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Il Settimanale di M.S.O.I. Torino
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MSOI Torino M.S.O.I. è un’associazione studentesca impegnata a promuovere la diffusione della cultura internazionalistica ed è diffuso a livello nazionale (Gorizia, Milano, Napoli, Roma e Torino). Nato nel 1949, il Movimento rappresenta la sezione giovanile ed universitaria della Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale (S.I.O.I.), persegue fini di formazione, ricerca e informazione nell’ambito dell’organizzazione e del diritto internazionale. M.S.O.I. è membro del World Forum of United Nations Associations Youth (WFUNA Youth), l’organo che rappresenta e coordina i movimenti giovanili delle Nazioni Unite. Ogni anno M.S.O.I. Torino organizza conferenze, tavole rotonde, workshop, seminari e viaggi studio volti a stimolare la discussione e lo scambio di idee nell’ambito della politica internazionale e del diritto. M.S.O.I. Torino costituisce perciò non solo un’opportunità unica per entrare in contatto con un ampio network di esperti, docenti e studenti, ma anche una straordinaria esperienza per condividere interessi e passioni e vivere l’università in maniera più attiva. Elisabetta Botta, Segretario M.S.O.I. Torino
MSOI thePost MSOI thePost, il settimanale online di politica internazionale di M.S.O.I. Torino, si propone come un modulo d’informazione ideato, gestito ed al servizio degli studenti e offrire a chi è appassionato di affari internazionali e scrittura la possibilità di vedere pubblicati i propri articoli. La rivista nasce dalla volontà di creare una redazione appassionata dalla sfida dell’informazione, attenta ai principali temi dell’attualità. Aspiriamo ad avere come lettori coloro che credono che tutti i fatti debbano essere riportati senza filtri, eufemismi o sensazionalismi. La natura super partes del Movimento risulta riconoscibile nel mezzo di informazione che ne è l’espressione: MSOI thePost non è, infatti, un giornale affiliato ad una parte politica, espressione di una lobby o di un gruppo ristretto. Percorrere il solco tracciato da chi persegue un certo costume giornalistico di serietà e rigore, innovandolo con lo stile fresco di redattori giovani ed entusiasti, è la nostra ambizione. Jacopo Folco, Direttore MSOI thePost 2 • MSOI the Post
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N u m e r o
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Redazione Direttore Jacopo Folco Vicedirettore Davide Tedesco Caporedattore Alessia Pesce Capi Servizio Rebecca Barresi, Luca Bolzanin, Sarah Sabina Montaldo, Daniele Pennavaria, Leonardo Scanavino, Giulia Tempo, Martina Terraglia, Chiara Zaghi Media e Management Samantha Scarpa Redattori Federica Allasia, Erica Ambroggio, Elena Amici, Daniele Baldo, Lorenzo Bardia, Giulia Bazzano, Lorenzo Bazzano, Andrea Bertazzoni, Giusto Amedeo Boccheni, Luca Bolzanin, Giulia Botta, Maria Francesca Bottura, Adna Camdzic, Matteo Candelari, Claudia Cantone, Giulia Capriotti, Daniele Cavalli, Emanuele Chieppa, Giuliana Cristauro, Lucky Dalena, Alessandro Dalpasso,Francesca Maria De Matteis, Luca De Santis, Sabrina Di Dio,Ilaria Di Donato, Sofia Ercolessi, Simone Esposito, Guglielmo Fasana, Giulia Ficuciello, Alessandro Fornaroli, Lorenzo Gilardetti, Ann-Marlen Hoolt, Michelangelo Inverso, Vladimiro Labate, Giulia Marzinotto, Simone Massarenti, Efrem Moiso, Virginia Orsili, Daniele Pennavaria, Ivana Pesic, Edoardo Pignocco, Sara Ponza, Jessica Prieto, Carolina Quaranta, Giacomo Robasto, Daniele Reano, Jean-Marie Reure, Clarissa Rossetti, Michele Rosso,Daniele Ruffino,Fabio Saksida, Martina Santi, Federico Sarri, Leonardo Scanavino, Martina Scarnato, Samantha Scarpa, Francesca Schellino, Viola Serena Stefanello, Lola Ferrand Stanley, Giulia Tempo, Martina Terraglia, Elisa Todesco, Francesco Tosco, Tiziano Traversa, Fabio Tumminello, Chiara Zaghi, Francesca Maria De Matteis, Martina Unali, Elisa Zamuner. Editing Lorenzo Aprà Copertine Amandine Delclos Vuoi entrare a far parte della redazione? Scrivi una mail a thepost@msoitorino.org!
EUROPA 7 Giorni in 300 Parole
PENELOPE GATE
François Fillon, da accusatore ad accusato
Di Giulia Ficuciello FRANCIA 9 marzo. Per la prima volta i sondaggi per le elezioni presidenziali francesi vedono Emmanuel Macron in testa con il 26%, superando di un punto Marine Le Pen. In caso di ballottaggio, le previsioni darebbero Macron vincente. IRLANDA DEL NORD 4 marzo. Gli unionisti del DUP si confermano primo partito nella Northern Ireland Assembly con il 28,1% dei voti, ma grazie al risultato da record di Sinn Féin (27,9%) la maggioranza dei seggi è controllata da partiti separatisti pper la prima volta nella storia della nazione.
MALTA 8 marzo. Un violenta tempesta ha distrutto la Finestra Azzurra, il famoso arco scavato dal mare dell’isola di Goza. Lo riferisce il Primo Ministro maltese Jospeh Muscat via Twitter, dicendosi “affranto”. OLANDA 6 marzo. I Verdi raggiungono quota 11% nei sondaggi, il quadruplo dalle scorse elezioni. Il leader Jesse Klaver si dice
Il settimanale parigino Le Canard Enchaîné ha svolto un’inchiesta sulla presunta appropriazione indebita di denaro pubblico nell’ambito del cosiddetto Penelope Gate. Lo scandalo, che ha portato all’apertura di un’indagine preliminare, ha coinvolto il candidato dei Républicains François Fillon, sua moglie Penelope e i due figli maggiori della coppia. La redazione del giornale ha infatti scoperto che, durante un periodo compreso tra il 1988 e il 2013, Madame Fillon avrebbe ricoperto il ruolo di assistente parlamentare, prima di suo marito e successivamente del suo sostituto Marc Joulaud, pur senza essere mai stata presente in Assemblée Nationale. Poiché in Francia non esiste alcun divieto di assunzione dei propri famigliari, il problema riguarderebbe il c.d. “emploifictif”. Stando alle indagini, Penelope Fillon avrebbe quindi guadagnato 900.000 euro senza essere mai stata registrata ufficialmente come collaboratrice parlamentare del coniuge: la circostanza potrebbe quindi assumere i confini di un impiego fittizio. Il 24 febbraio la procura ha quindi annunciato l’apertura di un’inchiesta giudiziaria nei confronti dell’ex-premier François Fillon e di sua moglie per reati che vanno dall’appro-
priazione indebita di fondi pubblici e all’abuso di beni sociali fino alla complicità e all’occultamento in questi reati. Per l’appropriazione indebita, il codice penale francese prevede la reclusione fino a 10 anni e il pagamento di un’ammenda di 1 milione di euro. Per il reato di abuso di beni sociali, riguardante le attività svolte da madame Fillon per la rivista “Revue des deux mondes”, la pena è la reclusione fino a 5 anni e un’ammenda di 375.000 euro. Perché si sia condannati, deve essere tuttavia dimostrato che alla remunerazione non è corrisposto un lavoro reale. All’indomani della denuncia da parte del giornale satirico, Fillon si è affrettato a dichiarare la sua innocenza, promettendo le sue dimissioni in caso di apertura delle indagini, ma così non è stato. Nonostante l’apertura delle indagini, infatti, il candidato di destra resta in corsa per l’Eliseo. Se prima Fillon appariva come l’uomo della moralità pubblica e del buon esempio, ora la medaglia si è rovesciata e il 76% dei francesi non crede alla sua difesa. Nel caso in cui si proceda all’incriminazione, l’iter si sovrapporrebbe al voto. Il primo turno si terrà infatti il 23 aprile e il secondo il 7 maggio: ciò potrebbe favorire il candidato centrista Emmanuel Macron. MSOI the Post • 3
EUROPA disponibile a formare una coalizione di sinistra per contrastare l’ascesa del populista Geert Wilders.
