MSOI thePost Numero 126

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Il Settimanale di M.S.O.I. Torino


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MSOI Torino M.S.O.I. è un’associazione studentesca impegnata a promuovere la diffusione della cultura internazionalistica ed è diffuso a livello nazionale (Gorizia, Milano, Napoli, Roma e Torino). Nato nel 1949, il Movimento rappresenta la sezione giovanile ed universitaria della Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale (S.I.O.I.), persegue fini di formazione, ricerca e informazione nell’ambito dell’organizzazione e del diritto internazionale. M.S.O.I. è membro del World Forum of United Nations Associations Youth (WFUNA Youth), l’organo che rappresenta e coordina i movimenti giovanili delle Nazioni Unite. Ogni anno M.S.O.I. Torino organizza conferenze, tavole rotonde, workshop, seminari e viaggi studio volti a stimolare la discussione e lo scambio di idee nell’ambito della politica internazionale e del diritto. M.S.O.I. Torino costituisce perciò non solo un’opportunità unica per entrare in contatto con un ampio network di esperti, docenti e studenti, ma anche una straordinaria esperienza per condividere interessi e passioni e vivere l’università in maniera più attiva. Lorenzo Grossio, Segretario M.S.O.I. Torino

MSOI thePost MSOI thePost, il settimanale online di politica internazionale di M.S.O.I. Torino, si propone come un modulo d’informazione ideato, gestito ed al servizio degli studenti e offrire a chi è appassionato di affari internazionali e scrittura la possibilità di vedere pubblicati i propri articoli. La rivista nasce dalla volontà di creare una redazione appassionata dalla sfida dell’informazione, attenta ai principali temi dell’attualità. Aspiriamo ad avere come lettori coloro che credono che tutti i fatti debbano essere riportati senza filtri, eufemismi o sensazionalismi. La natura super partes del Movimento risulta riconoscibile nel mezzo di informazione che ne è l’espressione: MSOI thePost non è, infatti, un giornale affiliato ad una parte politica, espressione di una lobby o di un gruppo ristretto. Percorrere il solco tracciato da chi persegue un certo costume giornalistico di serietà e rigore, innovandolo con lo stile fresco di redattori giovani ed entusiasti, è la nostra ambizione. Davide Tedesco, Direttore MSOI thePost 2 • MSOI the Post

N u m e r o

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REDAZIONE Direttore Editoriale Davide Tedesco Direttore Responsabile Giusto Amedeo Boccheni Vice Direttori Luca Bolzanin, Luca Rebolino Caporedattori Arianna Salan, Fabrizia Candido, Matteo Candelari, Pauline Rosa, Luca Imperatore Capiservizio Fabrizia Candido, Guglielmo Fasana, Alessandro Fornaroli, Lorenzo Gilardetti, Vladimiro Labate, Pierre Clément Mingozzi, Andrea Mitti Ruà, Giacomo Robasto, Arianna Salan Media e Management Daniele Baldo, Guglielmo Fasana, Anna Filippucci, Vladimiro Labate, Jessica Prietto Editing Lorenzo Aprà, Adna Camdzic, Amandine Delclos Copertine Virginia Borla, Amandine Delclos Redattori Gaia Airulo, Erica Ambroggio, Amedeo Amoretti, Andrea Bertazzoni, Micol Bertolini, Davide Bonapersona, Maria Francesca Bottura, Fabrizia Candido, Federica Cannata, Daniele Carli, Debora Cavallo, Sabrina Certomà, Giuliana Cristauro, Andrea Daidone, Alessandro Dalpasso, Federica De Lollis, Francesca Maria De Matteis, Ilaria Di Donato, Tommaso Ellena, Anna Filippucci, Alessandro Fornaroli, Corrado Fulgenzi, Francesca Galletto, Lorenzo Gilardetti, Vittoria Beatrice Giovine, Lara Amelie Isaia Kopp, Michelangelo Inverso, Vladimiro Labate, Simone Massarenti, Rosalia Mazza, Davide Mina, Pierre Clément Mingozzi, Alberto Mirimin, Chiara Montano, Anna Nesladek, Virginia Orsili, Francesco Pettinari, Barbara Polin, Luca Pons, Jessica Prieto, Mario Rafaniello, Jean-Marie Reure, Valentina Rizzo, Giacomo Robasto, Federica Sanna, Martina Scarnato, Andrea Domenico Schiuma, Natalie Sclippa, Jennifer Sguazzin, Stella Spatafora, Diletta Sveva Tamagnone, Francesco Tosco, Alessio Vernetti, Elisa Zamuner. Vuoi entrare a far parte della redazione? Scrivi una mail a thepost@msoitorino.org!


EUROPA 7 Giorni in 300 Parole BELGIO 3 dicembre. I Ministri dell’Eurogruppo hanno sostenuto la valutazione della Commissione europea sulla programmazione finanziaria italiana per il 2019. La CE si è, inoltre, mostrata incline alla possibilità di giungere al compromesso con lo Stato italiano per scongiurare l’avvio di una procedura di infrazione per deficit eccessivo. Il commissario europeo per gli Affari economici, Pierre Moscovici, ha parlato di “progressi” dell’Italia. Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte ha, tuttavia, dichiarato di “non lavorare a un deficit sotto il 2%”.

FRANCIA 4 dicembre. L’Eliseo ha annullato l’incontro fissato con la delegazione moderata dei “gilet gialli” a palazzo Matignon per “motivi di sicurezza”. Il primo ministro francese, Edouard Philippe, ha, tuttavia, annunciato una sospensione, della durata di 6 mesi, degli aumenti delle tasse sui carburanti, con l’intento di bloccare la mobilitazione prevista per sabato 8 dicembre ed evitare che le proteste possano rappresentare un ostacolo al regolare svolgimento dei lavori parlamentari. I rappresentanti del movimento hanno definito tale iniziativa “solo un primo passo”. LUSSEMBURGO 4 dicembre. L’avvocato generale Manuel Campos Sánchez-Bordona ha emesso il

THE EU’S ANSWER TO THE TENSIONS IN THE SEA OF AZOV Brussels is considering new sanctions on Russia

By Francesco Pettinari The tensions between Ukraine and Russia reached a new climax on Sunday 25th November when Russian authorities seized three Ukrainian vessels in the Sea of Azov. During the naval skirmish, several Ukrainian sailors were wounded, and the Kremlin is still refusing to release twentyfour members of the crews. This event further deteriorates the relations between Kyiv and Moscow, and it did not remain stranger to EU’s attention. Indeed, the European Union has always shown a deep concern regarding the Black Sea region since it is considered an area where tensions and potential escalations can undermine the security of the whole Europe. The first EU statement related to this event was made by the Spokesperson of the EEAS, Maja Kocijancic. In her declaration of November 25th, Mrs. Kocijancic condemned the Russian behaviour, also stating that the EU was expecting Russia to stop the inspections and to de-escalate the situation immediately. Moreover, the spokesperson reaffirmed the position taken by HR/VP Federica Mogherini who, speaking at the European Parliament on 23rd October, stressed the threats deriving from a militarisation of the Black Sea for European

security, defining the Russian disregard of international law as the basis of the tensions. From its part, the European Parliament outlined the steps that the EU should take for monitoring and countering escalations already before the seizing of Ukrainian vessels. As contained in a Resolution released on October 30th, the EP recognises the threats related to the troublesome situation in the Black Sea and encourages the appointment of an EU Special Envoy for Crimea and Donbass. Furthermore, the EP urged the Member States and the Council to reinforce the sanctions against Russia in the case of further violations of the Ukrainian sovereignty, including in the Sea of Azov. A recent declaration of the President of the Council, Donald Tusk, seems to endorse the Parliament’s will, at least for what concerns the latter part. Speaking from Buenos Aires where he was attending the G20, Mr. Tusk defined the Russian behaviour in the events of November 25th as “totally unacceptable”, adding that “the EU will roll over the sanctions against Russia in December”. Therefore, despite the sharp criticism shown by many experts and national leaders over time, the road seems to be paved for new sanctions against Russia.

