MSOI thePost Numero 55

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Il Settimanale di M.S.O.I. Torino


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MSOI Torino M.S.O.I. è un’associazione studentesca impegnata a promuovere la diffusione della cultura internazionalistica ed è diffuso a livello nazionale (Gorizia, Milano, Napoli, Roma e Torino). Nato nel 1949, il Movimento rappresenta la sezione giovanile ed universitaria della Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale (S.I.O.I.), persegue fini di formazione, ricerca e informazione nell’ambito dell’organizzazione e del diritto internazionale. M.S.O.I. è membro del World Forum of United Nations Associations Youth (WFUNA Youth), l’organo che rappresenta e coordina i movimenti giovanili delle Nazioni Unite. Ogni anno M.S.O.I. Torino organizza conferenze, tavole rotonde, workshop, seminari e viaggi studio volti a stimolare la discussione e lo scambio di idee nell’ambito della politica internazionale e del diritto. M.S.O.I. Torino costituisce perciò non solo un’opportunità unica per entrare in contatto con un ampio network di esperti, docenti e studenti, ma anche una straordinaria esperienza per condividere interessi e passioni e vivere l’università in maniera più attiva. Elisabetta Botta, Segretario M.S.O.I. Torino

MSOI thePost MSOI thePost, il settimanale online di politica internazionale di M.S.O.I. Torino, si propone come un modulo d’informazione ideato, gestito ed al servizio degli studenti e offrire a chi è appassionato di affari internazionali e scrittura la possibilità di vedere pubblicati i propri articoli. La rivista nasce dalla volontà di creare una redazione appassionata dalla sfida dell’informazione, attenta ai principali temi dell’attualità. Aspiriamo ad avere come lettori coloro che credono che tutti i fatti debbano essere riportati senza filtri, eufemismi o sensazionalismi. La natura super partes del Movimento risulta riconoscibile nel mezzo di informazione che ne è l’espressione: MSOI thePost non è, infatti, un giornale affiliato ad una parte politica, espressione di una lobby o di un gruppo ristretto. Percorrere il solco tracciato da chi persegue un certo costume giornalistico di serietà e rigore, innovandolo con lo stile fresco di redattori giovani ed entusiasti, è la nostra ambizione. Jacopo Folco, Direttore MSOI thePost 2 • MSOI the Post

N u m e r o

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Redazione Direttore Jacopo Folco Vicedirettore Davide Tedesco Caporedattore Alessia Pesce Capi Servizio Rebecca Barresi, Luca Bolzanin, Sarah Sabina Montaldo, Daniele Pennavaria, Leonardo Scanavino, Giulia Tempo, Martina Terraglia, Chiara Zaghi Media e Management Samantha Scarpa Redattori Federica Allasia, Erica Ambroggio, Elena Amici, Daniele Baldo, Lorenzo Bardia, Giulia Bazzano, Lorenzo Bazzano, Andrea Bertazzoni, Giusto Amedeo Boccheni, Luca Bolzanin, Giulia Botta, Maria Francesca Bottura, Adna Camdzic, Matteo Candelari, Claudia Cantone, Giulia Capriotti, Daniele Cavalli, Emanuele Chieppa, Giuliana Cristauro, Lucky Dalena, Alessandro Dalpasso,Francesca Maria De Matteis, Luca De Santis, Sabrina Di Dio,Ilaria Di Donato, Sofia Ercolessi, Simone Esposito, Guglielmo Fasana, Giulia Ficuciello, Alessandro Fornaroli, Lorenzo Gilardetti, Ann-Marlen Hoolt, Michelangelo Inverso, Vladimiro Labate, Giulia Marzinotto, Simone Massarenti, Efrem Moiso, Virginia Orsili, Daniele Pennavaria, Ivana Pesic, Edoardo Pignocco, Sara Ponza, Jessica Prieto, Carolina Quaranta, Giacomo Robasto, Daniele Reano, Jean-Marie Reure, Clarissa Rossetti, Michele Rosso,Daniele Ruffino,Fabio Saksida, Martina Santi, Federico Sarri, Leonardo Scanavino, Martina Scarnato, Samantha Scarpa, Francesca Schellino, Viola Serena Stefanello, Lola Ferrand Stanley, Giulia Tempo, Martina Terraglia, Elisa Todesco, Francesco Tosco, Tiziano Traversa, Fabio Tumminello, Chiara Zaghi, Francesca Maria De Matteis, Martina Unali, Elisa Zamuner. Editing Lorenzo Aprà Copertine Amandine Delclos Vuoi entrare a far parte della redazione? Scrivi una mail a thepost@msoitorino.org!


EUROPA 7 Giorni in 300 Parole

MORE OR LESS EUROPE?

This year’s elections will put the European Union to the test

By Ann-Marlen Hoolt

FRANCIA 28 febbraio. I membri del Parlamento Europeo votano per la rimozione temporanea dell’immunità parlamentare a Marine Le Pen, permettendo alla procura francese di avviare un’indagine contro la leader del Front National per aver diffuso via Twitter - durante un botta e risposta con dei giornalisti nel dicembre 2015 - immagini di omicidi commessi dal gruppo IS. In Francia è infatti proibita la distribuzione di immagini particolarmente violente o incitanti all’odio, per una pena massima che può raggiungere i 75.000 euro di multa, o un anno di detenzione.

IRLANDA 23 febbraio. Il primo ministro irlandese, Enda Kenny, chiede che sia presa in considerazione la possibilità di un’unione futura fra l’Irlanda del Nord e la Repubblica d’Irlanda durante le negoziazioni per l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea. “Dovrebbe essere permesso all’Irlanda del Nord di rientrare nell’UE

The rises of nationalist parties in all of Europe and Brexit have been a hard blow against European ideas and measures. Donald Trump’s win in the American presidential election has provoked cries of triumph from populists and right-wing figures in all European countries. How much support do they actually have in the people? This year’s elections will prove if the far-right stand a chance and set the course for Europe’s future. The Dutch general elections on March 15 will be the kick-off for a chain of elections in European countries. In May, France will vote a new president while Germans are electing a new Chancellery in September. And although the date has not yet been confirmed, Italy will be set for new general elections as well. While Dutch politics may be underestimated in other countries’ shadow, they can be seen as a front-runner for political trends in Europe. Populist parties on both sides of the political spectrum already made it into their government in the early 2000s. This has fragmented the political landscape and made it more complicated to form coalitions. More and more European countries are now facing the same problem. In this month’s elections the Eurosceptic and anti-immigration Dutch Freedom Party (PVV) stand a chance of trying to form

a government? Though it’s not very likely for party leader Geert Wilders to become president, the possibility of a rightwing president in the Netherlands might set repercussions for all of Europe. French opinion polls see chances for the right-wing nationalists and their presidential candidate Marine Le Pen, who calls for France to leave the EU. Other potential presidents are republican Francois Fillon and Emmanuel Macron, candidate for the En Marche! organisation and strong supporters of Europe. French voters can send a strong signal of support for the European Union – or against it. In Germany opinion polls currently show decreasing support for their Eurosceptic party. The general election is to be decided between current Chancellor Angela Merkel for the Christian Democrats and Martin Schulz for the Social Democrats. Schulz had resigned as President of the European Parliament in order to candidate for the German Chancellery. No matter the outcome – the upcoming elections in France, Germany and Holland will shape Europe’s political landscape. They can serve spark or hamper the waves of nationalism in European countries. Either way they are like to have repercussions. Pro-Europe or Nationalism? The election results will show the answer. MSOI the Post • 3


EUROPA nel caso decida di riunirsi con la Repubblica” ha detto Kenny nel corso di una conferenza con Jean-Claude Juncker.

