MSOI thePost Numero 49

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Il Settimanale di M.S.O.I. Torino


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MSOI Torino M.S.O.I. è un’associazione studentesca impegnata a promuovere la diffusione della cultura internazionalistica ed è diffuso a livello nazionale (Gorizia, Milano, Napoli, Roma e Torino). Nato nel 1949, il Movimento rappresenta la sezione giovanile ed universitaria della Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale (S.I.O.I.), persegue fini di formazione, ricerca e informazione nell’ambito dell’organizzazione e del diritto internazionale. M.S.O.I. è membro del World Forum of United Nations Associations Youth (WFUNA Youth), l’organo che rappresenta e coordina i movimenti giovanili delle Nazioni Unite. Ogni anno M.S.O.I. Torino organizza conferenze, tavole rotonde, workshop, seminari e viaggi studio volti a stimolare la discussione e lo scambio di idee nell’ambito della politica internazionale e del diritto. M.S.O.I. Torino costituisce perciò non solo un’opportunità unica per entrare in contatto con un ampio network di esperti, docenti e studenti, ma anche una straordinaria esperienza per condividere interessi e passioni e vivere l’università in maniera più attiva. Elisabetta Botta, Segretario M.S.O.I. Torino

MSOI thePost MSOI thePost, il settimanale online di politica internazionale di M.S.O.I. Torino, si propone come un modulo d’informazione ideato, gestito ed al servizio degli studenti e offrire a chi è appassionato di affari internazionali e scrittura la possibilità di vedere pubblicati i propri articoli. La rivista nasce dalla volontà di creare una redazione appassionata dalla sfida dell’informazione, attenta ai principali temi dell’attualità. Aspiriamo ad avere come lettori coloro che credono che tutti i fatti debbano essere riportati senza filtri, eufemismi o sensazionalismi. La natura super partes del Movimento risulta riconoscibile nel mezzo di informazione che ne è l’espressione: MSOI thePost non è, infatti, un giornale affiliato ad una parte politica, espressione di una lobby o di un gruppo ristretto. Percorrere il solco tracciato da chi persegue un certo costume giornalistico di serietà e rigore, innovandolo con lo stile fresco di redattori giovani ed entusiasti, è la nostra ambizione. Jacopo Folco, Direttore MSOI thePost 2 • MSOI the Post

N u m e r o

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Redazione Direttore Jacopo Folco Vicedirettore Davide Tedesco Caporedattore Alessia Pesce Capi Servizio Rebecca Barresi, Giusto Amedeo Boccheni, Luca Bolzanin, Sarah Sabina Montaldo, Silvia Perino Vaiga Amministrazione e Logistica Emanuele Chieppa Redattori Benedetta Albano, Federica Allasia, Erica Ambroggio, Daniele Baldo, Lorenzo Bardia, Giulia Bazzano, Lorenzo Bazzano, Giusto Amedeo Boccheni, Giulia Botta, Maria Francesca Bottura, Stefano Bozzalla, Emiliano Caliendo, Federico Camurati, Matteo Candelari, Emanuele Chieppa, Sara Corona, Lucky Dalena, Alessandro Dalpasso, Sofia Ercolessi, Alessandro Fornaroli, Giulia Ficuciello, Lorenzo Gilardetti, Andrea Incao, Gennaro Intocia, Michelangelo Inverso, Simone Massarenti, Andrea Mitti Ruà, Efrem Moiso, Daniele Pennavaria, Ivana Pesic, Emanuel Pietrobon, Edoardo Pignocco, Sara Ponza, Jessica Prieto, Fabrizio Primon, Giacomo Robasto, Clarissa Rossetti, Carolina Quaranta, Francesco Raimondi, Jean-Marie Reure, Clarissa Rossetti, Michele Rosso, Fabio Saksida, Leonardo Scanavino, Martina Scarnato, Samantha Scarpa, Francesca Schellino, Giulia Tempo, Martina Terraglia, Elisa Todesco, Francesco Tosco, Tiziano Traversa, Fabio Tumminello, Martina Unali, Alexander Virgili, Chiara Zaghi. Editing Lorenzo Aprà Copertine Mirko Banchio Vuoi entrare a far parte della redazione? Scrivi una mail a thepost@msoitorino.org!


EUROPA 7 Giorni in 300 Parole FRANCIA 15 dicembre. Il governo francese annuncia l’intenzione di prolungare lo stato di emergenza fino alle prossime elezioni presidenziali, che si terranno ad aprile del prossimo anno. Il Primo Ministro francese Bernard Cazeneuve ha definito l’estensione “assolutamente necessaria”, affermando che dall’inizio del 2016 sono stati sventati ben 17 attentati terroristici in Francia, il più recente programmato per lo scorso 1 dicembre. La questione sarà messa al voto la settimana prossima; se il Parlamento dovesse approvarla si tratterebbe della quinta estensione dello stato di emergenza dagli attacchi di novembre 2015.

GRECIA 13 dicembre. Continuano gli ostacoli per la stabilizzazione dell’economia greca dopo che rappresentanti del Fondo Monetario Internazionale hanno definito il piano dell’Unione Europea “non credibile”. Il FMI sostiene che la strategia proposta dall’UE sia troppo debole e non riuscirà a favorire la crescita del Paese, affermazioni che sono state respinse sia da Bruxelles che dallo stesso governo greco, che ha definito ulteriori proposte di austerità come “prive di senso”.

LA ROMANIA AL TOTO PREMIER Dopo le elezioni, il nome del nuovo premier resta ancora un interrogativo

Di Giulia Capriotti Dopo un anno di governo tecnico, domenica 11 dicembre i cittadini romeni sono stati chiamati al voto per eleggere i parlamentari della nuova legislatura. Nonostante la bassa affluenza alle urne, che si attesta attorno al 39%, è stato il Partito Social Democratico ad avere la meglio, con il 46,09% dei voti per la Camera Alta e il 45,95% per la Camera Bassa. Al secondo posto si è piazzato il PNL, che ha ottenuto invece, nelle stesse camere, rispettivamente il 20,26% e il 19,88%. Ad elezioni concluse però, resta l’interrogativo sul nome del Premier rumeno. Infatti, secondo la costituzione romena, il capo di Stato, dopo le dovute consultazioni, può dare l’incarico a qualunque candidato, anche se non appoggiato dalla maggioranza o da una coalizione. Inoltre, il presidente Klaus Iohannis, ha dichiarato di voler applicare la legge approvata nel 2001 - ma mai realmente applicata - secondo la quale l’incarico non può essere dato a un candidato con precedenti penali.

Questa decisione ha acceso, due giorni dopo le elezioni, una discussione tra il presidente Iohannis e il leader socialdemocratico Liviu Dragnea, che in passato ha ricevuto una condanna a due anni per un caso di dolo. Quest’ultimo ha dichiarato che non è disposto a “regalare” a un altro candidato i voti ricevuti dagli elettori. Voti che vanno rispettati, “altrimenti si rischia un conflitto inutile che minaccia la stabilità del Paese”. Nonostante Iohannis abbia annunciato l’avvio delle consultazioni con quei partiti eletti nella nuova assemblea legislativa, le procedure e la formalizzazione per l’incarico al futuro Premier rimangono ancora in una situazione nebbiosa. Mentre il PSD ragiona su una possibile alleanza con il Partito Liberal Alde, tra i papabili nomi spuntano quello del vicepremier Vasile Dancu o quello dell’ambasciatore romeno negli USA George Maior. Resta poi ancora possibile l’idea di una Romania guidata dal Premier tecnico uscente Dacian Cioloș, che sarebbe appoggiato sia dal suo partito, il PNL, sia dal movimento USR di Nicosur Dan.

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EUROPA RIVE GAUCHE

La sinistra francese tra governisti e frondeurs.

