MSOI thePost Numero 57

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Il Settimanale di M.S.O.I. Torino


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MSOI Torino M.S.O.I. è un’associazione studentesca impegnata a promuovere la diffusione della cultura internazionalistica ed è diffuso a livello nazionale (Gorizia, Milano, Napoli, Roma e Torino). Nato nel 1949, il Movimento rappresenta la sezione giovanile ed universitaria della Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale (S.I.O.I.), persegue fini di formazione, ricerca e informazione nell’ambito dell’organizzazione e del diritto internazionale. M.S.O.I. è membro del World Forum of United Nations Associations Youth (WFUNA Youth), l’organo che rappresenta e coordina i movimenti giovanili delle Nazioni Unite. Ogni anno M.S.O.I. Torino organizza conferenze, tavole rotonde, workshop, seminari e viaggi studio volti a stimolare la discussione e lo scambio di idee nell’ambito della politica internazionale e del diritto. M.S.O.I. Torino costituisce perciò non solo un’opportunità unica per entrare in contatto con un ampio network di esperti, docenti e studenti, ma anche una straordinaria esperienza per condividere interessi e passioni e vivere l’università in maniera più attiva. Elisabetta Botta, Segretario M.S.O.I. Torino

MSOI thePost MSOI thePost, il settimanale online di politica internazionale di M.S.O.I. Torino, si propone come un modulo d’informazione ideato, gestito ed al servizio degli studenti e offrire a chi è appassionato di affari internazionali e scrittura la possibilità di vedere pubblicati i propri articoli. La rivista nasce dalla volontà di creare una redazione appassionata dalla sfida dell’informazione, attenta ai principali temi dell’attualità. Aspiriamo ad avere come lettori coloro che credono che tutti i fatti debbano essere riportati senza filtri, eufemismi o sensazionalismi. La natura super partes del Movimento risulta riconoscibile nel mezzo di informazione che ne è l’espressione: MSOI thePost non è, infatti, un giornale affiliato ad una parte politica, espressione di una lobby o di un gruppo ristretto. Percorrere il solco tracciato da chi persegue un certo costume giornalistico di serietà e rigore, innovandolo con lo stile fresco di redattori giovani ed entusiasti, è la nostra ambizione. Jacopo Folco, Direttore MSOI thePost 2 • MSOI the Post

N u m e r o

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Redazione Direttore Jacopo Folco Vicedirettore Davide Tedesco Caporedattore Alessia Pesce Capi Servizio Rebecca Barresi, Luca Bolzanin, Sarah Sabina Montaldo, Daniele Pennavaria, Leonardo Scanavino, Giulia Tempo, Martina Terraglia, Chiara Zaghi Media e Management Samantha Scarpa Redattori Federica Allasia, Erica Ambroggio, Elena Amici, Daniele Baldo, Lorenzo Bardia, Giulia Bazzano, Lorenzo Bazzano, Andrea Bertazzoni, Giusto Amedeo Boccheni, Luca Bolzanin, Giulia Botta, Maria Francesca Bottura, Adna Camdzic, Matteo Candelari, Claudia Cantone, Giulia Capriotti, Daniele Cavalli, Emanuele Chieppa, Giuliana Cristauro, Lucky Dalena, Alessandro Dalpasso,Francesca Maria De Matteis, Luca De Santis, Sabrina Di Dio,Ilaria Di Donato, Sofia Ercolessi, Simone Esposito, Guglielmo Fasana, Giulia Ficuciello, Alessandro Fornaroli, Lorenzo Gilardetti, Ann-Marlen Hoolt, Michelangelo Inverso, Vladimiro Labate, Giulia Marzinotto, Simone Massarenti, Efrem Moiso, Virginia Orsili, Daniele Pennavaria, Ivana Pesic, Edoardo Pignocco, Sara Ponza, Jessica Prieto, Carolina Quaranta, Giacomo Robasto, Daniele Reano, Jean-Marie Reure, Clarissa Rossetti, Michele Rosso,Daniele Ruffino,Fabio Saksida, Martina Santi, Federico Sarri, Leonardo Scanavino, Martina Scarnato, Samantha Scarpa, Francesca Schellino, Viola Serena Stefanello, Lola Ferrand Stanley, Giulia Tempo, Martina Terraglia, Elisa Todesco, Francesco Tosco, Tiziano Traversa, Fabio Tumminello, Chiara Zaghi, Francesca Maria De Matteis, Martina Unali, Elisa Zamuner. Editing Lorenzo Aprà Copertine Amandine Delclos Vuoi entrare a far parte della redazione? Scrivi una mail a thepost@msoitorino.org!