LA MINACCIA OLANDESE: WILDERS IN TESTA AI SONDAGGI L’euroscettico Partito per la Libertà sempre più vicino alla vittoria elettorale

Di Michele Rosso POLONIA 26 febbraio. Il governo polacco annuncia di voler cambiare il processo di selezione della magistratura, con l’obiettivo di renderlo “più democratico”. Secondo il sistema corrente sta al Consiglio Nazionale della Magistratura, un organo autonomo e indipendente dal governo, scegliere chi dei loro membri debba ricoprire le cariche disponibili. Il progetto proposto dal governo invece sostituirebbe tutti i membri del Consiglio Nazionale con giudici scelti dal Parlamento, in una manovra che i critici percepiscono come un’usurpazione dei poteri dell’organo giudiziario da parte dell’esecutivo. Il presidente della Corte Suprema polacca, Małgorzata Gersdorf, prega i propri colleghi di “combattere fino all’ultimo per la giustizia”. REGNO UNITO 2 marzo. Il governo britannico annuncia di voler “prendere provvedimenti” in seguito alla sconfitta della Brexit bill nel voto di mercoledì alla Camera dei Lord, durante cui i parlamentari hanno espresso il loro desiderio per un emendamento che protegga i diritti dei cittadini UE residenti nel Regno Unito nei mesi dopo la Brexit. Ora si cerca di trovare un’intesa. A cura di Elena Amici 4 • MSOI the Post

Il 15 marzo gli olandesi saranno chiamati a eleggere il nuovo Parlamento, inaugurando in tal modo un anno intenso e critico per l’Europa dal punto di vista elettorale. Le prospettive per l’UE in riferimento a questo primo appuntamento non sono certo rosee: il Partito per la Libertà (VVD), guidato dall’euroscettico Geert Wilders, è in testa ai sondaggi con circa il 23% dei consensi. La formazione di un esecutivo da lui guidato rimane un’ipotesi improbabile, poiché nessuno dei partiti concorrenti si dimostra intenzionato a formare un governo di coalizione con il VVD. Tuttavia, questo movimento ha ritrovato pieno vigore negli ultimi anni. Ciò testimonia lo scontento di una parte consistente dell’elettorato olandese nei confronti dell’establishment politico attuale. L’uscente esecutivo di coalizione, guidato da Mark Rutte, composto dal partito conservatore Libertà e Democrazia e dal socialdemocratico Partito del Lavoro, si è contraddistinto per le politiche di austerità messe in atto per fronteggiare la crisi economica. Se da un lato esse hanno contribuito a un riassestamento macroeconomico del Paese (rientrato, attraverso interventi di consolidamento fiscale, nei parametri di Maastricht), dall’altro hanno ac-

centuato le fratture nel tessuto sociale. Da qui il successo di un movimento che, al pari del Front National e della Lega Nord (compagni di gruppo al Parlamento Europeo), ha fatto della retorica antieuropeistica uno dei suoi capisaldi. La messa in discussione dello spazio Schengen e l’abbandono della moneta unica sono confluiti, sulla scia della Brexit, nella più radicale ipotesi di uscita dell’Olanda dall’Unione europea (Nexit). Il secondo punto nodale in cui si articola il programma del Partito della Libertà è quello della lotta all’immigrazione proveniente dai Paesi di cultura musulmana. Wilders sostiene apertamente le politiche promosse da Donald Trump in tal senso e si è più volte scagliato contro una possibile “islamizzazione” dell’Europa. Diverse esternazioni, all’inizio della sua campagna, circa la necessità di ripulire il Paese dalla “feccia marocchina” gli sono valse una condanna per incitazione alla discriminazione, ma hanno calamitato l’interesse di quella parte della popolazione che paventa una crescente insicurezza e precarietà. Wilders probabilmente non accederà al governo, ma la sua vittoria rischia di legittimare ulteriormente le formazioni xenofobe che concorrono nelle competizioni elettorali di diversi altri Paesi europei.


NORD AMERICA 7 Giorni in 300 Parole

DIALOGO TRA GLI OPPOSTI

L’incontro tra Donald Trump e Justin Trudeau maschera le divergenze tra le due Nazioni.

Di Erica Ambroggio CANADA 1° marzo. Si è tenuto il quarto dibattito tra i candidati alla leadership del Partito Conservatore del Canada. I quattro candidati - che aspirano a sfidare Justin Trudeau alle elezioni del 2019 - si sono trovati d’accordo riguardo alle spese di difesa, alla tassazione sui carbonfossili e alle misure contro l’immigrazione non autorizzata. La tassazione e i metodi per far crescere l’economia rimangono invece al centro di accesi dibattiti. USA 23 febbraio. “Gli Stati Uniti devono ampliare il proprio arsenale nucleare”. A dirlo è stato il presidente Donald Trump in un’intervista rilasciata all’agenzia di stampa Reuters. La volontà dell’amministrazione repubblicana - stando alle parole del capo di Stato - è quella di rimanere “in testa al gruppo” delle potenze nucleari. Nella stessa intervista, Trump ha espresso malumore nei confronti del dispiegamento di un missile russo e dei test nucleari svolti dalla Corea del Nord. 26 febbraio. L’amministrazione Trump perde un altro pezzo. L’uomo d’affari ed ex ufficiale dell’intelligence militare Philip Bilden ha fatto sapere di aver rinunciato alla poltrona di Segretario della Marina. A pesare

Fiato sospeso per un’intera giornata. Lunedì 13 febbraio il primo ministro canadese Justin Trudeau si è recato in visita alla Casa Bianca per la prima volta dopo l’insediamento del nuovo presidente Donald Trump. L’incontro tra i due leader politici ha rappresentato un primo passo per la riconfigurazione dei rapporti tra i due Paesi. Una relazione non proprio scontata, che ha costituito una fonte di preoccupazione per il leader liberale canadese sin dai primi attimi successivi all’elezione del tycoon. Le relazioni economiche tra le due potenze sono state oggetto, durante l’intera giornata, di un lungo dibattito. I due leader, infatti, attendevano da tempo un confronto sull’accordo commerciale che vede le proprie Nazioni protagoniste insieme al vicino Messico: il NAFTA. “Gli scambi con il nostro vicino meridionale sono molto ingiusti, devono cambiare”, ha dichiarato il Presidente dinnanzi a un interlocutore in silente disaccordo. Gli attriti tra il presidente Trump e il Messico hanno posto immediatamente sotto i riflettori la sopravvivenza di tale intesa commerciale, coinvolgendo inevitabilmente il partner canadese. La discussione sull’accordo nordamericano non è stata l’unica

occasione in cui si è presentata un’opportunità di scontro tra i due leader. L’apertura all’accoglienza dei rifugiati ha sempre distinto il Primo Ministro canadese dalle contrapposte posizioni del presidente Trump. Trudeau, durante l’incontro, ha confermato il proseguimento delle politiche di apertura e tolleranza, specificando, tuttavia, di non essere giunto negli Stati Uniti per “dare lezioni”. Una dichiarazione importante, che ha allontanato immediatamente un temuto scontro tra i due leader. Nell’ambito delle possibili intese tra i due Paesi si è inserito, inoltre, l’intervento del Premier canadese ad una tavola rotonda tutta al femminile organizzata da Ivanka Trump e dedicata al ruolo dalla donna nella veste di “business leader”. Durante l’incontro è stata presentata un’iniziativa bilaterale tra le due Nazioni, rivolta a incoraggiare il successo femminile nelle attività imprenditoriali. Nonostante i due protagonisti della giornata siano ideologicamente agli antipodi l’uno rispetto all’altro, l’incontro si è svolto quindi all’insegna dell’intesa e della ricerca di punti di contatto. Donald Trump, tuttavia, potrebbe riservare sorprese per tutti, anche per coloro che stanno tentando di contenere le possibili fratture. MSOI the Post • 5


NORD AMERICA sulla decisione, secondo quanto riportato ai media, i suoi interessi finanziari (fiorenti soprattutto a Honk Kong) e la mancante volontà di abbandonarli.

1° marzo. Donald Trump ha parlato al Congresso a camere riunite. Nel discorso, durato più di un’ora, il Presidente ha esposto le proprie idee per l’amministrazione del Paese: tasse, immigrazione, infrastrutture e sanità i principali temi trattati. Trump ha utilizzato toni più pacati, ottimisti e moderati del solito, inaugurando un’inversione di tendenza riconosciuta da tutti i commentatori.

2 marzo. Il procuratore generale degli Stati Uniti Jeff Sessions, secondo fonti del Dipartimento della Giustizia citate dal Washington Post, avrebbe incontrato l’ambasciatore russo Sergey Kislyak. Nulla di strano, se non fosse che lo stesso Sessions aveva dichiarato, sotto giuramento, di non essere a conoscenza di incontri con esponenti del governo russo. I due meeting risalgono al 2016, in piena campagna elettorale. Sui fatti sta indagando l’FBI.