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EUROPA proprio parere non vincolante sull’articolo 50 del Trattato sull’Unione europea (TUE) affermando che sarebbe possibile “la revoca unilaterale della notifica dell’intenzione di ritirarsi dall’Ue” consentendo al diritto dello Stato membro di mettere in pratica “tale possibilità fino alla conclusione formale dell’accordo di recesso”. Il caso era stato portato davanti alla Corte di giustizia dell’Unione Europea da politici scozzesi contrari alla Brexit. POLONIA 3 dicembre. Iniziata, a Katowice, la COP 24, la conferenza delle Nazioni Unite sul clima che avrà luogo in Polonia fino al 14 dicembre. Con la partecipazione di circa 200 Paesi il Summit vorrebbe concretizzare gli impegni assunti da quasi tutti dai leader internazionali, nel corso dell’ultima conferenza ONU sul clima svoltasi a Parigi nel 2015. L’obiettivo principale dell’incontro è agire per il contenimento del riscaldamento globale entro i 2 ℃. REGNO UNITO 4 dicembre. Avviato, presso il Parlamento di Westminster, il dibattito sull’intesa raggiunta in merito alle modalità di uscita dall’Unione Europea da parte del Regno Unito. La discussione si protrarrà per 5 giorni, prima della votazione finale prevista per l’11 dicembre, e prevede la presentazione di emendamenti all’intesa siglata con i 27 Paesi dell’UE. Nel corso della prima seduta, la Camera dei Comuni ha approvato una mozione di censura contro il governo e un emendamento che rafforzerebbe i poteri parlamentari in caso di rigetto dell’accordo. A cura di Federica Cannata 4 • MSOI the Post

COP 24: LA SFIDA DEI LEADER PER SALVARE UN MONDO FUORI ROTTA Aperta la conferenza mondiale dell’ONU sul clima a Katowice in Polonia

Di Diletta Sveva Tamagnone Due settimane per rendere effettivo l’Accordo di Parigi sul clima. Con questo intento si apre la 24esima conferenza delle parti nel cuore carbonifero della Polonia che ha previsto il coinvolgimento di oltre 30.000 delegati provenienti da 198 paesi. “Abbiamo solo dodici anni per salvare il clima del nostro Pianeta” così Greenpeace ribadisce l’ultimatum lanciato dalla comunità scientifica all’apertura del summit sul clima. Un’affermazione supportata dal preoccupante Special report dell’IPCC sulla necessità di mantenere il global warming al di sotto della soglia critica di 1,5°C per evitare una “catastrofe climatica”. Se, infatti, l’aumento delle temperature dovesse proseguire ai ritmi attuali, la temperatura globale potrebbe raggiungere +1,5°C tra il 2030 e il 2052. Alla luce di quello che si presenta come un “test per l’umanità”, si manifesta necessario un intervento multilaterale per invertire la rotta intrapresa: l’urgenza di rivedere i piani nazionali sul clima si è tradotta in un appello firmato dalle alte cariche dello Stato di 18 Paesi europei. Inoltre, l’Unione Europea si è proposta il raggiungimento di un obiettivo ambizioso:

quello di “emissioni zero”, ovvero di emissioni uguali agli assorbimenti, entro il 2040. Nonostante l’appello di Guterres, segretario generale dell’ONU, alla “questione di vita e di morte” che affligge il pianeta, la prima giornata della conferenza si è conclusa in termini poco ottimistici. Il presidente polacco Duda ha ribadito di non poter rinunciare al carbone da cui dipende la “sovranità energetica” del suo Paese in quanto l’80% dell’energia elettrica prodotta deriva dallo sfruttamento di questa materia prima “strategica”. Tale affermazione entra così in rotta di collisione con i pressanti richiami alla decarbonizzazione e ha suscitato la reazione del direttore polacco di Greenpeace Pekacki, che ha affermato: “Le parole del presidente mettono a rischio l’esito della conferenza”. In questa penultima fermata per rendere operativo in tempi rapidi il “Paris Rulebook”, ovvero le regole di implementazione dell’Accordo di Parigi, verrà quindi messa alla prova la capacità degli Stati di operare come un unico attore globale per un obiettivo che non può più essere rimandato: la preservazione dell’ambiente naturale e la sopravvivenza dei suoi abitanti.


NORD AMERICA 7 Giorni in 300 Parole STATI UNITI 30 novembre. Michael Cohen, l’ex avvocato personale di Donald Trump, si dichiarerà colpevole di aver mentito dinnanzi al Congresso in relazione al proprio coinvolgimento nel Russiagate. Prima della partenza per il G20, Trump ha definito l’inchiesta condotta dal procuratore speciale, Robert Muller, “un’illegale caccia alle streghe in stile Joseph McCarthy”. 30 novembre. Stati Uniti, Canada e Messico hanno siglato il United States, Mexico and Canada Agreement (USMCA), il nuovo accordo commerciale che sostituisce il Nafta. L’accordo è frutto di un anno di trattative e persegue lo scopo di innalzare barriere nei confronti dei prodotti realizzati al di fuori del Nord America.

1 dicembre. George H. W. Bush, il 41esimo presidente degli Stati Uniti, è mancato all’età di 94 anni. La notizia è stata resa nota dal figlio, George W. Il decesso è sopraggiunto 8 mesi dopo la scomparsa della moglie, l’ex first lady, Barbara Bush. 2 dicembre. Un terremoto di magnitudo 7.0 ha colpito l’Alaska, causando gravi danni alle infrastrutture, senza, tuttavia, causare vittime. Il presidente Donald Trump, che si trovava a Buenos Aires per il G20, ha dichiarato lo stato di emergenza.

TARIFF TRUCE BETWEEN THE UNITED STATES AND CHINA

Donald J. Trump delays 25% tariff to China for 90 days

By Kevin Ferri From November 30th to December 1st, the G-20 took place in Buenos Aires. The United States entered the meeting with a hardfaced temper when it came to trade and climate change agreements. In fact, President Trump refused to sign the joint statement on global warming. A nonbinding communiqué released at the end of the summit read: “The United States reiterates its decision to withdraw from the Paris Agreement, and affirms its strong commitment to economic growth and energy access and security, utilizing all energy sources and technologies, while protecting the environment”. But this was not the only happening. A bigger and more incumbent problem had to be addressed. That is, the ‘Tariff Gate’ with China. A dinner at the G-20 Summit seemed to be the solution in solving, temporarily, the problem. The threatened tariff increase on the additional $200 billion in Chinese goods by the U.S., and the retaliatory increase in tariffs on American goods, was postponed in early December 2018. Donald Trump and Xi Jinping agreed to delay their planned increases in tariffs for 90 days, starting on December 1, to allow time for the two countries to negotiating their trade disputes. According to the Trump Administration, “If at the end of the 90 days, the parties are

unable to reach an agreement, the 10 percent tariffs will be raised to 25 percent”. White House Press Secretary, Sarah Sanders, told the news media that China had agreed to purchase “a very substantial” amount of agricultural, energy, industrial, and other products from the United States. Furthermore, China had agreed to reduce the 40% tariff on cars coming into China from the United States, although Beijing had not confirmed that by December 4th, 2018. On that date, an article in the newspaper Securities Daily noted that the Chinese government was considering a reduction in the auto tariff but provided no specifics. A White House statement also said that the two leaders had “agreed to immediately begin negotiations on structural changes with respect to forced technology transfer, intellectual property protection, non-tariff barriers, cyber intrusions and cyber theft, services and agriculture”. The agreement was a critical step toward de-escalating the mutually damaging trade war between the U.S. and China. For this reason, financial analysts were cautiously optimistic “We suspect that since he negotiated this deal himself, Trump will be much more reluctant to torpedo it when his own personal reputation is on the line”. MSOI the Post • 5


NORD AMERICA 3 dicembre. Al termine del G20, Donad Trump e Xi Jinping hanno sottoscritto una tregua sui dazi commerciali. Una tregua di 90 giorni, conteggiati a partire da gennaio 2019, che eviterà l’entrata in vigore delle tasse, al 25%, su 200 miliardi di dollari di prodotti cinesi importati dagli Stati Uniti. Un accordo che, di fatto, permette alle due potenze di prendere del tempo per definire le proprie strategie commerciali. CANADA 3 dicembre. In Canada prosegue la discussione sulla vendita e sul possesso delle armi da fuoco, tema che, probabilmente, predominerà la prossima campagna per le elezioni federali. Nonostante la severa regolamentazione, poco più di un terzo della popolazione possiede armi: 34,7 armi ogni 100 abitanti. Un valore che si dimostra essere molto basso, se paragonato a quello statunitense, che raggiunge la quota di 120,5 armi ogni 100 persone, ma che resta uno dei più alti al mondo. 6 dicembre. La direttrice finanziaria di Huawei, Meng Wanzhou, è stata arrestata a Vancouver, in seguito alla richiesta di estradizione da parte degli Stati Uniti. L’accusa sarebbe legata a presunte violazioni delle sanzioni americane imposte contro l’Iran. L’arresto della figlia del fondatore del colosso della telefonia cinese rischia di rendere vano il recente accordo sui dazi che aveva fatto sperare in un allentamento delle tensioni tra Cina e Stati Uniti. A cura di Jennifer Sguazzin

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GLI STATI UNITI INVITANO GLI ALLEATI A BOICOTTARE HUAWEI Obiettivo dell’amministrazione Trump è non lasciare il 5G in mano alla Cina

Di Domenico Andrea Schiuma

forte collaborazione militare.

Prosegue la guerra di Donald Trump contro Huawei. Dopo avere firmato lo scorso agosto il National Defense Authorization Act, che vieta alle agenzie governative statunitensi di utilizzare prodotti della multinazionale cinese, l’amministrazione americana ha invitato i propri alleati a boicottare il colosso delle telecomunicazioni. In particolare, i partner degli Stati Uniti non dovrebbero affidare a Huawei l’implementazione delle reti 5G.

Le preoccupazioni statunitensi non sarebbero del tutto infondate. A luglio, un documento dello Huawei Cyber Security Evaluation Centre (nato nel 2010 in seguito a un accordo tra Regno Unito e Huawei e supervisionato dal National Cyber Security Centre britannico) ha evidenziato la presenza di difetti nei processi produttivi del gigante asiatico, che avrebbero esposto le reti telecomunicative inglesi a nuovi rischi.

