MSOI thePost Numero 50

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Il Settimanale di M.S.O.I. Torino


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MSOI Torino M.S.O.I. è un’associazione studentesca impegnata a promuovere la diffusione della cultura internazionalistica ed è diffuso a livello nazionale (Gorizia, Milano, Napoli, Roma e Torino). Nato nel 1949, il Movimento rappresenta la sezione giovanile ed universitaria della Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale (S.I.O.I.), persegue fini di formazione, ricerca e informazione nell’ambito dell’organizzazione e del diritto internazionale. M.S.O.I. è membro del World Forum of United Nations Associations Youth (WFUNA Youth), l’organo che rappresenta e coordina i movimenti giovanili delle Nazioni Unite. Ogni anno M.S.O.I. Torino organizza conferenze, tavole rotonde, workshop, seminari e viaggi studio volti a stimolare la discussione e lo scambio di idee nell’ambito della politica internazionale e del diritto. M.S.O.I. Torino costituisce perciò non solo un’opportunità unica per entrare in contatto con un ampio network di esperti, docenti e studenti, ma anche una straordinaria esperienza per condividere interessi e passioni e vivere l’università in maniera più attiva. Elisabetta Botta, Segretario M.S.O.I. Torino

MSOI thePost MSOI thePost, il settimanale online di politica internazionale di M.S.O.I. Torino, si propone come un modulo d’informazione ideato, gestito ed al servizio degli studenti e offrire a chi è appassionato di affari internazionali e scrittura la possibilità di vedere pubblicati i propri articoli. La rivista nasce dalla volontà di creare una redazione appassionata dalla sfida dell’informazione, attenta ai principali temi dell’attualità. Aspiriamo ad avere come lettori coloro che credono che tutti i fatti debbano essere riportati senza filtri, eufemismi o sensazionalismi. La natura super partes del Movimento risulta riconoscibile nel mezzo di informazione che ne è l’espressione: MSOI thePost non è, infatti, un giornale affiliato ad una parte politica, espressione di una lobby o di un gruppo ristretto. Percorrere il solco tracciato da chi persegue un certo costume giornalistico di serietà e rigore, innovandolo con lo stile fresco di redattori giovani ed entusiasti, è la nostra ambizione. Jacopo Folco, Direttore MSOI thePost 2 • MSOI the Post

N u m e r o

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Redazione Direttore Jacopo Folco Vicedirettore Davide Tedesco Caporedattore Alessia Pesce Capi Servizio Rebecca Barresi, Giusto Amedeo Boccheni, Luca Bolzanin, Sarah Sabina Montaldo, Silvia Perino Vaiga Amministrazione e Logistica Emanuele Chieppa Redattori Benedetta Albano, Federica Allasia, Erica Ambroggio, Daniele Baldo, Lorenzo Bardia, Giulia Bazzano, Lorenzo Bazzano, Giusto Amedeo Boccheni, Giulia Botta, Maria Francesca Bottura, Stefano Bozzalla, Emiliano Caliendo, Federico Camurati, Matteo Candelari, Emanuele Chieppa, Sara Corona, Lucky Dalena, Alessandro Dalpasso, Sofia Ercolessi, Alessandro Fornaroli, Giulia Ficuciello, Lorenzo Gilardetti, Andrea Incao, Gennaro Intocia, Michelangelo Inverso, Simone Massarenti, Andrea Mitti Ruà, Efrem Moiso, Daniele Pennavaria, Ivana Pesic, Emanuel Pietrobon, Edoardo Pignocco, Sara Ponza, Jessica Prieto, Fabrizio Primon, Giacomo Robasto, Clarissa Rossetti, Carolina Quaranta, Francesco Raimondi, Jean-Marie Reure, Clarissa Rossetti, Michele Rosso, Fabio Saksida, Leonardo Scanavino, Martina Scarnato, Samantha Scarpa, Francesca Schellino, Giulia Tempo, Martina Terraglia, Elisa Todesco, Francesco Tosco, Tiziano Traversa, Fabio Tumminello, Martina Unali, Alexander Virgili, Chiara Zaghi. Editing Lorenzo Aprà Copertine Mirko Banchio Vuoi entrare a far parte della redazione? Scrivi una mail a thepost@msoitorino.org!


EUROPA 7 Giorni in 300 Parole

IL CALDO INVERNO POLACCO

Scontri e tensioni a Varsavia per la nuova legge sull’accesso dei media alla Sejm

Di Simone Massarenti GERMANIA Lunedì 19. Un camion ha fatto irruzione sulla folla in un mercatino di Natale nella zona di Kurfusterdam, a Berlino, causando 12 vittime e più di 50 feriti. La strage, sarebbe stata rivendicata dall’ISIS attraverso l’Amaq News Agency, mentre – in un primo momento – sembrava essere stata compiuta da un immigrato pakistano di 23 anni fermato dalla polizia ed in seguito rilasciato. Il cancelliere tedesco Angela Merkel ha espresso il suo cordoglio sottolineando allo stesso tempo che la politica tedesca in materia di accoglienza non cambierà.

ITALIA Domenica 18. La Corte d’Assise di Milano ha condannato, per la prima volta in Italia, una donna con l’accusa di terrorismo internazionale e organizzazione di viaggi con scopi terroristici. La foreign fighter nota come ‘Fatima’ è nata a Torre del Greco, vicino Napoli, con il nome di Maria Giulia Sergio; trasferitasi in seguito ad Inzago, in provincia di Milano, ha sposato e poi divorziato da un marocchino, il quale avrebbe convertito la ra-

La nuova legge sulla limitazione del diritto d’accesso dei media alla Sejm (camera bassa del Parlamento) trascina la Polonia nel caos. La protesta, che si protrae per le strade di Varsavia dal 17 dicembre scorso, vede impegnati migliaia di cittadini, “traditi” da un governo reo di aver “colpito in primis il popolo, rappresentato in Parlamento dai media”. Il primo focolaio di proteste si è però sviluppato all’interno del palazzo di Varsavia il 16 dicembre: qui, centinaia di deputati dei partiti di opposizione Nowoczescna, PSL e Platforma Obywatelska hanno ritardato la votazione della legge, esponendo cartelli in difesa della libertà di stampa al grido di “free media in Sejm”. Secondo quanto riportato dalla stampa internazionale, all’arrivo dei manifestanti il palazzo del Parlamento è stato completamente serrato, costringendo al suo interno anche la premier Beata Szydlo e il leader del PiS (nonché ex premier) Kaczynski. La legge, ultimo tassello di una serie di provvedimenti attuati dal governo nel corso del 2016, prevede, a partire dal gennaio 2017, l’ingresso di sole cinque reti televisive, selezionate dall’esecutivo, all’interno della camera bassa: esse saranno le uniche autorizzate

a documentarne i lavori e a condurre interviste. Per l’opposizione e secondo il KOD (Comitato di Difesa della Democrazia, ispirato al più celebre Solidarnosc) questa è una “legge-bavaglio”, che conduce ancor di più la Polonia verso una deriva autoritaria. La premier Szydlo, pur riconoscendo ai cittadini il diritto di manifestare, definisce questa protesta “scandalosa”, mentre il presidente Andrzej Duda, nonostante l’endorsement al governo, apre un dialogo con le opposizioni, le quali richiedono la cancellazione di queste regole. Dure le reazioni da parte dell’Europa: Donald Tusk, presidente del Consiglio europeo ed ex premier polacco, ha espresso tutta la sua contrarietà nei confronti di questo provvedimento, in quanto “viola i principi fondamentali della Costituzione”. Nonostante queste accuse, però, il governo polacco continua per la sua strada ed è anzi pronto ad approvare una legge che porrebbe limiti nell’organizzazione di manifestazioni di piazza, misura atta a garantire “maggiore sicurezza”, secondo quanto affermato dalla premier. I manifestanti comunque non cedono e, come riportano fonti dell’opposizione, la polizia avrebbe cercato di reprimere la protesta attraverso l’uso della forza e di lacrimogeni per disperdere la folla.

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EUROPA gazza e la famiglia della ex moglie all’islamismo. Condannato a 10 anni anche il secondo marito, l’albanese Aldo Kobuzi, per gli stessi reati. POLONIA Domenica 18. Non si placa la protesta per quella che sembra essere una delle più gravi crisi istituzionali della recente storia polacca. La causa del malcontento è un progetto presentato da Jaroslaw Kaczinski, leader del partito conservatore Giustizia e Libertà, che prevede una limitazione di accesso per i media alle sedute parlamentari. Sia il presidente Duda che il presidente della Corte Costituzionale avevano cercato di limitare la portata di questa legge, con scarsi risultati. A peggiorare la situazione è arrivato il boicottaggio da parte dell’opposizione dell’approvazione della legge di bilancio per una mancanza di contraddittorio e l’assenza di un dibattito libero.