A cura di Federico Sarri 6 • MSOI the Post

I MEDIA SECONDO TRUMP Il sottile confine tra verità e finzione

Di Sofia Ercolessi

male alla Casa Bianca.

Venerdì 24 febbraio è stato un giorno difficile per già tormentati rapporti fra Donald Trump e la stampa.

Sebbene le idee espresse nelle succitate affermazioni non rappresentino una novità per il Presidente degli Stati Uniti, risulta evidente il loro intensificarsi dopo l’insediamento di Trump alla Casa Bianca. Molti dei voti che lo hanno portato alla guida del Paese più potente del mondo derivano dalla sfiducia di parte degli americani verso tutto ciò che è percepito come parte dell’establishment. Indirizzare questa sfiducia anche verso i media tradizionali può essere quindi una strategia efficace per diminuire il loro potere di “contrappeso” alle decisioni politiche.

Nel suo discorso al Conservative Political Action Conference, la riunione annuale degli attivisti conservatori americani, il Presidente ha ripreso alcune delle proprie controverse dichiarazioni sui media tradizionali. “Voglio che sappiate tutti che stiamo combattendo le false notizie”, ha affermato davanti alla folla, accusando poi la stessa stampa di non aver precisato, nel riportare una sua recente dichiarazione, che solo “i media portatori di false notizie”, e non tutti i media, sarebbero “i nemici del popolo”. Di fatto, nel tweet con il quale ha reso pubblica questa posizione, il Presidente ha però citato espressamente alcuni dei più accreditati media americani, tra cui NY Times, ABC e CNN. Una porzione consistente, quindi, dei professionisti dell’informazione – il 75 %, stando a una sua precedente dichiarazione – è definita senza mezzi termini “molto disonesta” e, addirittura, “feccia”. Nel suo discorso, Trump ha criticato, inoltre, l’uso di fonti anonime come un escamotage per pubblicare storie inventate e, qualche ora dopo, alcune testate ed emittenti sono state escluse da una riunione infor-

Resta però una domanda di fondo: perché il Presidente di un Paese come gli Stati Uniti sente il bisogno di usare questa strategia? I media tradizionali fondano il proprio lavoro soprattutto sulla propria credibilità. Nell’era di internet essi riescono a differenziarsi da altri mezzi di informazione perché considerati più affidabilie capaci di controllare i fatti riportati. Durante la campagna elettorale e l’inizio della presidenza, molti media hanno utilizzato il factchecking per verificare la veridicità delle dichiarazioni di Trump, spesso con esito negativo. Accusarli di propagandare false notizie, perciò, permette di sfumare il confine tra verità e finzione: un confine che però non cessa di esistere.


MEDIO ORIENTE 7 Giorni in 300 Parole AFGHANISTAN

IL CINEMA MEDIORIENTALE CONTRO L’AMMINISTRAZIONE TRUMP Teheran fa sentire la sua voce con un Oscar

1° marzo. In seguito a una serie di attacchi dei taliban a basi militari e commissariati a Kabul hanno perso la vita 16 persone.

Di Lucky Dalena

EGITTO 24 febbraio. Nord-Sinai: 7 vittime del terrorismo di matrice estremista jihadista nell’ultimo mese dopo le minacce del ramo Egiziano di Daesh contro i copti. Secondo fonti egiziane sarebbero oltre 200 le famiglie copte che hanno abbandonato nelle ultime settimane la regione a causa del clima di terrore. IRAQ 27 febbraio. Proseguono le offensive delle forze governative per la riconquista di Mosul iniziate dall’aeroporto e da un’importante base militare controllata da Daesh lo scorso 23 Febbraio. Il Gruppo IS controlla ancora gran parte dell’area, ma l’esercito di Baghdad ha ripreso la parte occidentale della città da cui sono fuggiti quasi 9.000 civili.

«Mi dispiace di non essere con voi questa sera. La mia assenza è un segno di rispetto per i miei concittadini e per i cittadini degli altri sei Paesi vittime della legge disumana che impedisce loro l’entrata negli Stati Uniti. Dividere il mondo tra “noi” e “il nemico” non fa altro che creare paura. Un’illusoria giustificazione per guerre e aggressioni. Queste guerre bloccano la democrazia e i diritti umani in Paesi che sono stati a loro volta vittime di aggressioni. I registi hanno il potere di girare la loro telecamera verso le qualità che gli umani hanno in comune e annullare gli stereotipi delle diverse nazionalità e religioni. Creano empatia tra noi e gli altri. Un’empatia di cui abbiamo bisogno oggi più che mai».

SIRIA 24 febbraio. 60 le vittime di un attentato nell’area di Aleppo est, attualmente sotto il controllo del gruppo militare locale filo-turco.

Il gesto che, qualche giorno fa, ha segnato uno dei momenti più importanti degli Academy Awards di quest’anno è la più scintillante risposta mediorientale al cosiddetto muslim ban. Asghar Farhadi, regista dell’iraniano “Forushande - Il Cliente”, che ha vinto l’Oscar come miglior film straniero, non si è presentato alla cerimonia in segno di protesta.

1° marzo. Consiglio di Sicurezza ONU di Ginevra: Russia e Cina pongono il

Farhadi, seppur avesse ottenuto un’esenzione dal ban emanato a fine gennaio, è rimasto a

Teheran e ha inviato come portavoce due illustri cittadini iraniani: Anousheh Ansari, donna e prima iraniana astronauta, e Firouz Naderi, un ex direttore della NASA. “Se ci si allontana dalla terra e si guarda indietro, non si vedono confini”, risponde Naderi in merito alla scelta di rappresentare Farhadi. La realtà è che, confini o meno, i popoli del Medio Oriente hanno offerto agli Stati Uniti numerosi talenti nei campi della scienza, della medicina e dell’arte, contribuendo a costituire la multietnica cultura americana. Nei giorni successivi all’ordine esecutivo le proteste si sono diffuse su scala globale, ma il silenzio di molti Paesi del Medio Oriente ha scioccato e deluso. Paesi a maggioranza musulmana come Arabia Saudita, Egitto e Giordania non si sono pronunciati sulla questione. Da alcuni cittadini degli Emirati, come D. K. Tamim, capo della sicurezza di Dubai, sono inoltre arrivati i complimenti per l’iniziativa, che discrimina alcuni Paesi “sottosviluppati”. “I gruppi non produttivi, come iraniani, iracheni e somali non meritano di entrare in America” ha dichiarato Tamim in un tweet. Quanto è segno di improduttività aspirare e vincere un Academy Award? “Chiedetelo a Leonardo Di Caprio”.

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MEDIO ORIENTE veto al provvedimento redatto da Francia, Regno Unito e Stati Uniti riguardante nuove sanzioni nei confronti del governo siriano per l’uso di armi chimiche che secondo l’inchiesta ONU vedrebbe coinvolti 11 cittadini e 10 enti. È la 7^ volta che la Russia oppone il veto a favore della Siria.

“STIAMO ARRIVANDO, NINIVE”

Comincia la seconda fase della battaglia per liberare Mosul ovest

Di Martina Scarnato

1° marzo. L’Osservatorio Siriano per i diritti umani ha annunciato che le forze governative hanno conquistato parzialmente la zona occidentale di Palmira. L’esercito siriano con le truppe alleate si sta organizzando per la conquista dell’intera città. TURCHIA 21 febbraio. Nuovi arresti e inizio dei processi per giudici e militari coinvolti nel tentato golpe dello scorso Luglio. Salgono così a 41.000 gli arresti comprendenti anche oppositori politici, insegnanti e giornalisti che secondo i vertici del governo sarebbero legati a Fetullah Gülen, ritenuto orchestratore del fallito colpo di Stato.