Gli Stati Uniti, con questa mossa, vorrebbero evitare che infrastrutture strategiche in Paesi-chiave finiscano nelle mani di attori provenienti da Stati considerati ostili. Il rischio, secondo gli Stati Uniti, è che la complessità della rete 5G venga usata a proprio vantaggio da chi garantisce il servizio (il core business di Huawei riguarda appunto la realizzazione e la gestione delle reti di telecomunicazioni). Ciò esporrebbe alla possibilità di essere spiati e creerebbe problemi in materia di cybersicurezza. I timori degli Stati Uniti riguardano soprattutto Italia e Germania, in cui sono presenti importanti strutture NATO, e Giappone, con il quale gli Stati Uniti hanno da tempo stretto una

Conseguentemente, lo scorso agosto Canberra ha escluso Huawei dalla possibilità di fornire tecnologie all’Australia per la gestione del 5G. A fine novembre, anche il governo neozelandese ha assunto la stessa decisione. Il 30 novembre, l’attuale presidente di Huawei Eric Xu ha commentato le azioni dell’amministrazione Trump, asserendo che escludere Huawei dal mercato comporterà prezzi più alti, sia per le imprese di telecomunicazioni sia per i consumatori, e che la mossa americana sarebbe controproducente. La politica del Huawei ban, secondo Xu, impedirebbe infatti agli Stati Uniti di raggiungere il loro obiettivo di diventare leader mondiali nell’industria 5G.


MEDIO ORIENTE 7 Giorni in 300 Parole

BAHREIN 1 dicembre. Si è tenuto il secondo turno delle elezioni municipali e parlamentari per eleggere 31 membri del Consiglio dei Rappresentanti e 23 dei consigli municipali. Durante il primo turno, infatti, svoltosi il 24 novembre, erano stati eletti solo 9 parlamentari su 40 e 7 membri dei municipi su 30. 2 dicembre. Secondo i risultati, sarebbero state elette 6 donne, dato storico per il Paese. GIORDANIA 1 dicembre. Diverse proteste si sono verificate nel centro di Amman. Durante il loro svolgimento, circa 300 manifestanti hanno intonato slogan contro il governo e contro una legge fiscale emanata dal Parlamento. Appoggiata dal Fondo Monetario Internazionale (FMI), la normativa in questione impone un aumento delle tasse sul reddito di circa il 5%, per i dipendenti salariati, e tra il 20% e il 40% per le imprese. Lo scopo di tale misura sarebbe quello di ridurre le dimensioni del debito nazionale, che ammonterebbe a circa 40 miliardi di dollari, e, in generale, di giovare all’economia del Paese. IRAN 1 dicembre. Durante una cerimonia trasmessa in diretta dalla televisione statale, è stato mostrato un nuovo cacciatorpediniere, il Sahand. Progettato

HEZBOLLAH ESPANDE I SUOI CONFINI Il partito iraniano sempre più forte in Libano

Di Lucky Dalena È di questi giorni la notizia che le tensioni fra Iran e Israele si sono intensificate a causa di alcuni tunnel che Hezbollah avrebbe costruito nel sud del Libano per attaccare lo stato ebraico. Nonostante non ci siano le prove, negli ultimi tempi la posizione iraniana si è aggravata: le sanzioni e le questioni diplomatiche con gli Stati Uniti hanno portato Hezbollah ad affrontare un inevitabile freno alle loro attività e, di conseguenza, la necessità di spostare i propri obiettivi e le proprie strategie al di là dei confini iraniani. Se da un lato il conflitto siriano ha costituito un importante terreno per allenare la capacità di combattere in contesti geografici diversi, gli sviluppi più recenti hanno portato a pensare che la presenza delle milizie sciite in Siria sia vicina al termine. Allo stesso tempo, però, alcuni media e delle fonti interne alle milizie ancora attive sul territorio, garantiscono che Hezbollah si stia invece impegnando sempre di più nel training delle forze armate siriane. In un’ottica di riduzione delle truppe sul territorio siriano, oltre al soprammenzionato “cambio di funzione” che richiede solo personale altamente qualificato, sembra che le attenzioni di Hezbollah si stiano spo-

stando sempre più verso uno dei territori più familiari per il movimento: il Libano. Forte delle sue performance elettorali alle ultime elezioni libanesi, il partito sta lavorando sul fronte politico-militare per consolidare il proprio potere. Tramite lo strumento elettorale, Hezbollah sta bloccando la formazione del governo con la richiesta di ottenere più seggi sunniti (il Libano ha un sistema politico confessionale) per i propri alleati, togliendo quindi autorità al Primo ministro sunnita SaadHariri. Il progetto politico è di frammentare l’opposizione e di spezzare l’egemonia della tanto influente quanto criticata famiglia Hariri, che è inoltre molto vicina all’Arabia Saudita. Nel quadro delle tensioni fra Arabia Saudita e Iran, infatti, si colloca anche l’idea di Hezbollah di sostenere in Libano l’ascesa di una nuova classe politica sunnita, più concentrata sulla collaborazione piuttosto che sulle differenze fra le due sette. Sembra evidente che, in un momento di isolamento internazionale per Iran ed Hezbollah, il movimento stia cercando di maturare i suoi obiettivi e le sue strategie. Per consolidare il suo potere, certo. Ma forse, anche solo per sopravvivere. MSOI the Post • 7


MEDIO ORIENTE e costruito interamente nel Paese, avrebbe la capacità di evadere radar. 2 dicembre. Il portavoce dell’esercito iraniano, Abolfazl Shekarchi, ha dichiarato che l’Iran continuerà ad eseguire test missilistici per sviluppare le proprie capacità difensive e di deterrenza. Tali dichiarazioni sono giunte in seguito alle accuse formulate dagli Stati Uniti e concernenti l’esecuzione, nella giornata precedente, di un test missilistico. Accusa che Teheran non ha né confermato né smentito. YEMEN 1 dicembre. I ribelli Houthi hanno annunciato che prenderanno parte alle negoziazioni di pace, mediate dalle Nazioni Unite, che si svolgeranno in Svezia a partire dal 6 dicembre. 4 dicembre. Il governo yemenita ha annunciato che tra i 1000 e i 1500 ribelli Houthi prigionieri verranno liberati in cambio del rilascio di circa 15002000 sostenitori del governo. QATAR 3 dicembre. Durante una conferenza stampa svoltasi nella città di Doha, il ministro dell’Energia Saad Sherida al-Kaabi ha dichiarato che, a partire da gennaio 2019, il Qatar non farà più parte dell’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio (OPEC). La decisione è stata, inoltre, confermata dalla Qatar Petroleum, la compagnia di petrolio statale. Ile motivo ufficial sarebbe la volontà del Paese di concentrarsi maggiormente sulla produzione di gas. A cura di Martina Scarnato

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I FIGLI DIMENTICATI DI DAESH

I minori orfani del sedicente Stato Islamico costituiscono una vera e propria “bomba a orologeria”

Di Anna Nesladek Mentre si parla del futuro dell’Iraq e della Siria e si analizzano le conseguenze a breve e lungo termine del conflitto che per anni ha visto (e che, in realtà, continua a vedere) l’autoproclamatosi Stato Islamico come protagonista, gli orfani dei militanti di Daesh pagano in silenzio le conseguenze delle azioni dei loro padri. Si stima che siano circa 2.500 i bambini che ancora vivono in orfanotrofi e campi di rifugiati in Iraq e Siria. Tra i “figli di Daesh” vi è chi è stato rapito dai militanti dello Stato Islamico per combattere e compiere attacchi suicidi, chi è entrato nella rete terrorista perché i genitori erano dei combattenti, e chi è nato proprio durante gli anni della guerra. Molto spesso, i bambini sono il frutto della violenza dei miliziani, e per le madri che li accompagnano il ritorno a casa è impossibile. Queste donne, infatti, non vengono riaccettate dai loro mariti, o viene loro imposto di abbandonare il figlio avuto durante la prigionia. Il numero degli orfani del sedicente Stato Islamico sale drammaticamente a 17.000 quando si prendono in considerazione i bambini costretti a vagare per le strade siriane e irachene senza ricevere alcun tipo di assistenza. Tra questi, si stima che ve ne siano circa 1000 che provengono da Paesi stranie-

ri. Questi minori sono i figli dei cosiddetti “foreign fighters”, e non possono essere rimpatriati a causa dell’assenza dei documenti e della mancata volontà dei Paesi d’origine di riportarli a casa. Infatti, anche quando i documenti esistono, i governi sono restii a riaccogliere i minori che hanno vissuto Daesh in prima persona. Francia e Germania, ad esempio, hanno dichiarato che sono disposte a rimpatriare un numero limitato di minori, purché non siano accompagnati dalle madri, potenziali ex combattenti. La quasi totalità dei “figli di Daesh” soffre di seri traumi psicologici; ma più che il loro reale benessere, è l’ambiente nel quale hanno vissuto a preoccupare i governi dei Paesi d’origine. Molti, difatti, hanno già imbracciato le armi e sono stati sottoposti a un forte indottrinamento ideologico. La riabilitazione di questi bambini e ragazzi è comunque tanto doverosa quanto necessaria. Nello studio dall’International Center for Counter-Terrorism a L’Aia, “Children of the Caliphate”, gli autori Liesbeth van derHeide e JipGeenen sostengono che i responsabili politici dovrebbero considerare i minori autori di reati legati al terrorismo come una categoria a sé stante, fornendo loro una riabilitazione adattata alle esigenze individuali.