SVIZZERA Lunedì 19. Una sparatoria nei pressi del Centro Islamico di Zurigo in Eisgasse ha causato il ferimento di 3 persone. Le autorità svizzere non hanno ancora stabilito l’accaduto si possa far risalire ad un movente religioso o ci siano altri motivi. L’autore dell’attacco è stato ritrovato senza vita a pochi metri dal luogo della sparatoria. A cura di Andrea MittiRuà

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IL CANCELLIERE DIMEZZATO

L’attentato a Berlino e le difficoltà di

Di Daniele Reano “Sono in lutto per le vittime dell’orribile attentato e esprimo la mia solidarietà per le vittime e le famiglie colpite. Continueremo a dare sostegno alle persone che chiedono di integrarsi nel nostro Paese”. Queste le parole pronunciate da Angela Merkel in relazione all’attentato al mercatino di Natale a Berlino, che è costato la vita a 12 persone. Una cinquantina sono i feriti, alcuni in condizioni gravi. Le reazioni, internazionali e nazionali, non si sono fatte attendere. Gran parte dei leader, da Trump alla May, da Ban Ki Moon a Hollande a Paolo Gentiloni, hanno espresso profondo dolore per quanto avvenuto in Germania. Mentre sia Putin sia Erdogan hanno affermato la loro vicinanza al popolo tedesco, sul fronte interno si è assistito a una serie di prese di posizioni più critiche nei confronti della Merkel. Manfred Weber, capogruppo del Partito Popolare Europeo, di cui fa parte anche la CDU della Merkel stessa, ha sottolineato che si dovrebbero intensificare i controlli, al fine di “essere in grado di esaminare” ogni profugo che accede alla Germania. Più dura la leader del partito populista ed euroscettico Alter-

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Merkel

native für Deutschland, Frauke Petry, che ha attaccato il governo in modo netto, sostenendo che “l’ambiente in cui un tale atto può prosperare è stato colpevolmente e sistematicamente importato nell’ultimo anno e mezzo” e che sarebbe necessario che “i confini tenuti aperti in maniera così irresponsabile siano finalmente di nuovo controllati”. Si chiude così l’annus horribilis per il cancelliere, un anno difficile, in cui ha dovuto affrontare molteplici crisi, alcune delle quali ancora aperte. Il complicato accordo con la Turchia, la contrarietà delle nazioni dell’Europa dell’est al piano di gestione migratoria europea, l’arretramento e le sconfitte elettorali nelle elezioni amministrative di alcuni länder hanno reso la posizione della Merkel meno solida degli anni passati. Nonostante i sondaggi sembrino positivi (il 65% degli intervistati ha della Merkel una buona opinione), la situazione potrebbe non essere così semplice. A 9 mesi dalle elezioni nazionali, infatti, i sondaggi mostrano anche che un’eventuale candidatura di Martin Schultz (socialdemocratici) renderebbe la sua corsa meno scontata del previsto, mentre l’AfD di Petry si mantiene in terza posizione e aumenta i consensi.


NORD AMERICA 7 Giorni in 300 Parole STATI UNITI 15 dicembre. Ryan Zinke ricoprirà la carica di ministro dell’Interno. Deputato dello Stato del Montana, il nuovo volto della futura amministrazione Trump è conosciuto per una politica d’opposizione alle norme verdi di Barack Obama e sostenitrice dell’uso di centrali a carbone. 16 dicembre. Barack Obama, durante il consueto ed ultimo discorso di fine anno in qualità di Presidente, ha affrontato lo scottante tema del ruolo della Russia nell’elezione di Donald Trump. Obama ha, infatti, mosso esplicite accuse nei confronti di Mosca, addebitandole atti di hackeraggio contro il Democratic Party.

18 dicembre. Il segretario di Stato americano John Kerry si è recato in visita a Riyad per prendere parte ad una serie di incontri con alti funzionari internazionali. Durante il colloquio con il re saudita Salman, il Segretario ha discusso della violenta guerra civile yemenita, manifestando preoccupazioni per l’aumento del numero di vittime civili coinvolte negli scontri. 19 dicembre. Donald Trump conquista e supera i 270 voti del Collegio Elettorale necessari per la sua formale elezione. Il 6 gennaioe il tycoon sarà ufficialment nominato Presidente degli Stati Uniti ed entrerà in carica il successivo 20 gennaio.

MAKE AMERICA ISOLATED AGAIN Trump e la (forse) impossibile politica neoisolazionista degli Stati Uniti

Di Alessandro Dalpasso Uno dei leitmotiv della campagna elettorale del presidente eletto Donald Trump è stato la messa in discussione del ruolo degli Stati Uniti nel mondo. Egli ha sostenuto di voler rivedere l’impegno dell’esercito statunitense nella NATO (sebbene dopo l’elezione abbia rassicurato gli alleati che in realtà è sempre solida la dedizione statunitense nell’alleanza). Ha sostenuto, inoltre, di voler “rendere l’America grande di nuovo”: per farlo, a detta di molti analisti, dovrebbe mirare a una politica di nazionalismo economico, uno dei pilasti dell’isolazionismo in campo geopolitico. Per realizzare questo suo impegno Trump dovrebbe quindi rendere più lievi gli impegni e i legami con il resto del mondo, obiettivo di non facile raggiungimento, considerando la storia e la tradizione statunitense in questo senso. Bisogna però riflettere su queste affermazioni alla luce dei sondaggi circolati fin da prima delle elezioni: 6 americani su 10 (il 57%) dichiaravano a settembre di volere gli Stati Uniti “più concentrati sui problemi domestici, lasciando gli altri Stati a sbrigarsela da soli, come meglio possono, per quanto riguarda i loro problemi”. Questo sentimento, di cui Trump si fa portavoce, è aumentato con-

siderevolmente rispetto a due anni fa (28%) e all’anno scorso (46%). Inoltre, sempre secondo i medesimi sondaggi, 7 interpellati su 10 vogliono che “nei prossimi quattro anni non ci si concentri, soprattutto, sugli affari internazionali”. A discapito di tutto questo, però, la spesa per la difesa è aumentata a livelli costanti a partire dall’ottobre 2001 e la politica estera americana è sempre stata tesa a mantenere il ruolo statunitense come di primo piano sullo scacchiere globale. Sebbene, quindi, le parole dell’ex tycoon newyorkese sembrino andare in un senso, le sue azioni si muovono ancora una volta in direzione opposta: non ci sono prove che il suo impegno a mettere “per prima l’America” troverà concretezza nel chiudere la nazione che è chiamato a governare dietro il muro che ha promesso di costruire. Al contrario, i primi gesti della sua presidenza sono andati in senso nettamente opposto: la chiamata con la presidentessa taiwanese (che ha dato una scossa alle relazioni triangolari USA-Cina-Taiwan); le dichiarazioni rese dopo il recente attentato a Berlino (“Sradicheremo l’ISIS, costi quel che costi e con qualunque mezzo”) e infine la chiamata alle armi rivolta agli alleati per affrontare le crisi internazionali ne sono la dimostrazione.

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NORD AMERICA 20 dicembre. Trasmessa l’intervista televisiva di Michelle Obama con la conduttrice Oprah Winfrey. La First Lady, dopo aver commentato malinconicamente l’esito della corsa elettorale, ha espresso la volontà di aiutare Melania Trump durante la futura amministrazione del marito, smentendo qualsiasi possibilità di una sua futura partecipazione alle prossime presidenziali. 20 dicembre. La Cina ha restituito il drone sottomarino americano sequestrato in precedenza in acque internazionali del Mare Cinese meridionale. Il drone, come dichiarato da Peter Cook, portavoce del Pentagono, era utilizzato per la sola raccolta di dati scientifici. 21 dicembre. Il Presidente uscente Barack Obama ha vietato permanentemente il proseguimento delle trivellazioni per estrarre petrolio e gas in alcune zone dell’Atlantico e dell’Artico. Tale decisione unilaterale trova fonte normativa nel Outer Continental Shelf Lands Act. CANADA 18 dicembre. Linda Vatcher, 62 anni e originaria dell’isola canadese di Newfoundland, è rimasta coinvolta, perdendo la vita, nella sparatoria avvenuta in Giordania presso la fortezza di Karak. 21 dicembre. Justin Trudeau, in linea con l’ultimo atto di Barack Obama, vieta le trivellazioni in alcune zone canadesi dell’Artico. La manovra sarà modificabile ogni 5 anni. A cura di Erica Ambroggio.

