Msoi thePost Numero 46

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Il Settimanale di M.S.O.I. Torino


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MSOI Torino M.S.O.I. è un’associazione studentesca impegnata a promuovere la diffusione della cultura internazionalistica ed è diffuso a livello nazionale (Gorizia, Milano, Napoli, Roma e Torino). Nato nel 1949, il Movimento rappresenta la sezione giovanile ed universitaria della Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale (S.I.O.I.), persegue fini di formazione, ricerca e informazione nell’ambito dell’organizzazione e del diritto internazionale. M.S.O.I. è membro del World Forum of United Nations Associations Youth (WFUNA Youth), l’organo che rappresenta e coordina i movimenti giovanili delle Nazioni Unite. Ogni anno M.S.O.I. Torino organizza conferenze, tavole rotonde, workshop, seminari e viaggi studio volti a stimolare la discussione e lo scambio di idee nell’ambito della politica internazionale e del diritto. M.S.O.I. Torino costituisce perciò non solo un’opportunità unica per entrare in contatto con un ampio network di esperti, docenti e studenti, ma anche una straordinaria esperienza per condividere interessi e passioni e vivere l’università in maniera più attiva. Elisabetta Botta, Segretario M.S.O.I. Torino

MSOI thePost MSOI thePost, il settimanale online di politica internazionale di M.S.O.I. Torino, si propone come un modulo d’informazione ideato, gestito ed al servizio degli studenti e offrire a chi è appassionato di affari internazionali e scrittura la possibilità di vedere pubblicati i propri articoli. La rivista nasce dalla volontà di creare una redazione appassionata dalla sfida dell’informazione, attenta ai principali temi dell’attualità. Aspiriamo ad avere come lettori coloro che credono che tutti i fatti debbano essere riportati senza filtri, eufemismi o sensazionalismi. La natura super partes del Movimento risulta riconoscibile nel mezzo di informazione che ne è l’espressione: MSOI thePost non è, infatti, un giornale affiliato ad una parte politica, espressione di una lobby o di un gruppo ristretto. Percorrere il solco tracciato da chi persegue un certo costume giornalistico di serietà e rigore, innovandolo con lo stile fresco di redattori giovani ed entusiasti, è la nostra ambizione. Jacopo Folco, Direttore MSOI thePost 2 • MSOI the Post

N u m e r o

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Redazione Direttore Jacopo Folco Vicedirettore Davide Tedesco Caporedattore Alessia Pesce Capi Servizio Rebecca Barresi, Giusto Amedeo Boccheni, Luca Bolzanin, Sarah Sabina Montaldo, Silvia Perino Vaiga Amministrazione e Logistica Emanuele Chieppa Redattori Benedetta Albano, Federica Allasia, Erica Ambroggio, Daniele Baldo, Lorenzo Bardia, Giulia Bazzano, Lorenzo Bazzano, Giusto Amedeo Boccheni, Giulia Botta, Maria Francesca Bottura, Stefano Bozzalla, Emiliano Caliendo, Federico Camurati, Matteo Candelari, Emanuele Chieppa, Sara Corona, Lucky Dalena, Alessandro Dalpasso, Sofia Ercolessi, Alessandro Fornaroli, Giulia Ficuciello, Lorenzo Gilardetti, Andrea Incao, Gennaro Intocia, Michelangelo Inverso, Simone Massarenti, Andrea Mitti Ruà, Efrem Moiso, Daniele Pennavaria, Ivana Pesic, Emanuel Pietrobon, Edoardo Pignocco, Sara Ponza, Simone Potè, Jessica Prieto, Fabrizio Primon, Giacomo Robasto, Clarissa Rossetti, Carolina Quaranta, Francesco Raimondi, Jean-Marie Reure, Clarissa Rossetti, Michele Rosso, Fabio Saksida, Leonardo Scanavino, Martina Scarnato, Samantha Scarpa, Francesca Schellino, Giulia Tempo, Martina Terraglia, Elisa Todesco, Francesco Tosco, Tiziano Traversa, Fabio Tumminello, Martina Unali, Alexander Virgili, Chiara Zaghi. Editing Lorenzo Aprà Copertine Mirko Banchio Vuoi entrare a far parte della redazione? Scrivi una mail a thepost@msoitorino.org!


EUROPA 7 Giorni in 300 Parole FRANCIA 20 novembre. François Fillon vince le primarie di centrodestra conquistando il 43,6 % di preferenze. Con il 26,7% dei voti segue Alain Juppé ed al terzo posto, con il 22,9%, Nicolas Sarkozy il quale, riconoscendo la sconfitta, ha affermato che voterà Fillon al secondo turno. 21 novembre. Dopo otto mesi di indagini sono state arrestati 7 jihadisti, 5 a Strasburgo e 2 a Marsiglia. Obiettivi degli attentatori erano in realtà Parigi e Marsiglia. Il ministro dell’interno Cazeneuve ha dichiarato che sei dei sette arrestati erano già nel mirino dell’intelligence francese e che, nonostante tutti gli sforzi, il rischio zero non può essere garantito.

GERMANIA 20 novembre. Angela Merkel, leader del partito Unione Cristiano Democratica, ha dichiarato di essere pronta a candidarsi alle elezioni federali 2017 per l’incarico di cancelliera federale. Secondo i sondaggi il 55% dei tedeschi auspicherebbe ad un fenomeno Merkel 4.0. GRECIA 19 novembre. Diversi giorni di tensione sono sfociati in un attacco xenofobo, che ha visto l’utilizzo di molotov e pietre, contro il centro di accoglienza per migranti di Souda sull’isola greca di Chios. Il centro ospita circa 4

“IN EUROPE WE TRUST”

Com’è cambiato il sentimento europeo dopo la Brexit

Di Giulia Capriotti L’Unione Europea, negli ultimi anni, è stata spesso oggetto di critiche da parte di vari esponenti e partiti degli Stati membri. I dibattiti più accesi si sono concentrati sulle politiche in merito alle emergenze umanitarie, sulla gestione della crisi e della successiva ripresa economica, sull’austerity. Infine, la Brexit ha rappresentato un segnale “forte e chiaro” di malcontento. Ma da chi proviene questo malcontento? La Bertelsmann Foundation ha condotto, a marzo di quest’anno, un sondaggio in Inghilterra sulle posizioni del Remain, che si attestavano al 49%. L’indagine, ripetuta ad agosto, ha rivelato poi che il 56% degli inglesi avrebbe voluto restare in Europa. Inoltre, dopo il voto degli inglesi, il sentimento europeo è cresciuto anche in altri Paesi dell’Unione, come la Francia, la Germania, l’Italia e la Polonia. È la Spagna, invece, il Paese in cui è maggiormente aumentata la sfiducia, che ad agosto si attestava al 68%. Una ricerca di questo tipo è stata condotta in Italia dalla Community Media Research in colla-

borazione con Intesa Sanpaolo. Lo studio ha portato a galla le criticità riguardo le scelte e le posizioni dell’UE, ma non ha rivelato una propensione all’abbandono. Emerge, infatti, che un miglioramento dell’Unione è raggiungibile solo attraverso un maggiore impegno da parte del governo italiano. Sono poi i “politici eletti” i maggiori decisori designati dagli italiani in caso di un’eventuale uscita del Paese dagli schemi europei. In merito alla questione economica, solo il 13% pensa che l’Italia potrebbe trarre vantaggi uscendo dall’UE, mentre il 57% vede nell’Unione una necessità, ma ritiene che vadano riviste la sua struttura e i suoi obiettivi. I 4/5 degli intervistati, inoltre, credono nella possibilità di un coordinamento tra le politiche economiche dei vari Paesi da parte del governo italiano. A questa unione dovrebbero essere accompagnate, secondo il 55,4%, maggiori flessibilità nei vincoli finanziari. Gli “euro-convinti”, che rappresentano i 2/3 del Paese, sono per lo più giovani studenti o laureati, che vedono in un’eventuale uscita dall’Unione Europea una mossa deleteria. Gli “anti-euro”, invece, pur rappresentando una minoranza, sono leggermente cresciuti dal 2014 a oggi, arrivando al 15,2%.

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EUROPA mila rifugiati, 150 dei quali sono stati costretti alla fuga a seguito del violento attacco. Anche se non è ancora chiara la dinamica la responsabilità dell’escalation è stata attribuita ad alcuni esponenti del partito di estrema destra Alba Dorata.

