con i maggiori player del mercato italiano come Poste Italiane, che detiene una quota di circa il 30% nel trasporto di pacchi e corrispondenza di carattere B2C (ossia “Business to Consumer”). Il nuovo status di Amazon in Italia implica molteplici novità organizzative nelle due società affiliate operanti in Italia. D’ora in avanti, infatti, “Amazon Italia Logistica” e “Amazon Italia Transport” dovranno sottostare alla vigilanza dell’AGCOM, che impone una tassa comune a tutti gli operatori postali, pari all’1,4

% dei ricavi totali. Inoltre, vi é una buona novità anche per i lavoratori. Amazon sarà tenuta ad inquadrare i suoi dipendenti in base alle norme previste dal Contratto Nazionale del settore postale, secondo quote prestabilite. Una differenza non da poco, visto che finora i suoi lavoratori sono stati sottoposti alle più generiche regole del settore logistico. In un mercato sempre più florido come quello della logistica, il settore dei corrieri espressi in Italia fa registrare ogni anno crescite rilevanti. Stando ai dati del Politecnico di Milano, l’ultimo dato disponibile relativo a questo settore è relativo al fatturato 2016, che ha raggiunto i 6,2 miliardi di Euro. É tuttavia difficile, al momento, prevedere con certezza se Poste Italiane, per effetto di Amazon, vedrà ridursi la propria quota di mercato o meno. In ogni caso, la capillarità del servizio sul territorio nazionale in mano a Poste Italiane é difficile da mettere in discussione, almeno a medio termine. Il debutto ufficiale di Amazon come fornitore di servizi postali é destinato a rappresentare uno stimolo importante, che porterà tutti i concorrenti a migliorare l’efficienza dei servizi offerti.

MSOI the Post • 19


DIRITTO INTERNAZIONALE ED EUROPEO PALESTINA c. STATI UNITI: IL CASO DAVANTI ALLA CIG Il trasloco dell’ambasciata statunitense fonte di nuove tensioni tra i due Stati

Di Pierre Clément Mingozzi Che l’inaugurazione della nuova ambasciata statunitense a Gerusalemme potesse essere un casus belli per ulteriori tensioni e violenze era scontato. Che la Palestina decidesse di intraprendere anche la via del contenzioso internazionale, un po’ meno. Eppure, è proprio ciò che è avvenuto. Il 28 settembre scorso, infatti, la Palestina si è rivolta uffi cialmente alla Corte Internazionale di Giustizia (CIG) chiamando in causa gli Stati Uniti per la (presunta) violazione della Convenzione di Vienna sulle Relazioni Diplomatiche (1961), che sarebbe risultata dal trasferimento della rappresentanza diplomatica statunitense da Tel Aviv a Gerusalemme. A tal proposito la Palestina ritiene che sia proprio lo special character di Gerusalemme, riconosciuto diffusamente dalla comunità internazionale, a venir meno conseguentemente alla decisione degli Stati Uniti. Tale azione, dunque, comporterebbe la violazione della Convenzione in quanto “It is undeniable that the Convention was conceived as a tool for the pacification of international relations”. Inoltre, e più specifi20 • MSOI the Post

catamente, la Palestina sostiene che l’art. 3 della Convenzione imponga alle rappresentanze diplomatiche di svolgere le proprie funzioni “in the receiving State”. Gerusalemme non è territorio Israeliano e dunque il trasloco della rappresentanza non sarebbe legittimo. Le basi della giurisdizione della Corte internazionale, secondo l’applicant, risiederebbero nell’articolo 1 del Protocollo Addizionale alla Convenzione di Vienna sulle Relazioni Diplomatiche “concerning the Compulsory Settlement of Disputes”, in quanto “the State of Palestine acceded to the Vienna Convention on Diplomatic Relations on 2 April 2014 and to the Optional Protocol on 22 March 2018 whereas the United States of America has been a party to both these instruments since 13 November 1972”. Su questo, tra gli altri aspetti, bisognerà aspettare la pronuncia della Corte per sondarne la correttezza. Il caso, oltre ai connessi aspetti culturali e politici, risulta estremamente interessante per i risvolti giuridici che potrà proporre. Sotto molti punti di vista il procedimento risulta estremamente complesso sia in termini di admissability sia di jurisdiction; uno fra tutti la

