MSOI thePost Numero 127

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Il Settimanale di M.S.O.I. Torino


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MSOI Torino M.S.O.I. è un’associazione studentesca impegnata a promuovere la diffusione della cultura internazionalistica ed è diffuso a livello nazionale (Gorizia, Milano, Napoli, Roma e Torino). Nato nel 1949, il Movimento rappresenta la sezione giovanile ed universitaria della Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale (S.I.O.I.), persegue fini di formazione, ricerca e informazione nell’ambito dell’organizzazione e del diritto internazionale. M.S.O.I. è membro del World Forum of United Nations Associations Youth (WFUNA Youth), l’organo che rappresenta e coordina i movimenti giovanili delle Nazioni Unite. Ogni anno M.S.O.I. Torino organizza conferenze, tavole rotonde, workshop, seminari e viaggi studio volti a stimolare la discussione e lo scambio di idee nell’ambito della politica internazionale e del diritto. M.S.O.I. Torino costituisce perciò non solo un’opportunità unica per entrare in contatto con un ampio network di esperti, docenti e studenti, ma anche una straordinaria esperienza per condividere interessi e passioni e vivere l’università in maniera più attiva. Lorenzo Grossio, Segretario M.S.O.I. Torino

MSOI thePost MSOI thePost, il settimanale online di politica internazionale di M.S.O.I. Torino, si propone come un modulo d’informazione ideato, gestito ed al servizio degli studenti e offrire a chi è appassionato di affari internazionali e scrittura la possibilità di vedere pubblicati i propri articoli. La rivista nasce dalla volontà di creare una redazione appassionata dalla sfida dell’informazione, attenta ai principali temi dell’attualità. Aspiriamo ad avere come lettori coloro che credono che tutti i fatti debbano essere riportati senza filtri, eufemismi o sensazionalismi. La natura super partes del Movimento risulta riconoscibile nel mezzo di informazione che ne è l’espressione: MSOI thePost non è, infatti, un giornale affiliato ad una parte politica, espressione di una lobby o di un gruppo ristretto. Percorrere il solco tracciato da chi persegue un certo costume giornalistico di serietà e rigore, innovandolo con lo stile fresco di redattori giovani ed entusiasti, è la nostra ambizione. Davide Tedesco, Direttore MSOI thePost 2 • MSOI the Post

N u m e r o

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REDAZIONE Direttore Editoriale Davide Tedesco Direttore Responsabile Giusto Amedeo Boccheni Vice Direttori Luca Bolzanin, Luca Rebolino Caporedattori Arianna Salan, Fabrizia Candido, Matteo Candelari, Pauline Rosa, Luca Imperatore Capiservizio Fabrizia Candido, Guglielmo Fasana, Alessandro Fornaroli, Lorenzo Gilardetti, Vladimiro Labate, Pierre Clément Mingozzi, Andrea Mitti Ruà, Giacomo Robasto, Arianna Salan Media e Management Daniele Baldo, Guglielmo Fasana, Anna Filippucci, Vladimiro Labate, Jessica Prietto Editing Lorenzo Aprà, Adna Camdzic, Amandine Delclos Copertine Virginia Borla, Amandine Delclos Redattori Gaia Airulo, Erica Ambroggio, Amedeo Amoretti, Andrea Bertazzoni, Micol Bertolini, Davide Bonapersona, Maria Francesca Bottura, Fabrizia Candido, Federica Cannata, Daniele Carli, Debora Cavallo, Sabrina Certomà, Giuliana Cristauro, Andrea Daidone, Alessandro Dalpasso, Federica De Lollis, Francesca Maria De Matteis, Ilaria Di Donato, Tommaso Ellena, Anna Filippucci, Alessandro Fornaroli, Corrado Fulgenzi, Francesca Galletto, Lorenzo Gilardetti, Vittoria Beatrice Giovine, Lara Amelie Isaia Kopp, Michelangelo Inverso, Vladimiro Labate, Simone Massarenti, Rosalia Mazza, Davide Mina, Pierre Clément Mingozzi, Alberto Mirimin, Chiara Montano, Anna Nesladek, Virginia Orsili, Francesco Pettinari, Barbara Polin, Luca Pons, Jessica Prieto, Mario Rafaniello, Jean-Marie Reure, Valentina Rizzo, Giacomo Robasto, Federica Sanna, Martina Scarnato, Andrea Domenico Schiuma, Natalie Sclippa, Jennifer Sguazzin, Stella Spatafora, Diletta Sveva Tamagnone, Francesco Tosco, Alessio Vernetti, Elisa Zamuner. Vuoi entrare a far parte della redazione? Scrivi una mail a thepost@msoitorino.org!


EUROPA 7 Giorni in 300 Parole BELGIO 9 dicembre. Il governo ha perso la maggioranza in Parlamento. Il partito di destra fiammingo N-VA ha lasciato, infatti, la coalizione in seguito al dibattito sull’adesione al Global Compact, accordo internazionale sulle migrazioni.

FRANCIA 10 dicembre. Il presidente francese, Emmanuel Macron, ha dichiarato, in risposta alle dure manifestazioni dei gilets jaunes, che le imposte sul carburante previste per il mese di gennaio saranno cancellate, mentre i salari minimi aumenteranno. Difficile, per ora, stabilire se tali provvedimenti saranno sufficienti a placare le proteste. ITALIA 7 dicembre. L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha multato Facebook per circa 10 milioni di euro, avendo riscontrato una gestione poco trasparente dei dati degli utenti. Facebook Italia ha manifestato la necessità di “lavorare insieme per fare chiarezza in merito a quanto contestato”. 12 dicembre. Dopo un colloquio con Jean-Claude Juncker, il premier Conte ha annunciato che il discusso rapporto deficit/ PIL per il 2019 sarà abbassato dal 2,4% al 2,04%. Quota 100 e reddito di cittadinanza, tuttavia, dovrebbero rimanere invariati. PAESI BASSI

XXV CONSIGLIO MINISTERIALE DELL’OSCE Cooperazione e dialogo per maggiore sicurezza

Di Giuliana Cristauro Il 6 e il 7 dicembre si è svolto a Milano il XXV Consiglio Ministeriale dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE). Con la riunione ministeriale si è conclusa simbolicamente la Presidenza italiana per il 2018. L’OSCE è la più grande organizzazione regionale per la sicurezza al mondo. Si adopera per perseguire la sicurezza attraverso la cooperazione e il dialogo politico tra gli Stati Partecipanti e per affrontare la gestione delle crisi. Il Consiglio dei ministri è il principale organo decisionale e di governo dell’Organizzazione ed è composto dai 57 ministri degli Esteri degli Stati che vi partecipano. Il Consiglio è stato presieduto dal ministro degli Affari Esteri italiano Enzo Moavero Milanesi. Hanno partecipato i ministri degli Esteri dei 57 Stati membri dell’Organizzazione ed erano presenti 1.400 delegati e 80 Ong. Era presente anche l’Alto rappresentante dell’Unione europea Federica Mogherini, che ha incontrato separatamente il ministro degli Affari Esteri russo Sergej Viktorovič Lavrov e quello ucraino, Pavlo Klimkin. Sono stati affrontati diversi temi riguardanti le principali crisi attualmente aperte in Europa. Tra queste la questione spinosa della crisi in Ucraina. Il capo della Farnesina ha

sottolineato come durante la presidenza di turno italiana l’OSCE abbia contribuito a mantenere aperto il dialogo politico aperto tra tutti i partecipanti, facendo sedere allo stesso tavolo anche paesi che hanno punti di vista molto diversi. Russia e Ucraina hanno potuto esprimere allo stesso tavolo le loro posizioni, seppur distanti – come ha dichiarato Moavero - anche alla luce delle recenti tensioni nello Stretto di Kerch. Un’altra questione di cui si è discusso è quella sul conflitto in Nagorno-Karabakh, regione contesa da Azerbaijan, Armenia e Georgia. Il Consiglio ha approvato un’importante dichiarazione volta alla regolazione del conflitto in Transnistria, alla luce dei progressi conseguiti con l’adozione del Protocollo di Roma nel maggio scorso. Sempre su impulso della Presidenza italiana, è stata adottata una dichiarazione sulla sicurezza nel Mediterraneo per affrontare il fenomeno delle migrazioni. Grande risultato, nel campo dei diritti umani, è stato raggiunto grazie all’adozione all’unanimità di due importanti deliberazioni sul contrasto alla violenza sulle donne e sulla protezione dei giornalisti. Per la prima volta l’OSCE si è espressa ufficialmente per la libertà di stampa, adottando all’unanimità un documento che tutela i giornalisti in nome della libertà e della sicurezza. tutela i giornalisti in nome della libertà e della sicurezza.