IL DESTINO DELLA ‘DROITE TRANQUILLE’ Si apre la sfida tra Fillon e Juppé

Di Daniele Reano UNIONE EUROPEA 22 novembre. Il Parlamento Europeo ha approvato la risoluzione per un’Unione della difesa comune. I deputati chiedono di destinare il 2% del PIL alla difesa, di creare forze multinazionali ed in particolare un quartier generale operativo dell’Unione Europea per pianificare il controllo delle operazioni comuni. 23 novembre. Il Parlamento Europeo ha approvato una risoluzione che sottolinea come la pressione della propaganda sull’Unione europea da parte della Russia e di gruppi terroristi islamici stia crescendo, condannando con forza il supporto russo a forze antieuropee. 24 novembre. Martin Schulz, presidente del Parlamento Europeo, ha deciso di non candidarsi per un nuovo mandato ma di volersi dedicare alla politica tedesca. REGNO UNITO 23 novembre. Thomas Mair è stato dichiarato colpevole dalla giuria popolare nella corte londinese di Old Bailey dell’omicidio della deputata laburista Jo Cox avvenuto il 16 giugno scorso. L’uomo, 53 anni e simpatizzante dell’ultradestra inglese, è stato condannato all’ergastolo. A cura di Giulia Ficuciello 4 • MSOI the Post

“Gli elettori hanno votato per un uomo calmo e serio, per un programma chiaro e potente, che risponde alla voglia di autorità e all’esigenza di smetterla con un sistema burocratico che ferma il Paese”. Con queste parole Francois Fillon ha commentato l’esito delle primarie del centrodestra francese per scegliere il candidato alla presidenza. Alle votazioni hanno partecipato più di 4 milioni di cittadini: un grande successo per Les Repubblicans, il partito neo-gollista nato dalle ceneri dell’UMP. Sebbene i sondaggi prevedessero un confronto serrato tra Nicolas Sarkozy e Alain Juppé, è stato proprio Fillon a trionfare al primo turno, superando il 44% dei consensi. Juppé ha raccolto il 28,6%, mentre Sarkozy, fermatosi a poco più del 20%, è stato escluso dal ballottaggio che si terrà domenica prossima. Un vero schiaffo per l’ex Presidente della Repubblica francese, il quale ha dichiarato di voler mettere da parte la sua diretta partecipazione alle vicende politiche e di voler “cominciare una vita con più passioni private”. Fillon si è caratterizzato come esponente della destra clericale, conservatore in materia sociale e fortemente liberista

in ambito economico. Vicino a Vladimir Putin, ammiratore di De Gaulle e Margaret Thatcher, ha rimproverato a Juppé l’età avanzata e un programma debole, con troppe concessioni alla sinistra. Juppé, settatunenne sindaco di Bordeaux, ha puntato a presentarsi come moderato, raccogliendo l’appoggio dei centristi e appellandosi più volte a quei socialisti delusi da Francois Hollande. Si è detto favorevole al matrimonio omosessuale e si è proposto come difensore della laicità che protegge le religioni, in quanto “siamo diversi, bisogna rispettare le nostre differenze, nessuno priverà nessuno delle proprie radici”. Sarkozy ha dichiarato il suo appoggio al vincitore delle primarie, pur lasciando ai suoi sostenitori libertà di coscienza. Juppé, invece, ha affermato che non intende ritirarsi dalla corsa, ma continuare a combattere “proposta per proposta”. Egli ha ottenuto il sostegno di Nathalie Kosciusko-Morizet, unica donna della competizione, arrivata quarta con il 2,6%. Data la drammatica crisi di popolarità del centrosinistra, è altamente probabile che chi tra i due vincerà domenica prossima rappresenterà al secondo turno delle presidenziali, il 7 maggio 2017, l’unico argine alla leader dell’estrema destra del Fronte Nazionale Marine Le Pen.


NORD AMERICA 7 Giorni in 300 Parole STATI UNITI 18 novembre. Svelati nuovi volti della futura amministrazione Trump. Jeff Sessions, figura controversa e discussa, potrebbe ricoprire la carica di Attorney General; Michael Flynn, ex generale dell’esercito, sarà il futuro Consigliere per la Sicurezza Nazionale e Mike Pompeo, repubblicano radicale, potrebbe essere il nuovo direttore della Central Intelligence Agency. 19 novembre. Barack Obama in viaggio verso il Perù per prendere parte al vertice dell’Asia- Pacific Economic Cooperation. Ad essere oggetto dell’incontro è stata la difesa del libero mercato e la lotta al crescente protezionismo. Il Presidente uscente ha rimarcato il duro lavoro effettuato durante il proprio mandato per la realizzazione del Tpp. 21 novembre. I primi 100 giorni di Donald Trump illustrati in un video. Nel proprio discorso il neoeletto ha confermato il prossimo allontanamento dalla Trans Pacific Partnership per favorire accordi commerciali bilaterali. Trump ha, inoltre, manifestato la volontà di modificare parte delle norme vigenti in materia di tutela ambientale a favore di una maggiore produzione di gas naturale e carbone. Nessun riferimento alla costruzione del muro di confine tra Stati Uniti e Messico. 22 novembre. Donald Trump live su Twitter per il New York Times. Prosegue la lotta del Presidente contro giornalisti e manager dei più importanti network, accusati di corruzione e di avere infangato la campagna elettorale del tycoon. 23 novembre. Donald Trump no-

CHI HA FINANZIATO LA DEMOCRAZIA? I finanziamenti elettorali di Trump e Clinton

Di Alessandro Dalpasso Quindicimila dollari: questo è, in teoria, il prezzo che dovrebbe pagare, secondo alcune ricerche di settore, un privato cittadino che volesse correre per la Casa Bianca. Un gettone di partecipazione non proibitivo. È però evidente come, per avere una discreta visibilità e quindi qualche possibilità di vittoria, la somma da investire debba essere di gran lunga superiore. La campagna elettorale appena conclusasi l’ha rimarcato con forza. Va fatta una precisazione: il sistema delle donazioni per le campagne elettorali statunitensi è talmente eterogeneo da risultare complicato quanto il sistema elettorale stesso. Innanzitutto, ogni singolo cittadino può contribuire con un obolo ammontante a una cifra che egli ritenga congrua. Infatti, a seguito della sentenza McCutcheon v. FEC del 2014, sono state dichiarate incostituzionali le norme del Federal Election Campaign Act del 1971, che imponevano una soglia massima per le donazioni provenienti dai privati. Vi sono poi i cosiddetti Pacs e SuperPacs. Si tratta di comitati elettorali che appoggiano in modo autonomo e indipendente un politico o il suo partito. Godono di una libertà assoluta, perché possono mantenere segreti i nomi dei finanziatori fino al voto e possono ricevere soldi

da chiunque (nel caso dei Super, mentre i Pacs devono raccoglierli solo fra chi ne fa parte). Ma soprattutto, i candidati o i partiti che vogliono aiutare con il loro denaro non possono essere ritenuti responsabili in alcun modo delle loro attività. Una grossa fetta di fondi è poi ascrivibile al “dark money”, chiamato così nel settore perché si tratta di finanziamenti effettuati da enti o associazioni no-profit che, per la loro natura giuridica, decidono di rimanere anonimi (e che quindi vengono spesso accusati di riciclaggio di denaro). Sebbene sconfitta alle elezioni, Hillary Clinton è risultata vincitrice nella particolare competizione di chi ha raccolto più denaro. Secondo i dati della Federal Election Commission, l’ex Segretario di Stato ha infatti potuto disporre di 886 milioni di dollari, contro i 307 milioni raccolti dal suo sfidante Donald Trump. Dai dati raccolti emerge come il mondo della finanza e dell’hi-tech si sia schierato con i Dem, mentre il GOP ha potuto contare su finanziamenti provenienti dai settori dell’energia e dell’agricoltura. Andando invece ad analizzare i finanziamenti diretti per i candidati, la Soros Fund Management è stata la più generosa tra i finanziatori della Clinton, mentre Trump è stato il più magnanimo nei sui stessi confronti, con un esborso record di 56,1 milioni.