QUO VADIS OLANDA?
Scontro all’ultimo voto tra populisti e liberali
Di Daniele Reano
SVEZIA 3 marzo. Il Parlamento si prepara a reintrodurre il servizio militare obbligatorio, disponendo l’invio di questionari di leva a circa 100.000 ragazzi e ragazze nati fra il 1999 e il 2000, di cui circa 4.000 saranno scelti per il servizio militare. A cura di Elena Amici
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Le cancellerie d’Europa guardano con apprensione al 15 marzo, giorno in cui gli olandesi sono chiamati a rinnovare la Tweede Kamer, la Camera bassa del Parlamento. Le possibilità che il Partito della Libertà (PVV), guidato dallo xenofobo e populista Geert Wilders, arrivi a scalzare il Partito Popolare per la Libertà e la Democrazia (VVD) dell’attuale premier Mark Rutte desta preoccupazione. Molti ritengono, infatti, che ciò possa avere un effetto domino su altri Paesi dell’UE, aumentando i consensi dei populisti in Francia e Germania, anch’esse nazioni prossime al voto. Nonostante sia tra i politici di lungo corso del Paese, essendo parlamentare da vent’anni, Wilders viene percepito come una novità da una porzione importante dell’elettorato, che apprezza i toni sprezzanti verso le politiche dell’UE e l’eloquio ferocemente anti-immigrazione della sua campagna. “Il Corano è un libro fascista che incita alla violenza: per questo, come il Mein Kampf di Hitler, deve essere bandito”. Questa è una delle molte dichiarazioni di Wilders che hanno suscitato scalpore. Egli ha addirittura ricevuto minacce di morte ed è quindi stato sottoposto a un programma di protezione da parte delle forze dell’ordine. Il suo partito, il PVV, è privo di
una propria struttura interna, è incentrato sulla figura del suo leader e opera attraverso i social-network, Twitter in primis, più che con sezioni distribuite sul territorio. Sebbene il duello sembri quindi una partita a due, con il PVV e il VVD che si contendono il primo posto, la legge elettorale olandese, un proporzionale puro con una soglia di sbarramento dello 0,67%, ha permesso il proliferare di molti partiti medio-piccoli, dagli animalisti ai pensionati, dal D66 socio-liberale ai cristiano-democratici della CDA, per un totale di 28 formazioni presenti sulla scheda elettorale con un proprio simbolo. Il Pvd’A, il tradizionale partito del centrosinistra, è da tempo in crisi ed è possibile che un crollo ulteriore alle prossime elezioni lo porti sotto la soglia dei 10 seggi, rispetto ai 38 attualmente detenuti. Degna di nota appare invece la crescita di un’altra forza, la Green Left, guidata dal trentenne Jesse Klaver, che continua a guadagnare consensi. Egli spera di quadruplicare il risultato ottenuto nel 2012. Nonostante l’evidente crescita del PVV, lo scenario più probabile rimane una grande coalizione che includa il VVD e il Pvd’A, insieme ad alcune formazioni centriste.
NORD AMERICA 7 Giorni in 300 Parole
STATI UNITI D’AMERICA 5 marzo. Querelle a colpi di tweet tra Trump e Obama. Secondo il 45° Presidente il suo predecessore avrebbe messo, durante la passata campagna presidenziale, sotto controllo tutti i telefoni della Trump Tower a New York. Pronta la risposta da parte dello staff di Obama, Ben Rhodes: “nessun Presidente può ordinare intercettazioni […] se ci sono state sono state ordinate da un procuratore”. Sempre secondo Rhodes, Trump “sarebbe solo un bugiardo”. 7 marzo. Prima scelta che potrebbe definirsi sia distensiva sia bipartisan del Presidente Trump. È stato, infatti, nominato ambasciatore in Russia Jon Huntsman. Nonostante il passato repubblicano (è stato governatore dello Utah in quota GOP e candidato alle primarie del partito nel 2012), la scelta dovrebbe essere condivisibile anche da parte dei democratici: Barack Obama lo volle come suo ambasciatore in Cina. 8 marzo. Si iniziano a vedere i risultati voluti dall’amministrazione a seguito della cosiddetta “cura Trump”. Gli ingressi clandestini sono diminuiti del 40% nel mese di febbraio. “Il calo del numero delle persone catturate evidenzia un cambio nel trend netto. Dal varo degli ordini esecutivi le catture di persone non ammissibili stanno volgendo vero il minimo mensile degli ultimi 5 anni” ha infatti sostenuto il responsabile per la Sicurezza Nazionale John Kelly.
WATERGATE O RUSSIAGATE?
I presunti legami fra Donald Trump e la Russia
Di Lorenzo Bazzano Lo scandalo sui contatti fra la campagna elettorale di Donald Trump e la Russia si è arricchita, negli ultimi giorni, di ulteriori elementi che rischiano di aprire una frattura istituzionale in un Paese già molto diviso dal risultato delle elezioni. Donald Trump ha accusato l’ex presidente degli Stati Uniti Barack Obama di averlo intercettato durante la sua campagna elettorale, facendo mettere sotto controllo i telefoni della Trump Tower. Le intercettazioni, secondo Trump, sarebbero avvenute un mese prima della sua vittoria con lo scopo di favorire Hillary Clinton. Il tycoon ha definito Obama una persona “cattiva e malata” e ha paragonato le presunte intercettazioni allo scandalo Watergate. Puntale la replica di Kevin Lewis, portavoce di Obama, che ha negato le accuse di Trump. Circa 24 ore dopo le accuse lanciate via Twitter, il nuovo Presidente degli Stati Uniti ha chiesto al Congresso di aprire un’indagine su eventuali abusi di potere da parte di Barack Obama durante la campagna elettorale. Secondo i democratici questa
escalation di accuse altro non è che un espediente per distogliere l’attenzione da un’altra questione molto delicata, quella sui rapporti tra i membri della sua amministrazione e la Russia. Quello che sappiamo finora sulla questione che i quotidiani statunitensi hanno ribattezzato Russiagate risale alla campagna elettorale, quando hacker russi hanno attaccato i sistemi informatici del Partito Democratico per screditare Hillary Clinton. Nel gennaio 2017 i giornali statunitensi hanno riportato di un presunto dossier russo che renderebbe il nuovo presidente ricattabile: secondo il dossier Putin ha offerto a Trump accordi commerciali favorevoli in cambio del suo appoggio; il dossier includerebbe anche dettagli compromettenti riguardanti la vita sessuale del tycoon. E ancora, il 2 marzo il Washington Post ha diffuso la notizia che il ministro della Giustizia americano Jeff Sessions ha incontrato Sergey Kyslyak, l’ambasciatore russo a Washington, quando era consigliere di politica estera per la campagna elettorale di Donald Trump.
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NORD AMERICA 8 marzo. A seguito del nuovo scandalo Wikileaks gli Usa sarebbero in procinto di aprire un’indagine penale per scoprire chi ha passato le informazioni al sito di Assange. Secondo la CNN “varie fonti ufficiali avrebbero confermato che FBI e CIA stanno agendo in modo congiunto sulla questione, sospettando inoltre la pista russa”. 9 marzo. A seguito del nuovo Muslim Ban, che entrerà in vigore il prossimo 16 marzo, lo Stato delle Hawaii ha fatto sapere che intenterà una causa contro lo stesso. Il procuratore generale Douglas Chin, nelle motivazioni, oltre a sottolineare come lo Stato non ha mai discriminato nella sua storia e questo suo carattere si riflette nella sua Costituzione. Oltre alle motivazioni ideologiche sussiste il fatto che il 20% della forza lavoro hawaiana proviene ed un altro 20% è nativa dall’estero.
CANADA 4 marzo. Il 28 gennaio scorso il premier canadese Justin Trudeau era stato chiaro nel dire che chiunque fuggisse da guerre e persecuzioni avrebbe trovato nel Canada una terra dove rifugiarsi. Sarebbero già 26.000 i rifugiati che avrebbero deciso di lasciare gli Stati Uniti alla volta del Paese della foglia d’acero. Per poter permettere una piena accoglienza però il Canada dovrebbe sospendere un accordo bilaterale firmato con gli Stati Uniti nel 2004 che ha provocato già alcuni respingimenti dall’inizio dell’anno. A cura di Alessandro Dalpasso 6 • MSOI the Post
CHI È SERGEY KYSLYAK?