RUSSIA E BALCANI 7 Giorni in 300 Parole

LA GEORGIA ELEGGE LA PRIMA PRESIDENTE DONNA

L’opposizione denuncia l’irregolarità delle elezioni

GEORGIA 2 dicembre. Si è tenuta una manifestazione, nella città di Tbilisi, per contestare il risultato delle ultime elezioni presidenziali. Durante il loro svolgimento, Zurabishvili, prima donna presidente del Paese, ha ottenuto la vittoria con il 59,52% di voti. Durante le proteste, Vashadze, candidato dell’opposizione ha dichiarato di voler che “il cosiddetto governo ascolti la voce del popolo, perché tutti sanno che le elezioni sono state manipolate”.

RUSSIA 1 dicembre. Il presidente statunitense, Donald Trump, ha annullato l’incontro con Putin, che si sarebbe dovuto svolgere in occasione del G20, in seguito agli sviluppi della crisi tra Ucraina e Russia. Trump ha dichiarato di voler cancellare l’incontro dal momento che “le imbarcazioni e i marinai ucraini non sono stati riconsegnati dalla Russia”. 4 dicembre. In occasione di un summit presso la NATO, il

Di Amedeo Amoretti Mercoledì 28 novembre, in Georgia si è tenuto il ballottaggio alle presidenziali. Salome Zurabishvili, uscita vincente con il 59,5% dei voti, sarà la prima donna a sedere alla Presidenza della Georgia. Zurabishvili si è presentata come candidata indipendente alle elezioni, senza rifiutare il sostegno politico del partito al governo, Sogno Georgiano, del miliardario Bidzina Ivanishvili. Tra le sue fila, nel 2016, è stata eletta membro del Parlamento. Il primo ministro Mamuka Bakhtadze si è subito congratulato con la neo-eletta, affermando che “le elezioni hanno dimostrato ancora una volta che la Georgia è uno stato veramente democratico”. Con il 40,5% dei voti, Grigol Vashadze esce sconfitto dalla tornata elettorale. Salome Zurabishvili, figlia di una famiglia di origini georgiane che dovette scappare in Francia negli anni 20, iniziò la sua carriera politica come ambasciatrice francese in Georgia. Nel 2004, fu nominata Ministra degli Affari Esteri sotto il governo di Mikhail Saakashvili. Dopo poco più di un anno, lasciò il proprio incarico, passando all’opposizione, per forti critiche verso quello che lei definì

un “neototalitarismo”. Primo obiettivo del suo programma è creare un equilibrio nei rapporti con la Russia e con l’Europa, facendo affidamento sui suoi legami europei. Le elezioni si sono svolte in un clima di tensione e polarizzazione dell’opinione pubblica. L’OSCE e Transparency International, organizzazioni che hanno monitorato le procedure elettorali, sono intervenute, denunciando irregolarità: la campagna elettorale sarebbe stata caratterizzata da intimidazioni, dall’uso di risorse amministrative e di violenza personale. Persino tentativi di corruzione e di acquisto di voti sembrerebbero aver avuto luogo nel periodo precedente al ballottaggio. Queste accuse non hanno fatto altro che incrementare le critiche, tanto che, domenica 2 dicembre, migliaia di persone hanno protestato, ritenendo illegittime e truccate le elezioni. Tuttavia, l’OSCE ha dichiarato che queste criticità non hanno influenzato la validità dei risultati elettorali. A livello internazionale, molti leaders si sono congratulati per la vittoria di Zurabishvili. Non sono mancati gli elogi dal fronte francese, dove il Ministro degli Esteri ha asserito il desiderio di stringere forti legami con la Georgia e incrementare quella che è già “un’eccellente relazione”.

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RUSSIA E BALCANI segretario di Stato americano, Mike Pompeo, ha reso noto il ritiro ufficiale degli Stati Uniti dall’Intermediate-Range Nuclear Forces Treaty (INF), accusando la Russia di aver violato il trattato con la costruzione di missili proibiti. Il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, ha, tuttavia, negato ogni accusa relativa alla violazione del trattato. Tale accordo, che impedisce lo sviluppo di missili nucleari a media gittata, venne firmato nel 1987 da Reagan e da Gorbaciov.

UNA NUOVA GUERRA DEI DAZI

Kosovo e Serbia di nuovo ai ferri corti dopo l’imposizione di dazi da parte di Pristina segretario di Stato statunitense Mike Pompeo ha invitato Pristina a collaborare con Belgrado per “evitare provocazioni e allentare la tensione”.

Di Vladimiro Labate

SERBIA 4 dicembre. Il presidente Vucic, si è mostrato preoccupato per le scelte, operate dal Kosovo, relative all’imposizione di ingenti dazi sulle importazioni di prodotti serbi e al progetto concernente la creazione di un esercito. Secondo il Presidente serbo, queste decisioni avrebbero come obiettivo quello “cacciare il popolo serbo dal Kosovo”. UCRAINA 1 dicembre. In seguito all’introduzione della legge marziale per affrontare la crisi del Mar d’Azov, il presidente Poroshenko ha vietato l’ingresso in Ucraina a tutti gli uomini russi di età compresa tra i 16 e i 60 anni. Questa decisione avrebbe lo scopo di “impedire ai russi di formare distaccamenti di eserciti privati che rispondano alle forze armate russe”, ha dichiarato il Presidente. A cura di Lara Aurelie KoppIsaia 10 • MSOI the Post

Le relazioni tra Serbia e Kosovo vivono un momento di forte difficolt . à Il 21 novembre scorso il governo kosovaro di Ramush Haradinaj ha alzato i dazi doganali dal 10% al 100% su tutti i prodotti provenienti dalla Serbia e dalla Bosnia-Erzegovina. Questa decisione arriva in risposta all’esito negativo della votazione per l’ammissione del Kosovo nell’Interpol, l’organizzazione internazionale dedita al contrasto del crimine internazionale. Il rigetto della candidatura kosovara è stato percepito come una vittoria della Serbia, che molto si era spesa in questo senso. Per il presidente serbo Vucic, il suo Paese non cederà: “Vogliono esercitare pressioni per ottenere la nostra capitolazione e il riconoscimento dell’indipendenza del Kosovo, ma questo non accadrà”. L’imposizione dei dazi ha provocato dure reazioni non solo della Serbia, ma anche degli alleati occidentali del Kosovo. Per l’alto rappresentante Federica Mogherini, i dazi “non sono una misura che aiuta a costruire delle buone relazioni di vicinato e bisogna che siano revocati”. Il

Dalla parte del governo kosovaro, si è schierato invece il primo ministro albanese Edi Rama, per cui i dazi “sono una silenziosa reazione politica e un invito per la Serbia a stare con i piedi per terra”. La decisione ha acutizzato le tensioni con la popolazione serba: 4 sindaci di comuni a maggioranza serba nel nord del Kosovo si sono dimessi in segno di protesta, unendosi alle manifestazioni che si sono tenute nella parte nord della città di Mitrovica. Sabato 2 dicembre, i parlamentari del partito serbo Lista Srpska hanno passato la notte nei loro uffici chiedendo un incontro con il commissario europeo Hahn in visita a Pristina. L’aumento dei dazi, inoltre, viola l’accordo di libero scambiotra i Paesi della regione, il CEFTA. Oltre a colpire le esportazioni serbe verso il Kosovo, che valgono circa 440 milioni di Euro annui, la decisione rischia di danneggiare anche l’economia kosovara. Nonostante la Serbia non abbia reagito imponendo dei dazi, secondo Besnik Krasniqi, professore di economia a Pristina, i problemi non sorgono tanto per i consumatori, quanto per le imprese, che utilizzano materie prime serbe; in particolare, a rischio sarebbe l’industria alimentare, che fa arrivare farina e mais: “il governo dovrebbe sovvenzionare questo settore per mantenere la situazione sotto controllo” avvisa Krasniqi.


ASIA E OCEANIA 7 Giorni in 300 Parole

CINA 03 dicembre. 46 operai cinesi sarebbero scomparsi nella prefettura settentrionale di Hokkaido, in Giappone. Tale evento sarebbe correlato all’arresto, avvenuto lo scorso 26 novembre, di altre 11 persone, accusate di avere il visto scaduto. Non è chiaro, tuttavia, come tali soggetti siano entrati sul suolo giapponese. Entrambi i gruppi lavoravano, dallo scorso settembre, per una grande fabbrica di pannelli solari situata nella prefettura di Chiba, ad est di Tokyo. 06 dicembre. Nonostante le sanzioni ONU del 2017, durante lo scorso novembre sarebbe stato registrato un incremento degli scambi commerciali tra la Cina e la Corea del Nord, lungo il ponte di Dandong. Le relazioni in questione nascono da bisogni opposti; un maggiore controllo sulla Penisola da parte di Beijing e un consolidamento economico dall’altro lato. Questo allentamento dei controlli lungo il confine ha attirato molte critiche. Tra queste, quelle provenienti dagli Stati Uniti. COREA DEL NORD 04 dicembre. Al ritorno dal G20 argentino, il presidente statunitense Trump ha annunciato un nuovo incontro con il leader di Pyongyang. Tale evento sarebbe stato programmato per il prossimo mese di gennaio o febbraio, mentre il luogo sarebbe ancora sottoposto a discussione.