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NORD AMERICA mina le prime due donne della squadra di lavoro. Nikki Haley, governatrice del South Carolina, ricoprirà la carica di ambasciatrice USA alle Nazioni Unite e Betsy DeVos, imprenditrice, sarà il nuovo Segretario all’Istruzione. 24 novembre. Ultimo Thanksgiving Day per Barack Obama. Durante una delle più importanti festività americane il Presidente uscente si è rivolto alla nazione esprimendo profonda gratitudine verso il popolo americano. Donald Trump, parallelamente, ha dichiarato: “Abbiamo affrontato una campagna elettorale feroce, andiamo avanti per superare le nostre divisioni”.

CANADA 20 novembre. Il primo ministro canadese Justin Trudeau ha incontrato a Lima il presidente peruviano Pedro Pablo Kuczynski a margine del vertice APEC. I due leader hanno manifestato la volontà di dare vita a nuovi reciproci scambi commerciali rafforzando le attività di collaborazione. 21 novembre. Il ministro dell’Ambiente canadese Catherine McKenna ha annunciato lo stop all’utilizzo di centrali a carbone entro il 2030. Il piano del Ministro prevede il raggiungimento del 90% di produzione energetica derivante da fonti rinnovabili. A cura di Erica Ambroggio 6 • MSOI the Post

CHURCH AND STATE

L’ultra-conservatorismo del vicepresidente eletto Mike Pence

Di Martina Santi Sono trascorse già due settimane dalle molto discusse elezioni americane dello scorso 9 novembre, che hanno decretato Donald Trump 45° Presidente degli Stati Uniti. A suscitare preoccupazioni non è solo il ricco magnate, che nel suo CV non può annoverare esperienza né competenza in campo politico, ma anche il vicepresidente eletto Mike Pence, che è stato, a parere di alcuni, il vero uomo di questa campagna. Fiero rappresentante del Grand Old Party (GOP), Pence può vantare una lunga carriera politica. È stato membro della Camera dei Rappresentanti per 12 anni come esponente dell’ala repubblicana ed è governatore uscente dell’Indiana. È inoltre uno dei maggiori sostenitori del “Tea Party”, il movimento populista di destra famoso per la sua linea ultra-conservatrice. Dall’ aspetto sobrio e misurato, molto lontano dai toni aggressivi e volgari del collega Trump, Pence è da molti considerato il suo alter ego. Un suo tratto distintivo è la spiccata devozione per la religione evangelica: in quanto fermo credente, rifiuta le teorie evoluzioniste di Darwin

e vorrebbe introdurre, accanto a queste ultime, l’insegnamento delle teorie creazioniste all’interno delle scuole. Il timore dell’ingerenza della fede nelle istituzioni, con la diffusione di massime e principi biblici, si fa vivo soprattutto fra quelle fasce liberali della popolazione che si battono per diritti quali l’aborto o le nozze fra persone dello stesso sesso. Sono proprio questi i temi sui quali appare più indigesta l’opinione di Mike Pence, il quale, nel corso del suo mandato come governatore dell’Indiana, firmò un provvedimento teso a impedire a una donna di abortire. Esso venne in seguito annullato da un giudice federale. Nel passato di Pence si annovera anche l’emanazione di un emendamento, il “Religious Freedom Restoration Act”, che garantiva a singoli soggetti o a società di impresa il diritto di appellarsi alle proprie convinzioni religiose per rifiutarsi di elargire un servizio a persone gay. Sono queste le premesse con le quali si aprirà la nuova stagione presidenziale americana, quando, il 20 gennaio 2017, l’amministrazione Trump entrerà ufficialmente in carica.


MEDIO ORIENTE 7 Giorni in 300 Parole

LA LOTTA CONTRO LA LEGALIZZAZIONE DELLE SPOSE BAMBINE IN TURCHIA Così la Turchia vuole legalizzare le “spose bambine”.

ISRAELE 23 novembre. Il procuratore generale israeliano ha aperto un’inchiesta su presunti legami tra la sede locale della ThyssenKrupp Marine System e il governo di Tel Aviv. L’indagine si focalizza sul contratto che Israele avrebbe firmato con la Germania riguardo alla fornitura di sottomarini e strumentazione navale. Il Ministro della Giustizia esaminerà inoltre i rapporti personali dell’avvocato del Presidente Nethanyahu con il rappresentante in loco dell’azienda tedesca. Sia la ThyssenKrupp che il governo di Nethanyahu hanno negato ogni accordo riguardante l’inchiesta e ne rigettano in toto le accuse.

LIBIA 20 novembre. Una nuova minaccia per il governo di accordo nazionale libico, supportato da Francia, Regno Unito, Stati Uniti ed Italia, mina la credibilità del capo di governo Fayez al-Serraj. La moneta libica rischia infatti una fortissima svalutazione, avendo toccato il minimo storico all’interno del mercato nero e perdendo il 7% sulle piazze ufficiali – dove il cambio è di 1,4 dinar per dollaro-. Con il so-

Di Maria Francesca Bottura Pochi giorni fa è stata avanzata la proposta di depenalizzare il reato di abusi su minore Per 187 voti, che corrispondono a un terzo dei membri della Grande Assemblea Nazionale Turca, il testo presentato dal Partito della Giustizia e dello Sviluppo (AKP) è stato rinviato a una seconda lettura. Così facendo, il 17 novembre scorso, in molti hanno potuto tirare un sospiro di sollievo. La proposta del partito AKP, guidato dal presidente Recep Tayyip Erdoğan, in carica dal 2002, comporterebbe la scarcerazione dei condannati per abusi sessuali da oggi al 2005 e l’attenuazione della pena prevista nel caso il minore fosse consenziente e se l’autore dell’abuso sposasse la vittima. La proposta ha causato tensioni, soprattutto visti i rapporti di molte ONG sul numero delle “spose bambine” in Turchia: l’Associazione per la Donna e la Democrazia KADEMA, per esempio, lotta in prima linea contro questo fenomeno. Dell’associazione è vicepresidente proprio la figlia di Erdoğan, la quale è stata la prima ad esprimere il suo disappunto. Secondo una ricerca condotta in diverse città del sud-est

della Turchia (a maggioranza curda), il 51% delle donne già sposate presenti in quella zona ha contratto il matrimonio prima del compimento dei 18 anni (età prevista dall’attuale legge turca) e molte di queste (il 32,5%) sono rimaste incinte tra i 10 i e i 18 anni. La situazione è andata peggiorando anche per via della presenza di numerosi rifugiati siriani. L’Agenzia per i Rifugiati delle Nazioni Unite (UNHCR) avrebbe contato tra essi migliaia di giovani ragazze, di età compresa tra i 13 e i 20 anni, date in spose per ottenere la cittadinanza turca. Con questa proposta la Turchia compie un passo indietro. Lo riferisce anche il presidente del gruppo S&D del Parlamento Europeo, Gianni Pittella, che in una conferenza stampa ha richiesto il congelamento dei colloqui relativi all’adesione della Turchia all’Unione Europea. Dopo diversi giorni di proteste particolarmente accese, il primo ministro turco, Binali Yıldırım, ha deciso di ritirare la proposta. La tensione è alta, soprattutto se si tiene presente che secondo l’Istituto di Statistiche Turco (TUIK) nel 2015 ci sono state 31.330 spose bambine. Eppure, la legge turca non consente il matrimonio con minorenni.

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MEDIO ORIENTE stegno della Banca Mondiale e il supporto delle potenze occidentali, una serie di misure previste per il 2017 verranno presentate il 1 dicembre: esse includeranno una spesa di 6 miliardi per il pagamento dei salari e il sostegno delle aziende petrolifere ed elettriche nazionali. PAKISTAN 23 novembre. Nella zona di frontiera con il Kashmir pakistano, un bus è esploso nella mattinata di mercoledì, uccidendo nove civili. A questi, si aggiungono alcuni soldati pakistani ed indiani, vittime dei contrattacchi successivi al bombardamento. La zona è stata protagonista di numerosi episodi di simile entità nel corso degli ultimi mesi, con l’intensificarsi delle pressioni interne ed esterne tra i due paesi detentori di arsenale nucleare.