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EUROPA 12 dicembre. Da oltre 6 settimane nella chiesa protestante di Bethel, a L’Aia, una messa viene celebrata ininterrottamente. Lo scopo è quello di evitare l’espulsione di una famiglia armena alla quale sarebbe stato revocato il permesso di soggiorno dopo 9 anni passati nel Paese. Secondo la normativa locale, infatti, la polizia non può interrompere una funzione religiosa per eseguire un arresto. REGNO UNITO 10 dicembre. La premier inglese, Theresa May, ha rinviato il voto parlamentare sull’accordo della Brexit, riconoscendo di non avere i numeri necessari. Non è stata, tuttavia, fissata un’altra data per il voto, che dovrà necessariamente svolgersi entro il 21 gennaio, limite imposto dall’UE. 12 dicembre. Alcuni membri del partito conservatore hanno proposto una mozione di sfiducia interna al partito verso la leader Theresa May, che l’avrebbe portata, in caso di sconfitta, a dimettersi anche da capo del governo. La fiducia è stata però confermata, con 200 favorevoli e ben 117 contrari. UNIONE EUROPEA 10 dicembre. Un gruppo di oltre 120 politici e intellettuali, guidati dall’economista Thomas Piketty, ha pubblicato un “Manifesto per la democratizzazione dell’Europa”. In esso si richiede di creare un’Assemblea europea sovrana e di approvare un nuovo Budget europeo, mirato a “ridurre le disuguaglianze all’interno dei diversi Paesi” e “investire nel futuro di tutti gli europei”. A cura di Luca Pons 4 • MSOI the Post

CDU, MERKEL CEDE IL TESTIMONE A AKK Il principale partito della Germania ha scelto la sua nuova Presidente

Di Alessio Vernetti È Annegret KrampKarrenbauer la nuova Presidente della CDU, eletta al congresso del partito tenutosi lo scorso 7 dicembre. La 56enne AKK (così è nota in Germania) succede ad Angela Merkel, che ha detenuto la guida del partito per 18 anni di seguito. Nata e vissuta nel piccolo Saarland, al confine con la Francia, Kramp-Karrenbauer ha rapidamente scalato le gerarchie dell’Unione Cristiano-Democratica a livello locale: nel suo Land, infatti, AKK è stata prima membro del Landtag (il Parlamento regionale), poi più volte Ministro e infine, dal 2011, MinistroPresidente. Ha lasciato questa carica lo scorso febbraio, quando la Cancelliera Merkel la ha nominata Segretaria generale della CDU e, di fatto, sua erede politica. Le pesanti débâcles elettorali subite alle elezioni in Baviera e Assia lo scorso ottobre, poi, hanno convinto Merkel a lasciare definitivamente la Presidenza del partito. Così, al congresso della CDU tenutosi ad Amburgo, AKK è riuscita ad ottenere la maggioranza dei voti dei 999 delegati, sconfiggendo sia il Ministro della Salute Jens Spahn (eliminato al primo turno con soli 157 voti), sia lo storico rivale della Cancelliera

Friedrich Merz (sconfitto ballottaggio per 517 a 482).

al

Di fatto, il voto dei delegati ha mostrato una grande frattura all’interno della CDU: infatti, sebbene abbia prevalso l’anima centrista in continuità con Angela Merkel, la sempre più influente ala a destra del partito, rappresentata da Merz e dal presidente del Bundestag Schauble, ha perso per soli 35 voti. AKK ha comunque cercato di venire incontro a Merz proponendo il giovane deputato Paul Ziemiak, appartenente all’ala più conservatrice del partito, come nuovo Segretario generale della CDU. Diverse le sfide che attendono Kramp-Karrenbauer: innanzitutto, la “delfina” di Angela Merkel dovrà ricompattare una CDU sempre più spaccata in vista delle prossime elezioni europee e regionali (in Turingia, Sassonia e Brandeburgo) e frenare l’ascesa dell’estrema destra di Alternative für Deutschland. Sul fronte governativo, infine, AKK dovrà riallacciare i rapporti, oggi ai minimi storici, con la CSU (il partito gemello bavarese), oltre che cercare di mantenere in piedi la fragile Große Koalition con l’SPD di Andrea Nahles: Merkel, infatti, intende comunque restare a capo dell’esecutivo fino alla scadenza naturale del mandato nel 2021.


NORD AMERICA 7 Giorni in 300 Parole STATI UNITI 8 dicembre. Donald Trump ha annunciato le dimissioni di John Kelly, capo di gabinetto della Casa Bianca. Kelly ricoprirà il proprio ruolo fino alla fine dell’anno. Il nome del futuro sostituto non è stato, tuttavia, ancora reso noto. 9 dicembre. Terry Branstad, ambasciatore statunitense in Cina, è stato convocato dal Ministero degli Esteri cinese in seguito all’arresto, avvenuto in Canada, della direttrice finanziaria di Huawei, Meng Wanzhou, Lo scopo di Pechino sarebbe quello di ottenere il ritiro della richiesta di estradizione avanzata dagli Stati Uniti, intenzionati a processarla per frode. 10 dicembre. Il segretario di Stato americano, Mike Pompeo, e il primo ministro del Senegal, Mahammed Dionne, hanno celebrato, presso il Dipartimento di Stato, l’accordo di cooperazione energetica da 550 milioni di dollari (USD) siglato tra la Millenium Challenge Corporation (MCC) e il governo senegalese. “Modernizzare e rafforzare il settore energetico del Paese africano”, sarebbe, infatti, lo scopo dell’intesa. 11 dicembre. Duro scontro tra Donald Trump e i leader democratici, Nancy Pelosi e Charles Schumer, in occasione di una conferenza stampa svoltasi nello Studio Ovale della Casa Bianca. Il Presidente ha minacciato uno “shutdown”, qualora il Congresso non dovesse fornire i finanziamenti richiesti per la costruzione della barriera al confine con il Messico.

LA NUOVA POLITICA REGIONALE ARTICA DEGLI STATI UNITI

La minaccia di Russia e Cina nell’Artico preoccupa gli Stati Uniti

Di Nicolas Drago Il Woodrow Wilson Center, polo scientifico di eccellenza di Washington, ha ospitato nei primi giorni di dicembre il Symposium on the Artic and U.S. National Security del Polar Institute. Il dialogo ha messo a confronto le più influenti personalità del mondo politico, militare e scientifico statunitensi in termini di salvaguardia della sicurezza e degli interessi nazionali nell’Artico e ha trovato, in conclusione, tutti d’accordo sulla necessità di ottimizzare una linea strategica in risposta alla minaccia dell’espansionismo sinorusso nella regione.

dell’assottigliamento calotta polare artica.

della

Pechino, invece, è alle prese con regolari spedizioni di ricognizione e all’inizio dell’anno ha anche annunciato il progetto ambizioso per lo sviluppo di una ‘Via della Seta Polare’, dato che la navigazione per il Mare del Nord ridurrebbe dai 9 ai 15 giorni i tempi di navigazione per raggiungere l’Europa.

Infatti, Russia e Cina hanno giovato finora della reticenza statunitense per costruire e consolidare una loro posizione nell’area al fine di godere, nel prossimo futuro, di vantaggi economici e geostrategici.

L’ammiraglio Karl L. Schulz, dal momento della sua investitura a Comandante della Guardia Costiera degli Stati Uniti, ha richiamato l’attenzione del Congresso sull’urgenza di finanziare il programma Polar Security Cutter, che doterebbe il Paese di una flotta moderna di navi rompighiaccio. Ha sottolineato, inoltre, l’importanza di costruire una partnership solida con le altre Nazioni Artiche, nel contesto di incontri di natura intergovernativa, come nel caso dell’Arctic Council.

Con circa 50 navi rompighiaccio già operative (7 delle quali dotate di armamenti nucleari) e 12 in fase di costruzione, il Cremlino punta a investire centinaia di miliardi di dollari in infrastrutture per la creazione di nuove rotte commerciali e per procedere all’estrazione di petrolio, gas, minerali, e metalli preziosi; attività rese attualmente meno dispendiose o pericolose a seguito

Per l’Artide vengono applicate norme di diritto internazionale pubblico, in particolare quelle del Diritto del Mare enunciate nell’omonima Convenzione delle Nazioni Unite, a differenza dell’Antartide che gode di un regime giuridico ad hoc; per questa ragione, l’avanzamento di rivendicazioni territoriali potrebbe far nascere dispute di complessa risoluzione.

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NORD AMERICA 12 dicembre. Micheal Choen, ex avvocato di Donald Trump, è stato condannato a 3 anni di reclusione per “uso illecito dei fondi elettorali”. CANADA 9 dicembre. La Cina avrebbe accusato il Canada di violazione del protocollo consolare, operante tra i due Paesi, in occasione dell’arresto di Meng Wanzhou, CFO di Huawei. Secondo quanto affermato dal portavoce del Ministero degli Esteri cinese, “l’avviso dell’arresto non sarebbe stato tempestivamente notificato all’ambasciata di Pechino”. 10 dicembre. Il Canada si è impegnato ad accogliere 1 milioni di migranti nei prossimi 3 anni. Le dichiarazioni sono giunte in occasione della firma canadese del Global Compact for Safe, Orderly and Regular Migration.