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GUERRA IN YEMEN: GLI USA E GLI OSTACOLI ALLA PACE Il viaggio del Segretario di Stato in Arabia Saudita

Di Sofia Ercolessi Il 18 e il 19 dicembre il segretario di Stato americano John Kerry ha compiuto, probabilmente, il suo ultimo viaggio diplomatico in Arabia Saudita. Lo scopo della visita era soprattutto discutere del conflitto in Yemen, che dal 2015 ha provocato più di 10.000 morti e stremato il Paese, già fra i più poveri del Medio Oriente. La coalizione guidata dall’Arabia Saudita e sostenuta dagli USA, che comprende alcuni Paesi del Golfo, Giordania e Marocco, supporta il presidente Hadi contro i ribelli sciiti Houthi. Kerry si è incontrato con il ministro degli Esteri saudita Adel Al-Juber, oltre che con rappresentanti del Regno Unito (implicato per la fornitura di armi), degli Emirati Arabi Uniti, dell’Oman e delle Nazioni Unite. In conferenza stampa, il Segretario ha ricordato la disastrosa situazione umanitaria, chiedendo a tutte le parti di collaborare per un cessate-il-fuoco “ben strutturato”, “con la speranza che entro due settimane sia possibile realizzarlo”, senza però entrare nei dettagli del piano discusso con i sauditi. La tregua sarebbe concordata in vista di una cessazione definitiva delle ostilità, da raggiungere, forse, includendo le forze ribelli nella gestione del potere. È questo che prevede il piano per la pace formulato di recente

dalle Nazioni Unite, che Kerry ha ribadito di considerare l’unica via possibile per porre fine al conflitto. Sono molte, però, le variabili da tenere in considerazione. Innanzitutto, gli Stati Uniti difficilmente accetteranno un accordo che minacci in qualche modo la sicurezza dell’Arabia Saudita, la quale resta uno dei loro maggiori alleati in Medio Oriente. Inoltre, gli USA hanno bisogno di mantenere un appoggio politico e militare fedele anche all’interno dello Yemen, per continuare la guerra ai gruppi fondamentalisti islamici (in corso dal 2002 in territorio yemenita) su due fronti, fra loro ostili: da un lato Al Qaeda nella penisola arabica, dall’altro i gruppi yemeniti affiliati all’ISIS. Questo appoggio, per il momento, è il presidente Hadi, che ha già rifiutato alcuni accordi proposti dall’ONU. Centrale, infine, è soprattutto il braccio di ferro tra Arabia Saudita e Iran per estendere la propria sfera di influenza nell’area mediorientale. A livello geopolitico, lo Yemen è un territorio strategico, perché controlla parte dello stretto commerciale di Bab El Mandeb ed è, quindi, ambito da entrambe le parti. L’Iran viene infatti accusato da più fronti di sostenere gli Houthi, anche in nome della condivisa appartenenza religiosa sciita.


MEDIO ORIENTE 7 Giorni in 300 Parole CISGIORDANIA 18 dicembre. Un giovane palestinese di 19 anni è rimasto ucciso durante l’ingresso dell’esercito israeliano nel villaggio di Beit Rima. Secondo fonti palestinesi i soldati sono stati colpiti a sassate da un gruppo di ragazzi non appena entrati nel villaggio, scatenando gli spari. GIORDANIA 18 dicembre. Un attacco al castello medioevale della città di Karak ha portato alla morte di 12 persone. L’attacco è iniziato con una sparatoria rivolta ad alcuni poliziotti in pattuglia. 20 dicembre. Il sedicente Stato Islamico rivendica l’attentato a Karak. A riferirlo l’emittente televisiva Al-Jazeera dopo il comunicato da parte degli jihadisti, denunciato dal gruppo Site, che si occupa di monitorare le attività online dello Stato Islamico.

ISRAELE 21 dicembre. Moshe Katsav, ex presidente israeliano dal 2000 al 2007, è stato rilasciato anticipatamente dopo la condanna a sette anni per stupro e molestie. Al procuratore capo è stato presentato un ricordo contro la sua decisione. PALESTINA 18 dicembre. Nahla Abu Anza, 26 anni, è stata condannata a morte per aver ucciso il marito un anno fa. Il tribunale distrettuale di Khan Yunes, nella parte

MORTE DI UN DIPLOMATCO

Resoconto dell’omicidio di Andrei Karlov, 62 anni, ambasciatore russo in Turchia.

Di Jean-Marie Reure “Sembrava un evento come tanti altri, l’apertura di una mostra fotografica sulla Russia. Così, quando un uomo vestito con un completo scuro e una cravatta ha estratto una pistola, sono rimasto di stucco e ho pensato che fosse un gesto teatrale”. Il fotoreporter Burhan Ozbilici sembra non crederci. Eppure è lui che ha lasciato alla storia le immagini crude di lunedì 19 dicembre ad Ankara. Andrei Karlov giace esanime. Dietro di lui, un ragazzo in completo e cravatta neri brandisce una pistola: nei suoi occhi, un misto di rabbia profonda, forse rassegnazione, sicuramente disperazione. Il giorno prima le piazze turche erano colme di manifestanti, scesi in strada contro quanto sta accadendo ad Aleppo. Il giorno successivo si sarebbe tenuto un vertice fra il ministro degli Affari Esteri turco Mevlüt Çavuşoğlu e i corrispettivi russi e iraniani Sergei Lavrov e Javad Zarif. Mevlut Mert Altintas, 22 anni, era un poliziotto delle squadre antisommossa di Ankara. Quel giorno non era in servizio, ma il suo tesserino gli ha permesso di entrare all’inaugurazione della mostra fotografica “Da Kaliningrad alla Kamchatka, attraverso gli occhi dei viaggiatori”. Stava in disparte, alle spalle

dell’ambasciatore russo mentre questi teneva un discorso inaugurale, quasi fosse una guardia del corpo o un amico. Il pubblico era composto per la maggior parte da visitatori e da alcuni giornalisti, intervenuti nella speranza di ricevere qualche informazione sul rapporto tra Russia e Turchia. Effettivamente, le relazioni fra i due Paesi si sono fatte piuttosto intricate: dopo il 24 novembre 2015, quando la Turchia abbatté un Sukhoi russo, i rapporti diplomatici si erano congelati, salvo poi riprendere in seguito ai negoziati per un cessate il fuoco ad Aleppo. L’ambasciatore russo parla lentamente, in modo che il traduttore possa riportare le sue parole all’uditorio. Poi, a un tratto, l’uomo alle sue spalle, rimasto silenzioso, sfodera la pistola e fa fuoco per ben otto volte consecutive sul diplomatico, che crolla a terra. “Dio è grande, voi Russi avete distrutto la Siria e Aleppo” grida il poliziotto. E ancora: “I responsabili verranno puniti”. Non prende ostaggi, ma aspetta la polizia. Morirà ucciso dalle forze di sicurezza. “Un ignominioso atto di terrorismo”, “un attentato alle relazioni di amicizia e cooperazione fra i nostri Paesi” ci dicono le dichiarazioni ufficiali dei ministeri degli Esteri dei due Stati. MSOI the Post • 7


MEDIO ORIENTE meridionale di Gaza, non ha ancora fissato una data per l’esecuzione. Numerose le proteste e le intercessioni di molteplici ONG. SIRIA 16 dicembre. Bambina-kamikaze di 8 anni colpisce un commissariato di Damasco. L’esplosione avrebbe provocato tre vittime, oltre alla stessa bambina. Secondo le informazioni citate dall’agenzia Sana, la cintura esplosiva che indossava aveva una carica azionabile a distanza. TURCHIA 17 dicembre. Un autobomba è esplosa di fronte all’università locale Erciyes, uccidendo 14 soldati e ferendo altre 56 persone. Il vicepremier Numan Kurtulmus, in una conferenza stampa, ha parlato di un presunto coinvolgimento del partito PKK. La polizia ha poi identificato il kamikaze. 19 dicembre. L’attentato durante una mostra fotografia da parte dell’agente di polizia Mevlut Mert Altintas, 22 anni, ha portato alla morte dell’ambasciatore russo ad Ankara, Andrey Karlov. Secondo il sindaco di Ankara, Melih Gokcek, l’attacco sarebbe stato attuato per danneggiare il rapporto tra Russa e Turchia. YEMEN 18 dicembre. Un kamikaze è esploso davanti alla base militare di al Sawlaban, nel nord-est di Aden. Abdel Nasser al Wali, responsabile del servizio sanitario di Aden, ha confermato che il bilancio delle vittime è di 48 soldati. Le autorità yemenite sospettano del coinvolgimento del sedicente Stato Islamico. A cura di Maria Francesca Bottura