PAESI BASSI 9 dicembre. È stato arrestato a Rotterdam un uomo di trent’anni, sospettato di stare organizzando un attentato nella città olandese. Nel suo appartamento sono stati trovate diverse scatole di esplosivi, un fucile AK-47 e una bandiera del sedicente Stato Islamico. Dopo gli attacchi in Francia, Belgio e Germania il livello di allerta terrorismo nei Paesi Bassi rimane uno dei più alti in Europa, con il rischio maggiore rappresentato dal ritorno di foreign fighters olandesi addestrati in Medio Oriente. POLONIA 14 dicembre. Il governo polacco, già al centro di polemiche per il disegno di legge contro l’aborto dello scorso settembre, ha approvato una legge che pone restrizioni sul diritto di assemblea, teoricamente nell’interesse della sicurezza. La nuova legge introduce il concetto di “assemblee periodiche”, incontri e manifestazioni programmati con debite autorizzazioni, e proibisce la presenza di proteste e manifestazioni spontanee nelle vicinanze, stabilendo una distanza minima di almeno 100 metri fra assemblee periodiche e incontri non autorizzati per evitare scontri. L’opposizione polacca ha aspramente condannato la nuova legge, definendola antidemocratica e un tentativo di prevenire proteste contro le azioni del governo. A cura di Elena Amici 4 • MSOI the Post

Di Daniele Reano La netta vittoria di François Fillon nelle primarie del centrodestra rimescola ancora una volta le carte della politica francese. Mentre Marine Le Pen ha presentato il simbolo ufficiale della sua candidatura all’Eliseo, una rosa blu in campo bianco, lontanissima dalla tradizionale fiamma tricolore che rappresenta da decenni il suo Front National, non si sono fatte mancare novità anche nel campo del centrosinistra. Il presidente dalla Repubblica Francois Hollande, candidato naturale dello schieramento che lo aveva in precedenza sostenuto, ha annunciato di non avere intenzione di ricandidarsi. Egli ha così anticipato de facto ciò che si è concretizzato qualche giorno dopo con le dimissioni da Primo Ministro di Manuel Valls e l’ufficializzazione della sua candidatura alle primarie del Partito Socialista. Dichiarata la volontà di “dare tutto per la Francia, che mi ha dato tanto”, il 54enne Valls avrà il difficile compito di difendere il suo operato di questi anni e, allo stesso tempo, di smarcarsi dagli aspetti più controversi del suo governo, dalla polemica sul burkini fino alla legge sul lavoro. Il suo sfidante principale pare

essere Arnaud Montebourg, ex ministro dell’Economia sostituito dopo la crisi di governo del 2014 e appartenente ai frondeurs, un gruppo di deputati socialisti che si oppone alle proposte economiche e sociali portate avanti da Valls. Autore di numerose pubblicazioni, è il simbolo di una gauche che non si risparmia critiche nei confronti dell’Unione Europea e che preme per politiche più keynesiane e, per certi versi, colbertiste. Sebbene ci siano più di 6 candidati, dato che lascia emergere il livello di frammentazione e di confusione nel campo socialista, l’unico a far aumentare i consensi pare essere l’ex ministro dell’Istruzione Benoit Hamon, anch’egli esponente della sinistra del PS. Un’intervista sul canale nazionale France2 ha fatto aumentare la visibilità del suo programma e la sua notorietà. Indipendentemente da chi sarà il vincitore delle primarie, previste per il 22 gennaio, i sondaggi sono impietosi. Nessuno sarebbe in grado di raccogliere più del 15% dei consensi alle elezioni presidenziali e il centrosinistra sarebbe superato non solo da Le Pen (26%) e da Fillon (29%), ma anche da Emmanuel Macron, indipendente candidato con En Marché!, e dalla sinistra radicale di Jean-Luc Mélenchon, finendo così al 5° posto.


NORD AMERICA 7 Giorni in 300 Parole

IL CANADA VERSO LE ELEZIONI DEL 2019 La vittoria di Donald Trump getta le basi per il futuro del partito conservatore canadese.

Di Erica Ambroggio

STATI UNITI 8 dicembre. Joe Biden ha ricevuto il premio della Robert F. Kennedy Human Rights Foundation per la sua vita dedicata al servizio della cosa pubblica. Durante il discorso di ringraziamento ha richiamato gli americani ad essere uniti come lo sono sempre stati nei momenti difficili. 11 dicembre. Prosegue la lotta tra Donald Trump e Pechino. Il tycoon, dopo aver messo in discussione il principio di “una sola Cina” ha provocato dure reazioni della controparte. Il Global Times, voce del fronte comunista cinese, ha dedicato un editoriale al neoeletto Trump, minacciando di sostenere i nemici di Washington. 12 dicembre. Rex Tillerson sarà il nuovo Segretario di Stato. La nomina, contesa con il favorito Mitt Romney, è giunta provocando polemiche e stupore. Tillerson, 64 anni e CEO del colosso petrolifero Exxon Mobil, è conosciuto per i solidi legami con Vladimir Putin. 13 dicembre. Si attende un ribasso dello 0,4% della produzione industriale statunitense per il mese di novembre. Gli analisti avevano previsto un abbassamento di solo 0,1-0,2 punti percentuali. 14 dicembre. L’ambasciatrice statunitense alle Nazioni Unite, Samantha Power, ha rivolto un

Lunedì 12 dicembre, Kevin O’Leary, imprenditore canadese, ha tenuto un comizio presso il Fairmont Chateau Laurier di Ottawa, con sguardo rivolto alle prossime elezioni federali del 2019. La sua candidatura, non ancora ufficializzata, sarebbe, secondo quanto dichiarato dallo stesso O’Leary, fonte di vittoriosa espansione del partito canadese alle prossime elezioni. Non è il primo candidato. Il suo contributo andrebbe ad aggiungersi a quello già proposto da altri 14 volti conservatori e desiderosi di essere gli eredi di Stephen Harper nella leadership del partito. I possibili candidati dovranno presentare formalmente la propria candidatura entro il 24 febbraio 2017, per poi giungere, a fine maggio, all’elezione definitiva della guida. In attesa della scadenza, si accende il dibattito interno e con immancabile riferimento al neoeletto presidente Trump, sbocciano proposte per una politica più vicina al nuovo volto statunitense. Dalla vittoria del tycoon, infatti, il divario tra le sue e quelle del primo ministro liberale Trudeau è stato il principale bersaglio delle critiche mosse da coloro che puntano alla guida del Conservative Party. Tra

i

settori

maggiormente

considerati dai conservatori vi è quello della produzione energetica. Il Primo Ministro canadese, impegnato nell’emanazione di “norme verdi”, punta a concretizzare l’impegno preso con la ratifica dell’Accordo sul clima di Parigi diminuendo del 30% la produzione energetica derivante dall’uso di centrali a carbone entro il 2030. Tutto ciò, sostenuto dalla recente manovra introdotta venerdì 9 dicembre, la quale, prevedendo l’applicazione di un prezzo nazionale sul carbonio (50 CAD per tonnellata entro il 2022), ha determinato immediate reazioni dal fronte dell’opposizione, preoccupata per un possibile allontanamento dalle probabili politiche di Donald Trump. Tuttavia, alcune posizioni assunte da esponenti del partito conservatore non hanno riscontrato l’appoggio unanime degli altri colleghi. Kellie Leitch, candidata alla leadership, avrebbe proposto l’introduzione di un “test” sugli immigrati: uno “screening ideologico”, per comprendere quanti di loro sarebbero disposti ad abbracciare i valori canadesi. La proposta, dalle evidenti analogie con la politica di Trump, è stata immediatamente bollata dagli altri candidati come una manifestazione lontana dalla reale immagine del partito, non incline, quindi, ad abbracciare le ideologie più estremiste dei vicini americani.

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NORD AMERICA duro discorso ai leader di Siria, Russia e Iran. Durante una seduta del Consiglio di Sicurezza ha sostenuto che i governi dei tre Paesi “non hanno alcun tipo di vergogna” nel fare i loro giochi di potere e lasciando intrappolati i civili ad Aleppo. 15 dicembre. Barack Obama si è rifiutato di firmare la proroga di 10 anni alle sanzioni contro l’Iran. La manovra diverrà legge nonostante il dissenso del Presidente.

CANADA 9 dicembre. Il governo del primo ministro Trudeau ha introdotto una misura drastica ma estremamente utile nell’ottica dell’Accordo sul Clima di Parigi: a partire dal 2018 il governo federale tasserà con un’imposta di 10 dollari canadesi per tonnellata chiunque produrrà emissioni di gas serra. La riforma prevede che questa imposta aumenti in modo scalare, arrivando a toccare i 50 dollari canadesi per tonnellata nel 2022. 12 dicembre. Si apre il confronto tra Canada e Unione Europea rivolto all’istituzione di un Tribunale multilaterale avente competenza sulle controversie in materia di investimenti. La sua creazione era stata prevista all’interno del Comprehensive Economic and Trade Agreement. A cura di Erica Ambroggio e Alessandro Dalpasso

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TILLERSON, UN PETROLIERE A FOGGY BOTTOM Chi è il probabile prossimo Segretario di Stato?