11 dicembre. Concessa la libertà su cauzione a Meng Wanzhou, con l’obbligo di non lasciare Vancouver e di consegnare il proprio passaporto alle autorità canadesi. La cauzione è stata fissata a 7,5 milioni di dollari (USD). 13 dicembre. Arrestato in Cina l’ex diplomatico canadese e attualmente impegnato presso l’International Crisis Group, Michael Kovrig. Un secondo arresto sarebbe, inoltre, avvenuto ai danni di Michael Sparov, imprenditore canadese. Entrambi sarebbero accusati di minaccia alla sicurezza nazionale cinese. A cura di Erica Ambroggio 6 • MSOI the Post

BARR È IL NUOVO MINISTRODELLA GIUSTIZIA E NAUERT L’AMBASCIATRICE ALL’ONU L’ex giornalista sostituirà Nikki Haley, mentre Barr dovrà essere confermato dal Senato

Di Jennifer Sguazzin Il presidente Donald Trump ha annunciato due nuove nomine negli alti gradi della sua amministrazione: William Barr, nuovo ministro della Giustizia, prenderà il posto di Jeff Sessions; Heather Nauert, ambasciatrice all’ONU, al posto di Nikki Haley che lascerà la poltrona a fine anno. Decisioni che non sono state esenti di critiche e dubbi. La nomina di Nauert, in particolar modo, ha suscitato delle perplessità legate alla sua scarsa formazione politica. Ex-giornalista di Fox News e conduttrice di uno dei programmi preferiti del Presidente, “Fox and Friends”, nell’aprile 2017 è stata nominata portavoce del Dipartimento di Stato. Nonostante l’esperienza consolidata come giornalista, Nauert è una neofita della politica estera, e considerando l’importante ruolo che andrà a rivestire, è ritenuta da molti analisti troppo inesperta. Sebbene anche Nikky Haley mancasse di una forte preparazione in politica estera, poteva vantare l’esperienza di governatrice del Carolina del Sud. Ci sono delle riserve anche sulla nomina di William Barr, che aveva già ricoperto la carica

sotto la presidenza di George H. W. Bush dal 1991 al 1993. Repubblicano ortodosso, ha lavorato per 14 anni nel settore privato e attualmente è consulente nell’ufficio di Washington dello studio legale Kirkland & Ellis. I dubbi sulla sua nomina sono legati alle posizioni del futuro General Attorney in tematiche quali l’immigrazione e l’aborto. Prediligendo una linea dura sulle politiche in questi due campi, Barr potrà esercitare una notevole influenza anche sull’inchiesta in corso sul Russiagate. A tal proposito, nel corso di una recente intervista, Barr ha criticato il procuratore speciale Mueller, denunciando la sua mancanza di neutralità, mentre nel 2017 dichiarò al Washington Post di appoggiare la decisione di Trump di licenziare il direttore dell’FBI, James Comey, il quale stava indagando sulle interferenze russe nelle elezioni statunitensi a vantaggio del candidato Repubblicano. Donald Trump, che subito dopo le midterm elections aveva annunciato dei cambiamenti nell’amministrazione, ha dovuto fare i conti anche con molte dimissioni, ultima quella del capo di gabinetto della Casa Bianca, John Kelly, annunciata lo scorso 8 dicembre.


MEDIO ORIENTE 7 Giorni in 300 Parole

ISRAELE E LA «TERRA PROMESSA» ALLA PALESTINA L’annessione è nell’aria

Di Andrea Daidone IRAQ 8 dicembre. Scoperto un deposito di armi appartenute al sedicente Stato Islamico. A riferirlo, fonti dell’esercito iracheno. Secondo quanto riportato dai media, le armi sarebbero state ritrovate nella zona orientale di Mosul.

ISREALE 8 dicembre. Un terzo tunnel di Hezbollah è stato scoperto dalle forze dell’esercito israeliano. Secondo quanto riportato dal portavoce militare, il tunnel si estenderebbe da un punto, ancora sconosciuto, dei territori di Israele fino al Libano meridionale. SIRIA 8 dicembre. La Coalizione anti-Isis, guidata dalle forze statunitensi, ha proceduto con intensi attacchi aerei nella zona al confine con l’Iraq. Avanza, invece, da settimane, l’offensiva dell’esercito curdo-siriano nella zona di Hajin. TURCHIA 10 dicembre. Da circa una settimana sono stati intercettati e fermati più di 4mila migranti:

Lo scorso ottobre, l’ex ministro della Difesa israeliano, Avigdor Lieberman, ha annunciato l’approvazione di un nuovo insediamento nella West Bank, a Hebron. Non accadeva da 20 anni. Gli insediamenti illegali di Israele si sono diffusi in tutta la zona negli ultimi decenni, fino ad arrivare a Gerusalemme Est. Ora, però, l’atteggiamento, e soprattutto le decisioni del ministro “hanno passato la soglia della legalità”, per dirla con le parole di Michael Lynk, osservatore ONU in Palestina. L’occupazione e la colonizzazione di un territorio sono legalmente giustificati solo come condizione a breve termine ed eccezionale che conduce all’autodeterminazione e alla sovranità. Tuttavia, non è il caso di Israele, che occupa la West Bank e la Striscia di Gaza in modo ininterrotto da 50 anni, rendendo così la sua sgradita presenza, l’occupazione più lunga della storia, ancora lontana dal concludersi. Attualmente, fra la West Bank e Gerusalemme Est, entrambi territori palestinesi, sono presenti 600.000-750.000 coloni israeliani che risiedono illegalmente, per volere di Tel Aviv. Questa situazione infrange ben due accordi internazionali. Il comportamento di Israele, infatti, vìola la Quarta Convenzione di Ginevra, che proibisce a tut-

ti gli Stati di trasferire i propri cittadini in zone occupate, e si configura come crimine di guerra ai sensi dello Statuto di Roma. Come se non bastasse, complice l’alleato statunitense, Israele ha, negli anni, ignorato completamente più di 40 risoluzioni del Consiglio di Sicurezza (si noti che le risoluzioni del Consiglio sono vincolanti) e 100 risoluzioni dell’Assemblea Generale dell’ONU. Come sostiene lo stesso Lynk, è impellente che il CdS cominci ad avere un atteggiamento più duro con Israele e che lo obblighi a conformarsi alle sue decisioni, prima che l’annessione della West Bank avvenga definitivamente. Tutto ciò, ammesso che non sia già avvenuta, dal momento che non sempre è necessaria una dichiarazione formale affinché si possa parlare di annessione: la permanenza degli insediamenti, i tentativi di imporre la sovranità tramite leggi e decisioni sono già, di fatto, chiari segni che ormai l’annessione è de facto quasi ultimata. In quanto stato sovrano, Israele deve rispettare il diritto internazionale, le decisioni del Consiglio di Sicurezza, così come i trattati da esso ratificati. In tal senso, si rende necessaria un’azione da parte della Comunità internazionale affinché il caso israeliano non rappresenti più un esempio di violazione del diritto. MSOI the Post • 7


MEDIO ORIENTE 503 via mare, tutti senza documenti. A riferirlo, il Ministero dell’Interno. Effettuati, inoltre, numerosi arresti di soggetti ritenuti probabili trafficanti di esseri umani. 10 dicembre. Salito a 926, il numero degli arresti per terrorismo effettuati nell’ultima settimana. A riferirlo il Ministero dell’Interno turco. Si sospetta che più della metà degli arrestati possa essere legata al gruppo di Fethullah Gulen, ritenuto responsabile del tentato colpo di stato. I restanti, sarebbero considerati iliati presunti aff al Pkk curdo, membri del sedicente Stato Islamico o membri di gruppi di estrema sinistra. 12 dicembre. Le milizie curde sarebbero giunte nel mirino delle forze militari turche, come riferito dallo stesso presidente Recep Tayyip Erdogan. L’obiettivo del Presidente sarebbe una fazione di “terroristi” dell’Ypg, situata ad est dell’Eufrate, zona sottoposta al controllo statunitense. YEMEN 9 dicembre. Dopo 4 giorni, dall’inizio dei colloqui in Svezia tra la delegazione governativa yemenita e i ribelli Houthi, le due parti si sarebbero mostrate propense alla ricerca di un accordo per la liberazione di prigionieri, che, da quattro anni, sono nelle mani di entrambe le fazioni. 12 dicembre. Atteso il segretario generale delle Nazioni Unite a Rimbo, in Svezia. I punti principali di discussione saranno il controllo di Hudayda e di Taiz, la gestione della Banca centrale e la riapertura dell’aeroporto di Sanaa. A cura di Maria Francesca Bottura 8 • MSOI the Post

#BLACKSITESTURKEY

Un’inchiesta internazionale svela le inquietanti attività di Erdogan contro i “gülanisti” di Fethullah Gülen, un predicatore di una corrente specifica dell’Islam, che dal 1999 risiede negli USA.

Di Anna Filippucci Nel glossario militare, un black site indica una località in cui viene portato avanti un progettoiale segreto e non uffic in violazione dello stato di diritto, da parte di uno Stato o un’istituzione. La trasgressione delle norme consiste solitamente nel sottoporre varie persone, prelevate senza l’utilizzo di un mandato d’arresto emesso da un giudice, ad interrogatori forzati, caratterizzati spesso da violenze carnali o d’altro tipo. Il termine si usa correntemente dal 2005, quando il Washington Post, attraverso un’inchiesta e dichiarazioni di varie ONG, ha dimostrato l’utilizzo di tali siti da parte della CIA per cercare terroristi nel post 09/11. George W. Bush ne ha ammesso l’esistenza solo nel 2006. Recentemente, 15 giornalisti provenienti da 9 testate di 8 Paesi diversi ha indagato, sotto la supervisione di COLLETIV, una “no-profit newsroom” tedesca, sull’istituzione e sull’uso di tali siti da parte dello Stato turco. Secondo l’inchiesta, il regime di Erdogan, in piena violazione del diritto internazionale e dei diritti umani, starebbe perseguitando i cosiddetti “gülanisti” sparsi per l’Europa e il mondo. Si tratta di un movimento fedele alle idee

Se prima del fallito putsch del 2016, il partito di Erdogan collaborava con tale movimento e ne condivideva i precetti – una graduale islamizzazione della società partendo dal basso – a partire dal 2013 sono emerse le prime tensioni. Dal tentato golpe, per il Presidente esso è diventato il principale nemico da combattere. Così, è iniziata un’opera di intercettazione di tutti i simpatizzanti e membri attivi del movimento stesso: la maggior parte dei target sono stati insegnanti delle scuole gülaniste. È il caso di Tolga e Ali, pseudonimi utilizzati per proteggere l’identità dei testimoni, intervistati dal gruppo di giornalisti, che raccontano di essere stati prelevati, incappucciati e portati di forza nei black sites dove sono stati torturati e interrogati da membri dei servizi segreti turchi. Due elementi, più di tutti, mettono in luce la gravità della questione: anzitutto, il fatto che i governi di vari Paesi (Kosovo, Malesia, Azerbaigian e alcuni stati africani) siano conniventi col governo di Erdogan e collaborino attivamente al trasferimento dei sospetti in territorio turco (dove si trovano i black sites). In secondo luogo, la platealità delle operazioni svolte dalla polizia turca. Per trasportare i sospetti da uno Stato all’altro, infatti, vengono utilizzati aerei riconducibili a quelli dei servizi segreti e, una volta rimpatriati, i prigionieri vengono esibiti come trofei.