SIRIA 22 novembre. Una stima dell’Osservatorio Siriano per i Diritti Umani ha appena stabilito che nell’ultima settimana le vittime dei bombardamenti nella zona orientale di Aleppo sono state oltre 140, tra cui 18 bambini. I dati più recenti sono stati difficili da recuperare in quanto gli ospedali locali – che si occupano, tra le altre cose, della conta delle vittime – sono stati duramente colpiti dagli attacchi del governo, delle milizie curde e dell’aviazione russa. A cura di Samantha Scarpa

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ISRAELE LEGALIZZERÀ GLI INSEDIAMENTI? Per la prima volta la Knesset prova a estendere legalmente la sovranità sui territori palestinesi

Di Lorenzo Gilardetti Il 13 novembre scorso è stato approvato all’unanimità il disegno di legge che il governo israeliano, la Knesset, dovrà esaminare e votare riguardo alla legalizzazione degli insediamenti coloniali israeliani in Cisgiordania, dibattuti in questi termini già dal 2006. Allora, per la prima volta, venne ordinata la demolizione degli edifici ad Amona, richiesta nuovamente nel 2008. Nel 2014, la Corte Suprema ha dato un ultimatum di due anni: gli avamposti dovrebbero quindi essere definitivamente abbattuti entro il 25 dicembre. Proprio la tutela di questi e delle cinquanta famiglie che li abitano è il motivo che ha spinto il partito ultranazionalista e colonialista Casa Ebraica a presentare la proposta per “regolamentare una situazione già esistente”, dopo che un’ulteriore proroga di 7 mesi per l’evacuazione non è stata accettata. I promotori di questa sanatoria, che riguarda tra i duemila e i tremila coloni, sono Naftali Bennet, ministro dell’Istruzione, e Ayele Shaked, ministro della Giustizia. I due, negli ultimi tempi, hanno portato avanti l’intento con determinazione e ora, spinti dall’entusiasmo dovuto

all’elezione di Trump, l’hanno fatto arrivare in Parlamento. Il Primo Ministro Benjamin Netanyahu, avendo provato senza successo a ritardare il progetto, si ritrova così in una situazione scomoda. Da una parte, i membri del suo partito Likud hanno appoggiato senza esiti la proposta, confermando la tendenza sempre più colonialista degli ultimi tempi, e si aspettano che egli abbandoni il profilo moderato; dall’altra, il rischio di incorrere in una violazione dei trattati internazionali è alto e la Corte Internazionale, che ha già giudicato illegali gli avamposti in passato, potrebbe prendere seri provvedimenti. Lo stesso procuratore generale israeliano Avichai Mendelbit ha denunciato l’inadeguatezza del progetto di fronte ai diritti internazionali. È la prima volta che i deputati israeliani si spingono a voler estendere la loro sovranità sui territori palestinesi in maniera così evidente. Casa Ebraica si difende sostenendo che sono interessati solo gli insediamenti (comunque alcune centinaia) finanziati dallo Stato e che le terre in questione verrebbero retroattivamente espropriate. Il partito ha inoltre invitato i palestinesi a richiedere quanto dovuto, se sono in grado di dimostrare il loro diritto di proprietà.


RUSSIA E BALCANI 7 Giorni in 300 Parole

IL MERCATO DELLE ARMI NEI BALCANI OCCIDENTALI

Dal 2012 aumentano le esportazioni verso il Medio Oriente

Di Adna Camdzic KAZAKISTAN 23 novembre. Il parlamento kazako ha approvato all’unanimità una proposta per modificare il nome della capitale Astana in Nazarbayev, in onore del presidente in carica Nursultan Nazarbayev. Tale cambiamento aumenterebbe il culto della personalità attorno alla figura del Presidente, che deve ora decidere se accettare o meno la proposta. Nazarbayev, 76 anni, è a capo del Paese dal 1989. MONTENEGRO 21 novembre. 2 cittadini russi e 3 serbi sono stati accusati di aver preso parte ad un presunto tentativo di assassinio del Primo Ministro montenegrino nel giorno delle elezioni, lo scorso 16 ottobre. 20 persone sono state arrestate ed alcune di queste sono parte di gruppi di combattenti pro-Russia nell’est dell’Ucraina. Il complotto avrebbe dovuto portare ad un colpo di stato, a seguito della richiesta di accesso alla NATO del Montenegro. I media nazionali hanno identificato i 2 russi come membri dell’intelligence militare di Mosca ma il Cremlino ha negato qualunque coinvolgimento, sostenendo però la propria opposizione all’ingresso nell’alleanza atlantica del Montenegro. RUSSIA 21 novembre. L’esercito russo ha dislocato sistemi missilistici nella sua exclave Kaliningrad,

Una recente inchiesta condotta dall’organizzazione Balkan Investigative Reporting Network (BIRN) e dall’ Organised Crime and Corruption Reporting Project (OCCRP), ha fatto luce sul problema del traffico di armi nei Balcani occidentali. L’indagine ha rilevato che, a partire dal 2012, otto Paesi dell’Europa centro-orientale (Bosnia Erzegovina, Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Montenegro, Romania, Serbia e Slovacchia) hanno inviato armi e munizioni per un totale di 1,2 miliardi di euro verso Arabia Saudita, Giordania, Emirati Arabi Uniti (UAE) e Turchia. Queste armi e munizioni sono poi finite in mano a combattenti di gruppi islamisti, come Ansar al-Sham, ISIS, le fazioni in lotta per Bashar-al Assad e le forze sunnite in Yemen. Uno dei membri del team d’inchiesta del BIRN, Jelena Cosic, ospite al canale televisivo regionale ‘N1’, ha dichiarato che non sono stati eseguiti i dovuti controlli per verificare se i carichi inviati fossero giunti a destinazione, come previsto dalle norme. Tra queste norme vi è l’ATT (Arms Trade Treaty), che obbliga a valutare le conseguenze per i diritti umani di ogni singola fornitura di armi. Il commercio potrebbe perciò risultare legale, in quanto voli

e trasporti sono stati registrati. Quello che manca, come sostiene Cosic, sono i certificati relativi alle destinazioni finali (i cosiddetti “end user certificates”). Per quanto riguarda la provenienza delle armi, il team del BIRN ha potuto confermare che in parte esse sono presenti nella regione balcanica a partire dai conflitti degli anni ‘90. Molti arsenali militari, sparsi per tutto il territorio, sono rimasti occultati dopo il crollo della Jugoslavia e dell’Albania, oltre che della Bulgaria e della Romania. Per di più, sono stati individuate anche parti prodotte in tempi recenti, fino al 2015. Questo traffico viene portato avanti grazie alla crescente domanda nelle zone di conflitto, in particolare in Siria e Yemen, e riguarda anche la produzione di nuovi dispositivi. Non è da sottovalutare, infatti, il fattore economico. La profonda crisi che ostacola la crescita dei Balcani occidentali porta i governi a trascurare le norme internazionali. I Paesi traggono profitto dall’esportazione di armi; le fabbriche, che sono in gran parte proprietà dello Stato, sono in costante funzione; i commercianti si arricchiscono, le entrate aumentano. Il problema sembra non avere rilevanza per le istituzioni dei Paesi coinvolti. MSOI the Post • 9


RUSSIA E BALCANI ai confini con Polonia e Lituania, paesi membri della NATO. La decisione avviene a seguito di una crescente tensione fra il governo di Mosca e la coalizione atlantica, che richiede maggiore trasparenza nelle attività militari per evitare incidenti e fraintendimenti. Il Cremlino si è opposto fortemente al dispiegamento di militari NATO lungo i confini con la Russia e Vladimir Putin ha dichiarato che, se minacciata, la Russia potrebbe rispondere con la forza contro la NATO.