Di Alessandro Dalpasso Martedì 13 dicembre il presidente eletto Donald Trump ha svelato il nome di chi sarà, probabilmente, il futuro Segretario di Stato statunitense, uno degli ultimi ruoli di primo piano per cui non aveva ancora trovato una figura ritenuta adeguata. In caso di approvazione del Senato, l’incarico sarà infatti ricoperto dall’attuale amministratore delegato della Exxon Mobil, il repubblicano Rex Tillerson, che ha battuto la concorrenza di mostri sacri dell’establishment GOP con maggiore esperienza politica, come Rudy Giuliani, Mitt Romney e il generale Petraeus. Texano di nascita, Tillerson ha conseguito ad Austin la laurea in ingegneria civile. Si unisce alla Exxon nel 1975 e ne diventa CEO nel 2006. La scelta di Trump creerà verosimilmente dei malumori in entrambi gli schieramenti politici. Il tutto nasce da un accordo multimiliardario negoziato nel 2011 da Tillerson tra la Exxon, da lui guidata, e la compagnia petrolifera russa a controllo statale Rosnef per delle trivellazioni nell’Artico. Alla cerimonia conclusiva prese parte anche il presidente Vladimir Putin, che, a seguito della firma, decorò Tillerson con l’onorificenza “Ordine di Amicizia”, uno dei riconoscimenti maggiori per gli stranieri che hanno aiutato il Paese.

Quando poi la comunità internazionale, Stati Uniti in primis, decise di sanzionare pesantemente la Russia a seguito della Guerra di Crimea, Tillerson fu una delle voci di primo piano nel chiedere la sospensione e la fine delle sanzioni medesime, poiché, secondo alcune stime, esse non facevano che danneggiare la sua compagnia nella misura di 1 miliardo l’anno. La sua nomina si inserisce in un contesto di rapporti sempre più o difficili con il Cremlin : ai dissapori storici (e tipici) che si sono avuti sotto la presidenza Obama si sono aggiunti di recente i sospetti che i servizi segreti russi possano aver in qualche modo influito sulle elezioni americane e condotto Trump alla vittoria. I critici sostengono, infatti, che la nomina del petroliere texano per un ruolo così di primo piano sia inopportuna, dati i suoi trascorsi personali. Al contrario, il Presidente eletto afferma che “la sua tenacità, ampia esperienza e profonda comprensione della geopolitica ne fanno un’eccellente scelta”, aggiungendo inoltre che Tillerson “promuoverà la stabilità regionale”. Se il tycoon newyorkese dovesse essere supportato dai fatti, questa sarebbe la sua prima vera vittoria, poiché riuscirebbe a riportare dopo diversi anni un’autentica cooperazione tra Washington e Mosca.


MEDIO ORIENTE 7 Giorni in 300 Parole EGITTO 9 dicembre. A seguito di un’esplosione presso un posto di blocco a Giza, hanno perso la vita 6 poliziotti egiziani, tra cui anche un ufficiale. Il gruppo Hasm vicino ai Fratelli Musulmani ha rivendicato l’attentato. 11 dicembre. Sono 25 le vittime accertate e più di 30 i feriti, tutti civili, a seguito dell’esplosione di un ordigno avvenuta durante una celebrazione religiosa nella cappella di San Pietro, adiacente alla cattedrale copta di San Marco al Cairo. Sono stati proclamati 3 giorni di lutto. Non ci sono al momento rivendicazioni, ma secondo Al Sisi si tratterebbe di un giovane kamikaze.

LIBANO 9 dicembre. La Commissione di Giustizia di Beirut ha deciso che verrà abolito l’articolo 522 del codice penale, che lascia impuniti gli stupratori che come risarcimento si assumono l’impegno di sposare le ragazze loro vittime. SIRIA 10 dicembre. Daesh ha ripreso il controllo di Palmira dopo i bombardamenti russi che avevano allontanato le milizie. L’esercito siriano è tornato nei dintorni della città per riorganizzare le forze congiuntamente a nuovi raid russi. 12 dicembre. Le forze governative con aiuti di milizie sciite provenienti da Libano, Iran

GRUPPO STATO ISLAMICO RICONQUISTA PALMIRA

Dopo quasi nove mesi dalla sua liberazione, l’antica città di Palmira e i suoi siti archeologici tornano nelle mani del Gruppo Stato Islamico.

Di Maria Francesca Bottura È durato 3 giorni l’attacco lampo dei jihadisti che domenica 11 dicembre erano riusciti a prendere possesso della città di Palmira e, attraverso questa, di numerose postazioni dell’esercito siriano e di un pozzo petrolifero poco fuori città. Il numero delle vittime tra i soldati di Damasco non è ben definito: si stimano dalle 50 alle 200 vittime, a seconda delle fonti che riportano la notizia. Mosca ha invece riferito, dopo i 64 raid sulla città, di aver ucciso circa 300 jihadisti e di aver distrutto buona parte del loro arsenale bellico. Nonostante la dura risposta dell’esercito russo, lo Stato Islamico è tornato subito all’attacco, prendendo gran parte della città e lasciando all’esercito siriano il controllo di poche zone, tra cui quella aeroportuale. L’offensiva, iniziata venerdì 9 dicembre, avrebbe lasciato disarmate le milizie governative, le quali al momento sono concentrate sugli scontri ad Aleppo e che quindi non erano pronte a sostenere la difesa della città. Secondo il Collettivo di Coordinamento di Palmira (che si compone di un gruppo di attivisti anti-governativi), le mili-

zie jihadiste sarebbero entrate nella città attraverso il quartiere di Al-Amiriya, mentre l’Osservatorio Siriano per i Diritti Umani (Syrian Observatory for Human Rights - SOHR) riferisce che esse si sarebbero spinte fino all’ospedale Tadmor e ai silos per la raccolta del grano. L’agenzia di stampa Sana ha poi confermato che le forze governative sono riuscite a sventare gli attacchi a questi ultimi. Dopo 9 mesi dalla liberazione di Palmira, questa città torna a essere teatro di orrori. Da maggio a marzo 2015 molti soldati siriani sono stati uccisi, vari siti archeologici di importanza mondiale sono stati usati come arene per dare spettacolo e diversi monumenti sono stati distrutti senza alcun riguardo per la storia e la cultura. Inoltre, Palmira è stata teatro dell’omicidio di Khaled al-Asaad, il curatore del sito archeologico della città, che ad agosto 2015 venne catturato e poi ucciso barbaramente per non aver rivelato la posizione di alcune opere d’arte. La situazione siriana è tesa. Per ora le forze militari di Damasco e russe continuano a concentrarsi sugli scontri ad Aleppo, mentre gli Stati Uniti hanno dichiarato di aver inviato 200 soldati verso Raqqa per la sua liberazione.

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MEDIO ORIENTE e Iraq sono riuscite ad avanzare presso Sheikh Saeed, dando una decisiva svolta all’operazione di riconquista di Aleppo iniziata il 26 novembre scorso. Damasco fa sapere che avrebbe ripreso il controllo del 98% della parte orientale della città. 15 dicembre. Aleppo est: si cerca l’accordo per una nuova tregua dopo il fallimento di quella del 13 dicembre, interrotta in poche ore. Intanto la Commissione ONU per i Diritti Umani ha dichiarato che le forze filo-governative avrebbero commesso violenze arbitrarie, esecuzioni sommarie e arruolamenti forzati entrando in città. Erdogan: “rispettare i termini della tregua”. TURCHIA 10 dicembre. 44 le vittime dell’attentato fuori dallo stadio del Besiktas a Istambul. L’attacco avvenuto con una doppia esplosione è stato rivendicato dal gruppo Tak, i falconi per la libertà del Kurdistan. Sono invece più di 150 i feriti. 12 dicembre. È salito a 235 il numero degli arresti in seguito agli attentati del 10 dicembre. 13 gli accusati per responsabilità materiali, gli altri per propaganda terroristica. Tra questi più di 100 sarebbero membri del partito filo-curdo HDP. 12 dicembre. L’AKP ha proposto al Parlamento un disegno di legge per estendere anche i poteri esecutivi al presidente a discapito della carica del primo ministro che verrebbe abolita. Questa riforma costituzionale che conduce nella direzione di una Repubblica Presidenziale prevede la discussione di 21 articoli. A cura di Lorenzo Gilardetti 8 • MSOI the Post

DO UT DES – LE PROMESSE MANCATE DI AL-SISI I cristiani d’Egitto ancora nel mirino