28 febbraio. Arrestato a Istanbul Deniz Yücel, corrispondente per il quotidiano tedesco Die Welt. Fermato lo scorso 14 febbraio, il giornalista dal doppio passaporto tedesco-turco dovrà rispondere dell’accusa di propaganda terroristica per un articolo redatto grazie a mail hackerate in cui è coinvolto il presidente Erdogan. A cura di Lorenzo Gilardetti 8 • MSOI the Post

Dopo aver ripreso la parte orientale della città, il 19 febbraio la coalizione guidata dall’esercito iracheno ha lanciato l’operazione per liberare la parte occidentale di Mosul. Il 24 febbraio le forze speciali irachene sono entrate per la prima volta nei distretti occidentali. Il 26 febbraio è arrivata la conferma del fatto che queste ultime avrebbero preso il pieno controllo della zona di Tayyaran, mentre il 27 le forze lealiste hanno occupato il quartiere di Haj al-Jawsaq. La campagna “Stiamo arrivando, Ninive” era cominciata il 17 ottobre scorso e vedeva schierato l’esercito iracheno insieme ad un contingente di “circa 30.000 soldati, suddivisi tra le forze speciali dell’esercito iracheno, Peshmerga curdi, le forze al Quds iraniane, le milizie sciite, supportate dai raids americani” (secondo quando riporta agi.it). Secondo la BBC, questa potrebbe essere una delle battaglie più dure da affrontare per Baghdad: la città ha un elevato valore simbolico per Daesh, in quanto sede dell’autoproclamazione del califfo Abu Al-Baghdadi nel giugno del 2014. Recentemente, l’ONU ha nuovamente lanciato l’allarme riguardo una possibile crisi umanitaria: dall’inizio dell’of-

fensiva, circa 217.000 civili sono fuggiti, ma solo l’operazione per riprendere la parte ovest della città comporterà un assedio che ne metterà in fuga circa altri 400.000. Alcuni sono già riusciti ad andarsene, costretti tuttavia a pagare 2.000 dollari per farlo. L’UNHCR ha annunciato che Mosul est sarebbe pronta ad accogliere almeno 60.000 persone. Infatti, sarebbero già stati allestiti in 9 città diversi campi di emergenza dotati di tende per accogliere le persone in fuga. Reuters racconta di diversi rifugiati che vi arrivano “esausti e disidratati”, dopo essere stati obbligati a dormire per giorni nel deserto. Inoltre, i vertici militari iracheni temono che l’assedio alla parte ovest possa rivelarsi più difficile di quello alla parte orientale, a causa dell’impossibilità, per i mezzi blindati, di passare tra gli stretti vicoli della città vecchia. Intanto, le provviste per gli abitanti stanno diminuendo sempre più, il 60% della popolazione non ha accesso all’acqua potabile e metà dei negozi ormai è stata costretta a chiudere. “Non c’era niente da comprare. Hai i soldi, ma cosa puoi farci, mangiarteli?” avrebbe detto un uomo scappato dalla parte occidentale all’agenzia Reuters. Potrebbe, dunque, essere necessaria la costruzione di un corridoio umanitario.


RUSSIA E BALCANI 7 Giorni in 300 Parole

OMICIDIO NEMTSOV, ALLA RICERCA DELLA VERITÀ 2 ANNI DOPO A Mosca manifestazioni per l’anniversario dell’assassinio dell’oppositore di Putin

Di Ilaria Di Donato BOSNIA ERZEGOVINA 23 febbraio. La delegazione dei legali bosniaci guidata da Sakib Softic ha consegnato alla Corte Internazionale di Giustizia (ICJ) all’Aja la richiesta di revisione della sentenza del 2007 contro la Serbia, denunciata da Sarajevo per aver partecipato al genocidio in Bosnia durante la guerra (1992-95). Iniziativa del membro musulmano della presidenza tripartita bosniaca, Bakir Izetbegovic, che ha portato allo scoppio di un’intensa crisi politica nel Paese. 28 febbraio. L’organismo anti razzismo del Consiglio d’Europa, nel suo terzo rapporto sul Paese balcanico, denuncia la segregazione etnica nelle scuole e sollecita l’introduzione di un sistema educativo integrato. CROAZIA 26 febbraio. Un corteo composto da una cinquantina di neonazisti croati ha sfilato per le vie di Zagabria. Accanto ai simboli del movimento filonazista croato degli ustascia, sventolava la bandiera americana, simbolo del loro appoggio a Donald Trump. MACEDONIA 1° marzo. Il presidente macedone Gjorgje Ivanov si è rifiutato di conferire il mandato di formare il nuovo governo al leader dell’opposizione socialdemocratica Zoran Zaev. La decisione arriva dopo che migliaia di mace-

Era quasi la mezzanotte del 27 febbraio 2015 quando Boris Nemtsov, ex vice premier e noto per la sua fiera critica alla politica di Putin, venne trovato morto nel cuore di Mosca, mentre passeggiava con la sua fidanzata. Gli avvenimenti dei giorni precedenti il suo assassinio sembravano preannunciare la sua morte: il 10 febbraio di quello stesso anno, Nemtsov aveva confessato in un’intervista di temere per la propria incolumità. Le sue paure erano attribuibili in gran parte all’attività di denuncia che dirigeva nei confronti della politica di Putin, ponendo l’accento sull’illegittimità dell’annessione della Crimea e sugli imbrogli (se ti riferisci al referendum di annessione alle federazione russa parlerei di “brogli”) dell’amministrazione del Cremlino. Le indagini sull’omicidio vennero affidate al Comitato Investigativo Russo, a seguito delle dichiarazioni dello steso Putin che, dopo aver classificato come “mostruoso” l’evento, aveva pubblicamente annunciato che avrebbe fatto il possibile per rintracciare e punire gli autori di quel terribile delitto. Le voci susseguitesi in campo internazionale all’epoca dei fatti sono state contrastanti, divise

tra chi rintracciava i mandanti nei suoi avversari politici e chi, invece, incolpava i servizi segreti stranieri o il terrorismo jihadista. Secondo il Cremlino, il fine dell’omicidio sarebbe stato quello di destabilizzare la politica russa. Di discorde avviso i media occidentali, secondo i quali l’omicidio sarebbe di stampo politico, frutto del clima di intolleranza che si è diffuso in Russia negli ultimi anni. Ad oggi 5 ceceni sono stati arrestati con l’accusa di essere gli esecutori materiali dell’omicidio. Secondo la ricostruzione ufficiale, l’organizzatore dell’assassinio è Ruslan Mukhutdinov, fedele al servizio delle forze speciali Sever e dunque al leader ceceno Kadyrov. I legali di Nemtsov hanno chiesto di interrogare Kadyrov, richiesta respinta dai giudici nonostante il leader della Cecenia abbia continuato a intimidire in vario modo altri esponenti di spicco e collaboratori dell’opposizione russa. Il risultato è che il movente e il vero responsabile dell’omicidio non sono ancora stati chiariti. Tuttavia, non si è placato il desiderio di giustizia di migliaia di russi, che, in occasione dell’anniversario dalla morte del giovane oppositore, hanno manifestato per le strade della capitale per dimostrare il proprio sostegno alle idee di Nemtsov e alle sue battaglie. MSOI the Post • 9


RUSSIA E BALCANI doni sono scesi in piazza per protestare contro la volontà espressa da Zaev di rendere l’albanese la seconda lingua ufficiale del Paese.

RUSSIA 26 febbraio. Organizzato corteo a Mosca per ricordare il leader dell’opposizione ed ex vicepremier Boris Nemtsov, ucciso da un colpo di pistola nel febbraio 2015 vicino al Cremlino. 26 febbraio. Rilasciato l’oppositore Ildar Dadin, condannato a due anni e mezzo di carcere per aver manifestato violando nel 2015 la “legge anti-proteste”. Il dissidente ha annunciato di essere stato torturato in prigione. UCRAINA 28 febbraio. I separatisti filorussi dell’Ucraina orientale chiedono al governo di Kiev di porre fine al blocco ferroviario, già nella sua quinta settimana, che ha arrestato le forniture di carbone dal Donbass al resto del Paese. I ribelli hanno minacciato l’introduzione di un sistema di controllo su tutte le compagnie ucraine operanti in Donetsk e Luhansk. 2 marzo. Organizzato corteo a Kiev per protestare contro la presenza di banche russe in Ucraina. I manifestanti, per lo più membri dei Corpi nazionali, hanno lasciato davanti all’ingresso della Banca Centrale una finta bara con dentro un pupazzo gonfiabile, a rappresentare la governatrice della Banca Centrale Valeria Gontareva. A cura di Adna Camdzic 10 • MSOI the Post

UN NUOVO CESSATE IL FUOCO IN UCRAINA La ripresa degli scontri e il riconoscimento dei passaporti dei ribelli