L’APAC 18 A KATHMANDU

Parlando di interdipendenza, prosperità reciproca e valori universali opposizione del Congresso Nepalese. Il governo di K. P. Sharma Oli, infatti, si è dedicato affinché l’incontro avesse successo,invitandofunzionarieleaderdi alto profilo, come Aung San Suu Kyi, Hun sen, ‘Leni’ Robredo e l’ex primo ministro indiano H. D. Deve Gowda, e limitando il traffico della capitale durante i giorni del consesso. Secondo Di Giusto Amedeo Boccheni l’opposizione, tuttavia, il coinvolgimento statale sarebbe A ridosso del recente meeting stato incostituzionale, per APEC in Papua Nuova Guinea, il legame dell’incontro a un in cui la ‘Xiplomazia’ ha provato particolare credo religioso. In a rubare la scena, oltre 1.500 risposta, il governo nepalese è persone da almeno 40 Paesi, stato declassato, da ‘co-host’ a tra cui rappresentanti dei ‘supporter’ della conferenza, governi asiatici, del business sul sito dell’UPF. e della società civile, si sono radunati a Kathmandu per il Mentre le opposizioni Vertice Asia-Pacifico 2018 minacciavano di boicottare (APAC 18). la copertura mediatica del vertice, all’interno i giornalisti Il summit, tenutosi tra il 30 e le agenzie convenuti novembre e il 3 dicembre, discutevano di fake news e è stato perlopiù finanziato dell’influenza dei nuovi social dalla Federazione per la media, predicando la via Pace Universale (UPF), dell’autoregolamentazione un’associazione neo-cristiana per sostenere la libertà di fondata dal defunto mogul espressione ed un ‘giornalismo sudcoreano dell’informazione pulito’. Sun Myung Moon. L’APAC 18 si è concluso con un Al netto della due-giorni, resta giorno di anticipo sulla tabella da notare che altri temi caldi del di marcia e la redazione di una dibattito internazionale hanno Dichiarazione per la Pace faticato ad emergere. Nessun e lo Sviluppo in 7 punti, che, riferimento, ad esempio, nel oltre a celebrare l’esempio discorso di Suu Kyi ai tanto del Nepal nella conclusione perseguitati rohingya. Non della guerra civile del 1996- sembra che, tra giornalisti, 2006 all’insegna di amnistia, affaristi e governanti, in molti multilateralità e conciliazione, li abbiano descritti per quel che ha affrontato questioni come sono: vittime dei “potenti” il cambiamento climatico, il - potenti diversi dai giganti rafforzamento dell’autonomia geopolitici denunciati da Kyi, e della leadership femminile ma altrettanto responsabili nei e dei giovani. confronti di chi “non possiede i privilegi della ricchezza e Con il vertice sono giunte dell’influenza”. le proteste del partito di

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ASIA E OCEANIA Il tycoon, a bordo dell’Air Force One, ha aggiunto che “si aprirà nuovamente un dialogo per la riduzione delle sanzioni e una denuclearizzazione della Penisola”. Kim Jong-un, invece, ha accennato a “un’arma tattica” ancora oggi sconosciuta. COREA DEL SUD 03 dicembre. Il Ministro della Scienza sudcoreano ha annunciato l’arrivo in orbita del satellite sviluppato dal Korea Advanced Institute of Science & Technology (KAIST). Il dispositivo, il cui scopo è l’osservazione spaziale, è decollato alle 10:34, ora locale, dalla base americana di Vandenberg, in California. Il segnale è stato registrato per la prima volta dalla base di Seoul, sulle isole Svalbard, 6 ore dopo il lancio. L’obiettivo sarebbe quello di stimare il livello di radiazione spaziale.

GIAPPONE 05 dicembre. Il ministro della Difesa giapponese, Takeshi Iwaya, ha annunciato una revisione delle Linee guida per la difesa nazionale. Entro la metà del prossimo decennio saranno, infatti, adottati nuovi sistemi d’arma, tra cui sottomarini privi di equipaggio, missili da crociera con gittata superiore a 300 kilometri e missili supersonici in grado di eludere radar. La decisione più criticata dai difensori della Costituzione pacifista rimane, tuttavia, la sostituzione dell’incrociatore Izumo con una portaerei vera e propria. A cura di Alessandro Fornaroli 12 • MSOI the Post

IL TEMA DELLA BIODIVERSITÀ DURANTE LA COP14

Si intensifica la cooperazione tra i Paesi ASEAN

Di Francesca Galletto Si è conclusa il 29 novembre scorso la Conferenza sulla Biodiversità delle Nazioni Unite, nel contesto della 14° riunione della Conferenza delle Parti (COP14) tenutasi a Sharm El Sheikh, in Egitto. Con la partecipazione dei rappresentanti di più di 190 Paesi, sono stati discussi i progressi raggiunti all’insegna del Piano Strategico Globale per la Biodiversità 2011-2020. Il 13 novembre è stata presentata dai Paesi ASEAN una dichiarazione congiunta, nella quale si concorda l’intensificazione della cooperazione tra le parti con l’obiettivo di preservare la biodiversità in aree chiave di sviluppo. Sono stati inoltre esortati i singoli Stati firmatari della Convenzione sulla Biodiversità (CBD), guidata da Cristina Pasca Palmer, a fornire risorse finanziarie e tecniche in supporto ai Paesi Asean per affrontare l’inquinamento plastico e per integrare gli sforzi nazionali sulla tutela della biodiversità. Un grande contributo a tale fine è dato dal Centro ASEAN per la Biodiversità (ACB). L’ente, istituito nel 2005, con sede a Los Banos, facilita la cooperazione tra Paesi membri e organizzazioni regionali, nazionali ed internazionali, attraverso il coordinamento delle politiche, la gestione delle

risorse e delle informazioni sulla biodiversità. Durante la Conferenza, la direttrice esecutiva dell’ACB, Theresa Mundita S. Lim, ha ammonito i presenti circa i ritmi allarmanti con cui la straordinaria ricchezza di flora e fauna del sudest asiatico stia sfumando, evidenziando la necessità di maggiori sforzi per prevenire il disastro e, soprattutto, l’interconnessione tra la salute dell’ecosistema e quella umana. Infine, è stata riconfermata la collaborazione tra il segretariato della CBD e l’ACB attraverso un piano di lavoro congiunto. Considerando che i Paesi ASEAN ospitano circa il 18% delle specie totali nel mondo, il 30% delle foreste di mangrovie globali e il 30% delle barriere coralline, è nell’interesse di milioni di persone che dipendono dalle risorse naturali del territorio attuare strategie di protezione su più livelli. Seppure ci siano stati dei progressi negli ultimi anni grazie all’ACB, come il contributo del Gruppo di Lavoro sulla Conservazione della Natura e della Biodiversità ASEAN, o il Programma Heritage Parks, che promuove una rete regionale e nazionale di aree protette, saranno probabilmente necessari maggiori sforzi per raggiungere un livello soddisfacente di protezione della diversità dell’ecosistema.


AFRICA 7 Giorni in 300 Parole

AFRICA 2 dicembre. Iniziata la 24th Conference of the Parties (COP24) nell’ambito della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, in programma fino al 14 dicembre. Secondo alcuni esperti, la speranza dei Paesi africani sarebbe quella di essere facilitati nella gestione dell’impatto del cambiamento climatico, riducendone, così, il più velocemente possibile gli effetti negativi a livello socio-economico. Durante la COP16, i developed countries avevano concordato di stanziare 100 miliardi di dollari entro il 2020 a favore dei Paesi in via di sviluppo colpiti dagli effetti del cambiamento climatico. Il raggiungimento di tale obiettivo appare, tuttavia, lontano. ANGOLA 3 dicembre. Il governo dell’Angola ha espresso la volontà di stabilire una solida partnership con il governo norvegese, al fine di creare un piano nazionale di esplorazione delle risorse marittime del Paese africano. Il Ministro dell’Ambiente ha, infatti, ribadito che la lunga esperienza norvegese nel settore ittico e in quello delle piattaforme petrolifere, rappresentano un aspetto fondamentale nella cooperazione tra i due Paesi. NIGERIA 5 dicembre. Un recente rapporto delle Nazioni Unite ha af-