Di Clarissa Rossetti Crescono le tensioni in Egitto dopo il violento attentato della scorsa domenica alla chiesa di San Pietro, al Cairo. Le vittime, almeno 25, sono state colpite da una bomba che, secondo agenzie di stampa locali, sarebbe stata posizionata all’interno della chiesa. Il presidente Abdel Fattah al-Sisi ha dichiarato l’esplosione un attacco di matrice terroristica, senza però collegare l’attentato a nessun gruppo. Nel frattempo sarebbe stato identificato il colpevole, il 22enne Mahmoud Shafiq Muhammed Mustafa, e sarebbero state arrestate 4 persone ritenute collegate all’attacco. L’attentato alla comunità copta non rappresenta un evento isolato. Negli ultimi anni si è assistito a un incremento degli episodi di violenza contro la minoranza copta, che ha maggiormente subito le ripercussioni del colpo di Stato del 2013. Nonostante i diritti de jure al pari dei musulmani, garantiti dalla libertà religiosa difesa dalla Costituzione del 2014, i copti sono ancora vittime di discriminazione sociale e legale e la rappresentanza cristiana risulta ancora limitata in alcuni settori. L’attentato ha innescato le proteste dei cristiani egiziani, che accusano il governo di aver fallito nel proteggerli. Tra i capi-

saldi della campagna elettorale del presidente al-Sisi, infatti, c’erano la promessa di maggiore sicurezza, in particolare per la minoranza copta, e l’impegno per la ricostruzione di proprietà cristiane danneggiate dagli attacchi. Si vocifera la responsabilità di gruppi h affiliati a Daes . Secondo C. Kersten, docente di Studi Islamici e del Mondo Arabo al King’s College di Londra, il target dell’attacco non sarebbero i copti, quanto piuttosto il regime stesso. Gli estremisti jihadisti tenterebbero di indebolire al-Sisi, evidenziando la sua incapacità di garantire stabilità e sicurezza al Paese per creare dissensi e deteriorare la base sociale del governo. Chi evidenzia un legame speciale tra la comunità copta e al-Sisi potrebbe, infatti, assistere adesso a una brusca virata. Il patriarca Tawadros II ha pubblicamente e a più riprese espresso il suo sostegno al Presidente in carica; inoltre, secondo M. El Masry, docente di Studi Mediatici e Culturali all’Institute for Graduate Studies di Doha, la chiesa copta avrebbe tacitamente approvato i metodi autoritari dell’attuale governo, avvalorando con il proprio silenzio le atrocità commesse dall’amministrazione al-Sisi. Tuttavia, il regime sembra adesso non essere in grado di prestare fede alle promesse fatte e restituire il favore.


RUSSIA E BALCANI 7 Giorni in 300 Parole BOSNIA 13 dicembre. Sarajevo ospita l’annuale summit dei capi di governo dei 18 Stati membri facenti parte dell’Iniziativa Centro Europa (INCE). Tema principale della riunione il processo di integrazione europea, in considerazione dell’ondata migratoria dell’ultimo anno. Il vertice ha altresì sancito il passaggio della Presidenza di turno dell’INCE dalla Bosnia alla Bielorussia. KAZAKISTAN 10 dicembre. Liberato Ablyazov, banchiere kazako dissidente detenuto in Francia con l’accusa di appropriazione indebita di grandi somme di denaro. La sua vicenda giudiziaria inizia nel 2013 quando sua moglie Shalabayeva e sua figlia vengono espulse dall’Italia con un’azione che lo stesso governo italiano definì illegittima. Il legale di Ablyazov ha commentato il rilascio come “un grande passo nella difesa dei diritti civili in Francia e in Europa”. KIRGHIZISTAN 11 dicembre. La riforma costituzionale che prevede più ampi poteri al Premier viene approvata con il referendum. Bocciati, al contempo, i matrimoni gay. Secondo l’opposizione, l’attuale presidente, Atambaiev, sta puntando al premierato giacché non potrà più candidarsi alle presidenziali del 2017. MACEDONIA 12 dicembre. L’esito delle elezioni in Macedonia rischia di paralizzare ulteriormente il Paese. Il partito conservatore è avantidiunsoffio rispetto al Partito socialdemocratico, rendendo

LA MACEDONIA SCEGLIE ANCORA LA DESTRA

Vince il partito di Gruevski, ma con un margine molto stretto. I possibili scenari si complicano

Di Giulia Bazzano Dopo due rinvii nel corso del 2016, le elezioni politiche in Macedonia si sono svolte. Le aspettative che circondavano questa tornata elettorale erano particolarmente alte, vista la situazione di stallo dalla quale la repubblica balcanica non sembrava poter uscire. Iniziata nell’estate del 2015, la crisi ha creato tensione nel panorama politico, rivelando un pericoloso sistema clientelare. Il cammino verso la piena integrazione europea sembra essere rallentato, per la gioia della parte della popolazione più scettica nei confronti dell’UE e delle sue istituzioni. La vittoria del partito conservatore di Nikola Gruevski era stata annunciata dai sondaggi, ma il margine di vantaggio si è rivelato più stretto del previsto. Un risultato che potrebbe complicare ulteriormente le cose, portando così all’impossibilità di creare un governo. Il centrodestra è riuscito a mantenere la fiducia i suoi sostenitori, nonostante sia la stessa fazione coinvolta dallo scandalo delle intercettazioni nel 2015. Il partito di Gruevski aveva messo sotto controllo le conversazioni di circa 20.000 cittadini per 4 anni e a denunciare il tutto era stato proprio il partito rivale di queste elezioni, i socialde-

mocratici di Zoev. Tutto questo però non è bastato ad aumentare i consensi della sinistra, che continua a perdere terreno, analogamente a quanto accade nel resto d’Europa. I 10 anni di governo dei conservatori hanno rafforzato un’élite autoritaria e a tratti repressiva, accrescendo il malcontento di gran parte della popolazione (specialmente tra i più giovani), scesa più volte nelle piazze. Le crescenti proteste hanno portato alla promessa di elezioni anticipate, ma la destra è stata confermata con il 38,06% dei voti. La vittoria è stata accompagnata da parole di soddisfazione dallo stesso Gruevski durante la serata del 12 dicembre, quando lo spoglio dei seggi non era ancora stato completato. La campagna elettorale, senza esclusione di colpi, ha avuto come tema dominante la divisione etnica che caratterizza il Paese. L’ala sinistra ha puntato sull’inclusione della minoranza albanese in Parlamento, mentre il partito conservatore ha sottolineato i pericoli del crescente rilievo di questa minoranza. Le due fazioni dovranno cercare di costituire un governo forte che sappia guidare il Paese dal caos alla calma. L’alta affluenza dimostra come i cittadini macedoni siano consapevoli che il cambiamento è possibile.

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RUSSIA E BALCANI difficile la formazione di un esecutivo. Chi otterrà l’incarico dovrà dunque ricercare alleati tra la minoranza. RUSSIA 13 dicembre. Navalni annuncia ufficialmente la sua candidatura alle elezioni presidenziali del 2018. Il leader dell’opposizione russa rende note le sue intenzioni attraverso un video- messaggio su Youtube e sul suo nuovo sito internet.

14 dicembre. Alla vigilia del vertice UE di Bruxelles non c’è ancora chiarezza sulla sorte delle sanzioni alla Russia. Il 12 dicembre scorso, infatti, Federica Mogherini, ha annunciato che nessuno Stato aveva discusso circa le sanzioni alla Russia. Ma negli ambienti del governo tedesco si ipotizza il prolungamento semestrale. TRANSNISTRIA 12 dicembre. Shevchuk, ormai ex presidente della non riconosciuta repubblica moldava della Transnistria, ha perso le elezioni presidenziali. Il suo oppositore filo- russo, Krasnoeselsky, riceve oltre il 62 % dei voti. UCRAINA 9 dicembre. Incontro trilaterale tra Russia, Ucraina e UE sulle forniture e il transito di gas. Mosca e Kiev si sono mostrate d’accordo circa la possibilità loro offerta di proseguire le consultazioni circa la fornitura del gas all’Ucraina, sempre attraverso la mediazione dell’UE. A cura di Ilaria Di Donato 10 • MSOI the Post