RUSSIA E BALCANI 7 Giorni in 300 Parole ARMENIA

RUSSIA E INDIA SEMPRE PIÙ UNITI Si intensificano le relazioni tra i due Paesi

9 dicembre. La coalizione guidata dal primo ministro uscente, Nikol Pashinyan, ha ottenuto oltre il 70% dei voti alle elezioni parlamentari. In calo l’affluenza, che si è fermata al 49%. MACEDONIA 7 dicembre. In risposta alle accuse mosse contro di lui, il presidente Gjorge Ivanov ha negato di aver avuto un ruolo nelle violenze che hanno colpito il Parlamento nell’aprile 2017. MOLDAVIA 10 dicembre. Il presidente Igor Dodon è stato sospeso per la quinta volta dalla Corte Costituzionale per essersi rifiutato di firmare 5 proposte di legge approvate più volte dal Parlamento. Secondo la legge moldava, il Presidente ha il potere di rigettare una proposta di legge soltanto una volta, rimanendo obbligato a firmarla in caso di ulteriore approvazione del Parlamento. Le funzioni di Dodon saranno temporaneamente assunte dal Presidente del Parlamento, incaricato, inoltre, di firmare le 5 leggi.

Di Davide Bonapersona Sul fronte dei rapporti tra Russia e India, gli ultimi mesi del 2018 sono stati molto positivi. I rappresentanti dei due Paesi si sono incontrati in varie occasioni, nel corso delle quali hanno avuto la possibilità di stringere ulteriormente i legami in campo politico, economico e militare.

RUSSIA

Un momento molto importante è stato sicuramente l’annuale summit indo-russo, tenutosi a Nuova Delhi agli inizi di ottobre scorso. Nel corso di questo evento, il presidente russo Putin ha discusso con il primo ministro indiano Narendra Modi dei possibili orizzonti futuri di collaborazione tra i due Stati. L’incontro si è concluso con la firma di svariati accordi bilaterali in ambito economico, energetico, spaziale, militare e di lotta congiunta al terrorismo.

7 dicembre. Il presidente Putin e il primo ministro greco Tsipras si sono incontrati a Mosca per riprendere il dialogo dopo lo scontro diplomatico avvenuto lo scorso luglio. Atene aveva, infatti, espulso due diplomatici russi, accusando il Cremlino di voler mettere a rischio l’accordo sulla modifica del nome della Macedonia. “Stiamo guardando oltre e questo caso è chiuso. È importante oggi approfittare del nostro grande potenziale per approfondire la cooperazione

Più recentemente, i leader dei due Paesi si sono nuovamente incontrati al G20, che si è tenuto a Buenos Aires il 30 novembre e 1° dicembre. A margine di questo evento, Modi e Putin hanno incontrato anche il presidente della Repubblica cinese Xi Jinping, con il quale hanno discusso di varie questioni internazionali. Si sono infine impegnati a rafforzare ulteriormente le relazioni tra i rispettivi Paesi in campo politico e economico. Questo avvenimento è stato an-

cora più significativo se si considera che sono passati 12 anni dall’ultima volta che i leader dei tre principali BRICS si sono incontrati. In tema di relazioni Russia-India, nei giorni scorsi, il presidente della Duma Vyacheslav Volodin ha espressamente invitato il vicepresidente indiano Venkaiah Naidu a recarsi in visita “ ufficiale in Russia per poter continuare il dialogo iniziato nei mesi scorsi”. Dall’altra parte, Naidu, dopo aver ribadito l’importanza delle relazioni tra i due Stati, ha invitato la Russia ad inviare degli osservatori per monitorare le prossime elezioni parlamentari indiane, che si terranno nel 2019. Va segnalato che, in passato, degli osservatori indiani hanno monitorato le elezioni russe. Merita un particolare accenno anche la collaborazione militare tra i due Paesi. Dal 13 al 16 dicembre, nella Baia del Bengala, ha luogo l’annuale esercitazione navale tra la flotta russa e quella indiana. Inoltre, il 6 dicembre scorso, durante una lezione tenuta all’Accademia Militare degli Ufficiali delle Forze Armate Russe, il Capo della Marina Militare indiana, Sunil Lanba, ha espresso interesse verso la possibilità di effettuare sessioni di addestramento congiunte tra i due eserciti.

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RUSSIA E BALCANI in vari settori”, ha dichiarato Tsipras. 8 dicembre. Morta, a 91 anni, Lyudmila Alekseyeva, importante attivista per i diritti umani e figura di spicco dell’opposizione russa. Archeologa di formazione, divenne dissidente sovietica negli anni ‘60 e fu tra i fondatori del Moscow Helsinki Group nel 1976, per cui dovette vivere 16 anni in esilio negli Stati Uniti. Per aver partecipato alla sua veglia funebre, Putin è stato accusato di ipocrisia. Alekseyeva aveva, infatti, manifestato forti critiche nei confronti del suo governo. TURKMENISTAN 10 dicembre. Il presidente Gurbanguly Berdymukhammedov ha firmato un decreto di amnistia per 796 persone in occasione della Giornata Internazionale della Neutralità. L’ultima amnistia era stata concessa lo scorso settembre. Solitamente, questi decreti non includono i prigionieri politici. UCRAINA 10 dicembre. Il presidente Petro Poroshenko ha firmato la legge che consente l’uscita dell’Ucraina, prevista per il prossimo 31 marzo, dal trattato di amicizia con la Russia. Firmato nel 1997, il trattato obbliga i due Paesi a rispettare le proprie integrità territoriali e i rispettivi confini. Per Poroshenko, si tratterebbe di “parte di una strategia per rompere con il passato coloniale e riorientarci verso l’Europa”. A cura di Vladimiro Labate

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VITTORIA SCHIACCIANTE DI PASHINYAN IN ARMENIA Le elezioni confermano il nuovo corso iniziato con la “rivoluzione di velluto”

Di Mario Rafaniello Rispettate le previsioni di una importante vittoria per il premier uscente Nikol Pashinyan, sostenuto dalla coalizione Il mio passo, di cui fa parte suo partito Contratto Civile. Pashinyan vince nettamente con il 70,43% dei voti. Distaccate le altre formazioni politiche, molte delle quali non hanno raggiunto lo sbarramento del 5% previsto per entrare in Parlamento; risultato ottenuto invece da Armenia Prospera (8,27%) e Armenia Luminosa (6,37%). La coalizione vincente occuperà 88 dei 132 seggi dell’Assemblea Nazionale. L’affluenza alle urne ha registrato un calo (48,63%) rispetto alle elezioni precedenti del 2017. La ragione principale è la crescente disaffezione dell’elettorato per via degli scandali legati alla corruzione politica, che portarono alle dimissioni l’ex primo ministro Sargsyan, il cui Partito Repubblicano d’Armenia esce dalla scena politica non avendo superato la soglia minima, fermandosi al 4,70%. Le elezioni di domenica scorsa, le prime anticipate nella storia dell’Armenia, sono l’esito di un processo iniziato a maggio, quando l’allora ex giornalista

e leader della “rivoluzione di velluto” Pashinyan fu nominato primo ministro. Dimettendosi a novembre, ha permesso l’indizione di elezioni anticipate così da poter consolidare maggiormente il consenso ottenuto. Il Premier ha confermato la volontà di ristabilire normali rapporti con la Turchia, nonostante le incomprensioni passate, e mantenere le relazioni con Mosca, eredità del precedente governo. Di pochi mesi fa l’incontro tra il leader armeno e Putin per discutere di accordi commerciali sulla fornitura di gas russo. In campagna elettorale, Pashinyan non ha chiuso le porte all’Occidente, nonostanteabbia dichiarato che “l’Armenia non entrerà nella NATO”. Il nuovo corso armeno affronterà molteplici questioni: la crisi economica ha generato oltre un milione di poveri, e sarà fondamentale promuovere riforme per incrementare posti di lavoro e stabilità economica. La lotta alla corruzione resta un punto cardine di tutta la politica di Pashinyan, con l’obiettivo di riavvicinare il popolo deluso da mesi di scandali. In politica estera bisognerà trovare un equilibrio tra le posizioni aperte all’Europa e il legame ancora forte con Mosca.


ASIA E OCEANIA 7 Giorni in 300 Parole

LA CINA IN ROTTA PER LA LUNA

La sonda lunare Chang’e-4 è decollata verso il lato più remoto del satellite grazie al satellite artificiale Queqiao, lanciato in orbita nel maggio 2017.