22 novembre. Via libera al dislocamento di sistemi missilistici Bastion e Bal, gli stessi usati in Crimea, nelle Isole Curili, un arcipelago dell’Oceano Pacifico oggetto di dispute territoriali tra Russia e Giappone da più di 70 anni. Il Cremlino, tramite il suo portavoce Peskov, spera a dicembre di risolvere la disputa e siglare finalmente un trattato di pace. Il governo di Tokyo non ha ancora risposto all’azione russa. UCRAINA 21 novembre. Il ministero della Difesa russa ha accusato l’Ucraina di aver arrestato due militari russi, trasportandoli dalla Crimea alla regione del Mykolaiv, vicino al confine tra i due paesi. Kiev ha annunciato che i due sarebbero militari ucraini accusati di tradimento. Il 23 novembre Putin ha definito l’arresto come un atto di “perfidia” da parte delle autorità ucraine. A cura di Daniele Baldo 10 • MSOI the Post

REVOCATA LA CONDANNA A NAVALNY L’eterno rivale di Putin di nuovo in corsa

Di Ilaria Di Donato La storia che coinvolge Alexei Navalny ha inizio quattro anni fa. Navalny è – oltre che un avvocato e blogger russo con milioni di follower – anche fondatore della Fondazione anticorruzione, organizzazione che indaga sui numerosi casi di tangenti e di arricchimenti ingiustificati che coinvolgono funzionari governativi ed esponenti vicini al presidente Vladimir Putin. Nel 2012 il suo nome oltrepassa i confini della Russia per attirare l’attenzione della stampa internazionale, a seguito della vicenda giuridica che lo vede coinvolto. Navalny, infatti, viene accusato di appropriazione indebita per aver sottratto del legname dall’azienda Kirovles, di proprietà statale, arrecandole un danno quantificabile in 380 mila euro. La condanna, con sospensione della pena, era di cinque anni e fu emessa al termine di un processo che la stessa Corte di Strasburgo, oltre che diversi osservatori internazionali, ritenne politicamente manovrato. L’avvocato anticorruzione, non a caso, viene universalmente considerato come uno dei più accesi oppositori alla leadership di Putin in Russia, avendo anche partecipato alle elezioni per la carica di sindaco a Mosca. In quell’occasione

ricevette inaspettatamente il 27% di voti, pur concorrendo contro il favoritissimo di Putin, Sergei Sobyanin. Non solo: Navalny imputò la sua percentuale di voti a brogli e irregolarità, che a suo giudizio gli avrebbero sottratto diversi punti. Quando venne pronunciata la sentenza di condanna nei suoi confronti, i suoi simpatizzanti non esitarono a riversarsi in piazza per manifestare contro la decisione giudiziale, urlando slogan per la libertà e contro l’inquilino del Cremlino. Il silenzio generale sul caso Navalny si è interrotto, pochi giorni fa, con un netto dietrofront sulla vicenda da parte della Corte Suprema, probabilmente influenzato dalla Corte Europea dei Diritti Umani. Quest’ultima aveva infatti evidenziato come il condannato fosse stato privato del giusto processo. La Corte Suprema della Federazione Russa ha neutralizzato la condanna pronunciata dal tribunale di Kirov nei confronti del blogger, invitandolo a “riesaminare il caso” e dichiarando la sentenza illegittima. Con l’annullamento della condanna, Navalny è adesso libero di candidarsi alle future elezioni presidenziali del 2018, concorrendo contro lo stesso Putin.


ORIENTE 7 Giorni in 300 Parole

CINA 20 novembre. Il presidente Xi Jinping, al vertice APEC (AsiaPacific Economic Cooperation) che si è svolto a Lima in Perù, ha dichiarato che la Cina è pronta ad incrementare il proprio ruolo nella gestione degli scambi internazionali. Il Presidente cinese è incline a pensare che con l’elezione di Donald Trump alla presidenza USA, e viste le posizioni filo-isolazioniste del presidente eletto, gli assetti globali possano favorire la Cina a diventare il leader commerciale internazionale. L’elezione di Trump potrebbe anche ridefinire l’influenza di Pechino sia nell’area orientale sia in quella del pacifico. COREA DEL SUD 22 novembre. Firmato a Seoul il patto con il Giappone per la collaborazione dei servizi di intelligence. Tale accordo prevede una stretta cooperazione tra i servizi di sicurezza giapponesi e sudcoreani; l’intesa è stata stipulata con lo scopo di migliorare il controllo sui programmi missilistici della Corea del Nord. Il patto ha sollevato nuove critiche nei confronti della presidente Park Geun-hye, recentemente coinvolta in uno scandalo legato alla corruzione.

NUOVI EQUILIBRI IN ASIA

La Cina propone la propria leadership commerciale.

Di Emanuele Chieppa Durante la campagna presidenziale del neoeletto Donald Trump, alcune delle critiche che gli sono state mosse riguardavano un tweet del 2012, in cui asseriva che il concetto di riscaldamento globale fosse stato creato per favorire la Cina, penalizzando la produzione “made in USA”. Essendo il post così datato, alcuni analisti si sono stupiti quando, lo scorso mercoledì 15 novembre, la Cina – in occasione dell’APEC – ha risposto a questa e ad altre dichiarazioni. Il viceministro degli Esteri Liu Zhenmin, infatti, in occasione della conferenza ONU a Marrakesh ha respinto le accuse mosse da Trump sul cambiamento climatico e ha auspicato in questo ambito una soluzione “giusta e intelligente”. Non si può non considerare come, durante la presidenza Obama, Pechino abbia subito una politica di contenimento, nell’ambito del programma “Pivot to Asia”. Uno degli obiettivi principali è stato quello di im-

pedire l’ascesa della Cina come potenza regionale, mirando a mantenere la solida leadership economica degli Stati Uniti nel contesto asiatico. Si può dunque ipotizzare che l’elezione di Trump, repubblicano con intenzioni protezioniste e isolazioniste, concorra a creare un vuoto di potere sul piano internazionale. La Cina potrebbe, in tal caso, compensare la chiusura statunitense attraendo nella propria orbita i Paesi che temono una possibile marcia indietro sul TPP. Intanto, lo scorso 20 novembre il presidente Xi Jinping ha incontrato il premier giapponese Shinzo Abe e, nel discorso di apertura all’APEC, ha ribadito la volontà di creare un’alternativa al TPP, il RCEP (partnership economica e regionale), che escluderebbe gli Stati Uniti. A mettere in crisi la potenziale attuazione del RCEP, tuttavia, interviene il tradizionale protezionismo di Tokyo, che rende difficil el’attuazione di un trattato commerciale pilotato dalla Cina. MSOI the Post • 11


ORIENTE MYANMAR 20 novembre. Nuovi scontri tra separatisti e militari nel nordest del paese. Mentre le forze di sicurezza birmane sono impegnate da qualche tempo in una violenta repressione della minoranza musulmana Rohingya, alcuni militanti armati del gruppo Kia (etnia Kachin) hanno attaccato al confine nordest scatenando l’intervento dell’esercito. A causa degli scontri armati un significativo numero di civili è fuggito attraverso il confine cinese per trovare rifugio nella provincia dello Yunnan. Pechino ha poi esortato i propri militari,

di stanza al confine birmano, alla massima allerta. PAKISTAN 23 novembre. Un autobus e un’abitazione privata sono stati bersagliati da colpi di artiglieria, provocando la morte di dodici persone. Il fatto, avvenuto in Kashmir sul confine con l’India, ha subito scatenato le reazioni del governo pakistano che ha accusato New Delhi di attacco intenzionale contro la popolazione civile. Tale attacco non fa che incrementare le annose tensioni tra i due paesi in un’area di confine assai delicata. A cura di Tiziano Traversa

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RAPPORTI POSITIVI TRA AUSTRALIA E CINA Le opposizioni chiedono più lavoro con l’Asia dopo la vittoria di Trump.

Di Luca De Santis In Australia l’opposizione federale insiste nel proposito di porre fine al sostegno bipartisan all’alleanza con gli Stati Uniti di Trump. Tuttavia, il Paese ha bisogno di mantenere un dialogo che gli consenta di affermare i propri valori e mettere in chiaro il proprio dissenso in caso di necessità. La senatrice Wong ha definito “deludente” l’incapacità del governo di opporre resistenza ai focolai nazionalisti sorti in seguito alle elezioni statunitensi; ritiene invece fondamentale stabilire nuovi rapporti con l’Asia. L’Australia, secondo la visione di Wong, necessita del supporto dei partner regionali e deve mirare a esercitare congiuntamente con essi un’influenza tale da indurre gli stessi Stati Uniti a ricercare aree di cooperazione. Uno dei rapporti più importanti nel contesto asiatico è quello con la Cina, come dimostrato, del resto, dalla costante partecipazione dell’ambasciatore cinese Cheng Jingye ai più importanti avvenimenti del Paese. Lo scorso 15 novembre egli ha tenuto un discorso al sesto National Governance System and Governance Capacity Building Program, osservando che le relazioni tra le due Nazioni hanno compiuto progressi significativi negli ultimi anni.