IL NUOVO GASDOTTO AUTORITARIO

Gli interessi russi dietro la costruzione del Turkish Stream

Di Vladimiro Labate Il 10 ottobre scorso, a Istanbul, il presidente russo Putin e l’omologo turco Erdogan hanno siglato l’accordo per la costruzione del gasdotto Turkish Stream. L’opera è stata progettata nel 2014, ma la sua realizzazione venne bloccata dalla crisi diplomatica scaturita in seguito all’abbattimento del Sukhoi russo nei cieli siriani nel novembre del 2015. L’impianto rifornirà di gas l’Europa e la Turchia attraverso la costruzione di due linee sottomarine nel Mar Nero, che verranno completate entro il dicembre 2019. Il gasdotto risponde a chiari interessi economici e politici di Mosca. L’intento primario è quello di evitare il passaggio per l’Ucraina del gas russo: ad oggi circa il 60% del gas esportato in Europa passa per l’ex-Paese sovietico, che complessivamente trae profitti annuali per 2 miliardi di dollari in tasse di transito. Inoltre, l’Ucraina può ulteriormente far fruttare la propria posizione provando a influenzare con le tasse il prezzo del gas. L’accordo, oltre a queste criticità, tiene anche conto della possibilità dell’interruzione dei flussi di gas che potrebbe seguire alla scadenza dei contratti di transito in Ucraina

tra l’azienda energetica russa Gazprom e Kiev, che scadranno proprio nel 2019. Per questi motivi, il Turkish Stream vuole tutelare sia gli interessi della Russia, sia quelli della Turchia, in quanto il 55% del suo gas importato è russo. Il Turkish Stream, in secondo luogo, fa parte di un accordo di distensione più ampio con Ankara, giunto dopo lunghi mesi di crisi diplomatica, terminati con le scuse di Erdogan per la morte del pilota russo e la sua successiva riabilitazione agli occhi di Putin. Ciò segna una sorta di nuovo asse autoritario nella regione, dove vengono giocate importanti partite strategiche, come la guerra civile siriana. Infine, il gasdotto rivela una costante proiezione russa verso l’Europa sud-orientale e i Balcani: se, infatti, una linea rifornirà direttamente la Turchia, l’altra, almeno nelle intenzioni russe, dovrà portare il gas ai Paesi balcanici con l’obiettivo, a lungo termine, di raggiungere Stati come Italia o Austria. Tale sviluppo è però nelle mani della Commissione Europea: esso, infatti, aumenterebbe la dipendenza dal gas russo della regione e, per questo, Bruxelles potrebbe decidere di impedirlo, per evitare rischi alla sicurezza energetica dei Paesi membri della UE e di quelli candidati.


ORIENTE 7 Giorni in 300 Parole COREA DEL NORD 14 dicembre. Anche la Cina si è mostrata disposta a collaborare con Giappone e Corea del Sud per imporre le sanzioni recentemente imposte dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU sulla Corea del Nord, a seguito degli esperimenti nucleari non autorizzati che la stessa aveva eseguito in settembre. Kim Jong-un rifiuta, invece, la Risoluzione, etichettandola come una cospirazione ordita dagli Stati Uniti per contrastare la sua sovranità. COREA DEL SUD 9 dicembre. Il Parlamento ha votato con larga maggioranza a favore della mozione di impeachment contro la presidente Park Geun-hye. La stessa si è poi scusata per la sua incuranza nello scandalo che l’ha coinvolta, dicendo di rispettare la decisione del Parlamento e augurandosi che la crisi politica venga presto risolta.

12 dicembre. Cina, Giappone, Russia e alcune fazioni della stessa Corea si oppongono allo schieramento di una base missilistica statunitense in territorio nazionale: nonostante il Ministro della Difesa voglia ultimare l’installazione del THAAD entro maggio, l’opposizione vuole aspettare che venga eletto un nuovo Presidente. 15 dicembre. Il leader del partito all’opposizione, Moon Jae-in, ha

BILL ENGLISH, NUOVO PREMIER NEOZELANDESE Le dimissioni di John Key e l’insediamentodel nuovo Primo Ministro

Di Luca De Santis In seguito alle sue inattese dimissioni di lunedì 12 dicembre, John Key aveva reso noto il desiderio che il suo vice Bill English gli succedesse alla carica di Primo Ministro della Nuova Zelanda. Così è stato: English è il 39° Premier neozelandese. L’endorsement di John Key lo aveva di fatto reso il candidato favorito e gli avversari sconfitti, il ministro della Polizia Judith Collins e il ministro della Salute Jonathan Coleman, gli hanno garantito ora il loro completo sostegno. English ha prestato giuramento nel Palazzo del governo, a Wellington, lunedì stesso. Il presidente del partito, Peter Goodfellow, ha dichiarato che “Bill e Paula Bennett [la vice-premier, nda] sono leader di spicco, che forniranno una buona combinazione di esperienza e nuove idee. Sotto la loro guida, i neozelandesi continueranno a beneficiare del governo stabile di cui hanno goduto in passato”. Una particolare attenzione sarà rivolta alla ricerca di soluzioni per le problematiche di famiglie e imprese. Bill English, 54 anni, è stato ministro delle Finanze e fautore di una politica di azzeramento del deficit di bilancio neozelan-

dese. Alcune voci critiche sorte in seno all’opposizione parlamentare, tuttavia, sottolineano la mancanza di carisma del neoeletto Premier e ricordano l’esito fortemente negativo delle elezioni che 14 anni fa lo avevano visto protagonista. English, infatti, è in Parlamento dal 1990 ed era a capo del Partito Nazionale nel 2002, all’epoca della sua peggiore sconfitta elettorale. Il Primo Ministro, con un passato da imprenditore agricolo, ha però dichiarato che la débâcle del 2002 ha contribuito non poco ad accrescere la sua esperienza come leader del partito. In politica da ormai 26 anni, ha una laurea in Economia e Commercio e una in Letteratura, ha saputo avviare una proficua privatizzazione di alcune compagnie energetiche neozelandesi e ha dimostrato ampia esperienza in ambito fiscale. Nel ruolo di ministro delle Finanze ha contribuito concretamente a riportare la Nuova Zelanda al surplus di bilancio, accrescendo il gettito fiscale. A tale manovra si è inoltre accompagnata una crescita annua del PIL superiore al 3%, mentre il tasso di disoccupazione è sceso al di sotto del 5%. Appena eletto, il Premier si è espresso a favore di tagli fiscali e della diffusione della ricchezza sul territorio nazionale.

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ORIENTE annunciato di volersi candidare alle prossime elezioni presidenziali, fissate per la fine del 2017; le stesse potrebbero essere anticipate nel caso in cui la Corte Costituzionale approvasse la mozione di impeachment contro l’attuale presidente Park. F I L I P P I N E 15 dicembre. Il presidente Duterte ha ammesso pubblicamente di aver commesso degli omicidi nei confronti di alcuni criminali negli anni in cui era in carica come sindaco di Davao City, dal 2013 al 2016. Il senatore Leila de Lima, strenuo oppositore del presidente, considera la confessione come ragione di impeachment per Duterte: “Si tratta di tradimento della fiducia del popolo; gli omicidi di massa sono un crimine massimo, sufficiente motivo di impeachment secondo la nostra Costituzione” ha comunicato ai microfoni della CNN. M Y A N M A R 9 dicembre. La presidente birmana e Nobel per la pace Aung San Suu Kyi è stata rimproverata dall’ONU per la sua gestione della crisi umanitaria del popolo Rohingya, oppresso da diversi mesi dall’esercito locale. Vijay Nambiar, consigliere del Segretario Generale dell’ONU per il Myanmar, ha esortato la Presidente ad andare a visitare di persona lo Stato del Rakhine, dove vive la minoranza dei Rohingya; alcuni giorni prima, il premier della Malaysia Najib Razak aveva definito la vicenda come un vero e propria operazione di genocidio e pulizia etnica. A cura di Carolina Quaranta

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GUERRA PER L’ACQUA TRA INDIA E PAKISTAN

Le risorse idriche: un’arma inedita per un conflitto storico.