Gli incontri tra la squadra di Trump e l’ambasciatore russo a Washington
Di Federico Sarri
naggio del momento.
Ha 66 anni, vive a Washington e si trova al centro dell’interesse mediatico statunitense. Nell’ultimo anno ha incontrato diversi esponenti dell’attuale squadra di governo di Donald Trump e ora tutti parlano di lui. Sergey Ivanovich Kyslyak, l’ambasciatore russo negli Stati Uniti d’America, è al centro del Russia Gate.
Chi è Sergey Kyslyak? Ingegnere di formazione, Kyslyak lavora nel corpo diplomatico russo dal 1981. Da 9 anni, dopo un passato alla NATO e studi sulla cooperazione scientifica e sul disarmo, è l’ambasciatore di Mosca negli Stati Uniti. Prossimo alla pensione, è sulla bocca di tutti i media per i suoi incontri con Ministri e consiglieri del presidente Trump. Le trame dei rapporti tra le due potenze sembrano passare necessariamente da lui.
L’ultimo a finire nell’occhio del ciclone è stato Jeff Sessions, il segretario della Giustizia, per aver incontrato, durante la campagna elettorale presidenziale, l’ambasciatore russo. Nulla di male, se non fosse che, durante l’audizione al Senato, lo stesso Sessions si era detto estraneo a contatti tra esponenti del governo statunitense e di quello di Mosca. Salvo aver già incontrato Kyslyak, nel luglio e nel settembre 2016. A pesare su questi incontri, le presunte interferenze di Mosca sul risultato dell’ultima tornata elettorale e il ruolo istituzionale di Sessions. È lui, infatti, a condurre le indagini dell’FBI in merito al ruolo ricoperto dalla Russia durante le elezioni americane. Una posizione scomoda che, combinata con una bugia, ha spinto i Democratici a chiederne le dimissioni dall’incarico. La vicenda apre diversi interrogativi sul perso-
L’ambasciatore si trova al centro di un intreccio tra diplomazia e poteri governativi che ha avuto un notevole impatto mediatico. Il Washington Post ha fatto luce sugli incontri tra Sessions e Kyslak. Prima di lui, il New York Times ha pubblicato un’inchiesta sui rapporti intercorsi tra l’ambasciatore russo e il genero (e consigliere) di Trump, Jared Kushner. Al centro del dibattito, non più tardi di poche settimane fa, è finito anche il consigliere per la sicurezza Michael Flynn. Il motivo è sempre lo stesso. La squadra di Trump ha incontrato anche ambasciatori di altri Paesi. Ma allora perché mentire sugli incontri con Kyslak? A questo – e ad altri interrogativi – dovrà rispondere l’inquilino della Casa Bianca.
MEDIO ORIENTE 7 Giorni in 300 Parole ARABIA SAUDITA 9 marzo. Il governo americano ha approvato una proposta del Dipartimento di Stato avente per obiettivo la ripresa degli scambi commerciali di armi tra gli Stati Uniti e l’Arabia Saudita, in netto contrasto con la policy dell’amministrazione Obama. Secondo alcuni osservatori, tali armi sarebbero direttamente utilizzate dall’Arabia Saudita contro i civili nel conflitto in Yemen. IRAN 6 Marzo. Yukiya Amano, vertice dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (IAEA), ha riconfermato la volontà del governo statunitense di continuare la cooperazione sul piano nucleare con Teheran, nonostante alcune premesse palesate dal presidente Trump. Tale conferma arriva a seguito della visita a Washington di un funzionario di controllo preposto dall’Agenzia. 8 marzo. Il ministro degli Esteri iraniano Javad Zarif si è recato a Doha visitando il capo di governo qatariota in un’atmosfera di conciliazione tra i due Stati. Lo scorso anno, il Qatar ed altri Paesi del Golfo avevano allontanato i diplomatici iraniani dai loro Paesi, in solidarietà col governo saudita. IRAQ 9 marzo. Il viceministro degli Esteri iracheno Nazar Khairullah ha affermato davanti al Royal United Services Institute britannico che il sedicente Stato Islamico dovrà “essere annientato anche in Siria ed in Africa” attraverso nuovi mezzi e nuove strategie, le quali vengono definite “necessarie”. Il suo discorso è formulato dopo
IL TASSELLO CRISTIANO NEL MOSAICO DELLA COMUNITÀ RIFUGIATA La condizione della minoranza irachena in Giordania
Di Clarissa Rossetti La ritirata americana dall’Iraq, nel 2011, ha lasciato il vuoto politico e un territorio indebolito da divisioni settarie ed etniche. Mentre al sud si concentra la maggioranza sciita della popolazione, il resto del Paese è abitato prevalentemente da curdi e arabi sunniti. Di questo tessuto particolarmente complesso fanno parte anche le minoranze cristiane e yazide, due delle componenti demografiche che maggiormente hanno pagato il prezzo dell’infiltrazione di Daesh. Le persecuzioni spietate hanno costretto i cristiani alla fuga verso i territori curdi, la valle del Ninive e i territori del Monte Sinjar, al confine con la Turchia. La corona giordana si è pronunciata in favore della comunità cristiana irachena, sostenendo la necessità di preservare l’identità dei cristiani in Medioriente. La Giordania infatti ospita, secondo le ultime statistiche degli agenti umanitari nella regione e dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), circa 54.000 iracheni fuggiti dalle persecuzioni e dalla minaccia terroristica nel proprio Paese d’origine. I dati riguardanti in particolare la comunità cristiana rifugiata in Giordania variano da fonte a fonte, ma stime di organizzazio-
ni cattoliche come la Caritas indicano che il numero potrebbe raggiungere le 7.000 unità. La Giordania ha favorito e aderito all’Amman Message, una dichiarazione rilasciata nel 2004 che, oltre a promuovere una corretta immagine dell’Islam nel mondo, sostiene la necessità di un’atmosfera di convivenza tra le diverse fedi. Tuttavia, la condizione dei cristiani iracheni resta comunque difficile: lontani dal Paese da tre anni, non hanno accesso al mercato del lavoro in quanto rifugiati, e il loro status di minoranza religiosa non favorisce l’integrazione nella comunità ospitante. Secondo gli esponenti della chiesa cattolica, in Giordania l’attenzione globale sta calando, principalmente assorbita dalla crisi siriana, e le donazioni seguono la stessa tendenza. Si distinguono tuttavia gli sforzi delle missioni cattoliche italiane nel Paese: tra i progetti volti a promuovere la resilienza delle comunità di rifugiati, uno in particolare coinvolge dieci giovani irachene cristiane ed è noto come Rafedin. Il gruppo, tutto al femminile, è responsabile della creazione di capi d’abbigliamento e accessori ispirati alla tradizione araba, che ha permesso alle giovani donne di coltivare un talento per crearne una stabile fonte di sostentamento.
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MEDIO ORIENTE l’arrivo della notizia della fuga di Al-Baghdadi -“califfo” del gruppo Stato Islamico- dalla città di Mosul, assediata da settimane da parte di truppe para-irachene ed alleati. ISRAELE 5 marzo. Il premier Nethanyahu ha annunciato al proprio gabinetto un incontro programmato con il presidente russo Putin a Mosca. L’obiettivo del meeting è l’attuazione di misure concertate in reazione alla nuova mobilitazione navale ed aerea iraniana nei territori siriani e per ciò che concerne la minaccia di “un’apertura graduale di un fronte nemico sulle alture del Golan”.