Di Gaia Airulo FILIPPINE 12 dicembre. Approvata l’estensione, di 12 mesi, della legge marziale nella regione di Mindanao vista come una minaccia da parte del presidente Rodrigo Duterte, impegnato ad impedire l’organizzazione di ribellioni da parte di estremisti musulmani nel territorio. L’opposizione ha contestato la decisione, ritenendola ingiustificata dal momento che gli alleati del sedicente Stato Islamico, nella regione, non sarebbero in grado di rianimare una ribellione. SINGAPORE 10 dicembre. Il primo ministro malese, Mahathir Mohamad, ha dichiarato che “negozierà con Singapore” in merito alla disputa territoriale in corso. La volontà, da entrambe le parti, sarebbe quella di risolvere la situazione amichevolmente. La Malesia, tuttavia, non è in grado di tornare allo status quo, precedente al 25 ottobre, ritirando le navi governative nelle acque di Singapore. Khaw Boon Wan, ministro dei Trasporti di Singapore, ha dichiarato che ci sarebbero state 14 intrusioni da parte di navi malesi. Il Ministero degli Affari Esteri ha, inoltre, annunciato che la Malesia sarebbe considerata responsabile di eventuali situazioni spiacevoli nell’area oggetto della controversia.

Un’antica leggenda cinese racconta che la Dea Chang’e fluttuò sulla Luna dopo aver assunto una medicina che l’avrebbe resa immortale; è lì che ora vivrebbe in compagnia del coniglio di giada, Yutu. Il mito ha ispirato il nome del programma di esplorazione lunare Chang’e-3, che col suo rover Yutu, nel 2013, portò la Cina sulla Luna per la prima volta. Rispettivamente, nel 2007 e nel 2010 furono lanciate Chang’e-1 e -2, che andarono in orbita, ma non atterrarono. Il secondo capitolo della corsa alla Luna cinese si è aperto lo scorso 7 dicembre, quando la sonda Chang’e-4 è decollata dalla base spaziale di Xichang, nel Sichuan, per dirigersi verso la parte del satellite che risulta invisibile dalla Terra. Una missione del genere non è mai stata intrapresa da nessun altro Paese prima. La zona scelta per l’esplorazione è il cratere Von Kàrmàn, generato da un asteroide, il cui impatto avrebbe rivelato una mineralogia non presente in altre zone della crosta lunare. L’area risulta isolata da interferenze elettromagnetiche provenienti dalla Terra e permette, quindi, di verificare la possibilità di condurre osservazioni astronomiche dall’altro lato della Luna. La comunicazione con la Terra sarà resa possibile

La sonda dovrebbe atterrare la prima settimana di gennaio 2019, con a bordo il materiale necessario per analizzare campioni di rocce e l’effetto del vento solare sulla superficie lunare. Secondo quanto riportato dalla Xinhua, il rover trasporterà anche semi di patate e di diversi tipi di piante, utilizzati per esperimenti biologici finalizzati a stabilire se sia possibile far crescere vegetazione sul suolo lunare. Il successo dell’impresa, oltre a fornire la possibilità di compiere esperimenti inediti, garantirebbe a Pechino un primato in campo aerospaziale. Attraverso la missione Chang’e-4, alla quale hanno collaborato anche Germania, Olanda, Svezia e Arabia Saudita, Pechino porta avanti il suo vasto programma spaziale a cui, secondo Bloomberg, dedicherebbe un budget di circa $8 miliardi l’anno. Tra i progetti spicca il completamento del sistema di navigazione satellitare Beidou2, che si contrappone al GPS statunitense. Lo spazio è solo uno dei tanti ambiti in cui si fa largo la Cina, che ha già in programma il lancio di Chang’e-5. In un clima di guerra commerciale, i successi cinesi in campo scientifico-tecnologico, di intelligenza artificiale e di ingegneria genetica, infastidiscono Washington, che rimane comunque il maggior military spender mondiale. MSOI the Post • 11


ASIA E OCEANIA 13 dicembre. Il Ministero degli Affari Esteri di Singapore ha dichiarato essere disposto collaborare per ricorrere ad una appropriata misura di risoluzione internazionale, qualora la disputa sui confini non si risolvesse attraverso negoziati amichevoli.

INDONESIA 13 dicembre. La Corte Costituzionale indonesiana ha stabilito che la legge sull’età femminile minima di 16 anni, richiesta per sposarsi, è incostituzionale e discriminatoria. Il governo del presidente Jokowi avrebbe 3 anni di tempo per stabilire la nuova età minima. THAILANDIA 11 dicembre. La Commissione elettorale ha stabilito che le prossime elezioni avranno luogo il 24 febbraio 2019. Revocato inoltre, il divieto imposto dal governo militare sulle attività politiche, presente dal 2014. Con tale iniziativa si vorrebbe ristabilire la democrazia e permettere, a partire da gennaio, lo svolgimento delle campagne elettorali, con la partecipazione della popolazione e dei partiti politici. A cura di Francesca Galletto 12 • MSOI the Post

HUAWEI E ZTE ESCLUSE DAGLI APPALTI PUBBLICI GIAPPONESI

Tokyo si allinea con Washington e la Cina reagisce contro Apple

Di Fabrizia Candido Anticipata di qualche giorno dal quotidiano locale Yomiuri, la decisione del governo giapponese di bandire i colossi cinesi Huawei e ZTE dagli appalti pubblici per le infrastrutture delle telecomunicazioni è stata ufficializzata il 10 dicembre. Lo scorso agosto, già gli USA avevano vietato i prodotti Huawei e ZTE negli apparati statali. A motivare le decisioni vi sono i presunti legami intercorrenti fra il governo cinese e le due aziende. Il timore è che ad essere messa a rischio sia la cybersecurity nazionale, sia in ambito militare che finanziario. Nel comunicato, l’esecutivo di Tokyo, per non inasprire i rapporti commerciali con la Cina, non ha fatto riferimento diretto alle due società, concentrandosi invece sulla delicata procedura contrattuale riguardante la sicurezza nazionale. Nelle settimane precedenti, inoltre, la British Telecom ha tagliato fuori Huawei dalle operazioni per la rete 5G. Nei mesi precedenti, anche Australia e Nuova Zelanda si sono uniformate. Altice, invece, il più grande phone network portoghese, ha firmato un contratto con la Huawei per lo sviluppo della rete 5G entro il 2019. Anche l’Italia lavora in collaborazione con il colosso cinese. Al momento, Huawei conta 14 5G network clients in Europa, 5 in Medio Oriente

e 3 in Asia, superando Nokia ed Ericsson e ponendosi come primo fornitore mondiale di tecnologia per telecomunicazioni di ultima generazione: un primato che USA ed alleati anglosassoni, che condividono il sistema Echelon di intercettazione per telefonate, mail, fax e telex, sono ben intenzionati a contrastare. Infine, nonostante Trudeau abbia negato coinvolgimenti politici nella faccenda, l‘1 dicembre è stata arrestata in Canada, su richiesta degli USA, la CFO di Huawei Sabrina Meng Wanzhou, per aver commerciato con l’Iran, in contravvenzione alle sanzioni. La donna, che ha pagato una cauzione di C$10 milioni, si trova ora in libertà vigilata. Tra il 10 e il 12 dicembre, Michael Kovrig, exdiplomatico, e Michael Spavor, businessman canadese, sono stati fermati dalle autorità cinesi. Sebbene gli arresti siano dichiaratamente dovuti a sospette attività contro la sicurezza dello stato, è facile inquadrarli nel braccio di ferro per il rilascio di Meng Wanzhou. L’11 dicembre la Corte intermedia del Popolo di Fuzhou ha ordinato alla Apple di sospendere la vendita in Cina dei vecchi modelli iPhone per aver violato due brevetti Qualcomm Inc. Il clima corrente non sembra dunque accomodare la tregua alla guerra commerciale di 90 giorni accordata nel G20 di Buenos Aires.


AFRICA 7 Giorni in 300 Parole

L’ECCELLENZA ARCHITETTONICA E SANITARIA DELL’UGANDA Renzo Piano e Gino Strada per il Centro di eccellenza chirurgica pediatrica in Uganda

Di Jessica Prieto BURUNDI 10 dicembre. Il presidente Pierre Nkurunziza, in una lettera trapelata sui social networks e confermata da Agence France Presse, ha accusato il Ruanda di essere la causa dell’instabilità che il Paese sta vivendo dal 2015. Malgrado si tema per gli esiti catastrofici di una crisi internazionale in una delle regioni più complesse del territorio africano, il dialogo tra i due Stati resta aperto. Vista positivamente, a livello diplomatico, l’iniziativa burundese di convocare un summit regionale per scongiurare ulteriori tensioni. MOZAMBICO 11 dicembre. Il governo ha reso noto che più di 30000 persone, impiegate nella funzione pubblica, risulterebbero decedute o collegate a identità del tutto fittizie, utilizzate per ottenere pagamenti di lavori mai effettuati. Il Ministro della Pubblica Amministrazione ha riconosciuto l’imponenza del fenomeno della corruzione in Mozambico, una sfida cruciale per il Paese. La stima del costo della truffa per le casse dello Stato, tra il 2015 e il 2017, si aggirerebbe intorno ai 250 milioni di dollari.