Di Vladimiro Labate Il 20 febbraio è entrato in vigore un nuovo cessate il fuoco tra l’Ucraina e i ribelli separatisti filo-russi nella regione del Donbass. L’accordo, annunciato dal ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov, è entrato in vigore il 18 febbraio in seguito ad un incontro tra Ucraina, Russia, Francia e Germania, tenutosi a margine della Conferenza sulla Sicurezza di Monaco. Oltre al cessate il fuoco, le parti hanno ribadito la necessità del ritiro degli armamenti pesanti, previsto dagli accordi di Minsk del febbraio 2015 ma mai effettivamente attuato. La nuova intesa si è resa necessaria per via degli scontri ripresi il 29 gennaio intorno alla città di Avdiivka, nella regione di Donetsk. Entrambi i fronti si sono accusati reciprocamente di aver ricominciato le violenze, le quali hanno danneggiato alcune infrastrutture essenziali, lasciando la città senza elettricità e riscaldamento. I combattimenti, alla fine, hanno provocato circa una trentina di vittime tra civili e militari. Oltre a ciò, ulteriori tensioni ha generato la decisione del presidente russo Putin di riconoscere temporaneamente i passaporti rilasciati dalle sedicenti Repubbliche Popolari di Donetsk e Luhansk. Per

Dmitry Peskov, addetto stampa del Presidente russo, “questo decreto non costituisce alcuna violazione del diritto internazionale o degli accordi di Minsk. […] Il Presidente è stato guidato solamente da considerazioni umanitarie”, dovute al blocco della regione da parte di Kiev. Di tutt’altro avviso, invece, Oleksandr Turchynov, capo del Consiglio di Sicurezza e Difesa Nazionale ucraino, secondo cui “Putin ha legalmente riconosciuto i gruppi terroristici para-statali che coprono l’occupazione russa di parte del Donbass”. Anche Francia e Germania hanno condannato questa decisione: per Steffen Seibert, portavoce del governo tedesco, questo atto “mina l’unità dell’Ucraina ed è una stridente contraddizione agli accordi di Minsk ed è per questo inaccettabile”. Queste tensioni si intrecciano nella tela delle nuove relazioni tra Russia e Stati Uniti. Per le parti in causa, l’atteggiamento di Donald Trump può avere delle importanti ripercussioni sull’andamento del conflitto, sia per quanto riguarda le sanzioni alla Russia e gli aiuti allo Stato ucraino, che potrebbero essere rivisti, sia per l’atteggiamento più conciliatorio che Trump sembra a tratti voler adottare nei confronti di Vladimir Putin.


ORIENTE 7 Giorni in 300 Parole

CINA 1° marzo. Daesh minaccia la Cina in un video. Per la prima volta il sedicente Stato Islamico ha attaccato direttamente Pechino per condannare la repressione della popolazione musulmana degli Uiguri. Pechino non ha espresso opinioni i ufficial riguardo al video e al suo contenuto. COREA DEL NORD 28 febbraio. La Cina ha bloccato le esportazioni di carbone verso Pyongyang; il provvedimento, varato dal Ministero del commercio di Pechino, sarebbe stato preso nell’ordine di facilitare le sanzioni ONU imposte alla Corea del Nord. Icontinui test missilistici e l’uccisione del fratellastro di Kim Jong-un, che la Cina aveva accolto e protetto, potrebbero aver giocato un ruolo fondamentale in questa decisione.

FILIPPINE 1° marzo. Il presidente Rodrigo

PARK GEUN-HYE ANCORA SOTTO ACCUSA Continua il processo in sede costituzionale per decidere dell’impeachment.

Di Giusto Amedeo Boccheni

Lee e altri vertici dell’azienda.

Regolarmente, dagli anni ‘80, i presidenti sud-coreani hanno abbandonato la carica per il coinvolgimento di qualche parente in scandali di corruzione.

Il legame tra la famiglia di Choi e quella di Park è di vecchia data, tanto che il padre di Soon-sil, Choi Tae-min, si era guadagnato, a fianco di Park Chung-hee, il soprannome di Rasputin. All’epoca del naufragio del MV Sewol, che ha causato centinaia di vittime e che ha portato a fondo anche la credibilità del Governo, la Presidente scomparve per 7 ore. Si vociferava che le avesse passate in compagnia del marito di Choi, sacerdote del culto fondato da Tae-min. Ad ottobre, la questione è riemersa, alla luce delle imputazioni presentate dalla Procura Suprema contro Choi Soon-sil.

Per questo motivo, in campagna elettorale, la figlia del dittatore Park Chung-hee aveva coltivato l’immagine della donna sola. Nel 2012 fu eletta con la più alta percentuale di consensi nella storia della Corea del Sud democratica. Come ci è già raccontare, il 9 Parlamento ha l’impeachment di

capitato di dicembre il votato per Park.

Le udienze presso la Corte Costituzionale – lunedì 27 febbraio c’è stata la 17^ – si sono susseguite in parallelo alle indagini dei procuratori speciali su almeno altri 10 personaggi di alto profilo, tra cui esponenti delle maggiori chaebol, conglomerati industriali a conduzione famigliare, come LG, Hyundai o SK, che hanno guidato la scalata economica del Paese dai tempi di Park padre. Con altri, l’ex vicepresidente della Samsung Jay Y. Lee è accusato di aver elargito donazioni per milioni di dollari alle fondazioni Mir e K-Sports, controllate da Choi Soon-sil, in cambio di favori dal Governo. Martedì 28 i procuratori hanno dichiarato di voler incriminare

Park deve rispondere, tra l’altro, di violazione della sovranità popolare e della legge, della libertà di parola e dell’obbligo di proteggere vite, di abuso di potere e di corruzione. Pur reiterando scuse ufficiali per il disturbo alla vita pubblica, il capo di Stato non confessa e si augura di poter tornare presto alla guida del Paese. La Corte, interamente composta da candidati di governi conservatori, ha rimandato a metà marzo la pronuncia definitiva. Per confermare l’impeachment, 6 dei 9 giudici dovrebbero decidere contro Park. Un Presidente della Consulta si è già dimesso per scadenza del mandato e un altro dovrà seguirlo il 13. MSOI the Post • 11


ORIENTE Duterte ha firmato l’accordo di Parigi sul clima. Le Filippine, che non avevano ancora sottoscritto il documento, hanno assicurato un calo del 70% delle emissioni entro il 2030. Il Presidente si è detto soddisfatto chiedendo di accelerare il processo di ratifica al Senato (l’ultimo step da compiere per essere considerati realmente parte del trattato).

THAILANDIA: UN PASSO INDIETRO SUL CARBONE

Il governo ascolta le proteste:sospeso il progetto della centrale a carbone nella provincia di Krabi

Di Virginia Orsili Lo scorso 20 febbraio il governo thailandese ha deciso di sospendere il progetto della centrale energetica a carbone nella provincia di Krabi, nel Sud della Thailandia.

VIETNAM 1° marzo. Per la prima volta nella storia l’Imperatore e l’Imperatrice giapponesi si sono recati in Vietnam per una e visita ufficial . Dopo la seconda guerra mondiale la posizione del Giappone nei riguardi del Vietnam non era chiara. Oggi il Vietnam è uno dei principali partner economici di Tokyo e la visita delle maestà imperiali rientra nell’ordine di consolidare i rapporti di amicizia. La prima visita di un sovrano nipponico in Vietnam sarà probabilmente anche l’ultima dell’Imperatore Akihito che, oramai ultraottantenne, sta pensando di abdicare. A cura di Tiziano Traversa