Sono stati creati benefici tangibili per i due popoli e la formazione, reciprocamente vantaggiosa, di alti funzionari è diventata un punto di riferimento negli scambi politici e nella cooperazione culturale tra i due Paesi. Australia e Cina condividono un interesse comune nella riduzione della povertà e sostengono così lo sviluppo e la promozione della stabilità nella regione Asia-Pacifico. A tal riguardo, i due Paesi intrattengono proficui scambi di risorse minerarie ed energetiche. Entrambi i Paesi hanno convenuto, in un documento comune, di condividere importanti interessi nel promuovere la pace, la stabilità e lo sviluppo nel Pacifico e nell’area asiatica. La Cina, infine, accoglie con favore il ruolo chiave dell’Australia negli affari regionali e internazionali. Le due parti continueranno a rafforzare la comunicazione e il coordinamento in ambito Nazioni Unite, nel G20, nel vertice dell’Asia orientale e negli altri organismi multilaterali, impegnandosi soprattutto a cooperare per prevenire la proliferazione delle armi di distruzione di massa. Entrambi gli Stati ritengono, infatti, che la comprensione reciproca e il dialogo costituiscano una base importante per le loro relazioni.


AFRICA 7 Giorni in 300 Parole BURUNDI 22 novembre. Il parlamento del Burundi ha eletto Edouard Nduwimana come nuovo ombudsman (difensore civico), carica che avrà una durata di sei anni non rinnovabili. La Costituzione burundese conferisce all’ombudsman numerosi poteri e la possibilità di agire autonomamente per quanto riguarda le inchieste sulla corruzione e nella risoluzione dei conflitti sociali. In seguito all’elezione di Nduwimana è scaturita una polemica riguardante la personalità del politico, già vice presidente dell’assemblea nazionale. Il nuovo ombudsman è accusato di aver represso con violenza le manifestazioni contro il governo quando ricopriva la carica di vice presidente dell’assemblea nazionale, posizione conferitagli dal contestato presidente burundese Pierre Nkurunziza. COSTA D’AVORIO 23 novembre. L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (HCR) e il governo della Costa D’Avorio hanno ordinato un censimento dei rifugiati presenti nel territorio del Paese. Secondo il “Servizio d’aiuto e assistenza ai rifugiati ed espatriati” (Saara), questa operazione consentirà una migliore gestione dei rifugiati, che provengono maggiormente dalla Liberia, dalla Nigeria e dalle Sierra Leone. Il numero di profughi in Costa D’Avorio si aggira intorno a 2000; questo censimento si pone l’obbiettivo di differenziare le diverse necessità e le numerose richieste di ognuno di essi. REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO 23 novembre. Gli Stati Uniti, tramite un comunicato ufficiale, hanno esortato il governo e l’op-

IL PRESIDENTE CHE AGISCE IN SILENZIO Joseph Kabila si starebbe preparando a un nuovo (incostituzionale) mandato

Di Arianna Papalia Joseph Kabila, il terzo Presidente della Repubblica Democratica del Congo, è il più giovane Presidente al mondo. Succeduto al padre 16 anni fa, in seguito al suo assassinio, si trova attualmente al secondo mandato, che avrebbe dovuto volgere al termine il 19 dicembre. Le elezioni presidenziali stabilite per questo novembre, invece, sono state rinviate al prossimo aprile 2018 dalla Corte Costituzionale. La motivazioni sarebbero le seguenti: il Paese non avrebbe le capacità di preparare le consultazioni in maniera adeguata, inoltre, l’ingente numero di elettori divenuti recentemente maggiorenne sarebbe troppo alto per permettere che questi siano iscritti nelle liste elettorali entro il mese corrente. L’attuale costituzione impedisce a Kabila di candidarsi per la terza volta, ma molti lo accusano di prendere tempo per varare una riforma costituzionale, così da legalizzare una sua nuova candidatura. In più, nonostante la costituzione preveda la nomina di un Presidente ad interim in caso di mancate

elezioni, la Corte Costituzionale ha accordato a Kabila la possibilità di mantenere la sua carica. La decisione, presa lo scorso ottobre in seguito a un controverso accordo tra la maggioranza e parte dell’opposizione, ha portato grande malcontento in Congo. Già da settembre, preannunciandosi la notizia del rinvio delle elezioni, si scatenarono numerose proteste che chiedevano le dimissioni del Presidente. Gli uffici del Partito vennero dati alle fiamme e l’esercito reagì violentemente alle mobilitazioni. Il 19 ottobre i partiti di opposizione indissero uno sciopero nazionale di due giorni – definito “ville morte” (città morta) – bloccando le attività quotidiane della popolazione. La comunità internazionale ha dimostrato più volte le sue preoccupazioni. L’ONU ha recentemente inviato una delegazione per assicurare una transizione pacifica e il Consiglio dell’Unione Europea ha richiesto al governo di organizzare le elezioni entro il 2017. Anche l’ex amministrazione Obama ha esercitato diverse pressioni sulla Repubblica. MSOI the Post • 13


AFRICA posizione della Repubblica Democratica del Congo a presentare delle proposte costruttive e ad evitare scontri accesi. Gli USA hanno inoltre vivamente sollecitato il presidente in carica Joseph Kabila, a rispettare i diritti e le libertà fondamentali. Il comunicato statunitense arriva esattamente un mese prima dalla fine del mandato di Kabila; le nuove elezioni sembrano infatti poter causare disordini nel Paese, dove sono già nate organizzazioni che si oppongono alla rielezione del presidente uscente.

SUD AFRICA 22 novembre. La disoccupazione in Sud Africa è cresciuta del 1,6 % nel terzo semestre del 2016, arrivando ad interessare il 27,1% della popolazione attiva; la più alta percentuale dal 2003. La situazione è particolarmente preoccupante per i giovani dai 15 ai 24 anni, tra i quali il 54,2% è senza lavoro. L’Agenzia nazionale delle statistiche fa notare come sia ancora lontano il raggiungimento di una completa uguaglianza fra le diverse etnie del paese: la disoccupazione colpisce infatti il 30,5% degli abitanti di colore mentre per i “bianchi” raggiunge a malapena il 7%. A cura di Francesca Schellino 14 • MSOI the Post

SOMALIA ED ERITREA: ESTESO L’EMBARGO SUGLI ARMAMENTI Misure contro l’instabilità del Corno d’Africa.

Di Francesco Tosco Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, il 10 novembre scorso, ha esteso l’embargo sugli armamenti per Somalia ed Eritrea fino a novembre 2017. La decisone, presa con 10 voti a favore e 5 astenuti, si è basata sul rapporto annuale stilato dal SEMG (Gruppo di Monitoraggio sulla Somalia ed Eritrea), che vede i due Paesi come chiavi di volta dell’instabilità della regione. L’embargo sugli armamenti verso uno Stato consiste nel divieto assoluto di importazione diretta o indiretta di armamenti, e qualsiasi cosa, inclusa assistenza tecnica o scientifica, che sia volta a fini bellici. In Somalia i timori che hanno portato all’estensione del provvedimento per un altro anno riguardano principalmente il gruppo terroristico di al-Shabaab, che continua a essere una minaccia per il Paese e per il Corno D’Africa. Inoltre, l’aggiunta dell’embargo sul carbone e su alcune materie prime dovrebbe tagliare nettamente i fondi e le risorse del gruppo terroristico sul territorio. Per quanto attiene all’Eritrea, invece, la situazione è differente. Il SEMG ha dovuto servirsi anche quest’anno di fonti indirette per il suo rapporto. Le richieste di visitare il Paese e

di avere informazioni ufficiali dalle istituzioni eritree non hanno dato alcun risultato, confermando l’isolazionismo verso la comunità internazionale degli ultimi anni. Il documento non ha dimostrato aiuti diretti verso il gruppo terrorista somalo, ma ha evidenziato altri motivi di preoccupazione. In particolare, il rapporto si sofferma sulla concessione del porto di Assab alla coalizione guidata dall’Arabia Saudita per la guerra in Yemen. La concessione del proprio territorio e dello spazio aereo, di per sé, non costituirebbe una violazione dell’embargo sugli armamenti, ma la costruzione di una nuova base militare nel porto e quindi un dirottamento diretto di fondi verso il settore militare eritreo, sì. Un’altra violazione portata all’attenzione della comunità internazionale, riguarderebbe alcune misteriose missioni dell’aeronautica militare eritrea in Italia da luglio ad agosto 2016. Infine, il documento conferma, come già negli anni precedenti, la presenza nel Paese di gruppi di opposizione armata etiopica e gibutiana. La delibera del Consiglio di Sicurezza, nonostante le motivazioni, è stata fortemente attaccata dai paesi astenutisi al voto, che considerano queste sanzioni come ingiuste ed immotivate.