La collaborazione tra l’architetto Renzo Piano e Gino Strada inizia nel 2017, dall’idea del fondatore di Emergency di realizzare un centro di eccellenza pediatrica in Uganda. Questo progetto si unisce alla costruzione del Centro Salam di cardiochirurgia di Khartoum, in Sudan, e fa parte del disegno più ampio per la realizzazione della “Rete sanitaria d’eccellenza in Africa” (ANME). L’architetto di fama mondiale ha accettato la proposta di Strada descrivendo il progetto come “un modello di eccellenza medica, sostenibilità ambientale, indipendenza energetica […] che utilizza le risorse della terra, l’acqua e il sole: i migliori traguardi della modernità, quelli veri”. L’idea di Piano è quindi quella di costruire un ospedale che risponda ai dettami di una architettura razionale, tangibile, bella ed efficiente e che oltre ad essere un ospedale, dovrà rappresentare per l’Africa un simbolo di promozione della salute e della cultura. Il progetto, che dovrà essere realizzato entro il 2019, è stato elaborato congiuntamente dagli architetti della Renzo Piano Building Workshop e della TAMassociati. Dal punto di vista tecnico, l’ospedale verrà

costruito in terra plissé, una tecnica tradizionale che prevede l’utilizzo della terra cruda, capace di garantire un’inerzia termica che manterrà costanti la temperatura e l’umidità nell’edificio. Giacché gli ideatori hanno voluto porre riguardo agli aspetti di sostenibilità ambientale, la struttura sarà dotata di circa 2.600 pannelli solari fotovoltaici, che ne soddisferanno l’intero fabbisogno energetico. All’interno, l’ospedale sarà costituito da 3 sale operatorie e 72 posti letto, con l’obiettivo di accogliere piccoli pazienti non solo dall’Uganda, ma dall’Africa intera. Inoltre, la struttura diventerà un centro di formazione per giovani dottori e infermieri africani. Per Gino Strada la costruzione di una simile opera è di fondamentale importanza in un Paese come l’Uganda, dove la mortalità infantile tocca livelli altissimi: secondo i dati dell’UNICEF su 1.000 bambini nati vivi, almeno 49 muoiono prima di raggiungere i 5 anni. L’obiettivo dell’ANME è quindi garantire gratuità ed eccellenza delle cure mediche, affinché si realizzino i principi contenuti nel Manifesto per una medicina basata sui diritti umani, che richiede cure mediche gratuite e di qualità per tutti. MSOI the Post • 13


AFRICA SOMALIA 12 dicembre. Il tentativo di impeachment attuato nei confronti del presidente Farmajo, accusato di aver abusato del proprio ufficio e di aver infranto la Costituzione in seguito agli incontri avvenuti con il Primo Ministro e il Presidente, rispettivamente di Etiopia ed Eritrea, è fallito. Più di una dozzina di membri del Parlamento hanno reso noto di non aver firmato il documento relativo alla mozione contro il Presidente, rendendolo di fatto non valido. TANZANIA 13 dicembre. Il presidente John Magufulli ha siglato un accordo con due imprese egiziane per la costruzione di una diga nella riserva naturale del Selous. Il sito, protetto dall’Unesco, sarà inondato per un’area di 1200 chilometri quadrati, diventando, così, il bacino artificiale più grande dell’Africa. Il progetto, da 3 miliardi di dollari, sarebbe in grado di raddoppiare la produzione di energia nel Paese. In pericolo, tuttavia, fauna e flora selvatica protetta. ZAMBIA 7 dicembre. I 7giudici della Corte Costituzionale hanno deliberato che il presidente in carica, Edgar Lungu, potrà partecipare alle elezioni del 2021 per un terzo mandato. Per i giudici, infatti, il primo mandato di 1 anno e 6 mesi non sarebbe considerabile come un mandato completo. Lungu, venne eletto per la prima vota nel 2015, in seguito alla morte del predecessore Michael Sata. A cura di Guglielmo Fasana

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DISARMO E REINSERIMENTO IN MALI La prima tappa concreta di un lungo processo di pacificazione

Di Francesco Tosco Il programma di disarmo, smobilitazione e reinserimento (DSR), avviato in Mali nel mese di novembre, nonostante qualche intoppo, sta procedendo con successo. Questa iniziativa, lanciata ufficialmente nella città di Gao il 6 novembre scorso, è rivolta a tutti gli ex-combattenti dei gruppi ribelli coinvolti nella guerra civile iniziata nel 2012 nel Paese. La misura prevede l’arruolamento dei miliziani nell’esercito regolare oppure, in alternativa, la partecipazione ad un progetto di reinserimento nella vita civile. L’attuazione del programma è uno dei passi più significativi previsti dagli accordi di pace siglati ad Algeri 3 anni fa. Il ritardo della manovra è stato causato principalmente dalla controversa richiesta di integrare i miliziani nell’esercito regolare permettendogli di conservare il loro grado. La concessione non è stata fatta, ma, ciononostante, sembra che un accordo sia stato trovato. Il programma DSR è radicato principalmente nel Nord del Paese, che durante il conflitto è stata la regione più colpita. Ampie porzioni di territorio erano cadute in mano a ribelli di matrice Tuareg e fondamentalista che erano riusciti ad occupare le città di

Kidal, Timbuctu e Gao. Dopo il lancio del programma, i primi a consegnare le armi sono stati i miliziani appartenenti al gruppo di Coordinamento dei Movimenti dell’Azawad (CMA) insieme ai gruppi armati di Bamako, alleati del governo. A questi poi, si aggiungono anche i miliziani provenienti dai gruppi armati dissidenti, che però hanno espresso la volontà di non opporsi al processo di pacificazione. Anche se tutto sta procedendo con successo, non manca qualche tensione: un piccolo incidente sorto nelle ultime settimane ha attirato anche l’attenzione dell’ONU sulla città di Kidal, in cui si sta vivendo una situazione di stallo tra le truppe che controllano la città, appartenenti perlopiù alle ex- CMA, ed alcuni miliziani provenienti da gruppi armati non firmatari degli accordi di pace del 2015. A questi ultimi, nonostante avessero l’intenzione di deporre le armi, è stato negato l’accesso alla città. Mentre si sta lavorando ad un accordo, per il momento sono circa 1.500, i soldati che hanno deposto le armi o si sono regolarizzati tra le file dell’esercito. Si spera che questo processo continui a progredire, con l’obiettivo di arrivare ad un numero che già si aggira intorno alle 30.000 persone disarmate e re-inserite.


AMERICA LATINA 7 Giorni in 300 Parole ARGENTINA 11 dicembre. Storica sentenza per il Paese. Due ex dirigenti della Ford locale sono stati condannati a 10 e 12 anni di reclusione per il rapimento e la tortura di 24 lavoratori della fabbrica, durante la dittatura del 1976-83. Per la prima volta una corte di Buenos Aires ha, dunque, sancito la colpevolezza dei dirigenti di una compagnia straniera, sebbene circa 1000 ufficiali milita ri siano già stati imprigionati per i crimini perpetrati durante la dittatura militare. BRASILE 12 dicembre. La polizia locale ha rintracciato il colpevole della sparatoria mortale avvenuta nella Cattedrale di Campinas. Euler Fernando Grandolpho, autore del gesto, ha aperto il fuoco dopo la messa di mezzogiorno, uccidendo 4 persone e ferendone altre 4. Colpito successivamente dalle forze dell’ordine, il killer si è suicidato. Questo tipo di sparatoria non è, tuttavia, comune nel Paese, e a spingere l’assassino a tale atto sarebbe stata una sua instabilità mentale. C I L E / R E P U B B L I C A DOMINICANA 11 dicembre. I rappresentanti di 164 governi hanno adottato il Global Compact sull’immigrazione. Gran parte dei Paesi membri ha sottoscritto l’accordo, dopo 18 mesi di negoziati. Cile e Repubblica Dominicana non hanno, tuttavia, sottoscritto l’intesa, ravvisando in essa una diminuzione della propria sovranità. Il documento, che include misure contro la tratta delle persone e contro la

IN URUGUAY SI DISCUTE L’APPROVAZIONE DI UNA NUOVA LEGGE MILITARE Dopo l’arresto del comandante dell’esercito Manini si prospettano ulteriori cambiamenti Di Tommaso Ellena Negli ultimi mesi l’Uruguay sta vivendo un periodo di stravolgimento per quel che riguarda il panorama militare del Paese. Lo scorso settembre il presidente in carica, Tabaré Vázquez, ha ordinato l’arresto del comandante dell’esercito Guido Manini Ríos, il quale dovrà scontare 30 giorni di detenzione a causa di ripetute manifestazioni di opposizione ad un progetto di legge voluto dal governo. Il Presidente ha voluto ricordare come la costituzione dell’Uruguay vieta ai militari di “interferire nell’approvazione dei progetti di legge”. Lo scontro tra Vázquez e Manini riguarda la riforma del sistema delle pensioni militari e, soprattutto, la nuova legge organica per i componenti dell’esercito. Le modifiche più rilevanti a quest’ultima riguardano la dottrina della sicurezza nazionale e la nozione di “obbedienza dovuta”, secondo la quale “nessun militare deve compiere ordini evidentemente contrari alla costituzione e alla legge vigente, o che implichino la violazione o l’illegittima limitazione dei diritti umani fondamentali”. Il progetto di legge, fortemente voluto dal governo di Vázquez, servirebbe a rendere la popolazione più sicura, dato che limiterebbe l’uso della forza da parte dei militari. Questa considerazione è importante se

si pensa al contesto in cui vive la regione latinoamericana, in cui le tensioni interne ai Paesi sono spesso utilizzate come giustificazione per attuare dure misure di repressione. Le modifiche attuate dal Frente Amplio di Vázquez nei confronti del settore militare tentano di ridurre l’impatto di quest’ultimo sulla politica e di ridefinirne i limiti di intervento in caso di tensioni sociali. Queste misure, seppur rilevanti, non scalfiscono molti dei privilegi di cui i militari godono in Uruguay: gli ufficiali possono ritirarsi al termine di soli 20 anni di servizio, i generali raggiungono la pensione compiendo 60 anni, i colonnelli 55 e i tenenti colonnelli 52. La retribuzione è pari a quanto percepivano durante la loro attività. Le pensioni inoltre aumentano automaticamente secondo l’indice medio dei salari. Al momento tali privilegi non saranno modificati dal governo in carica: entrambe le parti vorrebbero infatti evitare un duro scontro tra forze politiche e forze armate. Nel frattempo, però, a fine dicembre 2017, ha preso forma un partito composto in prevalenza da ex-militari e denominato “Unidos Podemos”. Tale movimento è orientato alla difesa dei diritti della famiglia militare e delle forze armate, ed è critico verso “la perdita dei valori sociali che da sempre caratterizzano il Paese, ossia il rispetto, il lavoro, lo studio, la solidarietà per evitare disintegrazione sociale”.