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IL FIORE APPASSITO DELLA PRIMAVERA ARABA

I pericoli latenti nell’ombra della democrazia tunisina

Di Clarissa Rossetti Sono passati 6 anni dall’immolazione pubblica di Mohamed Bouazizi, giovane tunisino che il 17 dicembre 2010 si diede fuoco per protesta davanti a una sede provinciale del governo. Il suo atto estremo innescò la cosiddetta Rivoluzione dei Gelsomini, una serie di proteste e agitazioni popolari in Tunisia che ha avuto ripercussioni in tutto il Medio Oriente. Spesso considerata una storia a lieto fine per la stabilità che il Paese è riuscito a mantenere dopo la rivoluzione, il mito del successo democratico tunisino cela un’altra verità: riforme strutturali e costituzionali si sono raramente tradotte in progresso socio-economico sostanziale. In un rapporto sul biennio 2015/2016 Amnesty International denuncia casi documentati di tortura e decessi sospetti in carcere. È finita al centro delle critiche degli attivisti per i diritti umani anche la nuova legge antiterrorismo, che favorisce detenzioni arbitrarie ed estende il potere di sorveglianza delle forze di polizia. Le autorità hanno giustificato misure controverse con la necessità di intensificare gli sforzi per contrastare il terrorismo. Anche lo stato d’emergenza, proclamato nel novembre 2015 dopo ripetuti attacchi terroristici nel Paese e prorogato fino a gen-

naio dell’anno prossimo, limita fortemente le libertà civili. Le minacce alla sicurezza non sono soltanto esterne: la Tunisia è il principale Paese d’origine dei foreign fighters, combattenti che sposano la causa dello Stato Islamico. Tra le più importanti cause di tale scelta figura la mancanza di sicurezza economica e lavorativa: nel Paese sarebbero circa 800.000 i disoccupati (circa il 15% della popolazione), con oltre il 30% di disoccupazione sia tra i giovani sia tra i laureati. A complicare il fenomeno sono le opportunità di lavoro principalmente informali, caratterizzate da bassa retribuzione e mancanza di tutele. L’instabilità finanziaria si traduce per molti in una profonda mancanza di fiducia nelle istituzioni eciò dà vita auna combinazione potenzialmente fatale, che spinge sempre più tunisini verso l’estremismo islamico. A sei anni dalla rivoluzione, la Tunisia si trova in uno stato d’inerzia. Lontano dai riflettori del successo della rivoluzione - particolarmente accentuato se paragonato alle ripercussioni della Primavera araba negli altri Paesi interessati - troviamo pericolose zone d’ombra, in cui stagnazione economica, frustrazione sociale e fanatismo religioso rischiano di compromettere i risultati della transizione democratica tunisina.


RUSSIA E BALCANI 7 Giorni in 300 Parole

LA DISPUTA DELLE ISOLE CURILI L’incontro di dicembre tra Putin e Abe segna il futuro dell’arcipelago

MONTENEGRO 17 dicembre. Si è svolta a Podgorica la quarta edizione del Gay Pride, finalmente libera dagli scontri fra la polizia e gli esponenti della destra nazionalista e omofoba che avevano caratterizzato le edizioni precedenti. Data l’importanza che il rispetto delle minoranze sessuali per una possibile adesione all’UE, hanno aderito al corteo numerosi esponenti politici, fra i quali anche il ministro della cultura Janko Ljumovic.

Di Daniele Baldo

UCRAINA 19 dicembre. Continuano gli scontri nella regione del Donbass. Nelle ultime ore l’escalation di violenze, il cui scontro più cruento si è registrato il 18 dicembre vicino a Svitlodarsk, nella regione di Lugansk, ha portato alla morte di 6 soldati ucraini, oltre al ferimento di altri 20. I miliziani filorussi, invece, denunciano la morte di due uomini.

Nella storia recente, i due Paesi si sono affrontati più volte sulla questione delle Isole Curili, un arcipelago composto da 4 isole che i giapponesi chiamano “territori settentrionali”. In varie occasioni la Russia è stata esortata dalla comunità internazionale a restituire le isole al Giappone, ma secondo Mosca tale cessione significherebbe la messa in discussione dell’esito della guerra.

19 dicembre. Nazionalizzata Privat Bank, uno dei maggiori istituti ucraini. Dopo essere stata dichiarata insolvente domenica, PrivatBank ha subito un processo di nazionalizzazione forzoso, considerato l’unica possibile so-

Il 15 e 16 dicembre in Giappone si è riaperto un tavolo diplomatico tra Putin e Abe. Gli esiti delle discussioni non hanno portato a risoluzioni territoriali, ma hanno segnato diversi progressi nelle relazioni economiche fra i due Paesi. Il documento redatto prevede “operazioni economiche congiunte” nelle Isole Curili per promuoverne lo sviluppo e il turismo restando all’interno del framework legale dell’ordinamento russo. La posizione

Alla fine della seconda guerra mondiale l’Unione Sovietica dichiarò guerra al Giappone. Nel 1945 una moltitudine di isole del Pacifico era passata in mano ai russi e a partire dal 1956, anno in cui le relazioni diplomatiche tra Tokyo e Mosca si stabilizzarono, si tennero diversi tavoli diplomatici per risolvere le contese territoriali, senza però arrivare mai a stipulare un trattato di pace.

russa sulla questione, infatti, è sempre rimasta invariata per quanto riguarda l’appartenenza delle isole alla Russia e il premier giapponese non ha voluto insistere nel rivendicarne la sovranità. Le ragioni per cui non vi è stato nessun tentativo di approccio alla questione territoriale sono da identificarsi in prima istanza nella volontà del popolo russo. Secondo il centro di ricerca indipendente Levada, con sede a Mosca, il 78% della popolazione non approverebbe la firma di un trattato di pace con la cessione delle Curili al Giappone. Dall’altra parte, inoltre, il primo ministro Abe ha sottolineato che la priorità del governo è quella di rafforzare il legame tra i due Paesi, soprattutto per far fronte a Cina e Corea del Nord. In questo senso sembrerebbe dunque che Abe abbia fatto dei progressi, facendo continuare il dialogo con toni pacifici. In Giappone però il sentimento è diverso. La popolazione ha percepito negativamente l’esito degli incontri e il supporto dell’opinione pubblica al governo è calato di 5 punti percentuali nell’arco di un mese. Questo è sintomo di come la questione delle Isole Curili in Giappone abbia assunto caratteri politici da tempo, ma è improbabile che un cambio di rotta avvenga nel breve periodo. MSOI the Post • 9


RUSSIA E BALCANI luzione per salvaguardare i depositi e salvare il sistema finanziario. Uno dei proprietari della banca era Ihor Kolomoisky, miliardario oligarca che detiene larghe quote anche nel mercato energetico e dei media, che spesso ha avuto rapporti conflittuali con Poroshenko. RUSSIA 20 dicembre. Si è concluso oggi il vertice trilaterale Mosca-Ankara-Teheran che ha visto confrontarsi i Ministri degli Esteri e della Difesa dei tre stati impegnati sul fronte siriano. L’incontro, dice Lavrov, “garantirà l’evacuazione dei civili e dei gruppi armati da Aleppo”. Questa nuova Troika rappresenta un modello che potrebbe essere esteso a tutta la Siria. 21 dicembre. Dopo il nuovo inasprimento delle sanzioni contro la Russia da parte degli USA, il Cremlino ha dichiarato di non capire la persistenza di questo atteggiamento distruttivo da parte dell’America e che avrebbe adottato “misure adeguate”. In questi giorni, inoltre, anche l’UE ha deciso di prorogare le sanzioni nei confronti di Mosca. MACEDONIA 19 dicembre. Situazione ancora incerta in Macedonia dopo le elezioni che si sono svolte l’11 dicembre, che si trova ora sul baratro del caos istituzionale e politico. La vittoria di misura del partito conservatore non ha determinato lo sciogliersi di quelle tensioni che bloccavano il governo di Skopje da oltre un anno. Finora, nonostante non siano ancora pervenuti i risultati ufficiali, entrambi i candidati rivendicano il diritto a formare il nuovo governo. A cura di Elisa Todesco 10 • MSOI the Post

UN ALTRO STOP PER TSIPRAS

L’Eurogruppo boccia il piano greco su pensioni e IVA, congelando gli aiuti

Di Lorenzo Bardia In seguito alla decisione del primo ministro greco Alexis Tsipras di aumentare la spesa pensionistica e congelare l’aumento dell’IVA per le isole dell’Egeo, i ministri delle Finanze dell’Eurogruppo hanno deciso di sospendere le misure di sostegno al debito greco varate lo scorso 5 dicembre. Qualche giorno fa lo stesso Tsipras dichiarava in televisione che “la situazione sta migliorando e il 2016 si chiuderà con un avanzo primario superiore alle attese”, corrispondente a 3,89 miliardi di euro in più di surplus primario nei primi undici mesi dell’anno. Si tratta di risorse importanti per il Paese europeo più colpito dalla crisi economica. Secondo i piani del governo ellenico, esseavrebbero dovuto essere destinate a garantire una tredicesima alle pensioni sotto gli 850 euro e a congelare l’aumento dell’IVA nelle isole dell’Egeo, punto di approdo per i migranti nel corso di quest’estate. Tali dichiarazioni hanno però scatenato un’immediata reazione da parte dei falchi dell’austerità. Uno dei portavoce del capo dell’Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem, si è affrettato a dichiarare che “le istituzioni hanno concluso che le azioni del governo greco sembrano non essere in linea con i nostri accordi”.