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Soltanto tre giorni prima, il premier thailandese Prayut Chano-cha aveva annunciato la decisione della Commissione per la Politica e la Pianificazione Energetica di continuare il progetto, nonostante le proteste degli anni precedenti. Il Primo Ministro è tornato più volte a spiegare come la sicurezza energetica garantita dalla costruzione di centrali rappresenti una necessità per la popolazione di questa area, che ha tassi di consumo particolarmente elevati. La quantità di energia che il Sud importa dalle altre regioni corrisponde a 400500 MW, una cifra destinata ad aumentare. Nell’ultimo decennio, infatti, la richiesta energetica nelle province meridionali è salita del 4,7%. Il ministro dell’Energia Anantaporn Kanjanarat ha dichiarato che, senza la centrale, “saranno necessari rigidi provvedimenti volti al risparmio energetico”. Il piano ha però incontrato, fin dal suo annuncio, una forte opposizione. La provincia di Krabi rappre-

senta una zona privilegiata per il settore turistico, oltre a essere l’habitat di diverse specie animali e vegetali. Nel 2013 attivisti e abitanti della regione hanno protestato, sostenendo che in passato una centrale elettrica a carbone, attiva in quella zona fino al 1995, avesse causato malattie respiratorie e tumori. Nel 2014 altre manifestazioni hanno richiamato l’attenzione sul danno ambientale che il progetto comporterebbe. La sede thailandese di Greenpeace afferma che una centrale di tali dimensioni produrrebbe fino a 18 milioni di tonnellate di diossido di carbonio all’anno. Nel luglio 2015 il governo thailandese ha deciso di istituire una giunta per valutare l’impatto del progetto sull’ambiente e sulla salute degli abitanti, prendendo in considerazione l’alternativa di risorse energetiche rinnovabili. Dopo la momentanea ripresa dei lavori, a Bangkokun gruppo di manifestanti ha tentato di introdursi nel palazzo del governo, venendo però fermato dalla polizia. Nel mese di febbraio il governo ha infine accettato di sospendere il progetto, in attesa di un nuovo studio di Health Impact Assessment sugli effetti legati agli agenti inquinanti emessi e all’impatto ambientale della centrale.


AFRICA 7 Giorni in 300 Parole

IL MAROCCO E LA QUESTIONE SAHRAWI Nuove tensioni nel territorio “non autonomo” più grande del mondo

Di Simone Esposito GUINEA 24 febbraio. Dopo aver visitato Ghana e Zambia, il re del Marocco Mohammed VI è arrivato nella capitale Conakry, accolto dal presidente Alpha Condé. Il colloquio tra i due capi di stato, formalmente finalizzato alla conclusione di accordi bilaterali di cooperazione economica, ha avuto anche come obiettivo il graduale reintegro del Marocco nell`Unione Africana.

NIGER 27 febbraio. Si è concluso l’ultimo tour del Sahel del ministro della difesa francese Jean-Yves Le Drian. Dopo essersi accomiatato dalla regione, il cosiddetto “Ministro dell’Africa” ha tenuto a specificare che gli impegni presi dalla Francia in materia di sicurezza sin a partire dall’Operazione Serval del 2013, saranno puntualmente attesi. Annunciato l’invio in Niger di un distaccamento di forze speciali al confine con il Mali. REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO 1 marzo. L’UN Joint Human Rights Office (UNJHRO) ha pubblicato un rapporto che riporta le violazioni

Crescono i timori riguardo a un possibile ritorno al confronto armato nel Sahara Occidentale. Qui durano da ormai quarant’anni le ostilità tra gli indipendentisti del Fronte Polisario, la milizia a capo dell’autoproclamata Repubblica Democratica Araba dei Sahrawi, e il Marocco, che controlla due terzi di quel territorio. La crisi è congelata dal 1991, quando il cessate il fuoco negoziato dall’ONU avrebbe dovuto condurre a un referendum per determinare lo status definitivo della regione. Questo non ha mai avuto luogo, a causa del mancato accordo su chi avesse il diritto di voto. Oggi si teme che una minima schermaglia possa riaccendere il conflitto. Nuovi momenti di tensione si sono registrati quando, lo scorso agosto, il Marocco avrebbe varcato la frontiera di separazione, gesto interpretato come una violazione della tregua. Il Polisario ha reagito collocando forze armate permanenti sulle sponde dell’Atlantico, dove mai si era spinto nel corso del conflitto. Alcuni osservatori si augurano che la recente riammissione del Marocco nell’Unione Africana (UA) possa facilitare la ricerca di una soluzione in seno all’organizzazione. Il protocollo costitutivo dell’UA sostiene infatti come le frontiere dei suoi

membri (RASD compresa) siano inviolabili. Era stato proprio il riconoscimento della RASD e l’ingresso di questa nell’UA a portare al ritiro del Marocco nel 1984. Tuttavia, persiste il timore che il Marocco possa servirsi dell’Unione dall’interno per indebolire la posizione del Polisario, la cui questione è divenuta alquanto divisiva. Il Marocco possiede, inoltre, nuove carte da giocare: è da tempo, infatti, che ‘corteggia’ Paesi africani tradizionalmente a favore del Sahara Occidentale con un’intensificazione delle relazioni commerciali. Ne è un esempio l’impianto d’irrigazione da 3,7 miliardi di dollari costruito in Etiopia. Questi timori trovano fondamento nelle parole di Nasser Bourita, viceministro degli Affari Esteri marocchino, per il quale il regno “aumenterà i propri sforzi affinché la minoranza dei Paesi […] che la riconoscono [la RASD], cambino la propria posizione.” Di contro, il popolo sahrawi “gioca la carta dell’ultimo territorio colonizzato d’Africa”. Sembrerebbe dunque solo questione di tempo prima che si rialzino nuovamente i toni. Non è stata posta alcuna condizione per il rientro del Marocco nell’UA, ma il tema del Sahara Occidentale rimane di fatto un nodo centrale. La maggior parte dei Sahrawi non abbandona la prospettiva del referendum che gli era stato promesso.

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AFRICA dei diritti umani commesse dalle forze armate congolesi durante le proteste dello scorso dicembre. Durante gli scontri i militari si sono macchiati di crimini quali “uso eccessivo e sproporzionato della forza, incluse armi da fuoco contro le zone superiori del corpo”. La commissione ha chiesto alla RDC di investigare su tali violazioni dei diritti umani, di tollerare le proteste pacifiche e di consentire l’invio di osservatori nei centri detentivi del Paese. SOMALIA 1 marzo. Ha prestato giuramento davanti al parlamento il nuovo primo ministro, Hassan Ali Kheire, designato dal neo-eletto presidente Abdullahi Mohamed “Farajo”. Homo novus della politica somala, in precedenza Kheire ha lavorato al Consiglio norvegese per i Rifugiati e come direttore della sede britannica della compagnia petrolifera SomaOilandGas. Ora il suo compito è quello di formare la squadra di governo, nel tentativo dichiarato di sconfiggere la corruzione e di combattere il gruppo jihadista Al-Shabaab. UGANDA 28 febbraio. Secondo un rapporto presentato dal governo, circa 12 milioni di persone sono rischio insicurezza alimentare. Intervenendo assieme a inviati governativi da diverse nazioni europee, ma anche dalla Turchia e dalla Cina, il ministro dell’agricoltura Vincent Sempiija ha annunciato che il Paese sta subendo un’ondata di siccita’ e di scarsita’ di cibo, aggravata dalla presenza di milioni di profughi provenienti dal Sud Sudan; il Ministro ha confermato che dal governo arriveranno aiuti per contrastare tale fenomeno, che ad oggi riguarda un terzo della popolazione ugandese. A cura di Guglielmo Fasana 14 • MSOI the Post

MUGABE: STORIA DI UN LEADER CONTROVERSO Il 93° del capo di Stato più longevo del mondo

Di Fabio Tumminello Gesuita e marxista, vicino al suo popolo quanto ostile ai suoi oppositori, odiato dalla comunità africana e internazionale quanto amato dalla gente: la moglie Grace ha affermato che i suoi sostenitori, se fosse possibile, lo voterebbero anche postmortem. La figura di Robert Mugabe si può descrivere con un lungo elenco di contraddizioni, che lo hanno portato, a 93 anni, a essere al contempo “padre della patria” e spietato dittatore, salvatore degli ultimi e primo responsabile della crisi in cui versa il suo Paese. Dati alla mano, lo Zimbabwe ha conosciuto, nei quasi 40 anni di governo Mugabe, una crisi che lo ha portato a una situazione ormai quasi del tutto irrecuperabile. La nazionalizzazione di molti settori dell’economia non è stata accompagnata da adeguate riforme strutturali. Il risultato attuale è quello di un Paese in cui quasi il 90% della popolazione vive in condizioni precarie o di disoccupazione cronica e con una aspettativa di vita tra le più basse del mondo. A partire dal 2008 la moneta tradizionale, il dollaro dello Zimbabwe, è stata lentamente sostituita dal dollaro americano; questa scelta, che rende il Paese direttamente dipendente dagli