TURCHIA 9 marzo. Dopo le recenti tensioni tra la Germania e la Turchia dovute al blocco tedesco della propaganda turca sul referendum di Ankara del 16 aprile, il Cancelliere tedesco Angela Merkel ha intimato al Presidente Erdogan di cessare l’utilizzo di riferimenti nazisti nei propri discorsi rispetto alle policies adottate da Berlino. Ankara ha tuttavia riproposto la comparazione, fomentando un attrito diplomatico già presente tra i due Paesi. A cura di Samantha Scarpa
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LO STATE COMPTROLLER Vs. NETANYAHU Pubblicata la terza parte del report sull’Operation Protective Edge
Di Martina Terraglia Il 28 febbraio lo State Comptroller ha consegnato alla Knesset la terza parte del report stilato sull’Operazione Margine di Protezione (a.k.a. Protective Edge, a.k.a. Strong Cliff). Qualche informazione di background. Nel luglio del 2014, Israele lancia un’offensiva nella striscia di Gaza, a seguito del rapimento e omicidio di 3 teenager israeliani per mano di militanti di Hamas nell’area di Hebron. Le operazioni durano 50 giorni, durante i quali le Nazioni Unite riportano la morte di oltre 2.200 palestinesi e 73 israeliani e numerosi crimini di guerra da entrambe le parti. Senza sorprese, Israele ha rifiutato il rapporto UN, dichiarandolo troppo politicizzato e tacciandolo di parzialità. Lo stesso non potrà essere detto, però, dello State Comptroller, il cui compito è vigilare sulle azioni del governo israeliano in termini di legalità, efficienza ed etica, rispondendo direttamente alla Knesset. Il report sugli eventi dell’estate 2014 è suddiviso in 4 parti, di cui l’ultima sarà pubblicata prossimamente. Nelle sezioni già disponibili vengono analizzate le politiche, le strategie e gli errori commessi dal governo israeliano. Lo State Comptroller ha sottolineato 2 punti di particolare interesse: 1. Per l’attacco a Gaza del 2014 è stato istituito un
Gabinetto, le cui funzioni non sono state mai del tutto chiarite. 2. Netanyahu e l’IDF non hanno mai riportato precise o complete informazioni al Gabinetto, che quindi è stato impossibilitato a svolgere la propria funzione strategica: sprovvisto di adeguate informazioni, il Gabinetto non sarebbe stato in grado di prendere opportune decisioni non solo strategiche, ma anche in merito alla crisi umanitaria generata dal conflitto. Con una reazione simile a quella avuta nei confronti di UN, Netanyahu ha rifiutato i risultati del report, affermando che “mai nella storia di Israele un gabinetto è stato aggiornato meglio”. Va tuttavia sottolineato come le sezioni del report disponibili vadano considerate solo di secondaria importanza: la quarta sezione, infatti, riguarderà il rispetto dei diritti umani e delle leggi internazionali da parte di Israele nel contesto di Gaza 2014. Se lo State Comptroller dovesse confermare quanto già affermato da UN, un ente governativo israeliano denuncerebbe le violazioni commesse da Israele. Al contrario, qualora lo State Comptroller dovesse tacere sui crimini commessi da Israele, l’integrità dell’intero rapporto verrebbe inficiata, mentre l’impunibilità di Israele confermata.
RUSSIA E BALCANI 7 Giorni in 300 Parole GEORGIA 27 febbraio. La liberalizzazione dei visti dei cittadini georgiani è arrivata, ponendo fine alle trattative iniziate nel 2012. Il provvedimento non riguarda tutti i cittadini: potrà circolare liberamente solo chi si sposta per turismo, affari o motivi famigliari. Inoltre, i cittadini georgiani non potranno superare una permanenza all’interno dello spazio Schengen (non UK e Eire) superiore ai 90 giorni. KOSOVO 4 marzo. Federica Mogherini ha richiesto alle forze politiche del Kosovo di mostrarsi compatte e di raggiungere i compromessi necessari per ottenere la liberalizzazione dei visti dei cittadini diretti verso l’area Schengen. L’Alto Rappresentante dell’Unione Europea gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza ha principalmente rivolto il suo invito all’opposizione nazionalista del Kosovo, la quale ha spesso rifiutato di scendere a patti con l’UE e le altre fazioni politiche coinvolte. Il prossimo accordo da raggiungere riguarda la linea di confine con il Montenegro e rappresenta una condizione necessaria per guadagnare credibilità nei confronti di Bruxelles. RUSSIA 5 marzo. Le autorità russe hanno portato a termine un’operazione antiterrorismo contro una cellula dormiente del Daesh in Daghestan. Un miliziano è rimasto ucciso durante l’operazione, mentre altri 3 sono stati arrestati al confine con l’Azerbaigian. Il Daghestan è una delle regioni caucasiche nella quale il Gruppo IS ha raccolto un numero di seguaci particolarmente elevato e, conseguentemente, è anche una
MACEDONIA: CONTINUA LO STALLO POLITICO
Ancora lontano l’accordo per la formazione di un nuovo governo
Di Lorenzo Bardia A tre mesi dal voto, l’accordo ancora non c’è. Così in Macedonia, in seguito alle elezioni anticipate dell’11 dicembre 2016, continua la fase di incertezza politica che, di fatto, ha impedito fino ad ora la formazione di un nuovo governo. La crisi parte dal rifiuto del presidente della Repubblica Gjorgje Ivanov di dare l’incarico di formare un nuovo governo al leader dell’opposizione Zoran Zaev. Egli è accusato di essersi accordato con i partiti della minoranza albanese per approvare, una volta al potere, i punti contenuti nella Piattaforma di Tirana, un documento ritenuto anticostituzionale e pericoloso per la sovranità e l’unità del Paese. Si profila quindi nei prossimi giorni una battaglia tra il leader socialdemocratico Zaev e l’ex premier conservatore Nikola Gruevski, già protagonisti due anni fa di un violento scontro politico per lo scandalo delle intercettazioni. Gruevski, alla testa del partito di ispirazione conservatrice VmroDpmne, è riuscito a ottenere il 51 seggi, sorpassando così i 49 andati ai socialdemocratici di SDSM. Pur vincendo, i conservatori hanno fallito nel tentativo di formazione del governo, a causa del rifiuto di accettare le istanze in chiave autonomistica dei partiti
albanesi (un esempio su tutti, la richiesta di parificazione dell’albanese al macedone come lingua ufficiale). Gruevski ha dunque lanciato la proposta di un ritorno alle urne, così da poter far esprimere gli elettori anche su quella che è stata definita dalle forze conservatrici e dal presidente Ivanov la Piattaforma di Tirana, un programma che sostengono essere stato messo a punto in Albania contro gli interessi della popolazione macedone. Tale proposta è stata però respinta da Zaev. Continuano le manifestazioni a Skopje e nelle altre grandi città della Macedonia contro le richieste in chiave autonomistica della minoranza albanese – circa il 25% della popolazione – e in favore dell’unità del Paese. L’instabilità, al contempo, cresce. Nell’incertezza, l’Unione Europea continua la sua azione di promozione del progetto europeo. Federica Mogherini, alto rappresentante per la Politica Estera e la Sicurezza Comune, parlando agli studenti universitari di Skopje a margine di una visita ufficiale in Macedonia, ha dichiarato: “Le porte dell’Unione Europea sono aperte. Non solo sono aperte, ma vogliamo che voi entriate. So che i cittadini sono pronti, spero che anche la leadership del Paese sia pronta a questo passo”.
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RUSSIA E BALCANI delle aree nella quale il Cremlino ha intensificato la lotta al terrorismo.