Il Commissario europeo per gli affari economici e monetari Pierre Moscovici, nel tentativo dismorzare i toni, ha ricordato che per l’interruzione delle misure di sostegno l’Eurogruppo dovrebbe esprimersi all’unanimità e che la Commissione deve comunque esprimere il suo punto di vista. Moscovici ha infine aggiunto che “per la Commissione non c’è ragione di rimettere in discussione la decisione sul debito, che è stata presa sulla base di parametri che non cambiano”. Negli ultimi giorni la situazione pare essersi incagliata in una fase di stallo. Durante il viaggio di venerdì 16 dicembre di Tsipras a Berlino, infatti, la questione finanziaria non è stata posta al centro dei colloqui. Se il premier greco ha informato Angela Merkel “sull’impressionante surplus che supera gli obiettivi e sul ritorno, dopo molti anni, a tassi di crescita positivi”, il cancelliere tedesco si è limitato a sottolineare nella conferenza stampa congiunta che ogni decisione finale sul salvataggio della Grecia verrà presa dalle istituzioni finanziatrici, come il Fondo Monetario Internazionale e l’Eurogruppo. I prossimi giorni sveleranno se si andrà allo scontro o se si troverà, come ritiene possibile il ministro delle Finanze greco Tsakalotos, un accordo ragionevole per la Grecia e i suoi creditori.


ORIENTE 7 Giorni in 300 Parole

FILIPPINE 21 Dicembre. Dopo la chiusura dei finanziamenti da parte di Washington, le Filippine si sarebbero rivolte alla Repubblica Popolare per la fornitura di armi, imbarcazioni veloci e visori notturni. Beijing concederebbe non solo l’attrezzatura ma anche un prestito a basso tasso di interesse dal valore di $500 milioni. Duterte ha ribadito poi come tale offerta provenisse direttamente dall’ambasciatore cinese Zhao Jianhua, incline ad aiutare il presidente filippino nella sua lotta alla criminalità. GIAPPONE 19 Dicembre. Ancora una mancata intesa tra Ue e Giappone per una partnership economica, un accordo rafforzato di libero scambio che dovrebbe rilanciare il processo di liberalizzazioni commerciali finito in stallo. Il capo negoziatore europeo Mauro Petriccione rinvia così la decisione al 2017. Le incomprensioni riguarderebbero in particolare il settore agroalimentare, gli appalti pubblici, i servizi e le riduzioni tariffarie del caseario.

DUTERTE VERSO PECHINO

Nonostante le dispute nel Mar Cinese Meridionale, Manila si avvicina alla Cina.

Di Emanuele Chieppa Fin dall’inizio del suo mandato presidenziale, nel maggio scorso, era divenuto chiaro che Duterte non avrebbe ripercorso in nessun modo i passi del suo predecessore. Durante la campagna elettorale aveva promesso lo sterminio di 3 milioni di narcotrafficanti, nell’ambitodiunprocessodilottaalla droga che si ipotizzava avrebbe portato il Paese a scontrarsi con Pechino. Era verosimile il ruolo dei trafficanti cinesi nella circolazione della metamfetamina nelle Filippine; la stessa agenzia di stampa Reuters aveva descritto la Cina come “principale fonte del narcotraffico nel Paese”. Lunedì 19 dicembre, tuttavia, il Presidente filippino ha dichiarato che “la lotta alla droga non determinerà alcuna tensione con Pechino, dal momento che la Cina prevede rigide sanzioni comminate ai danni dei narcotrafficanti, durament e combattuti dall’establishment”. Nella stessa sede, Duterte ha anche affermato che lo Stato è pronto a condividere le risorse petrolifere di alcune zone del Mar Cinese Meridionale. In ottobre, inoltre, durante un viaggio a Pechino, il leader filippino aveva dichiarato aperta-

mente la sua disponibilità a un riallineamento con la Cina e la volontà di un distacco progressivo dagli Stati Uniti, nonostante il legame storico di Manila con Washington. Oltre al rapporto di ascendenza coloniale, infatti, a partire dal 1951 il patto di reciproca difesa con gli USA ha permesso di mantenere una certa stabilità all’interno della regione, evitando incursioni navali cinesi nell’area marittima contesa tra i due Stati. L’avvicinamento alla Cina di questi mesi, invece, deriva almeno in parte dalla ferma opposizione di Washington alle attività extragiudiziali nella lotta al narcotraffico, che ha pertanto visto un congelamento dei finanziamenti americani. Così, il 21 dicembre i media filippini hanno annunciato uno stanziamento di 14 milioni di dollari da parte della Cina per la guerra di Duterte contro la droga: fondi che, stando a quanto dichiarato dal Daily Tribune di Manila, costituirebbero solamente una prima tranche di finanziamenti. Il riallineamento tra le Filippine e la Cina, dunque, parrebbe aver messo in secondo piano la disputa nel Mar Cinese Meridionale tra le due potenze, nonostante alcune isole stiano diventando con ogni probabilità veri e propri avamposti militari cinesi. MSOI the Post • 11


ORIENTE 20 Dicembre. Tokyo non sembra favorevole all’embargo di armi per il Sudan del Sud. Il Giappone teme infatti che in caso affermativo possano esserci ripercussioni sul campo, in particolare verso i peacekeepers. L’ambasciatore delle Nazioni Unite Samantha Power ha condannato tale decisione, spingendo il Paese a unirsi alla maggioranza. La bozza di Risoluzione del Consiglio di Sicurezza vincolerebbe non solo i vari Stati in tal senso, ma porterebbe a un congelamento delle risorse della Repubblica e a un divieto di espatrio dei suoi esponenti. INDONESIA 21 Dicembre. Tre membri appartenenti alla cellula di Solo hanno attentato alla vita di una guardia di sicurezza a Jakarta. Il presunto motivo sarebbe stato quello di far avvicinare la folla al luogo del delitto per poi detonare degli ordigni colpendo direttamente i civili. La polizia ha poi compiuto un raid sequestrando materiale esplosivo e arrestando altri membri appartenenti allo stesso gruppo terroristico, coinvolti anche negli attentati del Gennaio scorso. THAILANDIA 18 Dicembre. La comunità economica ha accolto Venerdì il nuovo rimpasto di gabinetto. Le cariche sono state rivestite da personaggi di esperienza, affini alla materia e in grado di stabilireunalineadicontinuitàcon il passato. Il popolo thailandese ha chiesto un’estensione della politica precedente, attraverso piani di investimento nelle infrastrutture e iniezione di liquidità nelle province per guidare l’economia locale. A cura di Alessandro Fornaroli 12 • MSOI the Post

CHOI SOON-SIL, È TEMPO DI UDIENZE A Seoul inizia la resa dei conti del caso Park.

Di Carolina Quaranta Lenti sviluppi per il caso Park, che da un paio di mesi a questa parte sta tenendo i cittadini coreani in bilico tra indignazione e desiderio di rivalsa. Al centro delle polemiche è il rapporto di amicizia tra la presidente Park Geun-hye e la sua consigliera Choi Soon-sil. Quest’ultima è apparsa davanti alla Corte Costituzionale lo scorso lunedì 19 dicembre con l’accusa di tentata truffa ai danni dello Stato coreano. Nella prima udienza preliminare, Choi si è presentata in divisa penitenziaria bianca e aria dimessa, mantenendo lo sguardo distaccato e la testa bassa per tutta la durata del processo. Nonostante non fosse chiamata a presenziare, l’imputata ha volontariamente assistito a tutta l’udienza. L’accusa ha sostenuto che Choi Soon-sil, grazie alla sua vicinanza alla Presidente, abbia indottole maggiori corporazioni della Corea del Sud a donare decine di milioni di dollari alle fondazioni a suo nome, per poi indirizzare parte delle somme verso le sue imprese personali. L’imputata ha negato qualsiasi accusa mossa a suo carico, ma il processo proseguirà il 29 dicembre, data in cui si è fissata la prossima udienza.