Di Virginia Orsili Lo storico conflitto tra India e Pakistan sta assumendo un nuovo volto. Negli ultimi mesi, infatti, è divenuta sempre più concreta la possibilità dell’utilizzo di un’arma inedita: l’acqua. Intorno alle dispute sorte per la costruzione delle centrali idroelettriche di Kishanganga e Ratle, costruite sul suolo indiano, tanto il Pakistan quanto l’India hanno espresso la necessità di costituire un organo che tutelasse la propria posizione. La Banca Mondiale ha inizialmente acconsentito alla richiesta dello Stato indiano di convocare una Commissione neutrale. Parallelamente, però, il Pakistan ha richiesto l’istituzione di una Corte di Arbitrato. La scelta di portare avanti in contemporanea due programmi diversi è stata rifiutata dall’India. I progetti dei due Paesi sono divenuti strumenti politici in un conflitto che continua da anni e che a settembre, nel Kashmir, ha visto nuovi scontri. Il crescendo di tensioni ha determinato l’intervento del World Bank Group, che martedì 13 dicembre ha deciso di sospendere entrambi i procedimenti, con l’obiettivo di salvaguardare l’Indus Water Treaty. Nel 1960 è stato infatti stipulato un trattato tra India e Pakistan, volto a regolare l’accesso alle

acque e reso necessario dai conflitti per il controllo dei sei fiumi che attraversano la regione al confine. Nei conflitti che hanno visto contrapposti India e Pakistan dagli anni ’60 a oggi il trattato è sempre stato rispettato. Nonostante ciò, l’equilibrio resta fragile: il minimo intervento sui fiumi occidentali comporterebbe un danno enorme per il Pakistan, che li considera una delle sue principali risorse. Negli ultimi anni, un aumento della richiesta d’acqua ha contribuito ad accrescere l’instabilità della regione. Per rispondere alla maggiore necessità sono stati portati avanti dei progetti, tra cui la costruzione di dighe, che hanno messo a rischio la validità del trattato. In un report del 2011 il Comitato statunitense per le Relazioni Internazionali ha enfatizzato il ruolo dell’utilizzo dell’acqua quale “fonte di instabilità tra i Paesi dell’Asia”. In tale ottica, alla BM è apparso quindi fondamentale perseguire una strategia che rafforzi l’Indus Water Treaty. Infatti, lo scopo della decisione presa lo scorso 13 dicembre, come dichiarato dal presidente del World Bank Group Jim Yong Kim, è quello di “indurre India e Pakistan a prendere in considerazione approcci alternativi per la risoluzione dei loro interessi configgenti”.


AFRICA 7 Giorni in 300 Parole GABON 13 dicembre. Il primo rapporto della missione di osservazione elettorale dell’UE in Gabon denuncia alcune anomalie che metterebbero in discussione la rielezione del presidente Ali Bongo Ondimba. Già all’indomani delle elezioni il principale oppositore del Presidente, Jean Ping, aveva contestato il risultato elettorale davanti la Corte Costituzionale, che tuttavia non ha accolto alcun reclamo.

GAMBIA 10 dicembre. Il Presidente del Gambia, Yahya Jammeh, ha rifiutato l’esito delle elezioni presidenziali. Il risultato sancirebbe la vittoria di Adam Barrow, leader del partito di opposizione. Jammeh, in carica dal 1994 in seguito ad un colpo di Stato, ha denunciato anomalie nelle votazioni. Dopo l’annuncio del Presidente, il governo del Senegal ha chiesto una riunione d’emergenza del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, mentre gli Stati Uniti hanno condannato duramente tale dichiarazione. Il portavoce di Stato americano ha definito questa azione come una “violazione riprovevole e inaccettabile nei confronti della popolazione del Gambia” e come un “tentativo di minare un processo elettorale credibile al fine di rimanere al potere illegittimamente”. NIGERIA 12 dicembre. Nel mercato della capitale nigeriana Maiduguri

LA SCOMMESSA DI KABILA

Una transizione politica pacifica risulta ancora lontana

Di Guglielmo Fasana La Repubblica Democratica del Congo (RDC) è il secondo Stato africano per estensione territoriale, è abitata da circa 80 milioni di persone ed è estremamente ricca di risorse. L’evidente potenziale di cui dispone questo Paese è stato per decenni messo in ombra, prima dalla dominazione coloniale belga e poi dalle dittature di Mobutu Sese Seko e di Laurent Kabila, inframmezzate da parentesi di guerra civile. L’instabilità ha portato vantaggi solo alle grandi compagnie minerarie straniere, le quali sfruttano il capitale custodito nel sottosuolo congolese. Ad oggi, alla guida della RDC siede il figlio di Laurent, Joseph Kabila, il presidente-soldato. È proprio alla vicenda di quest’ultimo che sono legate le sorti del Congo. Dopo aver ricevuto l’addestramento in Cina, egli combatté al fianco del padre in una campagna militare che portò, nel 1997, al rovesciamento del regime di Mobutu. Tuttavia, il governo instaurato da Laurent Kabila terminò bruscamente nel 2001 con il suo assassinio. Joseph ne raccolse l’eredità politica e, dopo anni di travagliati negoziati con tutte le parti in causa, riuscì a diventare il primo Presidente legittimamente eletto dai suoi cittadini (2006).

Non senza difficoltà, Kabila venne riconfermato per il secondo mandato alle elezioni del 2011, su cui pesano le contestazioni di brogli da parte dell’opposizione. In effetti, la parabola dei Kabila sembrava destinata a concludersi nel dicembre del 2016, con la fine del secondo mandato di Joseph: secondo quanto sancito dalla Costituzione della RDC, infatti, il Presidente può essere rieletto solo per due mandati. Le elezioni presidenziali erano originariamente previste per il 27 novembre 2016, ma il 29 settembre, in un comunicato diffuso dall’Autorità Elettorale Nazionale, la data delle consultazioni è stata rimandata sine die, presumibilmente a metà 2018. La motivazione ufficiale è la mancanza di un censimento accurato della popolazione e, di conseguenza, del numero degli aventi diritto al voto. L’Unione Europea e gli USA, che auspicavano una transizione politica in Congo, hanno posto in essere delle sanzioni economiche ai danni di esponenti della classe dirigente prossima al Presidente. Il disegno politico retrostante non è difficile da intuire, in quanto le operazioni di censimento richiederebbero diversi mesi, se non anni, per essere portate a termine, fatto che consentirebbe a Joseph Kabila di rimanere al potere ancora a lungo.

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AFRICA due bambine kamikaze si sono fatte esplodere. L’attentato è stato rivendicato dal gruppo terroristico Boko Haram ed è avvenuto due giorni dopo un precedente atto terroristico. Il 10 dicembre, infatti, al mercato ortofrutticolo di Madagali altre due donne kamikaze si sono tolte la vita. Quest’ultima città si trova nel nord-est del Paese, nelle vicinanze della foresta di Sambisa, dove il gruppo terroristico si è ormai stabilito già da un anno dopo che le forze governative sono riuscite a liberare la città e i villaggi vicini. REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO 14 dicembre. Nella settimana che precede la fine del mandato del Presidente Kabila, l’Unione Europea e Washington hanno deciso di sanzionare diversi alti ufficiali dell’apparato di sicurezza del Paese. Tra coloro che sono oggetto di tali sanzioni si trovano il Vice Primo Ministro e il Ministro degli Interni. Secondo gli Stati Uniti, i due politici avrebbero corrotto alcuni parlamentari per prolungare il mandato di Kabila.

ZIMBABWE 14 dicembre. Il partito al Governo ha dichiarato di essere disposto a sostenere una nuova candidatura del Presidente Mugabe per le elezioni del 2018. Attualmente Mugabe è uno dei Presidenti più anziani al mondo e governa il Paese dal 1987. A cura di Jessica Prieto 14 • MSOI the Post

IL RE IN CARCERE

Le accuse tra terrorismo e secessione

Di Francesco Tosco Uno dei quattro tradizionali regni dell’Uganda torna a far parlare di sé: il 27 novembre scorso a Kasese, capoluogo della regione ovest Rwenzururu, è stato arrestato il re tribale Charles Mumbere. L’arresto, avvenuto in seguito all’assalto del palazzo reale da parte delle forze governative, è stato stabilito dal governo di Kampala, che ha accusato il Re di arruolare e addestrare miliziani separatisti. Inoltre, contro Mumbere sono state mosse accuse di terrorismo, istigazione alla violenza, rapina e omicidio. Insieme a Mumbere, sono stati arrestati circa una decina di guardie reali e uno sciamano locale, oltre che un centinaio di persone collegate al palazzo: sono tutti accusati di aver partecipato alle manovre di incitamento alla violenza messe in atto dal re tribale. Dopo il raid, il sovrano è stato rinchiuso nella prigione di Jinja, da dove il 13 dicembre ha ufficialmente dichiarato di esseredeltuttoestraneoallevicende di cui è stato accusato. Ora si attende la prossima udienza, fissata per il 28 dicembre. Il governo centrale sostiene di aver fermato in tempo un’imminente tentativo di secessione. Mumbere, infatti, è accusato di aver progettato la separazione della sua regione dall’Uganda e la creazione di una nuova

e indipendente repubblica chiamata Yiira. Effettivamente, nella regione confinante con il Congo, da mesi erano aumentate le tensioni tra miliziani e forze di polizia, che hanno mietuto vittime anche tra i civili. Tra la regione del Rwenzururu e il governo centrale ugandese non c’è mai stata grande intesa. Nel 1963 il re in carica aveva dichiarato l’indipendenza della regione dal regno del Toro, un altro regno tradizionale, scatenando una guerra. Nel 1982 il governo centrale ha costretto il re ad abdicare e ad annullare la dichiarazione di indipendenza. Nel 2009 il presidente ugandese Yoweri Museveni ha deciso di riconoscere il Rwenzururu come una repubblica dell’Uganda e quindi Mumbere, che intanto aveva chiesto asilo negli USA, è tornato ed è salito al trono del regno. L’arresto del sovrano potrebbe destabilizzare la regione. Martedì 13 dicembre nella città di Jinja, in occasione della prima udienza del processo, molte persone dell’etnia Bagonzo, la stessa del sovrano, hanno protestato in piazza. Nonostante il sovrano si sia dichiarato innocente, pare che nel suo palazzo siano state rinvenute molte armi leggere. Lo spettro della presenza di campi di addestramento per miliziani nelle montagne di confine con il Congo, intanto, aleggia nelle sale di Kampala.