USA, è motivata dall’incredibile inflazione: su preciso ordine dello stesso Presidente (“Se non dovessimo trovare soldi, ebbene: li stamperemo”), vennero stampate e regolarmente utilizzate banconote da 5 miliardi di dollari dello Zimbabwe. Mugabe è fortemente criticato anche dalla comunità internazionale: dichiarato “persona non grata” dagli altri membri del Commonwealth, dagli Stati Uniti e dall’UE, è stato più volte accusato da alcune organizzazioni non governative, come Amnesty International, di promuovere politiche repressive nei confronti di oppositori, donne e minoranze. Nonostante la tendenza autoritaria (la riforma della Costituzione del 2013 ha praticamente azzerato il limite al numero di mandati), la diffusa corruzione e l’accentramento del potere nelle mani del suo partito, il Fronte Patriottico di Unità Nazionale, il popolo continua ad amare e rispettare il suo leader. Lanotiziadellasuaufficialecandidatura alle elezioni del 2018 non ha sorpreso gli esperti, nonostante l’avvicinamento al secolo di età; allo stesso modo, però, i commentatori riconoscono le colpe di Mugabe e auspicano la fine del regime per ridare una speranza alla Nazione.


SUD AMERICA 7 Giorni in 300 Parole

IL BALLOTTAGGIO PER L’ECUADOR Dopo 10 anni di governo Correa, il Paese davanti ad un cambio radicale

Di Daniele Pennavaria CILE 27 febbraio. 4 milioni di persone sono senza acqua a Santiago, in seguito alla chiusura delle condutture da parte delle autorità, a causa dei violenti nubifragi che hanno colpito il Paese contaminando il principale fiume che rifornisce di acqua la capitale.

CUBA 23 febbraio. Le autorità cubane hanno proibito l’ingresso al segretario generale dell’Organizzazione degli Stati Americani (OSA) Almagro, all’ex presidente messicano Calderon e all’ex ministro cileno Aylwin, che dovevano partecipare ad una cerimonia per Oswaldo Payà, dissidente cubano morto nel 2012. I governi di Messico e Cile hanno espresso il loro “rammarico” per la decisione, sottolineando che né Calderon né Aylwin “rappresentano un rischio per il popolo o le autorità cubane”. HONDURAS 28 febbraio. Da rivelazioni del Guardian, emerge, secondo documenti acquisiti dalla giustizia dell’Honduras, il possibile coinvolgimento dell’intelligen-

Il 19 febbraio si sono tenute le presidenziali nel Paese sulla linea dell’Equatore. Tra i candidati in corsa per il posto occupato da Rafael Correa per una decade, hanno raggiunto il secondo turno il candidato dell’opposizione Guillermo Lasso e Lenín Moreno, successore di Correa nel partito Movimiento Alianza PAÍS.

luto ringraziare “tutti quelli che hanno vigilato sull’operato del CNE, difendendo il proprio voto, in cerca della democrazia”. In occasione del lancio della nuova campagna elettorale ha diffuso un messaggio di pace e tranquillità, promettendo di costruire insieme un “Ecuador di tolleranza a rispetto”.

I risultati ufficiali sono arrivati con un discreto ritardo, comunicati dal Consiglio Elettorale Nazionale (CNE). Il clima teso, aggravato dalla pubblicizzazione non immediata dell’esito delle votazioni, ha spinto i sostenitori dell’opposizione alla protesta, durata tre giorni. Il lunedì successivo, davanti alle sedi del CNE di tutte le principali città del Paese, si sono infatti concentrate le manifestazioni per denunciare la possibile manipolazione del risultato. A sostenere queste forme di protesta sono stati soprattutto Jaime Nebot, sindaco di Guayaquil, e lo stesso Lasso, che ha dichiarato che lui e il suo partito vigileranno sulla regolarità degli scrutini.

Anche Correa si è espresso con parole dure contro il CNE, sottolineando che il suo operato, certamente non impeccabile, ha favorito il diffondersi di sospetti nell’opposizione. Il Presidente in carica ha anche dichiarato, una volta confermata la necessità di un secondo turno, che in caso di vittoria di Lasso tornerà alla guida del partito. Sicuro che la vittoria del suo ‘pupillo’ sarebbe arrivata al primo scrutinio, aveva, infatti, programmato di trasferirsi in Belgio, Paese natale della moglie. In concomitanza con l’inizio della nuova campagna elettorale ha usato parole dure contro Lasso, criticando il suo precedente ruolo di Presidente della Banca di Guayaquil e accusando la destra di guardare al nord del continente, mettendo in secondo piano la popolazione.

Moreno, invece, sicuro in un primo momento di aver raggiunto la soglia del 40% ed evitato il ballottaggio, ha dovuto rivedere i suoi piani a causa di un margine inferiore al punto percentuale. In risposta a Lasso, egli ha vo-

Tutto è all’improvviso messo in discussione. Il due aprile sembra ancora lontano, ma malgrado il distacco del primo turno, solo queste settimane di campagna potranno darci un’idea dell’esito definitivo.

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SUD AMERICA ce militare USA nella vicenda dell’assassinio di Berta Ceceres, paladina dell’ambiente, vincitrice del premio Goldman per la difesa della natura, uccisa lo scorso anno.

LA CRISI ECONOMICA IN BRASILE COLPISCE IL CARNEVALE

La festa più grande del mondo quest’anno dovrà fare i conti con la grave recessione del Paese.

Di Elisa Zamuner

MESSICO 23 febbraio. Visita del segretario di Stato USA, Rex Tillerson, in Messico, e del responsabile alla Sicurezza Nazionale, John Kelly, proveniente dal Guatemala, per incontrare il presidente Enrique Pena Nieto.

24 febbraio. Donald Trump ha dichiarato, intervenendo nella conferenza annuale del movimento conservatore, la necessità di “azioni forti per la difesa dei confini USA”, con conseguente aumento delle spese militari, aggiungendo “costruiremo il muro col Messico, e lo faremo prima del previsto”. A cura di Giulia Botta

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Il carnevale brasiliano, descritto come la festa mais grande do mundo, quest’anno ha dovuto fare i conti con la durissima crisi economica che non sembra volersi arrestare. La peggior recessione nella storia recente del Paese ha costretto 48 città del Brasile a cancellare i festeggiamenti, anche a causa dell’assenza di sponsor disponibili a farsi carico delle spese per l’allestimento dei carri e per le coreografie. Questa forte crisi economica può essere attribuita a diversi fattori, ma sicuramente hanno avuto un ruolo importante le ingenti spese per finanziare prima i mondiali di calcio e poi le Olimpiadi, che hanno prodotto dei buchi notevoli nel bilancio statale. Rio de Janeiro è stata una delle città più colpite. Il nuovo sindaco prevede un deficit di quasi 1 miliardo di dollari, mentre a livello statale esso sarà di almeno 6 miliardi. A peggiorare ulteriormente le condizioni del Paese si aggiunge un debito di circa 10 miliardi dollari garantiti dal governo federale. Inoltre, la stabilità politica è continuamente minacciata da scandali, come quello del caso Odebrecht, il colosso delle costruzioni delle grandi strutture delle Olimpiadi accusato di corruzione.

La polemica intorno al Carnevale è anche connessa a motivi di sicurezza. Negli ultimi mesi, infatti, si sono susseguite diverse manifestazioni piuttosto turbolente, che hanno aumentato il clima di caos e di insofferenza che ormai regna sovrano in Brasile. Nonostante ciò, alcune delle città più grandi, come Sao Paolo e Rio de Janeiro, hanno deciso di procedere lo stesso con i festeggiamenti, nella speranza che la forte ondata di turisti che ogni anno si reca in Brasile per poter assistere a questo magnifico spettacolo di colori e danze renda fruttuoso l’investimento. In queste città, infatti, il Carnevale rappresenta un momento di respiro per i commercianti locali, anche se quest’anno i profitti previsti sono tra i più bassi di sempre. Così, venerdì 24 febbraio ha avuto inizio la famosa festa al Sambodromo a Rio, che proseguirà fino al 4 marzo. Nonostante un grave incidente durante il primo giorno, il Carnevale sembra aver portato un po’ di spensieratezza e tranquillità nell’animo dei brasiliani. Solo l’assenza di Marcelo Crivella, che dal primo gennaio è il nuovo sindaco della città, sembra avere oscurato l’atmosfera di festa.