SFIORARE LA DITTATURA

La candidatura di Emmanuel Ramazani Shadary fa discutere gli attivisti

Di Federica De Lollis Con l’avvicinarsi delle elezioni del prossimo 23 dicembre, i disordini, le manifestazioni e gli scandali che non cessano di emergere continuano ad allarmare la società civile della Repubblica Democratica del Congo. Dopo anni di governo monocolore, la continuità della linea assunta dal presidente uscente Kabila dipenderà soltanto dalle necessarie risposte alle perplessità e alle accuse rivolte al candidato prescelto dallo stesso Presidente, Emmanuel Ramazani Shadary. Shadary, ex ministro degli Affari Interni del governo Kabila, al momento della presentazione della propria candidatura stava già scontando le sanzioni inflitte dall’Unione Europea per la sua condotta repressiva e cruenta nelle proteste antigovernative del 2016. Ora, gli illeciti commessi dal successore di Kabila spaziano dall’appropriazione indebita alla tortura, quest’ultima praticata sistematicamente da diversi anni contro i dissidenti politici, comportando la fuga di numerosi congolesi, rifugiati nei Paesi vicini, quali Uganda, Burundi, Ruanda e Tanzania, e altrettanti sfollati. È soprattutto il movimento

giovanile LUCHA, vicino ai partiti di opposizione democratici, ad additare Shadary e il partito di governo per i crimini perpetrati. Ma non solo. Infatti, LUCHA collabora strettamente con la Chiesa cattolica congolese al fine di allertare la popolazione contro possibili comportamenti raggiratori del governo. Per esempio, l’accortezza di recarsi alle urne il giorno 23 dicembre, dal momento che nessun canale ufficiale ha comunicato eventuali slittamenti delle consultazioni. Oppure la diffusa diffidenza per il sistema di voto elettronico su terminali touch screen. Gli attivisti sostengono che, data la delicatezza della situazione politica e sociale, sarebbe più opportuno usare le schede elettorali cartacee, onde evitare manomissioni del software preparato per il voto. Malgrado le proteste, l’organizzazione elettorale resta inamovibile sulla scelta dei terminali touch screen forniti dalla Corea del Sud. L’attenzione per queste elezioni è altissima, per gli interessi economici crescenti manifestati da giganti industriali (come BMW), per il cobalto, di cui il sottosuolo è molto ricco. Una scelta sbagliata potrebbe avere ripercussioni drammatiche sulle già precarie condizioni economiche e sociali del Paese.

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AFRICA fermato che circa 124 milioni di persone, in 51 Paesi, hanno sperimentato gravi crisi di sicurezza alimentare nel corso del 2017. In particolare, secondo il World Humanitarian Data and Trends 2018, in cima alla lista vi sarebbe collocata la Nigeria. In accordo con i dati raccolti dagli esperti, sarebbero almeno 35.000 i bambini, al di sotto dei 5 anni, affetti da malnutrizione nel Paese. 87.000, invece, sarebbe il totale delle persone che vivono al di sotto della soglia di povertà.

REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO 5 dicembre. L’epidemia di Ebola continua ad espandersi in Congo, raggiungendo anche la regione di Beni, parte orientale del Paese Il Journal of the American Association ha pubblicato il parere di un gruppo di esperti, i quali hanno definito il susseguirsi di tali eventi come “la seconda epidemia di Ebola più grave della storia”, sollecitando la comunità internazionale ad investire più risorse per arginare il fenomeno. Attualmente si ritiene che il virus sia stato contratto da più di 440 persone, causandone la morte di oltre 250. A cura di Valentina Rizzo

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SI AGGRAVA LA TENSIONE HUTU-TUTSI IN BURUNDI

L’ombra della manipolazione governativa sul caso Ndadaye

Di Barbara Polin Bujumbura, 2 dicembre 2018. Un arresto rischia di riaccendere le tensioni etniche in Burundi, a lungo lacerato da una feroce guerra civile dal 1993 al 2005. Il Paese è stato scosso dalla notifica di arresto a carico dell’ex presidente Pierre Buyoya, accusato di aver ordito il complotto militare che ha portato all’uccisione di Melchior Ndadaye, il primo politico a essere democraticamente eletto nella storia dell’ex colonia belga. Buyoya non ha riconosciuto la legittimità del mandato d’arresto, e lo ha anzi definito come una mera tattica di distrazione dell’opinione pubblica, utile a nascondere i risultati fallimentari dell’attuale presidente Pierre Nkurunziza. Il peso dell’omicidio di Ndadaye ha gravato a lungo sulla politica nazionale, tanto che la relativa inchiesta è sempre stata avvertita come una priorità nazionale, sia dal governo sia dall’opinione pubblica. Oltre ad essere considerato l’eroe della democrazia nazionale, infatti, Ndadaye era di etnia Hutu, e la sua elezione, nel 1993, aveva fatto intravedere la speranza di un’emancipazione collettiva per una fetta di popolazione, che, per quanto maggioritaria, era sempre stata lontana dai

centri di potere. Cento giorni dopo la sua elezione, tuttavia, Ndadye venne ucciso in un golpe organizzato dell’esercito a maggioranza Tutsi, ma agevolato da personalità politiche rimaste oscure, spesso qualificate dal Ministro della Giustizia del Burundi come potenti, ben protette e inserite al meglio dentro l’apparato governativo. Eminenze grige o meno, quello che è certo è che gli indizi più rilevanti andarono persi nel corso della guerra civile che scaturì da quell’omicidio politico, miccia di un conflitto finito solo un decennio fa. Di fronte a un tale passato, è facile capire come il fragile status quo raggiunto possa essere minato dall’emanazione di una notifica d’arresto proveniente da un governo guidato da un Presidente di etnia Hutu contro un ex politico Tutsi. Peraltro a fronte dell’opacità delle elezioni che hanno confermato Nkurunziza al governo. La stessa Unione Africana, di solito restia a interferire nelle faccende interne degli Stati membri, ha raccomandato a Bujumbura di non mettere a rischio la pace nazionale e ha espresso le proprie preoccupazioni di fronte al mancato consolidamento del dialogo interetnico a livello nazionale.


AMERICA LATINA 7 Giorni in 300 Parole ARGENTINA 4 dicembre. Il Banco Central de Argentina ha annunciato una modifica della politica monetaria, dovuta a un rallentamento dell’inflazione: è stata, infatti, eliminata la base del tasso di interesse del 60%. Si tratterebbe di uno dei primi segnali di ripresa dell’economia argentina, dovuto in parte al contributo del FMI, che, nel settembre scorso, ha garantito al Paese sudamericano un prestito record di 57 miliardi di dollari.

BOLIVIA 5 dicembre. Il Tribunal Supremo Electoral de Bolivia ha garantito la possibilità a Evo Morales di essere rieletto alle prossime elezioni presidenziali, programmate per gennaio 2019, asserendo che la sua partecipazione non “incontrerebbe ostacoli costituzionali”. Tale decisione, tuttavia, si pone in netto contrasto con il risultato del referendum costituzionale del 2016, che aveva respinto la richiesta dell’attuale Presidente di poter essere nuovamente eletto. L’opposizione ha accusato Morales di voler “restare al potere in eterno e di non rispettare il voto popolare del referendum”. L’attuale Presidente avrebbe, invece, dichiarato di voler proseguire il proprio mandato per non

L’ACCORDO MERCOSUR – UEA RISCHIO DOPO L’ELEZIONE DI BOLSONARO La creazione di un mercato libero scambio tra America Latina e Unione Europea può bloccarsi

Di Sabrina Certomà Jair Bolsonaro rischia di rompere il già difficile equilibrio su cui si basa il pendenteaccordoeconomicotra Unione Europea e Mercosur (intesa economica che include Brasile, Argentina, Paraguay e Uruguay). Il neoeletto Presidente revisionerà quanto concordato e potrebbe decidere di ritirarsi dall’alleanza. Sono ormai quasi vent’anni che l’UE e l’America Latina negoziano su tre pilastri - dialogo politico, cooperazione e libero scambio - giungendo solo negli ultimi due a un approdo concreto; prima del G20 argentino se ne auspicava già la firma storica. Tuttavia, gli accordi pattuiti sono ritenuti svantaggiosi dal Brasile, principalmente per quanto riguarda prodotti agricoli come latte e riso che, per la maggior parte importati, rendono difficile la sussistenza dei piccoli produttori locali. Ora, dunque, Bolsonaro potrebbe optare per l’istituzione di accordi bilaterali di libero commercio al fine di favorire la crescita economica e la produttività del suo Paese. Le relazioni da poco consolidate tra l’Unione Europea e le regioni

sudamericane, in particolare con la CELAC (Comunità degli Stati dell’America Latina e dei Caraibi), in aree quali migrazioni, sviluppo sostenibile, lotta contro la povertà e a favore dell’emancipazione femminile, saranno probabile scenario di un divario di interessi e di una diminuzione della cooperazione nell’area. Gli Stati Uniti si rivelerebbero, in questo caso, un nuovo partner commerciale ad hoc per il Brasile. Da ultimo, l’accordo deve ancora superare le critiche dell’opposizione europea, costituita da gruppi di interesse che paventano l’invasione del mercato comune europeo da parte di prodotti Mercosur, oltreché alcuni cambiamenti nella PAC (Politica Agricole Comune). Dappiù, il testo dovrà obbligatoriamente essere varato e sottoscritto da tutti i parlamenti nazionali del Mercosur l’anno prossimo; operazione che richiederà sicuramente molto tempo. Se si dovesse arrivare a un accordo definitivo, si raggiungerebbe la prima intesa vera e propria tra Unione Europea, Brasile e Argentina, ma la strada è ancora lunga e il processo continua a subire rallentamenti.

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AMERICA LATINA “deludere il popolo”.