SUD AMERICA 7 Giorni in 300 Parole

ARGENTINA 22 novembre. Sciopero e marcia contro la violenza sulle donne. Centinaia di donne scendono in piazza, vestite a lutto, per manifestare contro il femminicidio, piaga dilagante in Argentina: 19 uccisioni negli ultimi 18 giorni, uno ogni 23 ore. 21 novembre. Incontro, a Buenos Aires, tra El lunes encuentro con el presidente Mauricio Macri il presidente Mauricio Macri e il primo ministro del Giappone, Shinzo Abe, per rafforzare i legami bilaterali tra i due Paesi e accrescere la cooperazione nell’ ambito di scienza, tecnologia e innovazione. L’ultimo incontro con un presidente giapponese in suolo argentino risale al 1959. BRASILE 23 novembre. Protesta anti-austerity di un gruppo di Indios, armati di arco, frecce e sciabole, con tentativo di irruzione nella Camera dei Deputati di Brasilia. La manifestazione, contro la proposta di modifica costituzionale (Pec) numero 55, con tagli ai programmi sociali, è stata sedata dalla polizia. 20 novembre. Elicottero della polizia precipita a Rio de Janeiro, presso la favela Cidade de Deus, in cui sono in corso scontri tra gang criminali e polizia. Secondo le accuse locali, almeno 12 le vittime di esecuzioni sommarie della polizia; le gang locali sono accusate dell’abbattimento dell’elicottero e della morte di 4 ufficiali. Sparatorie segnalate

HAITI ALLE URNE

Il Paese, ancora in ginocchio, di fronte alla scelta per il suo futuro

Di Daniele Pennavaria Il passaggio dell’uragano Matthew, che ha lasciato sulla sua scia più di 500 morti solo ad Haiti, non ha convinto il governo a spostare ancora la data delle elezioni, previste originariamente per ottobre. Così, il 20 novembre, il Paese più povero delle Americhe è tornato alle urne, malgrado le condizioni ancora precarie delle infrastrutture. La storia di questa tornata elettorale sarebbe peraltro già abbastanza travagliata senza l’intervento di disastri naturali. Nel 2015, infatti, gli haitiani erano già stati chiamati al voto, ma la vittoria di Jovenel Moise aveva suscitato la protesta dell’opposizione per sospetti brogli. In seguito alla paralisi politica generatasi e ai violenti scontri, ne fu ottenuto l’annullamento e, di seguito, il rinvio. Nel febbraio 2016 si decise l’insediamento di un Presidente ad interim, il presidente del Senato Privert, che si è trovato negli ultimi mesi a gestire il dramma del nubifragio, oltre alla programmazione delle elezioni, punto chiave del suo mandato. Dei 27 candidati al turno dello scorso fine settimana sono 5 quelli che spiccano. Il favorito rimane Jovenel Moise, rappresentante del Parti Haitien Tet Kale, il partito del presidente uscente Martel-

ly, produttore di una società di esportazione di banane, al primo turno si era aggiudicato il 33%. C’è poi Jude Célestin, capo della Leph (Lega Alternativa per il Progresso e l’Emancipazione di Haiti) e direttore di un’agenzia di costruzioni molto attiva dopo il disastro del 2010. Jean-Charles Moise, contrario alla rielezione del Presidente uscente, rappresenta la Piattaforma Pitit Desalin e gode del sostegno di Fidel Castro. Maryse Narcisse è attivista per i diritti umani ed è stata portavoce del due volte presidente Jean-Bertrand Aristide durante il suo esilio, in seguito al colpo di Stato che lo rovesciò. Infine abbiamo Edmonde Supplice Beauzile, alla guida del partito Fusion, con un curriculum che comprende organizzazioni internazionali e entrambe le camere del Parlamento, in ascesa secondo i sondaggi. Perché i risultati siano noti serviranno ancora alcuni giorni, ma la certezza dei ballottaggi rinvia al 29 gennaio per un responso definitivo. La prospettiva è quindi quella di concludere solo fra alcuni mesi il percorso per l’elezione del Presidente, con ripercussioni sulla gestione della continua emergenza del Paese e con un drastico calo della partecipazione dell’elettorato, prevista sotto il 25%, a causa dei disagi dell’uragano e della disillusione verso la politica.

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SUD AMERICA in una decina di zone in tutta la città, a dimostrazione dell’emergenza sicurezza in cui si trova il paese, come emerso dai dati stilati dall’Istituto di Pubblica Sicurezza. COLOMBIA Il nuovo accordo di pace tra il governo colombiano e le FARC sarà firmato in data 24 novembre, a Bogotà; l’intesa sarà successivamente confermata dal Parlamento. “Abbiamo l’opportunità unica di chiudere questo penoso capitolo della nostro storia che ha afflitto con lutti e sofferenza milioni di colombiani per mezzo secolo” (Presidente Santos).

MESSICO 21 novembre. Weekend di sangue ad Acapulco, considerata città più pericolosa dello stato di Guerrero ed epicentro della violenza criminale: 11 omicidi in 48 ore, tra le vittime anche un quattordicenne ucciso insieme alla madre. Nel 2016 sono state registrate1832 morti violente. VENEZUELA 21 novembre. Manifestazione di migliaia di giovani a Caracas, in occazione della Giornata dello Studente, a sostegno della scuola pubblica, introdotta soltanto 17 anni fa. Divenuto il quinto paese al mondo per matricole universitarie , il presidente annuncia la volontà di finanziare progetti socio-produttivi, incrementare le borse di studio e i salari dei lavoratori nell’Università. A cura di Giulia Botta 16 • MSOI the Post

APEC PERÙ 2016: PIU’ CIBO E HUMAN DEVELOPMENT Gli obiettivi e i punti della nuova agenda

Di Daniele Ruffino Si è tenuto pochi giorni fa a Lima, Perù, l’incontro dell’APEC (Asian-Pacific Economic Cooperation) per la discussione della nuova agenda e degli obiettivi che l’ente internazionale intende onorare nell’anno a venire. Si tratta dell’ultimo meeting dell’APEC al quale ha partecipato il presidente uscente Obama. L’agenda di quest’anno è volta ad aiutare gli Stati in emergenza sanitario-climatica – come il Brasile e Haiti – e ha posto un forte accento sulla questione della nutrizione e del cibo, com’era stato fatto dall’Italia a EXPO. Oltre a quest’ultima questione, ci si è posti come obiettivo l’investimento di copiosi fondi per lo human development, la regional economic integration e la growth agenda. Il fine è quello di migliorare e rilanciare le economie locali dei membri dell’organismo, tra cui compaiono, per l’America latina, Cile, Perù e Messico. Il Perù è ovviamente al centro dell’agenda: il programma per il potenziamento dell’economia locale (“Regional Food Market”) è volto in primis all’agroindustria del Paese, la quale vedrebbe un abbassamento della tassazione e l’aumento dei finanziamenti da parte dei settori privati e pubblici, per espandersi verso i mercati dell’Asia e in particolare per l’esportazione di

frutta autoctona. L’APEC auspica inoltre in un aiuto da parte del governo, mediante leggi per la liberalizzazione dei commerci e un abbattimento delle tasse di esportazione e importazione. Ciò permetterebbe di adottare lo Strategic Study for Realization of the Free Trade Agrement of the Asia Pacific (FTAAP) durante il 2016, per riuscire a giungere nel 2020 ai Bogor Goals, elaborati per il raggiungimento della piena liberalizzazione delle economie dei membri dell’APEC. Un altro punto fondamentale della nuova agenda è quello volto al miglioramento delle MSMEs (Micro, Small, Medium Enterprises), allo scopo di potenziare il mercato regionale e locale, ma anche quello nazionale, che tratta materie prime o beni diversi da quelli agro-alimentari. Il progetto non si limita al finanziamento monetario, ma comprende l’utilizzo di nuove strategie e tecnologie, volte a un aggiornamento generale del sistema industriale peruviano. Tutti questi punti si basano però su un aspetto ancora più importante: lo sviluppo umano. L’APEC intende infatti lavorare sulla questione delle risorse umane attraverso programmi e fondi per lo sviluppo del micro (il singolo individuo), arrivando così al livello macro (MSMEs ed economia nazionale) e creando un proficuo circolo virtuoso.