La presidente Park è stata citata nel processo come complice di Soon-sil – nonostante la sua carica le garantisca l’immunità fino alla conclusione del mandato – ma ha negato fermamente di essere implicata negli affari illeciti dell’amica. Ha tuttavia ammesso di aver coinvolto Soon-silin in questioni di Stato che non le competevano, inclusi diversi discorsi presidenziali. Il segretario generale dell’ONU Ban Ki-moon ha dichiaratamente preso le distanze dal comportamento della Presidente e ha criticato la condotta che la sua amministrazione ha seguito nel corso dell’ultimo anno. “Il popolo sudcoreano si sente oltraggiato e ritiene sia stata tradita la sua fiducia nei confronti della leadership del Paese: per questo è sempre più arrabbiato. Comprendo pienamente la situazione”. Questa la sua dichiarazione dello scorso 17 dicembre, in occasione del dibattito organizzato a New York dal Consiglio per le Relazioni Internazionali. BanKi-moon ha inoltre sottolineato chefaràaffidamento sul rispettodel popolo coreano per le istituzioni ai fini del superamento della crisi politica del Paese. Nel frattempo, Park è stata sospesa dagli incarichi di Presidente e sostituita ad interim dal primo ministro Hwang Kyoahn.


AFRICA 7 Giorni in 300 Parole

GHANA: L’OPPOSIZIONE SALE AL POTERE Risultati resi noti a 72 ore dal voto

Di Francesca Schellino

COSTA D’AVORIO 18 dicembre. Si sono tenute le elezioni legislative che hanno sancito la vittoria dell’attuale presidente Alassane Outtara sul partito dell’ex presidente della Costa d’Avorio Laurent Gbagbo. Quest’ultimo aveva invitato i cittadini a non andare a votare, tuttavia l’affluenza è rimasta in linea con quella degli anni scorsi, e Outtara ha preso più dei due terzi dei seggi in Parlamento. MALI 20 dicembre. Il governo maliano si dice contrario a stringere l’accordo con l’UE presentato l’11 dicembre dal ministro degli esteri olandese. Tale accordo, proposto con successo a Niger, Nigeria, Senegal, Etiopia, avrebbe facilitato il ritorno in patria dei migranti richiedenti asilo respinti dall’UE. REPUBBLICA CENTRAFRICANA 21 dicembre. L’organizzazione Human Rights Watch ha denunciato l’emergere di un nuovo gruppo terroristico, chiamato 3R (ritorno, reclami e riabilitazione). A partire da Aprile, questa nuova formazione protettrice dei musulmani Fulani nella regione, ha incendiato 12 villaggi che avevano fama di essere

Il 9 dicembre 2016, dopo l’uccisione di un militante del partito d’opposizione NPP e un ritardo nella pubblicazione dei risultati elettorali, è stato annunciato il nuovo Presidente del Ghana, il settantaduenne Nana Addo Dankwa Akufo-Addo. Il nuovo capo del governo è il leader del partito liberal-conservatore New Patriotic Party (NPP). Egli ha ottenuto il 53,85% dei voti, a fronte del 44,40% riportato dal suo principale avversario, il presidente uscente John Dramani Mahama, del partito di centro-sinistra National Democratic Congress (NDC). 10,7 i milioni di elettori sono stati chiamati alle urne, con un’affluenza intorno al 68,5%. Le elezioni, tenutesi il 7 dicembre, si sono svolte in un clima teso, poiché erano previsti nuovi disordini dopo l’uccisione del giovane militante dell’NNP avvenuta alla vigilia del voto. A discapito delle previsioni, la comunità internazionale ha definito le elezioni come libere, credibili e trasparenti. Johnnie Carson, osservatore elettorale in rappresentanza dell’Istituto nazionale democratico del Ghana, ha espresso soddisfazione per il comportamento dei connazionali alle urne, affermando che il suo Paese si è distinto negli ultimi venticinque

anni per integrità e trasparenza. L’agenzia France Presse ha dichiarato che ci sono buone prospettive affinché la democrazia diventi un sistema maturo in Africa dell’ovest. Il nuovo presidente Nana Akufo-Addo è nato nel 1944 a Kyeby, nell’est del Ghana, da una famiglia dell’élite politica nazionale. Il padre, Edward Akufo-Addo, è stato Presidente alla fine degli anni Sessanta ed è un membro dei “Big Six”, i padri dell’indipendenza ghanese, ottenuta nel 1957. Il figlio Nana Akufo-Addo, di professione avvocato, ha lavorato in Francia e in Inghilterra prima di tornare nel 1992 in Ghana, dove ha intrapreso la carriera politica nell’NPP, il partito liberal-conservatore. Nana Akufo-Addo si era già candidato alla presidenza nel 2008 e nel 2012, risultando entrambe le volte sconfitto, l’ultima a favore del presidente uscente M. Mahama, figura carismatica e considerata “vicina al popolo”, che però ha pagato il rallentamento della crescita economica e gli scandali di corruzione che hanno interessato il suo mandato. Come risposta al precedente, il nuovo governo ha promesso di rilanciare l’economia, ridurre la corruzione e promuovere un’industrializzazione accelerata del Paese. MSOI the Post • 13


AFRICA anti-Fulani, ne ha massacrato i cittadini e violentato le donne. A causa di quest’organizzazione armata si contano oltre 17.000 nuovi sfollati. REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO 19 dicembre. Termina il secondo e ultimo mandato del presidente Joseph Kabila. Tuttavia, grazie ad un accordo segreto stretto con una parte dell’opposizione, Kabila rimarrebbe al governo fino al 2018, andando in questo modo contro la Costituzione. Dilagano, infatti, le proteste contro tale manovra. Sarebbero 22 i manifestanti morti a causa di scontri con le forze armate. SOMALIA 20 dicembre. Durante un attacco dell’AMISOM, Missione di pace dell’Unione Africana in Somalia, sono rimasti uccisi 6 civili. L’organizzazione avrebbe sparato su un minibus che portava verdure alla capitale. E’ stata aperta un’inchiesta sull’accaduto, definito dall’AMISOM uno “sfortunato incidente”. SUDAN 19 dicembre. Gli oppositori del regime di Omar Al Bashir ricorrono alla disobbedienza civile per protestare contro le fallimentari politiche economiche del Paese. Lo sciopero generale mira a paralizzare il Sudan con il fine di rovesciare il governo. Per evitarlo, Al Bashir ha attuato misure di repressione preventiva, che si sono riscontrate nella nuova ondata di arresti senza accuse in tutto il Paese. A cura di Sabrina Di Dio

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GIBE III,NUOVO COLOSSO IDROELETTRICO IN ETIOPIA

Ma l’inaugurazione arriva tra scontri e incertezze

Di Chiara Zaghi Sabato 17 dicembre è stata inaugurata in Etiopia la diga Gibe III, costruita da Salini Impregilo, gruppo italiano che opera nel settore delle costruzioni e dell’ingegneria. La diga, sul fiume Omo, si trova a sud ovest della capitale Addis Abeba, ha una capacità di 1870 MegaWatt ed è alta 250 metri. È la diga più grande dell’Etiopia e conterrà 15 miliardi di metri cubi d’acqua. L’obiettivo è l’incremento della produzione di energia idroelettrica di oltre l’80%. L’opera, voluta dal governo etiope e costata 1,5 miliardi di euro, è stata finanziata in parte anche dalla China EximBank. La realizzazione dell’infrastruttura è stata però osteggiata dagli Oromo. Si teme, infatti, che la diga possa avere degli effetti negativi sulle popolazioni che abitano nella valle del lago deserto Turkana. Inoltre, sia il Lago Turkana sia la parte meridionale della valle del fiume Omo sono patrimonio dell’umanità dell’UNESCO e questa organizzazione nel 2011 ha richiamato lo Stato etiope perché interrompesse i lavori. Le modalità di costruzione dell’infrastruttura sono state motivo di tensioni tanto quanto

le motivazioni: nel 2014 l’ONG Human Right Watch ha accusato il governo etiope di aver spostato con la forza centinaia di migliaia di persone che risiedevano nella valle per costruire la diga. Le manifestazioni e le proteste hanno provocato circa 500 morti e più di 11mila arresti, secondo quanto riferito dalle ONG umanitarie che operano nella zona. La causa è stata anche sostenuta dall’atleta Feyisa Lilesa, medaglia d’argento alle Olimpiadi di Rio de Janeiro, che durante la maratona olimpica ha incrociato le mani in segno di solidarietà agli Oromo. Il governo etiope ha respinto le accuse e ha annunciato che la diga non influenzerà il percorso naturale del fiume Omo. Inoltre, per convincere e rassicurare la popolazione, sono stati programmati dei piani di irrigazione per i terreni coltivati dai residenti con tecniche tradizionali. L’Etiopia nel 2015 ha registrato una crescita economica record, ma il Fondo Monetario Internazionale prevede una ricaduta economica a causa della siccità che ha colpito il Paese. La diga Gibe III, secondo il primo ministro etiope Hailemariam Desalegn, sarà sufficiente per soddisfare le esigenze di energia elettrica dello Stato e permetterà anche di rifornire i mercati esteri.