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AMERICA LATINA separazione delle famiglie dei migranti, contiene 23 obiettivi, tra i quali una maggiore cooperazione internazionale per l’attuazione di una migrazione sicura. MESSICO 12 dicembre. Iniziato il ritiro di una parte delle truppe dislocate da Donald Trump, al confine con il Messico, allo scopo di intervenire contro la carovana di migranti proveniente dal Centro America. Il Pentagono ha disposto la partenza dei primi militari per la prossima settimana. Per Natale faranno, dunque, ritorno 2000 dei 5.400 soldati attualmente presenti. La ragione del ritiro risiederebbe nella notevole diminuzione del numero di migranti presenti sul territorio.

VENEZUELA 12 dicembre. Il legame tra Russia e Venezuela continua a rafforzarsi. Una prima riunione, svoltasi a Mosca tra il presidente Putin e Maduro, ha condotto all’accordo concernente un pacchetto di finanziamenti russi, del valore di 5 miliardi di dollari (USD), nel settore petrolifero e minerario. Inoltre, il Presidente russo avrebbe inviato nel Paese sudamericano due bombardieri russi TU160. Mosca, dunque, sarebbe intenzionata a mantenere viva la strategica relazione con il Venezuela, in modo particolare in seguito al peggioramento dei rapporti con i Paesi occidentali. A cura di Sabrina Certomà 16 • MSOI the Post

I RISULTATI DEL REFERENDUM COSTITUZIONALE IN PERÙ La risposta positiva a tre quesiti modifica il potere legislativo e giudiziario

Di Davide Mina Domenica 9 dicembre scorso, il popolo peruviano è stato chiamato ad esprimere la propria opinione su alcune riforme costituzionali. Queste riguardano la formazione della Junta Nacional de Justicia (l’ex-consiglio nazionale della magistratura), il finanziamento ai partiti, la non-rielezione immediata dei parlamentari, il ritorno alla bicameralità in parlamento. Il risultato del referendum è stato positivo per i primi tre quesiti, vedendo approvate le riforme corrispondenti; mentre la quarta ha avuto un esito negativo. Una proposta riguardante le quote di genere non è stata invece inclusa nella consultazione, ed è stata respinta dallo stesso Presidente. Il risultato non ha stupito gli analisti: la riforma amministrativa della giustizia è stata preceduta e causata dallo scandalo Lava Jato, in seno al quale alcuni giudici peruviani sono stati intercettati mentre facevano commercio di sentenze e nomine. Parimenti, l’abolizione del finanziamento ai partiti e il divieto di rielezione immediata dei parlamentari rispecchiano la disaffezione verso le élites politiche che sta già avvenendo in molti paesi occidentali. Ciò potrebbe spiegare anche

il netto rifiuto dei peruviani di duplicare la camera legislativa. La riforma costituzionale è una proposta dall’attuale presidente, Martín Vizcarra. È stata presentata come la miglior risposta al problema della corruzione politica, tema particolarmente caldo in Perù, soprattutto a partire dallo scorso mese di ottobre. La cronaca nazionale aveva infatti portato a galla ramificati casi di corruzione, con al vertice la storia giudiziaria della famiglia dell’ex presidente peruviano, Fujimori. Recentemente, oltre alla detenzione dello stesso Fujimori, erano stati accusati ed arrestati anche la figlia dello stesso e leader del partito Fuerza Popular, Keiko Fujimori, e l’ex presidente Alan García, che si era anche visto negare una richiesta asilo politico in Urugay. Proprio sulla reazione di sdegno generalizzata l’attuale presidente Martín Vizcarra ha creato la sua fortuna politica. I partiti di destra hanno contestato la consultazione, dipingendola come una manovra populista, arrivando ad equipararla ad un colpo di stato che potrebbe dare avvio ad una dittatura, e accusando il governo di perseguitare politicamente i dirigenti della parte opposta.


ECONOMIA LE CONSEGUENZE ECONOMICHE DEL CAMBIAMENTO CLIMATICO Le calamità naturali minacciano lo sviluppo economico africano

Di Vittoria Beatrice Giovine Negli ultimi decenni, si è discusso a lungo circa gli effetti del riscaldamento globale e delle precauzioni da adottare per ridurre sia l’inquinamento sia le emissioni di gas serra dovute all’utilizzo di combustibili fossili, giungendo con l’Accordo di Parigi sul clima a definire un preciso piano d’azione per prevenire il peggioramento delle condizioni climatiche. Oltre alle conseguenze sull’ecosistema, fenomeni quali l’innalzamento del livello dei mari, l’acidificazione degli oceani, la desertificazione e la perdita della biodiversità esercitano una forte influenza sulle economie dei Paesi in via di sviluppo o che presentano una situazione economica precaria. Nei Paesi più poveri emerge, infatti, l’incompatibilità tra sviluppo eco-sostenibile e crescita. In un continente come l’Africa, l’alternanza tra periodi di siccità e alluvioni ha un notevole impatto sulle colture e quasi sempre determina la perdita della disponibilità di spazi e risorse produttive. “Nei primi nove mesi del 2018, le alluvioni nell’Africa subsahariana hanno colpito più di 2 milioni di persone e distrutto 10.000 case”, scrive sul The Conversation il ricercatore O. Adekola.

Conseguentemente, gli Stati africani impiegano annualmente ingenti somme per la ricostruzione: solo in Tanzania vengono spesi circa 2 miliardi di dollari l’anno, mentre in Nigeria e in Mozambico, tra il 2012 e il 2013, sono stati spesi rispettivamente 10 miliardi di dollari e 500 milioni di dollari, una cifra enorme nel caso mozambicano, in quanto rappresenta circa il 9% del PIL del Paese. A tutto ciò si aggiunge la pericolosità dell’innalzamento del livello del mare, che minaccia sia il tratto di costa africana tra Mauritania e Camerun, sia alcune zone nell’Africa occidentale in cui sorgono importanti attività produttive e infrastrutture, come gli alberghi in Senegal e Gambia o gli impianti di depurazione delle acque in Benin. Lo sfruttamento incontrollato delle risorse naturali genera ulteriori complicazioni nell’applicazione dei sistemi di salvaguardia dei beni ambientali, provocando ricorrenti crisi alimentari e idriche. Inoltre, le calamità naturali si abbattono spesso su aree instabili, che sono arena di scontro politico e tensioni sociali. Secondo alcune ricerche condotte dall’Università del Sussex, il cambiamento climatico

avrebbe principalmente effetto sulla produzione delle nazioni più povere, dove, nel lungo periodo, comporterebbe un rallentamento della crescita economica, sebbene sia da escludersi una fase di stagnazione. Recentemente è stato dibattuto anche il fenomeno del land grabbing, che interessa molte zone africane: l’appropriazione di terreni ad alta densità di risorse naturali da parte delle principali compagnie europee, americane e cinesi, ha infatti effetti destabilizzanti sia sul piano ambientale sia su quello economico. Questa serie di complessi meccanismi sarebbe, pertanto, la causa primaria della preclusione al continente di ulteriori possibilità di sviluppo e di crescita politica, sociale ed economica. Al fine di pervenire a una migliore definizione delle misure d’intervento in materia di tutela ambientale, la comunità internazionale ha espresso la volontà di operare su piano d’azione condiviso tra governi locali, organizzazioni umanitarie e organismi transnazionali. Un primo passo, in questa direzione, sembrerebbe essere la rinegoziazione delle concessioni concordate con le multinazionali, mediante l’imposizione di maggiori vincoli di salvaguardia territoriale. MSOI the Post • 17


ECONOMIA GAS NATURALE LIQUEFATTO: LA RUSSIA LANCIA LA SFIDA AGLI USA “Yamal LNG”, il nuovo impianto della russa Novatek, è entrato a pieno regime

Di Giacomo Robasto È indubbio che, sin dalla fine del secolo scorso, la Federazione Russa detenga saldamente il primato nella produzione e nell’esportazione di gas naturale, che costituisce ancora oggi uno dei combustibili fossili più impiegati, non soltanto nel settore secondario. La posizione dominante del Paese eurasiatico nel mercato del gas naturale, tuttavia, non è merito soltanto delle ingenti riserve del suo sottosuolo. Infatti, sin dal crollo dell’Unione Sovietica, nel 1991, il neonato Stato russo ha effettuato investimenti che hanno portato, nel medio termine, alla costruzione di una fitta rete di gasdotti, grazie ai quali il combustibile viene esportato dai colossi di Stato (in primis, Gazprom e Rosneft) non soltanto nelle Repubbliche dell’Asia Centrale, ma anche e soprattutto nell’Unione Europea. Ciononostante, almeno nell’ultimo decennio, la rilevanza geopolitica ed economica dei gasdotti russi è stata minata dagli Stati Uniti, che sotto la presidenza di Donald Trump hanno esponenzialmente aumentato la produzione di gas naturale non tradizionale, ma liquefatto (LNG, dall’inglese liquefied natural gas). 18 • MSOI the Post

La differenza risiede proprio nel processo di liquefazione, attraverso cui il gas naturale estratto è sottoposto, dopo opportuni trattamenti di depurazione e disidratazione, a successive fasi di raffreddamento e condensazione, che offrono molteplici vantaggi logistici. L’adozione di queste tecnologie, infatti, consente una riduzione del volume specifico del gas di circa 600 volte rispetto alle condizioni standard, permettendone, a costi competitivi, lo stoccaggio e il trasporto anche in spazi ridotti su navi metaniere. Grazie anche a questi vantaggi, e sulla scia del costante aumento della domanda (che ha raggiunto i 258 milioni di tonnellate nel 2017), gli Stati Uniti prevedono di inaugurare tre nuovi impianti di estrazione e liquefazione, portando la capacità di esportazione gasiera statunitense a 65 milioni di tonnellate l’anno, più del triplo rispetto a quanto hanno venduto all’estero nel 2018. Numeri impressionanti, se si considera che le odierne tensioni commerciali hanno spinto la Cina - il mercato più promettente - a ignorare il gas americano, imponendo dazi al 10% (che minacciano di salire al 25%).