EUROPA 7 Giorni in 300 Parole PAESI BASSI 11 marzo. A Mevlet Cavusoglu, ministro degli Esteri turco, è stato vietato l’atterraggio a Rotterdam. Il Ministro degli Esteri avrebbe dovuto tenere un discorso rivolto alla popolazione turca dei Paesi Bassi, in favore del sì al referendum costituzionale che si svolgerà in Turchia il prossimo 16 aprile. Cavusoglu aveva già minacciato delle ritorsioni nei confronti dei Paesi Bassi nel caso in cui fosse negata l’autorizzazione all’atterraggio; secondo le autorità olandesi, invece, la volontà era di evitare problemi di ordine pubblico.

15 marzo. I Paesi Bassi vanno al voto per le prime elezioni legislative del 2017 in Europa. L’affluenza si attesta attorno all’81% dei 12 milioni aventi dritto. La tornata elettorale è terminata con un niente di fatto per i populisti di Wilders, mentre si riconferma vincitrice la destra liberale del premier uscente Mark Rutte. 19 seggi vanno dunque al PVV, il partito anti-Islam e anti-Ue di Geert Wilders, che fino a qualche settimana fa era il favorito secondo i sondaggi. REGNO UNITO 14 marzo. Theresa May ha annunciato davanti alla Camera dei Comuni, che prima della fine di marzo tornerà in Parlamento per comunicare la data dell’attivazio-

KEEPING THE PULSE ON EUROPE

A German citizen’s initiative opposes Euroscepticism

By Ann-MarlenHoolt Eurosceptics seem to be in the majority when discussing the future of the European Union. Or, at least, they roar the loudest. The German initiative Pulse of Europe aims to change that. In weekly demonstrations they try to provide an antipode to euroscepticism and nationalism. In political discourses of any kind, often, only those raise their voices that feel oppressed, dissatisfied or treated unjustly. All those, however, that are rather satisfied with the current conditions do not feel the need to influence the political agenda and provoke a change of policy. This creates an interesting effect: the majority’s political opinion is perceived in a distorted way. It seems to be the crying minority determining policies, not the silent majority. Today’s social media amplifies this effect even further, as any citizen is able to express is opinion online – and find like-minded supporters. The German citizen’s initiative is now demonstrating that there are many European citizens supporting the European Union. Founded in Frankfurt by lawyer Daniel Röder and his wife Sabine in late 2016, Pulse of Europe holds public meetings and

demonstrations in weekly intervals. From Frankfurt the initiative spread further, gaining more and more participants in an increasing number of locations. After gaining media attention in the Netherlands, Denmark and France first foreign demonstrations took place in various European cities, every Sunday at 2 pm. Last Sunday, public demonstrations were held in over 40 cities, with a total over 17.000 participants in 7 countries. And the numbers are constantly rising. Pulse of Europe considers itself independent from any political party. Their aim is to “stand up for Europe and contribute to pro-European parties gaining the majority of votes” it says on their website. They want to mobilise the “silent majority” of Pro-Europe citizens. Though active supporters of the European Union, they consider reforms of the system as absolutely necessary and demand to take the growing mistrust in Europe seriously. Still they regard European fundamental freedoms as non-negotiable. With the 2017 being the year of elections, Pulse of Europe especially wants to influence undecided voters. The Dutch elections could have shown that their strategy is not infallible (on its website the initiative sent a message to the Netherlands: “Blijfbijons. Stay with us”).