SUD AMERICA 7 Giorni in 300 Parole ARGENTINA 19 dicembre. Scioperi e proteste in numerose città, contro le mancate promesse del presidente Mauricio Macri di abbassare l’imposta sul reddito. Buenos Aires paralizzata dallo sciopero dei trasporti pubblici, decine di migliaia di lavoratori bloccati.I sindacati riuniti nella CATT (Confederaciòn Argentina de Trabajadores del Transporte) premono per l’avvio di negoziazioni tra la maggioranza e l’opposizione.

UNESCO: 4 nuovi siti latinoamericani nel patrimonio dell’umanità

Nuovi riconoscimenti per i tesori architettonici e naturali di Antigua, Argentina, Brasile e Messico

Di Viola Serena Stefanello Sono saliti a un totale di 1052 i siti inseriti nella lista del patrimonio dell’umanità dell’UNESCO: la 40° sessione dell’Assemblea ONU, infatti, ne ha aggiunti 21 alla World Heritage List.

semplice: grazie a un’armoniosa fusione di architettura, design paesaggistico, scultura e pittura, riflette l’influenza delle tradizioni locali e l’importanza del clima brasiliano sulla vita umana, unendoli ai principi dell’architettura moderna.

BRASILE 19 dicembre. Rinviato a giudi- Se sono stati i Paesi di Medio zio per la quarta volta l’ex pre- Oriente e Asia i protagonisti sidente brasiliano Luiz Inacio di quest’ampliamento, anche Lula da Silva, insieme al figlio l’America Latina ha portato Luis Claudio e alla moglie Marisa a casa degli importanti Leticia nell’ambito dell’inchiesta riconoscimenti. ‘Lava Jato’, con l’accusa di corruzione, riciclaggio e associazione L’Argentina condivide con a delinquere. altri 6 Paesi - dalla Francia al Giappone - l’opera dell’architetto

Ad Antigua, nei Caraibi, si trovano poi il porto inglese risalente al XVII secolo e i relativi siti archeologici. Il porto, costruito in pieno periodo coloniale grazie agli sforzi degli schiavi africani trasportati lì dagli inglesi, consiste in una serie di eleganti edifici a scopo navale. Molti di questi si trovano presso la zona portuaria di English Harbour, all’interno del più ampio Parco Nazionale di Nelson’s Dockyard, chiamato così in onore del celebre ammiraglio, che visse ad Antigua.

COLOMBIA 20 dicembre. Rodrigo Londoño “Timoshenko” leader delle FARC, richiede un’udienza a Papa Francesco, per promuovere la riconciliazione e accelerare la diffusione della pace e consenso nel paese.

Prettamente naturalistico è invece il nuovo sito UNESCO messicano: l’Arcipelago di Revillagigedo, nell’Oceano Pacifico. Si tratta di un gruppo di quattro isole remote - San Benedicto, Socorro, Roca Partida e Clariòn - che sono, in realtà, l’unica superficie emersa di una catena montuosa subacquea. Le isole sono l’habitat naturale di tantissime specie animali, dagli uccelli marini a mante, balene, delfini e squali. Un piccolo paradiso naturale che si vuole preservare, così che l’umanità possa continuare a godere della sua bellezza.

16 dicembre. Dibattito tra il presidente Juan Manuel Santos e il senatore Álvaro Uribe sulla possibilità di un nuovo dialogo per apportare modifiche al trattato di pace con le FARC, dopo l’incontro tra Papa Francesco e il Presidente in Vaticano. MESSICO

svizzero Le Corbusier. Le 17 opere scelte sono, secondo l’Assemblea, “la testimonianza dell’invenzione di un nuovo linguaggio architettonico che rompe con il passato”. Si trova in Argentina, a La Plata, la Casa del Dr Curutchet: costruita nel 1948, esemplifica i noti “cinque punti dell’architettura” del famoso architetto.

Anche il nuovo patrimonio dell’umanità brasiliano è un’opera notevole di architettura moderna. Si tratta del “Pampulha Modern Ensemble” di Belo Horizonte, capitale di Minas Gereis. Questo progetto urbano, sorto su un ampio lago artificiale, fu disegnato dall’architetto Oscar Niemeyer in collaborazione con diversi artisti locali. Il motivo per cui l’Ensemble viene considerato tanto importante è piuttosto

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SUD AMERICA CAOS IN VENEZUELA

Il ritiro delle banconote da 100 bolívarha portato il Paese all’esasperazione

21 dicembre. Sei esplosioni a Tultepec, a 50 km da Città del Messico, distruggono un mercato di fuochi d’artificio, provocando 36 morti e 72 feriti. La città è nota in tutto il paese come la “Mecca della pirotecnia”: circa l’80 % degli abitanti, infatti, sono impiegati nella tradizionale produzione di petardi. 19 dicembre. Il Senato dichiara la volontà di creare un “blocco” in difesa dei diritti dei migranti, contro i piani di espulsione di Donald Trump, che prevedono 3 milioni di latinos rimpatriati in Messico. Il presidente Enrique Peña propone un programma di sostegno e aiuti ai migranti messicani, con l’obiettivo di assicurare sicurezza sociale, posti di lavoro temporanei e integrazione dei cittadini. VENEZUELA 20 dicembre. Accordo tra il presidente Maduro e il presidente colombiano Santos sulla riapertura graduale della frontiera al confine tra Venezuela e Colombia, chiusa dal 12 dicembre. 18 dicembre. Dichiarazione del presidente Maduro di prorogare fino al 2 gennaio l’uso della banconota da 100 bolivar, non essendo ancora stata sostituita da quella da 500 bolivar. La misura, finalizzata a contenere l’inflazione dilagante, ha scatenato dimostrazioni e saccheggi, in particolare nello Stato di Tachira e lungo il confine colombiano,in mancanza di liquidità. A cura di Giulia Botta 16 • MSOI the Post

Di Elisa Zamuner L’11 dicembre il presidente venezuelano Nicolás Maduro, durante un programma televisivo, ha firmato in diretta un decreto d’urgenza per ritirare dalla circolazione le banconote da 100 bolívar, quelle di taglio più grande, equivalenti a circa 0,15 dollari e attualmente le più diffuse in Venezuela. Il Presidente ha dato ai propri cittadini 72 ore di tempo per cambiare o depositare le banconote al Banco Central de Venezuela. Maduro ha motivato la sua decisione come una manovra necessaria per sconfiggere le mafie internazionali, che, secondo un’indagine interna, possiedono miliardi di bolívar in banconote da 100, usate per fare affari alla frontiera con la Colombia. L’indagine avrebbe inoltre dimostrato come spesso questi grandi capitali di moneta siano accumulati all’estero. È quindi stata ordinata la chiusura della frontiera per evitare che le banconote ritirate tornino in Venezuela. Queste manovre hanno immediatamente portato il Paese al caos. Molti cittadini, infatti, precipitatisi nelle banche, non hanno potuto cambiare le banconote da 100 bolívar con quelle di nuovo taglio promesse dal Presidente.

L’assenzadi denaro liquido ha reso impossibile per tanti persino l’acquisto dei beni di prima necessità e diversi commercianti si sono rifiutati di accettare come pagamento le banconote da 100, nonostante queste fossero ancora sul mercato. Nei giorni successivi si è assistito a vere e proprie rivolte per le strade, spesso accompagnate da saccheggi, che hanno portato all’arresto di circa 300 persone e provocato la morte di 3 persone. La situazione, sempre più insostenibile, ha costretto Maduro a prorogare il ritiro delle banconote per altri 10 giorni, successivamente ridotti a 5, in modo da permettere l’arrivo di quelle nuove. Il Presidente ha denunciato i ritardi nei cambi e ha attribuito a un “sabotaggio internazionale” il fatto che gli aerei con i nuovi biglietti, dei quali il maggiore è di 20mila bolívar, non siano arrivati in tempo, come lui invece aveva promesso. Nonostante ciò, continuano le proteste e molti economisti hanno espresso la loro preoccupazione riguardo alle nuove banconote, le quali, avendo un valore di gran lunga superiore alle precedenti, potrebbero contribuire a far crescere in modo disastroso l’inflazione, attualmente al 475% secondo le stime dell’FMI.