LÓPEZ OBRADOR È IL NUOVO PRESIDENTE DEL MESSICO AMLO si insedia in via ufficiale e tracci le linee guida del governo

criminalità deve continuare, anche se i dati forniti dal Sistema Nacional de Seguridad Pública (SNSP) sono allarmanti: nel solo 2017 i casi di omicidio sono aumentati del 22%, arrivando a quota 29.168. ECUADOR 5 dicembre. L’Interpol ha rifiutato la richiesta dell’Ecuador di localizzare e arrestare l’ex presidente Rafael Correa, in Belgio dal giugno del 2017 e richiesto dalla giustizia locale per una presunta implicazione nel sequestro del politico Fernando Balda, avvenuto nel 2012. Correa, tuttavia, continua a negare il proprio coinvolgimento nel caso Balda e ad affermare di non avere intenzione di affrontere la giustizia in Ecuador, dove “non sarebbe garantito il suo diritto a un giusto processo”.

VENEZUELA 1 dicembre. Secondo l’ONG Médicos por la Salud, la sanità nel Paese verserebbe in pessime condizioni. Il 33% delle camere ospedaliere sarebbe, infatti, inutilizzabile e il 43% degli ospedali non avrebbe la capacità di effettuare esami e studi di laboratorio. Il dato più allarmante, sarebbe, tuttavia, un altro: il 95% dei macchinari per effettuare TAC e risonanze magnetiche risulta essere non funzionante. A cura di Tommaso Ellena

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Di Natalie Sclippa Il primo dicembre alle 11:00 Andrés Manuel López Obrador (AMLO) si è insediato come nuovo capo di governo e presidente degli Stati Uniti del Messico. Durante il suo discorso alla nazione, ha ribadito le linee guida che porteranno il Paese verso una trasformazione profonda e radicale. In quanto leader della coalizione che ha vinto con il 53% dei voti alle elezioni di luglio, deve affrontare da subito delle questioni delicate. I fronti su cui dovrà lavorare sono molteplici: l’instabilità politica e sociale - alimentata dalle forti disparità economiche e dalle condizioni di vita precarie di gran parte della popolazione - dovrà trovare la soluzione in riforme decise, per combattere delinquenza, povertà e insicurezza. La crisi dei diritti umani, denunciata sia dai giornalisti che dalla Comisión Nacional de los Derechos Humanos de México (CNDH), deve essere affrontata con determinazione, dato che le violazioni sono aumentate negli ultimi anni. Obrador ha annunciato l’istituzione di una Comisión de la Verdad per fare luce sulla sparizione di 43 studenti nel 2014. La lotta alla

I problemi economici sono altrettanto gravi. Nonostante Obrador e il ministro dell’Economia siano riusciti a ottenere la fiducia degli ambienti economici, le perplessità persistono, specialmente dopo le prime scelte del presidente. La consultazione popolare sottoposta ai cittadini sulla costruzione dell’aeroporto di Città del Messico ha destato non pochi dubbi. L’adeguamento infrastrutturale è necessario per ottenere standard di vita accettabili. Il secondo esportatore di petrolio dell’America Latina deve fronteggiare la criminalità organizzata, che AMLO ha deciso di combattere con un nuovo approccio alla “guerra alla droga”, e la corruzione dilagante. Il neo Presidente ha però annunciato che «La vendetta non è il mio punto di forza, e non penso che sia un bene che il Paese si impantani nella caccia a coloro che sono accusati di corruzione». L’obiettivo di Obrador è di ridare al Paese uno slancio interno, attraverso l’economia rurale, l’aumento delle pensioni e una riforma delle comunicazioni che preveda la copertura Internet gratuita nelle scuole. Il leader ha l’appoggio sia della Camera che del Senato, ma su alcune riforme la maggioranza è divisa.


ECONOMIA POP UP: PRO E CONTRO DELLA STRATEGIA DI COMMERCIO AL DETTAGLIO

Aprono e chiudono a tempo di record: non si arresta la moda dei negozi temporanei

Di Francesca Maria De Matteis Spuntano all’improvviso e, dopo qualche giorno, settimana, o al massimo alcuni mesi, scompaiono. Così come hanno aperto, con pochissimo preavviso, i negozi pop up abbassano le serrande. Magari, per rialzarle in un’altra città, in un altro Paese o chiudendo definitivamente i battenti. Pubblicizzata e caratterizzata da un’importante risonanza mediatica, questa nuova strategia commerciale esaurisce la propria energia attrattiva in poco tempo. Nel corso della vita di ciascun punto vendita temporaneo, però, nessuna opportunità di profitto viene sprecata. Sono, infatti, innumerevoli i vantaggi che marchi più o meno conosciuti hanno ritenuto meritevoli di attenzione e valutazione. La caratteristica che, forse, prima di tutte viene considerata è strettamente legata alla gestione economica e finanziaria dell’azienda. I punti vendita pop up consentono, infatti, di abbattere i numerosi costi fissi dovuti ai canoni d’affitto. Nell’ottica, invece, di mercato, i prezzi offerti sono inferiori rispetto a quelli riconducibili ai negozi ‘tradizionali’, attraendo buona parte della domanda.

Ed è proprio di quest’ultima che si deve analizzare la psicologia. Il pericolo di scatenare ‘ansia’ nei compratori retail e, quindi, stimolare eccessivamente la loro propensione al consumo, incombe. Uno dei rischi su cui viene maggiormente posto l’accento è quello legato ad un’eccessiva liquidità commerciale e sociale, che si va ad aggiungere a una realtà economica globale in recessione. In pochi anni, la moda dei negozi pop up si è diffusa a livello mondiale, arrivando in Italia nel 2007. Sperimentata per la prima volta da importanti case di alta moda, tra le quali Louis Vuitton e Comme des Garçons, si è andata poi espandendo a macchia d’olio. In poco tempo, hanno ceduto al fascino pop up anche case di abbigliamento più ‘a buon mercato’, di intrattenimento come di arredamento, ma anche ristoranti, negozi fisici e online. In Italia, nel 2010 apriva a Milano il primo esercizio temporaneo di vendita di libri, per poi dissolversi dopo appena quattro mesi. Negli ultimi due anni, si sono comparsi o stanno per aprire negozi temporanei di Amazon, IKEA e persino di Facebook.

Se l’obiettivo dei negozi pop up è proprio quello di stimolare la domanda, proponendo una soluzione commerciale che si adatta alle necessità delle nuove generazioni, queste ultime sono attirate anche dal loro lato ‘social’. Si sta infatti sviluppando, all’interno di questa nuova concezione di vendita al dettaglio, l’idea di attrarre Millennials e Generazione Z fornendo loro location ed eventi da condividere in rete. Temporary Store and Business Center. Il mondo diventa temporary. È il titolo del sito dell’Associazione Italiana dei temporary shop, showroom, business center, event space e dei servizi connessi, chiamata Assotemporary. Recentemente istituita e aderente a Confcommercio Milano, non può ancora fare affidamento su un apparato normativo adeguato, che ne disciplini lo sviluppo, ma ci si sta muovendo in quella direzione. L’Associazione è nata il 29 maggio 2008 con l’intento di riunire operatori economici, imprenditori e titolari di strutture, garantendo loro rappresentanza istituzionale, supporto nella promozione e nella ricerca di attività, oltre all’acquisizione di know-how. MSOI the Post • 17


ECONOMIA ODISSEA BREXIT

Oltremanica, il dibattito sulla Brexit si prepara a ulteriori sviluppi

Di Michelangelo Inverso Ancora cambio di rotta sulla Brexit. Almeno stando a quanto accaduto alla Camera dei Comuni nei giorni scorsi, quando è stato approvato un emendamento che rappresenta una nuova spallata al governo conservatore. Il testo, promosso dal dissidente tory Dominic Grieve con il sostegno dell’opposizione laburista, prevede che, in caso di bocciatura dell’intesa presentata dalla premier Theresa May, l’accordo con l’UE passi nelle mani del Parlamento, attribuendogli potere di veto su qualunque opzione successiva. Queste opzioni, in realtà, si aprirebbero in caso di bocciatura l’11 dicembre prossimo, data in cui il Parlamento di Westminster dovrà pronunciarsi sulla bontà dell’accordo siglato dalla premier britannica con l’Unione Europea, accordo che finora pare scontentare tutti, da destra a sinistra. Ma, più di tutti, un alleato chiave, il Partito Unionista Irlandese, il DUP, indispensabile al governo per avere una maggioranza. In effetti, l’accordo riguardo la questione irlandese sembra essere il principale ostacolo alla stessa Brexit. Com’è noto, l’Irlanda è parte della UE, mentre l’Irlanda del Nord dovrebbe 18 • MSOI the Post

seguire i destini di Londra. Il problema è rappresentato dalla partecipazione o meno al mercato comune europeo. Una parte dei conservatori vorrebbe restarvi ancorato, portando il Regno Unito in una situazione simile alla Norvegia, nella quale il confine con l’Irlanda resterebbe aperto. Ma qui risiede il vero problema, dal momento che l’ala dura dei brexiteers interna alla maggioranza, capeggiata da Boris Johnson e da numerosi altri esponenti chiave dei tories, vorrebbe un’uscita pura e semplice dall’UE e dai suoi mercati dei beni (ma non da quelli finanziari). Questa seconda ipotesi, rappresentata dal cosiddetto scenario ‘no deal’ è quella in effetti problematica per l’Irlanda, perché sarebbe necessaria una dogana fisica e ulteriori restrizioni alla libera circolazione di merci e soprattutto persone. Una possibilità che è fumo negli occhi degli irlandesi dopo la faticosa pace raggiunta dopo il 2000 con gli unionisti nordirlandesi. L’11 dicembre, dunque, sarà un appuntamento col destino per la Gran Bretagna e per la sua premier Theresa May. Infatti, dopo le dimissioni a cascata delle scorse settimane, si preannuncia una resa dei conti, specialmente nel partito conservatore.