vexata quaestio della personalità giuridica dello Stato di Palestina, la quale sarà, presumibilmente, sollevata dagli Stati Uniti nelle preliminary objections. Inoltre, un’altra problematica potrebbe sorgere dall’impossibilità della Corte di giudicare in presenza di un legal interest di una terza parte, come enunciato dal Monetary Gold principle. In questo caso, infatti, sarebbe Israele a dover intervenire come third party nel procedimento, possibilità questa che, evidentemente, è alquanto difficile accada. Come si comporteranno, dunque, gli Stati Uniti? Decideranno di difendersi nel merito oppure ricorreranno alla – già praticata – via della non-appearance? Quest’ultima possibilità, tuttavia, come il Nicaragua case (1986) dimostra, raramente sembra essere una strategia consigliabile. Insomma, un caso di Davide contro Golia non nuovo per la Corte internazionale che, sebbene alcuni osservatori ritengano sia già segnato da un esito scontato, potrebbe invece rilevarsi una grande possibilità per chiarire alcuni aspetti internazionalmente dibattuti. La CIG, coglierà o meno l’opportunità?


DIRITTO INTERNAZIONALE ED EUROPEO RATING DI LEGALITÀ Che cos’è e quali vantaggi apporta alle imprese?

Di Chiara Montano Il rating di legalità è un indicatore sintetico del rispetto di elevati standard di legalità da parte delle imprese che ne abbiano fatto richiesta, nonché del grado di attenzione che le stesse hanno riposto nella corretta gestione della propria attività. La disciplina di riferimento è il Regolamento attuativo in materia di rating di legalità, con cui è stato attuato il decreto legge n. 1/2012, così come modificato dal decreto legge n. 29/2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 62/2012. Il Regolamento è stato deliberato dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) lo scorso 15 maggio 2018. Il rating può essere richiesto da quelle imprese aventi sede operativa in Italia, che vantino un fatturato minimo di due milioni di euro nell’esercizio chiuso nell’anno precedente a quello della domanda. Per poter ottenere questo riconoscimento, inoltre, le imprese di cui sopra devono obbligatoriamente essere iscritte al registro delle imprese da almeno due anni, dalla data della richiesta. Inoltre, occorre che i requisiti richiesti dal Regolamento attuativo siano rispettati. Le impre-

se che riescono a conseguire il rating di legalità ne traggono beneficio, non soltanto dal punto di vista della reputazione dell’impresa stessa, ma anche sotto l’aspetto finanziario, dal momento che tanto i finanziatori pubblici quanto quelli privati tengono in maggiore considerazione quelle imprese che possono dimostrare un elevato standard di legalità e delle quali sanno di potersi fidare. L’AGCM pubblica sul proprio sito il registro, liberamente consultabile, delle imprese che hanno ottenuto il rating di legalità.Il riconoscimento in questione viene attribuito alle imprese sotto forma di un punteggio espresso in “stellette”, che va da un minimo di una sola stelletta a un massimo di tre. Inoltre, le imprese potrebbero possedere dei requisiti aggiuntivi, indicati nell’apposito modulo del formulario, che le stesse devono compilare per richiedere l’attribuzione del rating. Per ogni requisito aggiuntivo, alla valutazione dell’impresa viene aggiunto un “+”, al terzo “+”, l’impresa guadagna un’ulteriore stelletta. Tra i requisiti aggiuntivi, si possono rinvenire la tracciabilità dei pagamenti, il modello organizzativo, l’adesione ai protocolli o alle intese di legalità, volti a prevenire le infiltrazioni della criminalità or-

ganizzata, nonché l’adozione di codici etici di autoregolamentazione. Il rating di legalità ha durata biennale e può essere rinnovato, previo accertamento di tutti i requisiti necessari per il suo ottenimento. Esso viene rilasciato, in genere, entro sessanta giorni da quando è stata formulata la richiesta, che deve obbligatoriamente avvenire tramite la compilazione di un modulo ad hoc, presente sul sito dell’AGCM. Le imprese che riescono a conquistare detto riconoscimento hanno, ovviamente, interesse affinché esso sia pubblicizzato; per tale ragione, l’AGCM ha lasciato ampia discrezionalità alle imprese nella valutazione del metodo di pubblicizzazione del rating che ritengono più opportuno, purché non venga utilizzato in alcun modo il logo dell’Autorità. Con questo riconoscimento, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha voluto premiare quelle imprese la cui attività si caratterizza per trasparenza, correttezza di gestione e legalità, che devono pertanto essere considerate più meritevoli di ottenere vantaggi sia d’immagine sia finanziari.

MSOI the Post • 21


22 • MSOI the Post


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.