SUD AMERICA 7 Giorni in 300 Parole

IL DECENNIO DI CORREA

La crisi petrolifera mette la parola fine alla presidenza di Correa

BRASILE 14 dicembre. Il senatore Jader Barbalho, esponente del Partito Movimento Democratico Brasiliano (PMDB) si dice preoccupato per un possibile colpo di Stato. Le innumerevoli accuse di corruzione e la volontà comune di buona parte della popolazione di non arrivare alle elezioni del 2018 sono forti segnali di una possibile azione sovversiva per rovesciare il governo Di Stefano Bozzalla Cassione sull’economia. del presidente ad interim Michel Temer. Dal 2007 Rafael Correa è il Oggi, dopo un cammino politico Presidente della Repubblica dell’Ecuador. Nato nel 1963, diviene Ministro dell’Economia e delle Finanze nel 2005, ma ricopre la carica solo per alcuni mesi. Due anni dopo, viene eletto come guida del popolo ecuadoregno. Ora, giunto alla fine del terzo mandato presidenziale, ha annunciato che non si ricandiderà per le elezioni del 2017.

COLOMBIA 14 dicembre. Il ministero della Giustizia del governo colombiano, successivamente all’accordo firmato con le FARC, ha concesso l’indulto per 110 Esponente del socialismo del guerriglieri delle forze rivoluziona- XXI secolo, come Chavez (Venezuela) e Bachelet (Cile), nonrie.

MESSICO 13 dicembre. Il Senato messicano ha approvato una legge riguardante l’utilizzo medico della marijuana. L’iniziativa legislativa provvede ad istituire anche il Segretariato per la Salute atto a designare politiche per regolarizzare l’uso della marijuana e dei suoi derivati. Il progetto, già approvato dalla Camera Alta, sarà successivamente discusso alla Camera dei Deputati. La senatrice Cristina Diaz Salazar del Partito Rivo-

ché sostenitore della sovranità nazionale, dimostrò fin da subito di voler tradurre pragmaticamente le promesse fatte durante la campagna elettorale. Appena eletto, Correa decise di non ripagare una parte del debito pubblico, contratto, secondo lui, da governi illegittimi e fantocci. In seguito alla crisi mondiale (2008), egli avviò una serie di investimenti nel sociale e nel pubblico (istruzione, sanità, lavoro e salario minimo), volti a migliorare le condizioni di vita nel Paese. Infine, il 20 settembre 2007, dopo un travagliato iter e un referendum che vide vincitore il fronte favorevole a Correa, venne riscritta la Costituzione del Paese, in modo da accrescere il controllo pubblico

lungo un decennio, caratterizzato da un seguito popolare senza precedenti, da politiche di forte impronta socialista e dal superamento di un tentato colpo di Stato, Correa si trova, alla fine del suo mandato, a fronteggiare la sfida petrolifera. L’Ecuador, che si regge in gran parte sul commercio del petrolio, oggi subisce il crollo del prezzo del greggio, che va a intaccare le finanze e l’economia del Paese, costringendo il Presidente ad applicare manovre poco popolari: tassazione dei patrimoni delle classi più abbienti, imposte su profitti aziendali e l’aumentodell’IVA di due punti percentuali. A influire negativamente sulla difficile sorte del Paese è stato anche il devastante terremoto - 7,8° sulla scala Richter - del 16 aprile scorso, che ha causato centinaia di morti, migliaia di sfollati e quasi 3 miliardi e mezzo di dollari di danni. Il successore di Correa, Lenin Moreno, meno supportato dal popolo, dovrà affrontare il candidato del centrodestra liberale (CREO), lasciando così incerto il futuro del Paese. Continuerà l’era socialista o ci sarà un cambio di rotta? MSOI the Post • 15


SUD AMERICA luzionario Istituzionalizzato (PRI) ha sottolineato come la legge potrebbe essere un enorme aiuto per i messicani che non possono permettersi medicinali a base di marijuana. CUBA 13 dicembre. Il governo cubano e Google sono al lavoro per sottoscrivere un accordo commerciale che permetterà di installare nella capitale cubana numerosi server che miglioreranno l’accesso ai siti Youtube e Gmail. Secondo la BBC l’accordo commerciale tra le parti porterà alla chiusura dell’intesa con l’azienda di telecomunicazione Etecsa.

VENEZUELA 14 dicembre. Il presidente venezuelano Nicolàs Maduro ha affermato che per nessuna ragione farà uscire il Paese dal Mercosur, denunciando come retrograda le azioni vessatorie della triplice alleanza, dei governi di estrema destra di Argentina, Brasile e Paraguay. Continuando sull’argomento il Presidente denuncia l’atto di disconoscimento del suo governo pro tempore da parte della triplice alleanza come una decisione derivante da visione di odio e intolleranza paragonabile a quella delle dittature latinoamericane degli anni ’70 e ’80. A cura di Sara Ponza

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L’EUROPA CHE GUARDA CUBA

Verso una nuova Posizione Comune per i rapporti tra Unione e Repubblica di Cuba

Di Daniele Pennavaria

dei cubani”.

La mattina del 12 dicembre l’alto rappresentante per gli Affari Esteri Federica Mogherini e il ministro degli Affari Esteri cubano Bruno Rodriguez Parrilla hanno firmato a L’Avana un Accordo di Dialogo Politico e Cooperazione che segna una svolta storica nelle relazioni tra il vecchio continente e l’isola caraibica.

Dopo vent’anni si chiude una fase di rapporti congelati tra l’Unione e la Repubblica di Cuba, inaugurata dall’ex presidente spagnolo José María Aznar, che nel 1996 aveva virato bruscamente a favore della politica statunitense con un’inaspettata dichiarazione unilaterale. L’effetto domino sugli altri Paesi europei aveva creato la Posizione Comune rispetto a Cuba, una chiusura da sempre condannata da Fidel Castro, che la riteneva imposta dagli USA.

L’accordo raggiunto è frutto di un dialogo politico iniziato nel 2008 e favorito anche dalla normalizzazione, nel 2015, delle relazioni tra Cuba e gli Stati Uniti. Il testo finale è stato approntato lo scorso marzo. L’accordo bilaterale è il primo tra Cuba e Unione Europea ed è strutturato in tre capitoli: dialogo politica, cooperazione e rapporti economici e commerciali. All’interno del primo, tra gli altri, rientra il tema scottante dei diritti umani, su cui certi Paesi dell’UE e alcuni attivisti cubani contrari al regime hanno espresso perplessità. A proposito di questo argomento, alcuni esponenti della frazionata opposizione cubana hanno inviato una lettera all’Alto Rappresentante dell’Unione, sottolineando la loro disponibilità ad appoggiare un accordo, ma affermando che sono contrari a questo nello specifico, perché non è “condizionato al rispetto delle libertà individuali e collettive

La scomparsa del Lider Maximo non influisce direttamente su quelle che erano delle trattative già esistenti: sono piuttosto i dibattiti nati in seguito all’evento a sollevare alcune domande sulla futura posizione che assumerà il governo. Federica Mogherini ha dichiarato che “per Cuba e per tutto il Caribe la UE è amica e partner”, sottolineando che non sta a lei “giudicare l’impatto che questo accordo può avere su altri Paesi”. Difficile non interpretare l’affermazione come un messaggio all’ingombrante vicino della zona caraibica e specificamente al suo futuro leader. Per ora, il governo di Raul Castro sembra cercare sponde da entrambi i lati, sperando presumibilmente in qualche svolta positiva anche dalla costa a stelle e strisce, benché le premesse non siano delle migliori.