9 marzo. Il portavoce del Cremlino Peskov ha dichiarato che la Russia “darà il suo benvenuto a qualsiasi ambasciatore proveniente dagli Stati Uniti, in modo da favorire il dialogo tra le due nazioni”. La dichiarazione di Peskov è arrivata subito dopo la notizia che il governatore dell’Utah Jon Huntsman potrebbe diventare la guida del corpo diplomatico statunitense a Mosca. UCRAINA 6 marzo. Il carbone proveniente dal Donbass non andrà più in Ucraina. Il carbone delle autoproclamate Repubbliche di Donetsk e Lugansk rappresenta attualmente il 35 % del fabbisogno energetico dell’Ucraina. Questa decisione avrà dunque un impatto immediato su Kiev. 8 marzo. Le forze dell’ordine ucraine hanno placato i disordini e arrestato diversi esponenti dell’opposizione mentre cercavano di attaccare un corteo femminista. Il corteo ha richiesto maggiori diritti e sicurezza per le donne. L’International Woman’s Day è nato in Ucraina come una festa politica socialista, per poi ripetersi ogni 8 Marzo. A cura di Giulia Bazzano
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UNA CONTROFIGURA PER BELGRADO Le presidenziali serbe hanno un vincitore annunciato: il capo del governo Vučić
Di Andrea Bertazzoni Le prossime elezioni presidenziali serbe si terranno probabilmente domenica 2 aprile e, qualora nessuno dei candidati riuscisse a ottenere più della metà dei voti, il ballottaggio è previsto per domenica 16. Il favorito a prendere il posto dell’attuale presidente serbo Tomislav Nikolić è senza dubbio Aleksandar Vučić, il primo ministro in carica, che, secondo gli ultimi sondaggi, potrebbe riuscire a essere eletto già alla prima votazione con più del 50% dei voti. Ciononostante, il capo dell’esecutivo ha più volte ripetuto che “il confronto elettorale per le presidenziali in primavera sarà duro e per conoscere il nome del vincitore bisognerà attendere il turno del ballottaggio”. La candidatura di Vučić è stata ufficializzata non senza alcune voci sui retroscena, legati perlopiù alla notizia di metà febbraio secondo la quale era proprio lo stesso Nikolić a voler ripresentare la propria candidatura per la poltrona di Presidente, aprendo così la via alla possibilità di un secondo mandato consecutivo. Tale decisione ha suscitato un certo imbarazzo tra le fila del SNS (Partito Progressista Serbo), a cui appartengono sia Nikolić sia Vučić. Alla fine è stata però confermata l’unica candidatura del Premier serbo, anche alla luce del fatto che
l’attuale Presidente, stando ai sondaggi, non sarebbe riuscito a ottenere più del 36% dei voti al primo turno. I media serbi parlano di “strada spianata” per Vučić, non solo per il consenso che otterrebbe, ma anche per lo scarso rilievo politico dei numerosi avversari, il cui numero ridimensiona notevolmente le possibilità di competere con il favorito. Fra i candidati avversari, quelli più conosciuti sono Vuk Jeremić, ex ministro degli Esteri, che insisterebbe sulla neutralità militare del Paese, Saša Janković, ex commissario parlamentare di Serbia, e Vojislav Šešelj, personaggio controverso assolto dall’accusa di crimini contro l’umanità dal Tribunale Penale per l’ex Jugoslavia dell’Aja e tornato nel Parlamento serbo nel 2016 con il Partito Radicale. Rimangono comunque oscure le motivazioni che hanno spinto Vučić a presentarsi alle elezioni primaverili. La vittoria lo obbligherebbe a lasciare il ruolo di capo dell’esecutivo, posizione molto importante per una Repubblica parlamentare come quella serba, per assumerne uno che sulla carta è poco più che rappresentativo. Secondo alcuni opinionisti, questa scelta sarebbe dettata dalla volontà di affermare il ruolo del Presidente come vero potere politico serbo, a discapito del capo del governo.
ORIENTE 7 Giorni in 300 Parole
HONG KONG, ELEZIONI E INGERENZE
Zhang Dejiang: “La Cina ha diritto di intervenire nelle elezioni di Hong Kong” Di Emanuele Chieppa
AUSTRALIA 9 marzo. Durante una visita dei delegati australiani sull’isola, il ministro degli Esteri Julie Bishop ha firmato con la Papua Nuova Guinea un accordo di mutuo interesse. L’accordo vedrà l’Australia come importante alleato nella preparazione dell’APEC, l’Asia-Pacific Economic Cooperation summit, della prossima estate.
COREA DEL NORD 6 marzo. Nella prima mattinata la Corea del Nord ha effettuato il lancio di quattro missili balistici da una zona militare al confine con la Cina; tre di essi sono caduti entro il limite delle acque territoriali del Giappone, uno di essi a soli 200 km dalla penisola di Noto. È la terza volta che si ripete un episodio simile; il Segretario di gabinetto giapponese Yoshihide Suga ha parlato della vicenda considerandola una vera minaccia per il Paese. 7 marzo. Pyongyang ha emanato un’ordinanza in cui si vieta ai cittadini malaysiani presenti entro i confini nordcoreani di lasciare il Paese; questa decisione segue l’ordine emanato da
Il 26 marzo 2017 a Hong Kong verrà eletto il nuovo Chief Executive, figura al vertice della regione amministrativa speciale. A sceglierlo saranno 1.200 elettori, mentre prima del 2010 erano solo 800. Si tratta di gruppi selezionati tra le élite e composti da privati cittadini. Il nuovo governatore deve possedere la cittadinanza cinese e risiedere a Hong Kong da almeno 20 anni. I candidati sono John Tsang e Carrie Lam Woo, allineati con Pechino, e l’ex giudice non allineato Kwokhing. Storicamente, dal 1997 la sovranità della regione amministrativa di Hong Kong è passata da Westminster alla Repubblica Popolare Cinese. La costituzione del 1982, voluta dal leader Deng Xiaoping, all’articolo 31 disciplina le regioni amministrative speciali, Hong Kong e Macao. Grazie al principio “un solo Paese, due sistemi” tali regioni godono di maggiore autonomia rispetto alle province, alle regioni autonome e alle municipalità che compongono la Repubblica Popolare e in particolare sono dotate di una moneta propria, un sistema legale differente, una propria corte d’appello e politiche di estradizione e immigrazione specifiche. Il controllo della difesa e della diplomazia resta però nelle mani di Pechino. Sono anni, ormai, che Hong
Kong attraversa una stagione di entusiasmo democratico. Il culmine è stato raggiunto nel 2014, durante la famosa “Rivoluzione degli ombrelli”, a seguito del rifiuto da parte dell’Assemblea Nazionale di Pechino – il Parlamento monocamerale – di permettere che entro il 2017 l’elezione del governatore avvenisse a suffragio universale. Ci fu inizialmente un ripensamento e Pechino decise di concedere il suffragio universale, imponendo però i suoi candidati, scelti dall’Assemblea: ciò diede il via alle proteste e agli scontri, che terminarono solo dopo 79 giorni. Da allora, Pechino non intende cedere alle richieste di Hong Kong. In questi giorni si è detto che la Cina vorrebbe interferire nel processo elettivo e la risposta non si è fatta attendere. Il presidente del comitato permanente dell’Assemblea Nazionale, Zhang Dejiang, ha ribadito in un comunicato che “la Cina ha diritto di intervenire nelle elezioni di Hong Kong”, senza nascondere le intenzioni di Pechino. Si hanno, quindi, due spinte in contraddizione: da un lato, un desiderio democratico interno, fomentato dalla stessa durezza di Pechino; dall’altro, un governo centrale che cerca di contenere l’espansionismo democratico, guardando anche alle possibili reazioni dello Xinjiang, del Tibet e soprattutto di Taiwan.
MSOI the Post • 11
ORIENTE Kuala Lumpur nei confronti del delegato nordcoreano di lasciare la Malesia, in una serie di azioni che seguono l’uccisione di Kim Jon-nam, fratello del Kim Jongun. Il provvedimento, seppur temporaneo, è una violazione della Convenzione di Vienna sulle relazioni internazionali, sottoscritta dalla Corea del Nord. Il primo ministro malaysiano Najib Razak ha definito la decisione come “un atto aberrante”.