Se, come ormai probabile, il governo dovesse andare sotto nella votazione, non solo occorrerebbe riprendere i negoziati con Bruxelles, che già ha messo le mani avanti da mesi circa l’irrepetibilità dei negoziati, ma occorrerebbe forse procedere con un nuovo rimpasto di governo o addirittura con elezioni anticipate se Theresa May si dimettesse dal proprio incarico. Quest’ultimo scenario avrebbe senso se lo scarto di voti negativo fosse particolarmente ampio e sarebbe tutt’altro che peregrino, essendo atteso con trepidazione da Jeremy Corbyn, leader del partito laburista, rimasto finora in attesa che lo scontro interno ai suoi nemici politici desse i suoi frutti. Infine, c’è ancora chi, come l’ex primo ministro Tony Blair, spera in una nuova consultazione referendaria con esito opposto rispetto a quella che, due anni e mezzo or sono, decretò l’inizio di questa ‘odissea’. Non è facile immaginare quale sarà il futuro del Regno Unito, ogni cosa è avvolta dalla nebbia, che si tratti dell’economia, della politica o della stessa Brexit. L’unica cosa certa è che l’odissea Brexit sarà ancora molto lunga e piena di insidie.


DIRITTO INTERNAZIONALE ED EUROPEO RUSSIA E UCRAINA ALLO STRETTO DI KERCH Fra diritto marittimo e conflitti armati

Di Luca Imperatore Lo scorso 25 novembre, diversi pattugliatori della guardia costiera russa intercettavano e aprivano il fuoco su alcune imbarcazioni militari ucraine, all’ingresso del canale dello stretto di Kerch. L’esito dell’operazione vedeva due marinai ucraini feriti, le imbarcazioni sequestrate e gli equipaggi arrestati. La condotta russa ha scatenato forti polemiche da parte di molti diversi Stati che hanno considerato illegittima detta azione. Il Governo di Mosca ha giustificato la propria posizione sostenendo che le navi militari russe avevano aperto il fuoco soltanto dopo aver rilevato la violazione degli articoli 19 e 21 UNCLOS (relativi al passaggio inoffensivo in acque territoriali) da parte delle imbarcazioni ucraine. Appare del tutto evidente che le circostanze che hanno originato i fatti sono riconducibili alla situazione di costante aggressività tra i due Paesi coinvolti. Infatti, lo stretto di Kerch rappresenta la linea di frontiera tra la Russia e la Crimea, quest’ultima notoriamente occupata dalle forze russe, sin dal 2014. Invero, tocca segnalare che la Russia sia stata più volte segnalata per aver violato i diritti di navigazione delle navi

ucraine, nell’area dello stretto di Kerch. In accordo con le disposizioni che regolano il diritto dei conflitti armati, un’azione di detta natura – da parte dei militari russi – sarebbe stata giustificata nel quadro dello jus in bello, mentre appare ampiamente meno agevole legittimare la condotta russa in un contesto di jus ad bellum. Come sostenuto alcuni, se si considerano i prodromi derivanti dall’invasione illecita della Crimea, da parte della Russia, non sembra azzardato supporre che – data la condizione creatasi – l’incidente dello stretto di Kerch avrebbe dovuto essere regolato, per lex specialis, dal diritto dei conflitti armati marittimi. Per quanto attiene ai dettagli della questione, si ricorda che i vascelli ucraini (in quanto imbarcazioni militari) rientrano nella definizione fornita agli articoli 29 e 32 UNCLOS, secondo i quali le navi appartenenti a forze armate di un dato Paese sono protette da immunità e non possono essere fatte oggetto di cattura o arresto. Ad aggravare ulteriormente la situazione, interviene la posizione in cui gli eventi hanno avuto luogo: le imbarcazioni militari russe hanno aperto il fuoco e detenuto i vascelli in esame in acqueterritoriali ucraine (ancorché sotto occupazione russa).

A tal proposito, preme ricordare che la disciplina del passaggio inoffensivo non presenta interpretazioni univoche. È, infatti, oggetto di dibattito quale sia la risposta legittima adottabile da uno Stato costiero che veda un vascello militare terzo penetrare le proprie acque territoriali. Nonostante l’incertezza, comunque, la dottrina prevalente tende ad escludere la liceità dell’uso della forza. Nell’ipotesi in cui si considerasse non applicabile il diritto dei conflitti armati, la vicenda sarebbe regolata dalla disciplina UNCLOS. In tale circostanza, la Russia risulterebbe aver violato sia i propri obblighi di passaggio inoffensivo nelle acque territoriali altrui, sia i diritti di passaggio inoffensivo goduti dalle navi militari ucraine. Infatti, la condotta di Mosca equivarrebbe a un indebito attacco alla libertà di navigazione in tempo di pace, riconosciuta tanto dalla Convenzione di Montego Bay quanto da un trattato bilaterale (per la regolazione dell’area dello stretto), firmato dai due Paesi nel 2003. La vicenda mostra, ancora una volta, come i contorni mobili del c.d. “tempo di pace” sia in grado di generare “zone grigie” nelle qualil’identificazione del diritto applicabile risulta, rischiosamente, incerta.

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DIRITTO INTERNAZIONALE ED EUROPEO NUOVE PROSPETTIVE DI PRIVACY

Sulle orme del GDPR, la proposta dell’UE di un Regolamento e-Privacy

Di Stella Spatafora La tutela della privacy e la protezione dei dati personali a livello europeo si è evoluta sempre di più nel corso degli anni. Le istituzioni europee hanno via via percepito la necessità di far avanzare la normativa assieme agli sviluppi tecnologici, in modo da offrire alla società risposte efficaci a fronte delle problematiche connesse all’ambito digitale, fornendo appropriate tutele agli individui con i loro diritti e le loro libertà. In particolare, il 25 maggio 2018 è spesso definito il “Day 0”, ovvero il giorno in cui la normativa europea sulla protezione dei dati personali ha visto una luce nuova, grazie all’entrata in vigore del Regolamento generale sulla protezione dei dati (GDPR), che ha sostituito la Direttiva 95/46/CE. Il GDPR è nato per rispondere alle continue esigenze di una società che sta diventando sempre più digitale. Infatti, allo stato attuale delle cose, abbattere gli ostacoli che persistono a livello di scambio online è diventata una priorità sempre più impellente per permettere ai cittadini di superare le attuali difficoltà e di 20 • MSOI the Post

sfruttare e godere appieno di una vasta gamma di beni e servizi. Ciò sembra ancor più necessario per quanto riguarda il mondo imprenditoriale e della pubblica amministrazione. Infatti, tali settori si vedono ancora con ridotte possibilità di manovra, non riuscendo a sfruttare le rilevanti opportunità offerte dal mondo digitale. A tal proposito, si ritiene che il GDPR rappresenti uno dei cambiamenti più ambiziosi e radicali nell’ambito della protezione dei dati a livello mondiale di questi ultimi vent’anni. L’adozione del Regolamento generale sulla protezione dei dati risulta altrettanto valido per supportare e non ostacolare la circolazione dei dati, in grado dunque di far progredire l’Unione europea verso il Mercato Unico Digitale. L’Unione europea ha, dunque, affermato che: “per il buon funzionamento del mercato interno è necessario che la libera circolazione dei dati personali all’interno dell’Unione non sia limitata né vietata per motivi attinenti alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali”. Nella strategia dell’Unione europea per il Mercato Unico Digi-

tale è altresì previsto il riesame della Direttiva 2002/58/CE relativa alla vita privata e alle comunicazioni elettroniche. In particolare, sulle orme del GDPR è stata avanzata la proposta di un Regolamento e-Privacy, il quale si svilupperà in coerenza con l’ambito normativo del Regolamento generale sulla protezione dei dati personali. Pertanto, il futuro Regolamento ePrivacy sarebbe da considerarsi come lex specialis nell’ambito del Regolamento generale sulla protezione dei dati, poiché volto a disciplinare e integrare i dati relativi alle comunicazioni elettroniche “aventi carattere di dati personali”. Si tratta, dunque, di una proposta promettente e volta ad ampliare le prospettive di protezione dei dati personali e la tutela della privacy in un mondo sempre più digitale e interconnesso, in cui la circolazione dei dati deve essere tutelata ma non ostacolata. Ebbene, la proposta per il Regolamento e-Privacy rappresenta un ulteriore avanzamento nella strategia dell’Unione europea verso la creazione del Mercato Unico Digitale, favorendo l’incontro tra ambito normativo e ambito tecnologico.


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