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EUROPA ne formale dell’articolo 50, che permetterà il processo di uscita del Regno Unito dall’UE. La Premier britannica ha, inoltre, respinto la richiesta di un nuovo referendum da parte della Scozia, richiamando all’unità nazionale.

LA CRISI OLANDESE

Turchia e Olanda verso la chiusura delle relazioni diplomatiche

Di Simone Massarenti

SPAGNA 13 marzo. L’ex presidente della Catalogna Artur Mas è stato condannato a due anni di interdizione dalle cariche pubbliche da parte dalla Corte Costituzionale spagnola. Le cause, secondo quest’ultima, sarebbero di aver indetto, nel 2014, un referendum consultivo per l’indipendenza di Madrid nonostante il divieto da parte della stessa città. In seguito all’accusa, Mas ha annunciato la sua volontà di fare ricorso presso la Corte Europea. UNGHERIA 9 marzo. Medici Senza Frontiere ha denunciato la polizia di frontiera ungherese, accusandola di aver utilizzato degli abusi sui migranti per scoraggiare il loro ingresso nel Paese. L’organizzazione internazionale ha trattato più di 100 casi di lesione nell’ultimo anno e ha, inoltre, riferito che gli abusi sarebbero diventati più frequenti nelle ultime settimane. Medici Senza Frontiere ha, infine, richiesto anche un’indagine immediata delle autorità ungheresi. A cura di Giulia Capriotti

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La prima decade di questo marzo 2017 rischia di essere decisiva per la definitiva rottura dei rapporti fra Europa e Turchia. Dopo lo scontro di inizio marzo fra la Germania e il Paese euro-asiatico, dovuto alle dure accuse del presidente Recep Tayyip Erdogan circa la “politica nazista condotta dalla Merkel in Europa”, è degli ultimi giorni la notizia di una vera e propria crisi diplomatica fra la stessa Turchia e l’Olanda, prossima alle elezioni nazionali. L’11 marzo scorso, secondo indiscrezioni confermate da tutti i media internazionali, l’Olanda avrebbe vietato l’atterraggio del volo di Stato turco con a bordo il ministro degli Esteri Cavusoglu, scatenando l’ira del presidente Erdogan, il quale, in una dichiarazione “a caldo”, ha definito “nazisti” i rappresentanti del governo dell’Aja. Il Ministro, atteso per un comizio elettorale a Rotterdam, si è detto indignato per l’accaduto, alimentando il fuoco della polemica. Egli ha infatti affermato che “questo episodio dimostra il modus operandi adottato dall’Europa nei confronti della Turchia”. A peggiorare la situazione, è stato bloccato dalla polizia

olandese nei pressi di Rotterdam anche il ministro turco della Famiglia Fatma Betl Sayan Kay, la quale aveva tentato di “raggiungere via terra attraverso la Germania i luoghi dei suoi comizi”. L’Olanda, definita da Erdogan un “popolo di residui fascisti e nazisti”, ha difeso la propria scelta, dichiarando che “la grande manifestazione organizzata dai turchi per l’occasione metteva a rischio l’intera sicurezza nazionale”, in quanto sarebbe stato elevatissimo il rischio di attentati. Gli stessi turchi, dopo aver appreso la notizia, hanno invaso le strade della città olandese che avrebbe dovuto ospitare il comizio, scatenando violenti scontri di piazza fra i manifestanti e la polizia. Il neoeletto premier Mark Rutte, in piena campagna per le presidenziali, aveva definito le affermazioni di Erdogan “inammissibili e inaccettabili”, in quanto il provvedimento dell’Olanda di evitare manifestazioni di piazza di stampo musulmano era stato preso al fine di eliminare “rischi concreti”. Molto meno diplomatica è stata invece la reazione di Geert Wilders, il leader islamofobo olandese che ha perso le elezioni, già contrario a propagande pro-Erdogan, il quale si era assunto “la piena responsabilità della decisione”.