COREA DEL SUD 8 marzo. A poche ore dal lancio di missili da parte della Corea del Nord nel mar del Giappone, la Casa Bianca ha consegnato e iniziato il dispiegamento di parte del THAAD in territorio sudcoreano, nonostante la Cina si opponga fortemente alla presenza del sistema antimissile. “Non ci sono legami con i recenti avvenimenti, si tratta di accordi presi lo scorso luglio” ha dichiarato un portavoce delle truppe americane in Corea. A cura di Carolina Quaranta
12 • MSOI the Post
DISTENSIONE TRA INDONESIA E AUSTRALIA L’Indonesia ripristina la collaborazione con il vicino meridionale
Di Luca De Santis Indonesia e Australia hanno posto nuove basi per il loro rapporto. Il Primo ministro australiano Malcolm Turnbull ha annunciato che la cooperazione militare tra i due Paesi è stata completamente ripristinata, dopo che l’Indonesia aveva imposto un blocco temporaneo alla fine dell’anno scorso. Nei primi giorni di gennaio si era inoltre verificata la sospensione di alcuni programmi di cooperazione di difesa, per via di materiali informativi ritenuti offensivi da alcuni ufficiali indonesiani che erano a Perth per un corso di formazione. Un comunicato congiunto dei leader Turnbull e Widodo dello scorso 26 febbraio ha invece sottolineato la necessità di continuare a garantire libera navigazione e libero sorvolo sul Mar Cinese Meridionale. Nel comunicato si legge, inoltre, di una dichiarazione congiunta sulla cooperazione marittima che il Primo Ministro australiano ha previsto di sostenere con un “piano d’azione”. Con un riferimento velato all’assertività cinese nell’area, Turnbull ha dichiarato: “Siamo uniti nell’incoraggiare fortemente i Paesi della nostra regione a risolvere le controversie in conformità con il diritto internazionale, che è il fondamento per la stabilità e la prosperità”. Egli ha poi sottolineato i “legami storici profondi” tra le due nazioni
Il premier indonesiano Widodo ha, invece, chiarito come all’Indonesia interessi che l’Australia non dia supporto al movimento separatista nella provincia indonesiana di West Papua. Relazioni robuste possono essere stabilite quando i Paesi vivono nel rispetto reciproco, non interferiscono in politica interna e sviluppano un partenariato vantaggioso per entrambi. I due leader hanno definito il Trattato di Lombok, firmato da Australia e Indonesia nel 2006, come “il fondamento del loro rapporto di sicurezza e difesa”. Il trattato vincola le parti a non intraprendere attività che potrebbero minacciare la reciproca stabilità. Nella loro dichiarazione di domenica, i due leader hanno parlato della necessità di maggiori investimenti e di una stretta cooperazione in materia di sicurezza informatica, contrabbando, criminalità transnazionale e terrorismo, in particolare per la minaccia di foreign fighters di ritorno da Siria e Iraq. I due Premier si sono anche impegnati a realizzare, entro la fine dell’anno, un accordo economico bilaterale. Esso vedrebbe l’Indonesia disposta ad abbassare le tariffe per lo zucchero australiano e ad accettare un incremento dell’import di capi di bestiame, in cambio di concessioni sui propri pesticidi e fertilizzanti.
AFRICA 7 Giorni in 300 Parole ETIOPIA 5 marzo. L’Etiopia scende in guerra per supportare il governo del Gibuti. La richiesta di aiuto parte dal presidente Ismail Omar Guelleh per combattere i ribelli. KENYA 3 marzo. La siccità che sta colpendo il Paese rischia di creare una catastrofe umanitaria. La mancanza di acqua ha causato anche episodi violenti tra la popolazione per la difficoltà di accesso a tale risorsa.
SOMALIA 5 marzo. Emergenza umanitaria nel sud-ovest del Paese. Morte 110 persone in 48 ore per la siccità e la fame. Urgenti le richieste di aiuti umanitari per assistere la popolazione colpita da una carestia che sta mettendo in ginocchio la regione. L’ONU stima che il Paese abbia bisogno di circa 813 milioni di euro per risolvere la crisi.
SUDAN 4 marzo. Il presidente sudanese Omar El Bashir ha annunciato la nomina di un nuovo governo composto da 31 Ministri e svariati Sottosegretari. Ognuno dei 18 Stati federati che compongono ll Sudan avrà un proprio governo.
LA RAINBOW NATION SA ANCHE ODIARE Non accennano a diminuire le proteste contro gli immigrati
Di Fabio Tumminello
da stranieri.
La fine dell’apartheid sembrava aver dichiarato una verità incontrovertibile: dopo quarant’anni di un regime fondato su segregazione razziale, odio, violenza ed isolamento, il Sud Africa era pronto a rappresentare una nuova idea di società, tollerante e multietnica.
Sono numerose le ragioni che stanno dietro a questa spaccatura, alcune delle quali con radici molto profonde nella storia del Paese. Nonostante la volontà della maggior parte della popolazione di superare il proprio doloroso passato, sono ancora numerose le persone che si sentono “tradite” dall’atteggiamento eccessivamente permissivo e conciliativo tenuto dal governo nel periodo immediatamente successivo alla fine della segregazione; molte persone, peraltro, vivono ancora in condizioni di forte esclusione e disagio sociale. A questo, va aggiunto che l’aumento della disoccupazione e delle disuguaglianze ha reso ancora più difficile la situazione per le classi più povere. L’incremento degli ingressi degli immigrati è stato accolto con rabbia da parte di quegli individui che già faticano a trovare un lavoro e una propria posizione nella società.
Ma il progetto di Nelson Mandela di un Paese ispirato dal principio di “unità nella diversità”, in un periodo già non facile per le socialdemocrazie liberali e globalizzate in tutto il mondo, è definitivamente naufragato. Dal 2008, infatti, le principali città del Paese sono attraversate da violente manifestazioni di protesta contro immigrati e stranieri giunti, spesso illegalmente, da Zimbabwe, Mozambico, Congo e Botswana. Solo un anno fa, il Sud Africa fu sul punto di iniziare una guerriglia civile: una serie di aggressioni ai danni di immigrati provocò forti scontri tra i manifestanti, sedati dall’autorità con il dispiegamento dell’esercito. Da quel momento, la società sudafricana si è polarizzata tra due opposte fazioni, che hanno trovato terreno di scontro sul tema dell’accoglienza degli immigrati e della loro inclusione all’interno della società. Nelle scorse settimane si sono accese nuove manifestazioni, con incendi e assalti a negozi gestiti
Questo movimento xenofobo, ben noto nel mondo occidentale, rappresenta una novità in un Paese che è sempre stato orgoglioso della sua tradizione multietnica. Il governo sudafricano è chiamato quindi a risolvere materialmente una situazione non facile: riunire la società, assicurando a tutti pari diritti e possibilità, e sanare le ferite di un intero Paese.
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AFRICA SUD-SUDAN 9 marzo. Il rappresentante delle Nazioni Unite nel Paese accusa la classe politica di favorire i propri interessi a scapito della popolazione, straziata dalla fame e dalla guerra civile.
IL CONSIGLIO DI SICUREZZA IN NIGER L’incontro per sostenere lo sviluppo del Paese e la lotta contro Boko Haram
Di Chiara Zaghi
SUDAFRICA 24 febbraio. Nella città di Pretoria sono scoppiate proteste contro gli immigrati clandestini che hanno portato a violenti scontri con la polizia. Le forze dell’ordine hanno dovuto reprimere centinaia di manifestanti con l’utilizzo di gas lacrimogeni ed idranti. ZIMBAWE 5 aprile. Il governo centrale chiede aiuto alla comunità internazionale a seguito delle inondazioni che hanno distrutto il Paese. Da dicembre ad oggi sono morte 250 persone e sono circa 2.000 gli sfollati che hanno dovuto lasciare le proprie abitazioni. Servono 100 milioni di dollari per ricostruire il Paese, questo è l’appello del governo. A cura di Francesco Tosco
14 • MSOI the Post
Domenica 5 marzo il presidente in carica del Consiglio di Sicurezza ONU, Matthew Rycroft, è arrivato a Niamey, capitale del Niger, per discutere con le istituzioni locali sui progressi e le difficoltà del Paese. Il Niger continua a subire attacchi terroristici da parte del gruppo jihadista Boko Haram, creato nel 2002 a Maiduguri per combattere lo Stato federale. Il gruppo, che nel 2015 ha annunciato l’alleanza con lo Stato Islamico, si è impossessato della zona del Borno ed è arrivato in Nigeria, Niger, Camerun e Ciad. Le istituzioni locali lottano contro i suoi militanti dal 2009, quando vi sono stati i primi arresti; il gruppo ha però attirato l’attenzione della comunità internazionale qualche anno più tardi, con l’attacco alla base ONU ad Abuja, il rapimento di 276 studentesse e l’esplosione di alcune bambine imbottite di esplosivo in due mercati del Paese. È la prima volta che i rappresentati del Consiglio di Sicurezza dell’ONU si recano sul territorio per capire meglio quali misure adottare per la sicurezza e lo sviluppo del Paese. Esso ha già dichiarato più volte, nel corso degli anni, lo stato d’emergenza per far fronte agli attacchi terroristici,
che sembrano non arrestarsi. L’ultimo episodio risale al 7 marzo, quando 5 militari sono stati uccisi da un’esplosione in una gendarmeria. Rycroft, che aveva precedentemente incontrato il presidente del Niger Mahamadou Issoufou, ha dichiarato: “Abbiamo dimostrato il nostro impegno a sostenere ulteriormente il Niger nei suoi notevoli sforzi per ripristinare la sicurezza delle località del bacino del lago Ciad, ma anche per fornire la necessaria protezione e assistenza alle popolazioni colpite dalla crisi”. Il Paese, oltre a essere afflitto dagli attacchi terroristici, è colpito dalla siccità, dalla desertificazione e dalla mancanza di posti di lavoro per i giovani. Oltre che della sicurezza, quindi, durante l’incontro si è discusso della necessità di dare impulso a uno sviluppo sostenibile e inclusivo, che garantisca una società pacifica, la giustizia, la sicurezza, la crescita economica, democratica e istituzionale. Fodé Ndiaye, rappresentante locale del Programma per lo Sviluppo delle Nazioni Unite, ha annunciato che i pochi sopravvissuti dagli attacchi di Boko Haram vivono in povertà e occorre con urgenza prendere dei provvedimenti per migliorare la loro situazione.