ECONOMIA WikiNomics LA PROGRAMMAZIONE NEGOZIATA E I PIANI DI SVILUPPO

FUSIONE PEUGEOT-OPEL? Un possibile campione europeo dell’automobile

La crescita mancata è il fallimento della leadership economica del Belpaese

Di Ivana Pesic

Di Michelangelo Inverso I distretti industriali. Come ormai noto, in Italia, più che in altri Paesi europei, il sistema industriale si distribuisce a “macchia di leopardo”, ma non in maniera casuale. In modo particolare, abbiamo una concentrazione sempre più netta nel cosiddetto nuovo triangolo industriale (Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna) e nei distretti della Terza Italia nel Centro, dove è nato quello che oggi è riconosciuto come il Made in Italy. Le ragioni di queste concentrazioni sono molto varie, ma sono sinteticamente riassumibili nella crescente competizione internazionale, che ha spinto le Pmi ad aggregarsi e collaborare all’interno di determinati luoghi in cui erano presenti condizioni favorevoli, come un’identità collettiva e un radicato know-how. I piani industriali. A causa dell’erosione progressiva del ruolo dello Stato nell’economia innescata dalla globalizzazione, a partire dagli anni ‘90, si sono

Il mondo dei motori è stato scosso da una notizia fornita da Carlos Tavares, numero uno di Peugeot, in occasione della presentazione dei conti 2016. Il gruppo PSA ha preso in considerazione l’acquisizione di Opel, di proprietà dell’americana General Motors. “Opel ha perso 1 miliardo di euro l’anno per 10 anni, e non può andare avanti in eterno. […] La loro situazione - afferma Tavares - è simile a quella che ho trovato qui alla Peugeot quando sono arrivato quattro anni fa. Per questo, grazie alla nostra esperienza di risanamento, crediamo di poterli aiutare”. Tavares delinea come obiettivo a lungo termine la creazione di un campione europeo dell’automobile. Tuttavia, tale operazione potrebbe rappresentare il primo passo verso una futura aggregazione tra la casa francese (unico gruppo europeo ad oggi assente in Nord America) e l’intera GM, trasformando i due produttori in due realtà regionali: GM si ritroverebbe a dover contare prevalentemente sul Nord America, mentre l’Europa diventerebbe predominante per PSA, creando così una base logica molto forte per un matrimonio francostatunitense che darebbe vita a un gruppo automobilistico leader ben bilanciato. Se le trattative dovessero concludersi con un accordo,

per il passaggio di proprietà potrebbero volerci parecchi mesi, data la sensibilità politica del tema: a sette mesi dalle elezioni legislative, il governo tedesco non può disinteressarsi delle sorti di un’impresa come Opel, che impiega circa 20 mila operai oltre Reno. La questione è resa ancor più sensibile dal periodo delicato che sta attraversando l’industria automobilistica tedesca dopo lo scandalo dei motori diesel truccati della Volkswagen e dopo le minacce da parte del presidente Trump contro le importazioni di vetture tedesche negli Stati Uniti. Pur avvertendo che l’operazione è ancora in discussione, il manager francese ha fornito alcuni dettagli su come Peugeot intende muoversi: l’integrazione rispetterà l’identità di Opel. È, infatti, nell’interesse di PSA detenere un marchio tedesco in portafoglio: molti non considerano le marche francesi, preferendo le tedesche, e viceversa; da qui il valore della combinazione tra le due. Sebbene Opel, rispetto ad altri colossi tedeschi quali Volkswagen, BMW e Mercedes, resti molto indietro, detenendo una quota del 6% del mercato automobilistico europeo, mantiene un forte potenziale strategico. È per questo che “insieme - ha aggiunto Tavares - si potrebbe puntare ad un obiettivo di vendita di oltre 5 milioni di veicoli”. MSOI the Post • 17


ECONOMIA tentati vari piani industriali con lo scopo di attivare anche in altre regioni, come nel Mezzogiorno, questi distretti industriali. L’obiettivo era quello di destinare risorse condivise tra enti pubblici e privati che potessero superare la crisi del settore manifatturiero. Tra il 1998 e il 2009, le risorse complessive destinate alla programmazione negoziata sono state pari a circa 10800 milioni di euro, di cui circa la metà assegnate ai patti territoriali, un terzo circa ai contratti di programma e 1900 milioni ai contratti d’area. Tutti questi piani si basavano sul concetto di governance, ovvero un’autoregolazione degli attori territoriali, attraverso cui si potessero attivare quelle risorse rare che rendono un certo sistema locale vincente rispetto ad altri. I risultati. Si constata, tuttavia, che l’esperienza dei patti territoriali, molto costosi in termini di risorse dirette impegnate e di tempo dedicato, abbiano di fatto prodotto risultati che, sul lato delle imprese, avrebbero potuto prodursi ugualmente anche senza intervento pubblico. Questo è avvenuto in quanto l’autoregolazione si è rivelata essere e insufficient a risolvere problemi strutturali, come la dinamica salariale al ribasso, l’assenza del credito e a l’inefficienz dei versamenti dei fondi pubblici alle imprese. Al contrario, sarebbe stata necessaria una leadership politica che avesse guidato questi piani verso prospettive ben chiare, unico soggetto con la forza di imporre politiche di vero sviluppo economico. Ma ciò non è avvenuto e, più che piangere sulla crescita mancata, converrebbe ripensare la politica industriale. 18 • MSOI the Post

LA FRANCIA DI EMMANUEL MACRON TIENE VIVO IL SOGNO DELL’EUROPA UNITA Il candidato indipendente svela un programma economico liberale ed europeo

Di Giacomo Robasto Come hanno testimoniato la Brexit e le elezioni statunitensi, Regno Unito e Stati Uniti sono stati protagonisti indiscussi della scena politica internazionale nel 2016. Il 2017, invece, vede i riflettori puntati sull’Unione Europea e sui suoi membri chiave, dove sono previsti numerosi appuntamenti elettorali: in Germania e in Olanda, ma - prima di tutto - in Francia il prossimo 23 aprile. La rinuncia alla candidatura da parte del presidente uscente, François Hollande, rappresenta un elemento di discontinuità rispetto al passato, motivo per cui la scelta dei cittadini d’oltralpe esprimerà indubbiamente cambiamento per i prossimi 5 anni. Tra i candidati di maggior rilievo, è emerso negli ultimi giorni Emmanuel Macron, che, dopo aver preso parte come Ministro dell’Economia nel governo di Hollande, ha fondato il movimento “En Marche!”, annunciando la corsa all’Eliseo. Secondo i sondaggi, la sua è la proposta più convincente per superare nelle preferenze il Front National di Marine Le Pen, che, sulla scia di Donald Trump, negli USA inneggia a un ritorno al protezionismo seguito dall’uscita dall’Unione europea e dal ritorno a una valuta nazionale. Il suo programma, che egli stesso ha definito “né di destra né di

sinistra”, si fonda su un progetto di crescita ispirato ai Paesi scandinavi, che accosta spesa pubblica e disciplina fiscale, che punta sulla transizione alle energie rinnovabili e sulla mobilità sociale. Il primo punto consiste nello snellimento della macchina pubblica, con un risparmio di circa 60 miliardi di euro entro il 2022. Tale risparmio si tradurrebbe in circa 120 mila esuberi nella PA, la maggior parte dei quali resi possibili dal pensionamento del personale in servizio. Allo stesso tempo, grazie a tali risparmi, circa 50 miliardi saranno investiti in istruzione e ricerca per diminuire la disoccupazione, che Macron intende diminuire dal 10% attuale ad un livello inferiore al 7% circa nei prossimi 7 anni. Con questi numeri, il governo riuscirebbe a mantenere il rapporto tra il debito pubblico e il PIL inferiore alla soglia del 3% imposta dall’Unione Europea, obiettivo che Macron spera di poter raggiungere già quest’anno in caso di elezione. Nel mercato del lavoro, l’aspirante presidente è propenso a concedere alle imprese una maggiore flessibilità nella negoziazione dei salari e degli orari di lavoro dei dipendenti una riduzione delle tasse sulle imprese. Ai francesi l’ultima parola.


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