NORD AMERICA 7 Giorni in 300 Parole STATI UNITI 10 marzo. Migliaia di Indiani hanno protestato di fronte alla Casa Bianca contro la decisione dell’amministrazione Trump di autorizzare la costruzione di oleodotti che passeranno nelle loro terre. 11 marzo. Donald Trump ha nominato Scott Gottlieb alla guida della Food and Drug Administration. Gottlieb è un medico e uomo d’affari con stretti legami con Big Pharma. Gottlieb sarebbe inoltre a favore di una deregolamentazione del settore, in linea con Trump che ritiene ci siano troppe regole.

11 marzo. Il nuovo bando anti-immigrati di Trump ha incontrato le prime resistenze: un giudice federale del Wisconsin ha infatti bloccato il potenziale impatto della direttiva su una famiglia di rifugiati siriani che vive in quello Stato. 11 marzo. In una telefonata con il leader palestinese Abu Mazen, Donald Trump ha dichiarato che la pace tra israeliani e palestinesi è possibile e che deve essere negoziata direttamente dai due Paesi. 13 marzo. Una bufera di neve si è abbattuta sulla costa est degli Stati Uniti, comportando la cancellazione di migliaia di voli.

SIOUX CONTRO TUMP

L’ultima marcia prima della resa?

Di Daniele Cavalli “Continueremo la nostra protesta pacifica. Le popolazioni indigene non possono sempre essere messe da parte a vantaggio degli interessi aziendali o dei capricci del governo”. Con queste parole si è espresso il portavoce dei Sioux, David Archambauld, in riferimento alla decisione del presidente Trump di proseguire ciò che Obama aveva bloccato nel 2015 ponendo il veto: la costruzione di due oleodotti, il Dakota Access e il Keystone XL, che passando per 4 Stati differenti, attraverso 2.000 kilometri di tubature, dovrebbero portare il greggio fino alle raffinerie dell’Illinois. Un progetto da 3,8 miliardi di dollari fortemente voluto delle compagnie del settore, ma fin da subito criticato dalle popolazioni native e dagli ambientalisti. Il motivo? Gli inevitabili rischi idrogeologici e il fatto che il passaggio di questi oleodotti è previsto anche nelle terre sacre ai Sioux. Tuttavia, è di qualche giorno fa la notizia dello sgombero dell’ultimo accampamento in cui, da più di un anno, i manifestanti invocavano la difesa dei loro diritti, ancora prima dell’insediamento di Trump.

L’hanno definita “la resa dei Sioux”. Numerosi gli arresti e i falò accesi come “cerimonia di addio”, ma le popolazioni della regione del lago Oahe, nel Nord Dakota, non si sono date per vinte. 5 giorni fa si è svolta la Native Nation March on Dc, un grande corteo capitanato dai Siux Standing Rock. Migliaia di nativi in vesti tradizionali, che con i loro copricapi di piume e i visi colorati hanno bloccato il Mall – il viale unisce il Campidoglio al Lincoln Memorial. Molti gli attacchi diretti verso il presidente: “Ha firmato – afferma un manifestate – l’ennesimo esproprio contro gli indiani d’America, come fece Andrew Jackson”, riferendosi al famigerato Indian Removal Act voluto dal 7° Presidente degli Stati Uniti nel 1830. Tuttavia, la posizione di Trump non cambia: “Deciderò io”, ha ribadito all’indomani della marcia su Washington. Le autorità, infatti, hanno da poco rilasciato il permesso finale per dare avvio ai lavori nelle terre del Nord Dakota. Una cosa è certa: le proteste non sono destinate a placarsi. Non è da escludere che gli oppositori al progetto imbocchino la via legale.

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NORD AMERICA 14 marzo. Montano le polemiche nell’opinione pubblica statunitense a causa di possibili conflitti di interesse tra legati a un’operazione finanziaria tra la società famigliare di Jared Kushner, genero e consigliere di Trump, e il gruppo assicurativo cinese Anbang. Nel frattempo, la Casa Bianca si prepara per la visita del leader cinese Xi Jinping.