ECONOMIA WikiNomics IL NUOVO PIANO INDUSTRIALE UNICREDIT La revisione strategica ha coinvolto tutte le principali aree della banca

Di Giacomo Robasto Jean-Pierre Mustier, amministratore delegato del secondo gruppo bancario italiano per capitalizzazione di mercato, ha presentato ad analisti e investitori “Transform 2019”, il nuovo piano strategico che il gruppo intende seguire da gennaio sino al 2019. Nel corso della presentazione, che è avvenuta nell’ambito del Capital Markets Day tenutosi il 13 dicembre a Londra, sono emersi gli obiettivi principali del piano. Rafforzare ed ottimizzare il capitale del gruppo. Unicredit procederà, entro il primo trimestre del 2017, ad un aumento di capitale di circa 13 miliardi di euro, che dovrà essere approvato dall’assemblea generale degli azionisti il 12 gennaio prossimo. L’aumento, che se confermato sarà il più grande mai avvenuto in Italia, è interamente garantito da un consorzio di banche internazionali, che si impegnano ad accettare le nuove azioni eventualmente non sottoscritte fino a un valore massimo di 13 miliardi.

IL CIELO SOPRA IL CREMLINO – PARTE IV Il ritorno della Russia sullo scacchiere europeo crea dubbi nel fronte Nato

Di Michelangelo Inverso

debolezza.

Quali prospettive per le presidenziali russe del 2018? Dalla narrazione fin qui seguita si giunge ad almeno due conclusioni.

A questo punto, si potrebbe concludere che, se Vladimir Putin venisse acclamato alle prossime presidenziali contro il suo sfidante, Alexandr Navalnij, portavoce della borghesia urbana russa, allora la presidenza escluderebbe dagli apparati statali quanto resta in Russia della generazione eltsiniana (ne è segnale il recente arresto del liberale Ministro dello Sviluppo Alexei Ulyukaev). Uscendo dall’orbita economica occidentale, si assisterebbe al completamento del progetto eurasiatico putiniano con il decollo dell’Unione Doganale Euroasiatica, cui parteciperebbero diversi Paesi dell’est europeo e del Mar Nero, come stava per fare l’Ucraina prima del golpe e come farà l’Armenia a breve.

In primo luogo, c’è un dato di fatto: dopo vent’anni di silenzio, la Russia è tornata con prepotenza sul tavolo geopolitico, contestando la potestà occidentale in Medio Oriente e nello spazio exsovietico. Nel giro di un anno e mezzo, la Russia è riuscita a conseguire la salvezza dell’alleato siriano attraverso la vittoria diplomatica su Turchia e Unione Europea, e l’ingresso dell’Egitto e dell’Iraq nella propria sfera di influenza. D’altra parte, Putin ha accumulato anche un grande vantaggio: ha costruito un largo consenso nella UE, mostrandosi come un leader capace di proteggere i cittadini europei dal terrorismo islamico e che sostiene i reali valori della cultura europea. E sono in molti che in Europa spingono per un nuovo corso delle relazioni con il Cremlino. In secondo luogo, l’elezione di Donald J. Trump ha segnato l’inizio di un periodo di forte discontinuità con il passato e Mosca cercherà di farne tesoro, strappando aree di influenza europea e statunitense dalla cartina geopolitica - come già sta accadendo. Se davvero Trump cercherà il disimpegno dalla Nato, l’Europa si troverà in un momento di grande

E l’Europa? In questo momento storico, pare essere paralizzata dalle proprie contraddizioni politiche, economiche e culturali. Se davvero la Storia andrà nella direzione di un mondo multipolare oppure di nuova instabilità, dipenderà unicamente dall’Europa e dalla sua capacità di agire indipendentemente da Washington. Le possibilità saranno solo due: frammentarsi e tornare ad un sistema di alleanze precedente al 1945; oppure riuscire a trovare l’araba fenice dell’unità politica e perseguire i propri interessi autonomamente. MSOI the Post • 17


ECONOMIA Trasformare il modello operativo. Per cambiare il modo in cui la banca opera sul territorio, il gruppo intende abbassare i costi operativi, puntando sulle operazioni globali e sullo sviluppo delle economie di scala. Entro il 2019 sono, infatti, previsti 6500 esuberi - di cui 3900 in Italia - e la chiusura di oltre 880 filiali solo sul territorio italiano (in Austria e Germania, mercati esteri di riferimento per Unicredit, non vi saranno chiusure di sportelli). Tali provvedimenti mirano a portare i costi per il 2019 a 10.6 miliardi (rispetto ai 12.2 del 2015) e il rapporto tra costi e ricavi del gruppo sotto al 52%. Massimizzare il valore investendo in tecnologia. Il gruppo intende massimizzare la redditività del business di banca commerciale, rafforzando la propria leadership in Europa centrale e orientale. Per questo, Unicredit investirà entro il 2019 circa 1.6 miliardi di euro in Information Technology, per rafforzare l’infrastruttura informatica attraverso attività di digitalizzazione. Cessione di crediti deteriorati per oltre 17 miliardi di euro. L’istituto bancario ha, inoltre, siglato un accordo con Fortress Investments e PIMCO, società di gestione del risparmio, per la cessione di 17.7 miliardi di crediti deteriorati (i cosiddetti ‘Non-performing loans”) in una nuova e indipendente entità in cui Unicredit avrà una quota di minoranza. Con questa strategia, Unicredit punta a un aumento dei ricavi a un tasso medio annuo dello 0,6% con un aumento dell’utile netto a 4.7 miliardi entro il 2019, ben superiore rispetto al 2015 (1.5 miliardi di Euro). 18 • MSOI the Post

TRUMP E IL TTIP

Il Trattato di libero scambio commerciale USA-UE è morto per sempre?

Di Ivana Pesic I settant’anni seguenti alla fine della Seconda guerra mondiale si sono caratterizzati come un’epoca di accordi commerciali. Le principali economie del mondo erano in uno stato di continue trattative, che hanno portato alla conclusione di due importanti accordi globali multilaterali: il General Agreement on Tariffs and Trade (GATT) ed il trattato di istituzione della World Trade Organization. Inoltre, si sono sottoscritti più di 500 accordi commerciali bilaterali e regionali - la stragrande maggioranza dei quali a partire dal 1995, momento in cui il WTO è subentrato al GATT. Le rivolte populiste del 2016 quasi certamente porranno fine a questa frenetica attività di accordi. Laddove i Paesi in via di sviluppo possono perseguire accordi commerciali più circoscritti, i due trattati più importanti in corso, il Trans-Pacific Partnership (TPP) e il Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP), sono praticamente morti dopo l’elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti. Il Repubblicano ha, infatti, affermato di non aver alcuna intenzione di firmare alcun accordo dannoso per i lavoratori o riduttivo per la libertà e l’indipendenza degli Stati Uniti, e il TTIP, per chi del protezionismo ha fatto una delle colonne portanti del-

la propria campagna elettorale, è un accordo di questo tipo. Gli avversari di Trump hanno, però, spesso ricordato come nei suoi affari il magnate immobiliare avesse fatto ricorrente uso di manodopera estera. Mentre i leader europei hanno mostrato una certa diffidenza nei confronti del TTIP, il Regno Unito si è sempre sbilanciato a favore degli accordi. La Brexit è stata un duro colpo non solo per l’Unione Europea, ma anche per gli Stati Uniti, nell’ottica degli accordi sul libero mercato transatlantico. Donald Trump ha sempre letto il voto dei cittadini britannici come un rifiuto della globalizzazione e l’uscita dal più grande mercato europeo ha rimescolato le carte per la firma del TTIP. “Singoli trattati con i singoli Paesi” è stata una delle parole d’ordine del programma di Trump e, come Paese indipendente, il Regno Unito potrebbe risultare agevolato con accordi presi direttamente con gli Stati Uniti. Insomma, le istituzioni europee non vogliono ancora ammetterlo, ma il TTIP pare essere ormai su un binario morto. Le posizione inconciliabili tra USA e UE, l'opposizione di alcuni Paesi europei, e i movimenti contrari al Trattato avevano già inferto un duro colpo al TTIP, ma il tycoon sembra pronto a sferrare quello decisivo per chiudere la partita.


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