ECONOMIA WikiNomics SHARING ECONOMY La nuova economia imprenditoriale riduce le disuguaglianze

IL CIELO SOPRA IL CREMLINO – PARTE III Dalla Crisi in Georgia all’ascesa internazionale di Mosca Di Michelangelo Inverso

Se nella fase 2000-2008 l’obiettivo della presidenza Putin era quello ricostruire e uno Stato efficient e solido, durante il periodo 2008-2012, la Russia si preparò ad affrontare le sfide internazionali. Centrale era riacquisire autorità presso i Paesi dello spazio ex-sovietico.

Di Francesca Maria De Matteis Cos’è. La sharing economy occupa meno dell’1% dell’economia mondiale, assicura poche garanzie tanto ai microimprenditori quanto a coloro che usufruiscono dei servizi offerti e sposta il rischio d’impresa dall’azienda ai singoli consumatori. Ma, cionondimeno, il gradimento è diffuso e il 70% dei prosumer (produttori-consumatori) si dichiara soddisfatto. La nuova economia condivisa permette, infatti, da un lato, ai proprietari ex-lavoratori-dipendenti di gestire in autonomia modeste attività attraverso piattaforme di Co-working, Bike e Car sharing, Homeating ecc.; dall’altro, ai consumatori di utilizzare beni e vivere esperienze che altrimenti non potrebbero permettersi. “Il primo capitale sociale è la fiducia”. Lo afferma in un’intervista Piero Formica, professore di Economia della conoscenza dell’Università di Maynooth (Irlanda). Assistiamo[,] infatti[,] al passaggio dall’antico baratto allo scambio di beni e servizi in cambio di denaro. Dal passaparola “di quartiere” a un passaparola globalizzato. “Dalla sperimen-

Sul fronte economico si pervenne, nel 2010, alla costituzione dell’Unione Doganale Euroasiatica, un’area economica condivisa tra Russia, Kazakistan e Bielorussia, con prospettive di allargamento in Est Europa e in Asia Centrale. Nel perseguire una politica di potenza, Putin si scontrò duramente con la Nato, spintasi a ridosso dei confini nazionali russi. Cosi, a partire dalla crisi in Georgia nel 2008, si varò un piano da oltre 50 miliardi di dollari per modernizzare le infrastrutture militari e riorganizzazione l’esercito per poter affrontare rapidamente anche conflitti a bassa intensità. Riforme che diedero frutto durante il terzo mandato di Vladimir Putin.

Nell’inverno del 2013, si consumò il golpe di Euromaidan contro il presidente filorusso Yanukovich, reo di aver stralciato l’accordo di libero scambio con la Ue e di avergli preferito l’Unione Doganale Eurasiatica. Le forze armate russe, addestrate per situazioni simili, presero in mano la situazione in Crimea

e appoggiarono in maniera indiretta i separatisti filorussi nell’est. L’intervento venne eseguito rapidamente e senza esporsi ufficialmente, costringendo Kiev - manu militari - agli accordi di Minsk, che ne congelarono l’ingresso nella Nato e nell’Ue, privandola inoltre della Crimea e delle sue regioni dell’est.

All’isolamento politico ed economico occidentale che ne è seguito, la presidenza Putin ha risposto al rialzo e sempre sul doppio binario politicoeconomico e militare. Alla porta chiusa dalla Ue in campo economico sono corrisposti contratti multimiliardari decennali in campo energetico e di cooperazione economica e politica con i BRICS.

Sul fronte militare, l’inadeguatezza occidentale nel gestire le molte crisi in Medio Oriente ha permesso alla Russia di prendere l’iniziativa. Intervenendo a favore di un altro traballante alleato, la Siria di Bashar alAssad, la Russia ha incassato contemporaneamente una doppia vittoria: presentarsi come unico leader contro il terrorismo jihadista e procacciarsi nuovi sostenitori mediorientali, in primis l’Iraq, l’Egitto e la riottosa Turchia di Erdogan, oltreché lo storico alleato iraniano.

È la vigilia del 2017 e il cielo sopra il Cremlino non era cosi limpido dai tempi dell’Urss.

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ECONOMIA tazione dell’idea al fatto che l’idea possa essere imprenditorializzata, attraverso varie tipologie di capitale di rischio”. Un’economia basata sulla folla. Secondo il professore della New York University’s Stern School of Business, Arun Sundararajan, la sharing economy è in grado di migliorare gli standard di vita dei consumatori, soprattutto quelli con un reddito inferiore alla media, riducendo così le disuguaglianze. “The end of employment and the rise of crowd-based capitalism” recita il sottotitolo del suo libro The Sharing Economy. Innovazione, ricerca e centralità dei bisogni quotidiani all’insegna della condivisione, del risparmio e della collaborazione. Ci si può fidare? In Italia, i dissidi tra privati sono regolati da Codice Civile. In Europa, le norme standard dell’Unione Europea sul commercio elettronico sono sancite dalla “Direttiva 2000/31/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, dell’8 giugno 2000”. Come si diceva, però, spesso non sono previste adeguate garanzie a protezione e tutela dei clienti durante la registrazione su una piattaforma o un pagamento via web. La maggior parte dei siti (ma non tutti!) non specifica quali procedure vadano attuate in caso di problemi e, anche se generalmente si esprime su tali questioni il tribunale del Paese del consumatore, non esiste un regolamento internazionale universale.

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BLACK FRIDAY CHIAMA ITALIA Con l’accordo tra FCA e Amazon le autovetture si “aggiungono al carrello”

Di Martina Unali Shopping addicted udite, udite! Per tutti coloro che se ne fossero dimenticati, il 25 novembre 2016 ci sarà il Black Friday, ossia la giornata interamente dedicata allo shopping. Il colore attribuito intende fare riferimento non solo alla congestione del traffico cittadino che avviene in tale data, ma anche alle rilevazioni contabili dei commercianti, soliti a registrare i guadagni con una penna dall’inchiostro color nero. Infatti, è proprio in questa occasione che le grandi catene incrementano notevolmente i loro ricavi, applicando sconti stracciati. Sembra esistere una relazione bizzarra tra l’ammontare dello sconto e la follia dei consumatori: più aumentano i ribassi e più si riduce il buon senso degli acquirenti. Non è inusuale, infatti, notare svariati cittadini agguerriti, pernottare in tenda davanti agli stores e arrivare addirittura alle mani per accaparrarsi l’agognato prodotto. Questa peculiarità non interessa solamente i retail sales, ma comprende anche le svariate piattaforme di e-commerce, nelle quali sempre più imprese decidono di fare ingresso. Proprio in questi giorni, Fiat Chrysler Automobiles ha stretto una partnership con Amazon, finalizzata a vendere alcuni modelli di auto online,

precisamente Fiat 500, Fiat 500L e Fiat Panda. Secondo quanto dichiarato da Gianluca Italia, responsabile FCA per il mercato italiano, la multinazionale di origine torinese ha manifestato l’intenzione di “aprire un nuovo orizzonte per i clienti”. L’accordo prevede la digitalizzazione di alcune fasi del processo di acquisto, mentre, per quanto riguarda il ritiro dell’autovettura, le concessionarie distributive rimarranno in capo al gruppo. Ed è proprio lì che bisognerà recarsi per ritirare il proprio articolo. L’operazione sembra essere vantaggiosa per tutti. L’azienda automobilistica aumenterà la sua visibilità e, conseguentemente, si spera, il suo fatturato; Amazon, dal canto suo, espanderà la linea di prodotti offerti ed il numero di click. Al cliente verrà applicato uno sconto sul prezzo di listino e riceverà il suo ordine entro 15 giorni. L’offerta, però, avrà una durata limitata e, per ora, non si conosce la scadenza. Sembra quasi un monito in favore degli acquisti pre-natalizi. Un altro interrogativo riguarda la propensione all’acquisto online di prodotti costosi, che richiedono di essere testati con mano. Ciononostante, più di un consumatore su due sembra favorevole. Chissà se questa strategia riuscirà a dare una svolta nel rapporto con il cliente.


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