ECONOMIA WikiNomics

LA DEMONETIZZAZIONE INDIANA Una rivoluzione monetaria overnight

IL “GIOCO DELL’OPA” TRA FININVEST E VIVENDI Borse in fiamme per la scalata ostile ad uno dei più grandi gruppi mediatici italiani

Di Efrem Moiso

Di Martina Unali La vicenda. Ad accendere gli animi è la battaglia tra Fininvest e Vincent Bolloré, il finanziere bretone che ha acquistato le azioni delle televisioni attraverso il suo colosso Vivendi. Dopo mesi di stallo sull’accordo strategico per la cessione di Premium, per la quale Vivendi ha fatto dietrofront causando a Mediaset danni ingenti (quantificati nel 30% del valore del gruppo), qualcosa sembra muoversi. Il movente. La società transalpina è repentinamente salita al 20% del capitale di Cologno Monzese e la holding Fininvest ha effettuato un ulteriore innalzamento della sua partecipazione. Scelta mossa dal fatto che i vertici del Biscione, dal canto loro, sostengono che “l’acquisto di azioni Mediaset, non concordato preventivamente con Fininvest, non può essere considerato altro che un’operazione ostile”. Nella diatriba si è schierato anche il Governo, contrario alle procedure attuate per rafforzare la presenza francese in Italia, che garantirà il pieno monitoraggio ed il rispetto delle regole di mercato. Gli sviluppi. Per completare l’Opa, Bolloré dovrebbe acquistare

Vi siete mai chiesti come sarebbe la vostra vita senza banconote di grosso taglio? Non cambierebbe molto, ma provate ad immaginare di monetizzare il vostro conto corrente e avere tutti i vostri risparmi sparsi per casa in denaro contante: impossibile riuscire a gestire tutto senza banconote di valore elevato. Quella prospettata è la situazione in cui vive più dell’80% della popolazione indiana o, meglio, viveva. L’8 novembre, infatti, il primo ministro indiano Modi ha dichiarato che le banconote da 500 e 1000 rupie, i due tagli più elevati, sarebbero state ritirate dalla circolazione e messe fuori corso in pochi giorni e ha invitato, quindi, il popolo indiano a depositare in banca le banconote in questione. La mossa, accompagnata dalle limitazioni poste recentemente sul possesso di oro e gioielli, fa parte di un disegno che dovrebbe portare gli indiani nell’economia formale, essendo legata alla guerra all’evasione e alla corruzione. Tuttavia, chiedere ad un popolo che effettua il 98% delle transazioni in contante, che per metà (circa 600 milioni di persone) non ha mai avuto un conto corrente e per un quarto non possiede nemmeno la carta d’identità, di abbandonare l’86% delle banconote in circolazione

per un valore complessivo di 23 miliardi di rupie, e passare al denaro virtuale dal giorno alla notte significa chiedere un cambio di paradigma straordinario, soprattutto considerato lo scarso livello di eduzione e la corruzione largamente diffusa. Solo la classe medio-alta, infatti, possiede un’educazione degna di essere chiamata tale e solo una piccola parte di essa ha avuto a che fare con pagamenti virtuali, mentre la corruzione rasenta la consuetudine, se si pensa che per ottenere la patente di guida o il passaporto viene richiesta una tangente. Nonostante l’economia stia drammaticamente rallentando, alcuni abbiano perso buona parte dei propri risparmi e altri siano morti nella calca delle code per effettuare i depositi, per quanto possa sembrare singolare, la popolazione non si sta ribellando come ci si aspetterebbe - e come sta, peraltro, accadendo in Venezuela. Questo perché la cultura indù, permeata dalla superstizione, fa sì che non avvenga un processo morale che possa in qualche modo portare alla rivolta, ma, anzi, la sofferenza viene accettata in ottica religiosa. Ci si chiede addirittura se la concezione di denaro si evolverà da carta moneta a moneta digitale, ma ci vorrà tempo per capire se questo esperimento, finora solo teorizzato, avrà successo.

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ECONOMIA anche le Torri e Telecinco: oltre 6.3 miliardi in totale. E per non farsi mancare nulla, si temono possibili scalate future di Mediobanca, Unicredit e Generali. Insomma, un’altra storia Telecom, già nelle mani di Bolloré per il 24,5%. L’azione difensiva della salita al 39% dei diritti di voto serve da espediente contro un’eventuale scalata ostile dei francesi, con l’intento di congelare i diritti di Vivendi e blindare il 50% della società, alla luce del fatto che la finanziaria ha raggiunto il 38,3% di azioni emesse, e non può più arricchire la propria quota senza far scattare il lancio dell’Opa. Le opinioni. Alcuni analisti considerano la mossa di Vivendi destinata ad aumentare l’appeal speculativo di Mediaset, vista la soglia raggiunta da Fininvest, oltre la quale si vedrebbe obbligata all’offerta pubblica di acquisto totalitaria. Altri propendono per un accordo tra Fininvest e Vivendi che scongiuri l’Opa. Mediamente, il valore delle azioni Mediaset nell’ultimo anno è stato di 3.19 euro, livello al quale sarebbe imposta l’Opa, nel caso in cui Vivendi decidesse di superare la soglia del 30% delle azioni di Mediaset. Possibile epilogo. Raggiungendo il 29,9%, e con il supporto di altri investitori in assemblea, Vivendi potrebbe seriamente mettere in discussione il controllo di Fininvest e potrebbe convocare un’assemblea, proponendo una nuova costituzione del Consiglio di amministrazione per Mediaset.

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LO SCANDALO MPS - PARTE IV E adesso che cosa succederà?

Di Edoardo Pignocco L’esito del referendum costituzionale, come ben noto, è stato un grosso no. Ad ogni modo, come da programma, si è dato il via libera all’attuazione del piano di risanamento di MPS. Un bel piano - sulla carta, però. Infatti, la realizzazione si sta confermando sempre più un disastro. Innanzitutto, MPS ha chiesto una dilazione dei tempi di reperimento di capitale, derivante dalla conversione delle obbligazioni subordinate in azioni ordinarie. Richiesta bocciata dalla BCE. Inoltre, fino al 20 dicembre 2016, Monte dei Paschi è riuscita a recuperare un solo miliardo dei cinque previsti: situazione sintomatica di generale sfiducia nei confronti della banca più antica al mondo. Ma non basta. Il fondo sovrano del Qatar aveva vincolato la sua iniezione di liquidità all’esito positivo del referendum: ora, il suo apporto di circa un miliardo di euro non sembra essere più così scontato. E adesso che cosa succederà? Le soluzioni possibili sembrano essere tre: aumento di capitale privato (praticamente impossibile), burden sharing, bail in. Concentriamo l’attenzione sulle soluzioni 2 e 3. Che cos’è il burden sharing? Esso consiste nell’abbassamento del valore nominale delle azioni e delle obbligazioni subordinate e in una successiva ricapitalizzazione di Stato.

La riduzione preventiva ha la funzione di ridurre il peso del salvataggio pubblico sui contribuenti. Questa soluzione era in vigore fino al 2015, essendo stata sostituita dal bail in. perché tutti Ma allora parlano di un aiuto da parte del Governo italiano, dato che il costo del ripianamento dovrebbe ricadere sua azionisti, obbligazionisti senior e junior e correntisti oltre 100 mila euro? La soluzione del burden sharing è possibile perché la Corte di Giustizia Europea ha dichiarato che “in casi eccezionali” ci possono essere deroghe alla regola vigente del bail in. Di conseguenza, la questione è: MPS ha i requisiti per rientrare in questa casistica? Da una parte, sarebbe meglio di no, perché ciò implicherebbe una situazione veramente drammatica. Dall’altra, però, la terza ed ultima possibilità di risanamento risulterebbe molto onerosa nei confronti dei risparmi di 200 mila famiglie, in quanto il valore di azioni e obbligazioni non varrebbe di fatto, più niente. Nonostante questa possibilità di aiuto statale, Angela Merkel non ha fatto mancare il suo disappunto su tale soluzione, considerata anticoncorrenziale. Senza contare che ciò minerebbe enormemente la fiducia dell’Unione bancaria europea. Come si muoveranno i dirigenti MPS e il neo-governo Gentiloni?


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