SUD AMERICA 7 Giorni in 300 Parole
IL NARCOTRAFFICO NON CONVIENE PIÚ
L’estrazione illegale dell’oro è diventato il business più redditizio in America Latina
Di Anna Filippucci
ARGENTINA 5 marzo. La marcia organizzata dalla Conféderazione Generale del Lavoro (CGT) ha sostenuto il movimento sociale di dottori, insegnanti e universitari che hanno espresso il loro malcontento nei confronti dell’amministrazione del presidente Macrì e delle sue politiche economiche che hanno portato ad un tasso di inflazione del 40%. BARBADOS 9 marzo. La Cina ha finanziato una donazione da 5 milioni di dollari in istruzione. La donazione è stata accettata in data 8 marzo dal ministro dell’Educazione, della Scienza, della Tecnologia e dell’Innovazione Jones. BRASILE 7 marzo. Dopo la divulgazione dei dati relativi al PIL 2016, il presidente della repubblica Michel Temer ha annunciato un pacchetto di provvedimenti anti-crisi. Le misure riguardano 55 progetti infrastrutturali che dovrebbero creare circa 300.000 posti di lavoro. Inoltre, nei giorni scorsi decine di manifestanti hanno protestato contro le misure relative ai tagli del welfare volute da Temer. COLOMBIA 6 marzo. Il sottosegretario di Stato americano con delega al narcotraffico e alla sicurezza Brownfield si è recato nella capitale colombiana accompagna-
Secondo il World drug report pubblicato nel 2015 dall’UNODC (Ufficio delle Nazioni Unite per il Controllo della Droga e la Prevenzione del Crimine) in America Latina i ricavi dei trafficanti di or o estratto illegalmente superano quelli dei cartelli della droga. Inoltre, il rapporto GIATOC (Iniziativa Globale contro il Crimine Organizzato Transnazionale) stima che l’estrazione illegale d’oro costituisca in Colombia e Venezuela il 90 % circa dell’attività di estrazione totale ed in Equador l’80%. Il business è diventato così attraente per le grandi organizzazioni criminali per due motivi principali: la crescita del prezzo dell’oro conseguente all’impennata generale dei prezzi negli ultimi 15 anni e il rischio minore di questo traffico rispetto a quello della droga. L’America Latina è più facilmente soggetta a questo genere di attività illegale rispetto ad altri Paesi con giacimenti aurei per via della insufficiente regolazione del settore, ma anche per la natura degli attori che tradizionalmente si occupano dell’estrazione. Infatti, se negli Stati Uniti e in Canada i principali attori del settore sono le grandi multinazionali, nei Paesi del Sud America questa viene svolta a scala ridotta, soprattutto artigianale. Per le organizzazioni criminali è
dunque semplice infiltrarsi e controllare anche regioni molto estese; per dare un’idea dell’ordine di grandezza del problema basti sapere che nel 2014 si stimava che in Colombia fossero attive circa 17.000 miniere prive di titoli e licenze ambientali. Va inoltre considerato che l’attività di estrazione comporta dei costi elevati in termini sia ambientali sia umani. Si stima infatti che, tra il 2001 ed il 2013, siano stati abbattuti circa 168.000 ettari di foresta amazzonica. La situazione peggiore la si osserva nella regione di Madre de Dios (Perù), dove l’estrazione illegale dell’oro distrugge, ogni giorno, dai 5 ai 10 ettari di foresta pluviale protetta. Un’altra conseguenza delle attività estrattive è la diffusione di un’elevata quantità di Mercurio nell’aria e nelle acque, che comporta un rischio non indifferente per la salute umana. A questo si aggiungono inoltre le condizioni di lavoro estreme, lo sfruttamento sessuale e la tratta delle donne e, infine, il lavoro minorile. E i governi come reagiscono? Finora, gli sforzi fatti per sradicare questo genere di attività criminali non hanno sortito grandi risultati. Alcuni parlano di strategia sbagliata, altri ancora sostengono che in realtà l’attività abbia creato nuovi posti di lavoro in zone periferiche e sia quindi positiva per la popolazione. MSOI the Post • 15
SUD AMERICA to da una delegazione composta da membri della CIA e della DEA per incontrare il governo colombiano e i rappresentanti delle forze armate al fine di ideare una strategia adeguata contro
l’aumento delle coltivazione di coca. Secondo le stime del dipartimento americano, nel 2016 le piantagioni di coca sono aumentate di circo 60 mila ettari.
PERÙ 7 Marzo. Il presidente peruviano Kuczynski, durante un incontro alla Princeton University, ha affermato che l’America latina è un cane dormiente, ma ad eccezione del Venezuela, che risulta essere un problema. Queste dichiarazioni hanno offeso il presidente venezuelano Maduro che ha richiesto delle scuse ufficiali d a Lima. Il ministro degli Esteri Rodriguez ha ribattuto alle dichiarazione peruviane affermando che “l’unico cane scodinzola all’impero statunitense è Kuczynski”. In risposta, Kuzynski ha presentato una notifica di protesta al Direttore Generale americano e ha richiamato l’ambasciatore operativo a Caracas. A cura di Sara Ponza
16 • MSOI the Post
LA GUERRA MEDIATICA IN VENEZUELA La difesa e il ricordo di Chávez come risposta ai nuovi movimenti di destra
Di Daniele Ruffino Come ogni grande leader, anche Hugo Rafael Chávez Frias è stato vittima di calunnie e diffamazioni da parte degli organi di stampa avversi. Essi hanno tentato – a volte con successo, a volte no – di gettare ombra sull’operato politico e sulla statura morale del proprio nemico, mettendolo alla mercé di un’informazione superficiale e banale che ha spesse volte fatto vacillare l’idea condivisa del leader venezuelano. A prendere le difese del fu Presidente è l’agenzia di stampa RT, la quale smentisce la diceria circa le condotte dittatoriali dei governi chavisti, precisando che vi sono stati addirittura 20 turni elettorali dal 1998 al 2014 e che nel 2013 Chávez vinse le elezioni con un’affluenza alle urne superiore all’80% degli aventi diritto. Lo scrittore uruguaiano Eduardo Galeano aveva già fatto notare come, nel 2004, vi fosse una notevole differenza tra ciò che i media raccontavano e ciò che era il Venezuela in realtà. Egli l’aveva anche già scritto nel suo libro Le vene aperte dell’America Latina, pubblicato nel 1971. A tal proposito, TeleSUR ha reso noto che a inizio marzo si
è riunita a Caracas, nella sede del Ministero degli Esteri, la Rete degli Intellettuali in Difesa dell’Umanità. Il fine era discutere – con oltre 90 invitati, tra cui il ministro della Cultura cubano Abel Prieto e James Early, membro dell’Istituto di Studi Politici di Washington DC – le future strategie comunicative e governative da adottare per rompere l’assedio mediatico della stampa mondiale sul Paese. Oltre al convegno della Rete degli Intellettuali, il 5 marzo si è svolto – sempre a Caracas – il XVI Vertice dei Capi di Stato e di Governo dell’ALBA-TCP (Alleanza Bolivariana per le Americhe), il primo dopo la scomparsa dei suoi due più grandi promotori (Chávez e Fidel Castro), per rinnovare il sentimento anti-imperialista che anima la grande alleanza del Sud America. Tema centrale è appunto il ricordo e la difesa della memoria di questi due grandi leader come mezzo per riconfermare e riaccendere la dissidenza politica contro i movimenti di destra, rei di utilizzare la forza mediatica, burocratica e legislativa per soffocare i focolai socialisti che da sempre caratterizzano la politica latinoamericana e che in questo ultimo lustro stanno andando spegnendosi (vedasi Argentina, Brasile e Perù).