Considerati, dunque, i progressi degli Stati Uniti, la reazione russa si è distinta per celerità. La risposta arriva dal Circondario Autonomo di Yamalo-Netets, 3.500 km a nord-est di Mosca, dove Novatek, la maggiore azienda privata russa del settore energetico, ha inaugurato “Yamal LNG”, il primo impianto dedicato interamente al gas liquefatto. Come ha sottolineato il primo ministro Dmitrij Medvedev, Il progetto è stato completato a velocità da primato, in anticipo di un anno rispetto ai piani originari (considerati già ambiziosi) e senza lo sforamento del budget preventivo di 27 miliardi di dollari. Inoltre, consentirà alla Russia di controllare circa il 10% dell’offerta mondiale di gas liquefatto, esportandolo soprattutto nelle economie emergenti in Africa e Indocina. Se l’affermazione degli Stati Uniti come esportatore primario di gas naturale è destinata a indurre, nel medio termine, un calo dei prezzi della materia prima sul mercato internazionale, alla Russia converrà non inimicarsi i Paesi europei, negoziando dei contratti di fornitura di lunga durata che prescindano dalla geopolitica. La Russia non è più l’unica alternativa, e l’Europa lo sa bene.


DIRITTO INTERNAZIONALE ED EUROPEO IL CONFLITTO SENZA FINE

All’ONU si vota una risoluzione anti-Hamas

Di Debora Cavallo Il territorio di Gaza, che conta oltre 2 milioni di persone, è soggetto ad un blocco imposto dallo Stato d’Israele da circa 11 anni. Da molti definito un vero e proprio assedio, l’occupazione avrebbe limitato il movimento della popolazione palestinese dentro e fuori l’area.

pri abitanti e spingerli così alla fuga all’estero. Infine, quando la Palestina sarà spopolata dei propri abitanti, potranno indire delle elezioni che stabiliscano il carattere ebraico di Israele, fingendosi così una democrazia. È contro tutto ciò che Hamas combatte.“Un cessate il fuoco dopo giorni di scontri e violenze si era adombrato circa un mese fa”: la tregua con Israele è stata annunciata così dai gruppi militanti palestinesi nella Striscia di Gaza. I movimenti, tra cui Hamas, hanno diffuso una dichiarazione congiunta affermando che rispetteranno la cessazione delle ostilità fino a quando anche Gerusalemme lo farà. “Gli sforzi dell’Egitto”, si legge nel comunicato, “hanno permesso di arrivare a un cessate il fuoco tra la resistenza e il nemico sionista”. Dalla parte israeliana, però, nessun risposta pubblica ufficiale.

Israele aveva ritirato le proprie truppe e i propri coloni dal perimetro nel 2005, ma ha mantenuto uno stretto controllo delle frontiere, terrestri e marittime, riducendo, di molto, lo sviluppo economico della regione. Il timore di Israele è, infatti, che una maggior libertà nella Striscia possa determinare un maggior traffico di militanti e di armi. Quella di Israele è un’occupazione che, fin dal suo inizio, non ha mai voluto concedere alcun diritto ai palestinesi. Dopo 20 anni di inutili negoziati gli israeliani non accettano l’indipendenza di Gaza. Con- La scorsa settimana, durante tinuano, invece, a pensare che l’Assemblea Generale delle Nala Palestina sia esclusivamente zioni Unite è avvenuta la votaebraica. Ufficialmente, si di zione di una risoluzione che, per cono a favore della soluzione a la prima volta, ha visto in assodue Stati, eppure, fanno di tutto luto la condanna del gruppo per boicottare la creazione di uno palestinese Hamas. L’iniziatiStato palestinese. È da questa va è partita dall’ambasciatrice prospettiva che si può compren- americana all’Onu, Nikki Haley. dere la loro volontà di sfruttare L’Assemblea Generale, però, ogni minima tensione a Gaza per ha bocciato la mozione Usa rendere invivibile la vita dei pro- che chiedeva la condanna di Ha-

mas per il lancio di razzi verso il territorio israeliano e per incitamento alla violenza. Una risoluzione a senso unico, che non prevedeva una condanna né dell’assedio della Striscia da parte di Tel Aviv, ormai lungo quasi 12 anni, né le operazioni israeliane su Gaza, compresa quella che ha infiammato la tensione un mese fa: l’incursione di un gruppo di soldati in abiti civili nella Striscia e l’uccisione di un alto funzionario del movimento islamico. Servivano i 2/3 dei voti in Assemblea per l’approvazione, ma la risoluzione ha ottenuto solo 87 sì, contro 57 no e 33 astensioni. Tra i voti contrari da segnalare quello dell’Arabia Saudita, noto alleato americano – e anche israeliano – e nemico dichiarato della Fratellanza Musulmana, di cui Hamas è parte. Un no anche dagli Emirati Arabi, dallo Yemen e dal Bahrain. Per una volta Riyadh si è trovato dalla stessa parte dell’Iran nella condanna dell’occupazione israeliana. Tra i voti contrari anche l’Egitto anti-islamista di al-Sisi, la Cina, Russia, Giordania e, più in generale, da quasi tutti i paesi africani. Hanno votato invece a favore i paesi europei e quelli sudamericani, con qualche caso di astensione. MSOI the Post • 19


DIRITTO INTERNAZIONALE ED EUROPEO IL PERMESSO DI SOGGIORNO UMANITARIO: QUALE FUTURO PER L’ISTITUTO GIURIDICO?

Mentre il Parlamento europeo sollecita una legislazione comune in materia di rilascio di soggiorno umanitario, il futuro dell’istituto appare incerto nell’ordinamento italiano

Di Federica Sanna Con il voto dello scorso martedì, il Parlamento europeo ha ufficialmente richiesto alla Commissione europea di adottare un’iniziativa legislativa volta alla definizione di un “European Humanitarian Visa”, un premesso di soggiorno umanitario che abbia valore europeo. L’UE non dispone, infatti, di un framework armonizzato di norme per le procedure di ingresso nel territorio europeo. La possibilità di accedere in Europa legalmente e di avere uno status riconosciuto nei diversi Stati membri al fine di chiedere ufficialmente la protezione internazionale è, secondo il Parlamento europeo, la strategia migliore per evitare che i migranti rischino la vita nelle pericolose traversate del Mediterraneo e per combattere il traffico illegale di essere umani. Sebbene la competenza di adottare specifiche decisioni in merito a tale permesso umanitario dovrebbe rimanere nelle mani degli Stati membri, la proposta del Parlamento porrebbe fine alla situazione odierna in cui 20 • MSOI the Post

l’istituto è presente, in maniera discrezionale, soltanto in alcuni paesi. Tra gli altri, l’Italia ha disposto, con le previsioni del decreto legislativo 251/2007, del cosiddetto “permesso di soggiorno umanitario”, il quale si discosta però dalla fattispecie immaginata a livello europeo. Il permesso di soggiorno umanitario si affiancava infatti al permesso di soggiorno rilasciato ai titolari dello status di rifugiato e ai titolari di protezione sussidiaria (i due istituti che, nel diritto internazionale, compongono la protezione internazionale). In particolare, il permesso di soggiorno umanitario veniva rilasciato in caso di diniego dello status di protezione internazionale, qualora ricorressero “seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultati da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato”, oppure in caso di riconoscimento della protezione temporanea per rilevanti esigenze umanitarie. Il decreto legge del 4 ottobre 2018, n. 113 (il cosiddetto decreto Salvini) ha però sostan-

zialmente mutato la situazione. Il testo elimina infatti sia la generale previsione del permesso di soggiorno per motivi di carattere umanitario, sia la possibilità di utilizzo dell’istituto nel caso di violenza domestica e di sfruttamento lavorativo. Gli unici casi in cui è prevista l’emanazione del permesso di soggiorno umanitario sono il caso di necessità di cure mediche, il caso di calamità e di “atti di particolare valore civile”, dando a quest’ultima casistica natura premiale. Pur non essendo ancora del tutto chiare le conseguenze dell’eliminazione del “generico” permesso di soggiorno umanitario, è necessario porsi innanzitutto la questione della retroattività della norma: è possibile escludere il rilascio del permesso umanitario a chi abbia già maturato il diritto? La verifica va sicuramente effettuata nel senso di esaminare la compatibilità della nuova previsione in materia da un lato con i principi dell’art. 2 della Costituzione e, dall’altro, con l’art. 117, in riferimento all’art. 8 della CEDU.


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