ECONOMIA WikiNomics L’ “UNIONE” FA LA FORZA! Il percorso bancario verso un sistema di vigilanza armonizzato
Di Martina Unali È conosciuto dagli addetti ai lavori come SSM. Si tratta del Single Supervisory Mechanism, ossia il Sistema Europeo di Vigilanza Bancaria, nonché pilastro dell’Unione Bancaria, nato a seguito delle virulente crisi bancarie. I suoi obiettivi sono volti ad assicurare la sicurezza e la solidità del Sistema Bancario Europeo, ad accrescere l’integrazione e la stabilità del sistema finanziario e la promozione di un meccanismo di vigilanza unico. Questo compito viene affidato alla BCE, anche se, operativamente, viene coadiuvata dalle singole Banche Centrali Nazionali competenti. Vediamo come avviene la ripartizione dei compiti all’interno di tale meccanismo. La vigilanza. Innanzitutto, sono previsti tre tipi di vigilanza: vigilanza diretta effettuata dalla BCE sulle banche significative - mediante gruppi di vigilanza congiunti - con approccio riskbased; vigilanza indiretta operata dalle Banche Centrali
VOUCHER: RIFORMA DEL LAVORO ACCESSORIO
Il governo tenta di ostacolare il ricorso al referendum abrogativo
Di Francesca Maria De Matteis
naturali.
La necessità di riformare la materia nasce dall’abuso e dalla degenerazione che, negli ultimi anni, hanno caratterizzato l’utilizzo dei voucher. Nati con l’obiettivo di dare la possibilità ai lavoratori occasionali (come baby sitter, professori che impartiscono lezioni private, badanti e giardinieri, ecc.) di essere retribuiti legalmente, di recente sono stati oggetto di un fenomeno di evasione ai danni dello Stato. Lo strumento che si prometteva di tutelare le norme fiscali e previdenziali sembra, dunque, essere diventato il mezzo attraverso il quale aggirarle.
Reintrodurre il concetto di occasionalità, cancellato dall’ex ministro del Lavoro, Enrico Giovannini, che nel 2013 aveva riformato la precedente legge Fornero, sembra dunque fondamentale. La limitazione dell’utilizzo di questo metodo di retribuzione del lavoro accessorio al solo ambito familiare e ai piccoli lavori, però, accende il dibattito sulla possibile esclusione delle micro e nano-imprese.
La proposta di riforma prevede un ritorno ai principi che regolavano tale materia del diritto del lavoro nel 2003 (legge Biagi), quando è stata introdotta. Il tetto massimo di reddito percepibile da ciascun lavoratore con i voucher verrebbe, così, riportato da 7000 a 5000 euro lordi, come prima della riforma del 2015, e le imprese sarebbero nuovamente escluse dall’utilizzo di questi e limitate alla stipula dei contratti. E con loro, anche la pubblica amministrazione - se non per fini solidaristici o in caso di calamità
Ad oggi, sono state molte le modifiche apportate alla disciplina del lavoro accessorio. L’ultima risale ai decreti legislativi del Jobs Act. Il Governo e il Ministero del Lavoro, in questi giorni, si stanno occupando della bozza del provvedimento di revisione della materia del lavoro accessorio, ai fini di salvaguardare l’utilizzo regolare dei voucher ed evitare il referendum popolare. Respingere il referendum abrogativo proposto dalla CGIL, che ha da poco superato il giudizio di ammissibilità della Corte Costituzionale, sembrerebbe, infatti, possibile se l’Esecutivo varasse tale provvedimento con un decreto legge. MSOI the Post • 17
ECONOMIA Nazionali sulle banche meno significative, mediante raccolta di informazioni, supervisione e eventuale intervento da parte della BCE; vigilanza orizzontale inerente alle funzioni trasversali a tutti gli enti vigilati. Le banche significative. Che cosa rende una banca “significativa”? I criteri specifici di determinazione sono stabiliti dal SSM Regulation e dal SSM Framework Regulation. Essi richiedono: un valore complessivo degli attivi oltre i 30 miliardi di euro o eccedente il 20% del PIL nazionale, o comunque non inferiore a 5 miliardi di euro; qualifica come ente creditizio di spicco in uno stato membro; ricezione di assistenza diretta dal meccanismo europeo di stabilità e definite percentuali di surplus nel rapporto tra attività e passività transfrontaliere rispettivamente sul totale delle attività e delle passività. Le valutazioni. In previsione della vigilanza unica, la BCE e le BCN hanno condotto un Comprehensive Assessment, cioè una valutazione approfondita delle banche significative. Tale disciplina è strutturata in tre fasi: Supervisory Risk Assessment, ossia un’analisi del rischio intrinseco; l’Asset Quality Review, riconducibile a una valutazione dettagliata del bilancio bancario finalizzata a valutare l’adeguatezza degli attivi e gli Stress Test, che forniscono un giudizio prospettico delle capacità delle banche di assorbire gli shock. Alla luce di ciò, alcuni interrogativi sorgono spontanei: quanto tempo richiederà l’applicazione effettiva della disciplina, affinché tutto il sistema sia armonizzato? Ci riprenderemo mai dagli effetti delle crisi? Ma, soprattutto, perché non pensarci prima? 18 • MSOI the Post
È GIUNTA L’ORA: LA FED ALZA I TASSI D’INTERESSE
E il mercato obbligazionario sta già colando a picchio
Di Edoardo Pignocco Ora è ufficiale (o quasi). Dopo aver innalzato nel dicembre 2016 i tassi dallo 0,50% allo 0,75%, la Federal Reserve tiene fede al suo programma di rialzi graduali. Parola del numero uno Janet Yellen: “Se non ci saranno impreviste incognite in agguato nell’economia, fra neppure due settimane la Federal Reserve ha tutte le intenzioni di procedere senza indugi a un nuovo rialzo dei tassi d’interesse americani”. Di conseguenza, con una probabilità stimata del 94%, il 15 marzo 2017 si dovrebbe assistere ad un aumento dei tassi d’interesse dallo 0,75% al 1%. Considerazione, questa, non da poco, perché ancora a metà febbraio le statistiche indicavano una percentuale di attuazione del solo 35%.
depressione economica legata al post-Lehman. Certo, la situazione non è ancora idilliaca, ma si sta assistendo ad un’oggettiva crescita graduale, a differenza dell’Europa, la quale, invece, è attualmente caratterizzata da una fase di stagnazione economica.
Ma perché questa mossa? La nuova decisione di politica monetaria è stata presa sulla base del fatto che ormai non ci sono più i presupposti economico-finanziari per mantenere i tassi bassi. Infatti, l’inflazione core (ovvero al netto di elementi estremamente volatili, come le materie prime) si attesta ad un livello pari al 1,7%: dato ottimale, dal momento che l’obiettivo è quello di raggiungere il 2%. Inoltre, il tasso ufficiale di disoccupazione è inferiore al 5%.
Se, però, da un lato possiamo interpretare il rialzo dei tassi come un fattore positivo, in quanto effetto di ripresa economica, dall’altro, è impossibile non guardare quali siano - e possano essere - i riflessi di tale manovra nel mercato finanziario. Ripassiamo un concetto fondamentale della macroeconomia: l’andamento dei tassi d’interesse è inversamente proporzionale a quello dei prezzi. Perché? La risposta sta nel fatto che gli studi economici fondano i loro modelli sulla base della naturale avversione al rischio degli investitori: meglio un rendimento inferiore, ma con la sicurezza di recuperare interamente il capitale impiegato. Infatti, chi investe è disposto a conferire temporaneamente i propri risparmi in titoli a debito più rischiosi, solo a patto di ottenere un maggior tasso di rendimento. Dunque, il prezzo scende perché l’obbligazione è poco appetibile dal punto di vista della rischiosità.
Da tali dati emerge chiaramente come, ormai, l’America si sia messa alle spalle la
Non è, dunque, un caso che il mercato obbligazionario sia crollato dell’1,7%.
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