AUMENTI E TAGLI: LE PRIORITÀ DELLA NUOVA AMERICA Più fondi alla difesa e tagli sulla sanità

Di Sofia Ercolessi Una cosa è certa sul nuovo Presidente degli Stati Uniti: non si può dire che non cerchi di mantenere le sue promesse elettorali. 15 marzo. Il segretario di Stato Usa Rex Tillerson ha iniziato il suo viaggio in Asia facendo visita al ministro degli Esteri giapponese Fumio Kishida, con l’obiettivo di consolidare i rapporti tra i due Paesi. Tema di discussione è stata anche la questione delle minacce nucleari di Pyongyang, che l’amministrazione Trump ha intenzione di arginare. 15 marzo. Il presidente Trump, prima di incontrare i big dell’auto, ha annunciato la fine dei limiti alle emissioni inquinanti delle automobili varati nell’era Obama. Secondo Trump i limiti alle emissioni rischiano di ostacolare lo sviluppo economico e la creazione di posti di lavoro. CANADA 13 marzo. Il ministro canadese del Commercio Internazionale Francois-Philippe Champagne sta effettuando un viaggio di 5 giorni in Cile e Messico, nel tentativo di promuovere il commercio e gli investimenti internazionali. A cura di Lorenzo Bazzano 6 • MSOI the Post

Dopo il divieto di ingresso per i cittadini di alcuni Paesi a maggioranza musulmana, il Presidente si è occupato di un altro tema centrale della sua campagna, l’aumento delle spese per la difesa. Donald Trump aveva infatti promesso di potenziare le capacità degli Stati Uniti con 90.000 soldati, 350 navi e 100 aerei da combattimento. Mentre alcuni analisti si aspettavano un aumento del budget di circa 18 miliardi di dollari, secondo le ultime fughe di notizie dalla Casa Bianca si tratterebbe di ben 54 miliardi, un aumento del 10%, superiore al PIL dell’intera Bulgaria. La notizia è arrivata qualche giorno dopo la dichiarazione che l’America dovrà essere in vantaggio nella corsa al nucleare. L’aumento della spesa non sarà indolore: per realizzarlo saranno tagliati dei fondi per gli aiuti all’estero, ma anche per molte agenzie federali interne, tra cui l’Agenzia per la Protezione dell’Ambiente. A beneficiare economicamente di queste decisioni saranno prima di tutto le maggiori aziende

produttrici di armi e sistemi difensivi degli Stati Uniti: i colossi della Lockheed Martin, la Boeing Company, specializzata in aviazione, la General Dynamics e le Huntington Ingalls Industries, per la marina, e Northrop Grumman. Ancor prima di diventare Presidente, Trump aveva iniziato a fare pressione su alcune di esse, lamentandosi via Twitter dei costi troppo elevati dei prodotti per l’aviazione. “Make America Great Again” comprende, quindi, dare priorità alla difesa, in linea con la posizione protezionistica tendenzialmente assunta da Trump anche in campo economico. La questione fondamentale, però, è come questa priorità possa bilanciarsi con i tagli alle tasse, gli investimenti nelle infrastrutture e la riforma sanitaria. Proprio dalla nuova proposta sulla sanità, la cosiddetta Trump Care, che soppianterebbe l’Obama Care, potrebbe provenire buona parte del denaro per la difesa: la riforma prevede infatti un taglio di circa 33 miliardi annuali alla salute. eIl Congressional Budget Offic , un organo bipartisan del Congresso, nel suo report su Trump Care ha però avvertito che ben 14 milioni di persone perderebbero la copertura sanitaria solo nel primo anno, per diventare 24 milioni entro il 2026: stime che la Casa Bianca ha dichiarato “errate”.


MEDIO ORIENTE 7 Giorni in 300 Parole IRAQ 13 marzo. Un incentivo alla poligamia per far fronte alla crisi sociale dovuta alle numerose donne rimaste vedove: a proporlo la deputata della coalizione sunnita Jamila Ubaydi, in una conferenza stampa a Baghdad.

UN AMBASCIATORE D’ECCEZIONE

Biografia di uno dei personaggi che “romperanno” con l’amministrazione Trump in Medio Oriente

Di Jean-Marie Reure

ISRAELE 15 marzo. L’accusa di una politica di apartheid potrebbe creare nuove polemiche tra il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu e le Nazioni Unite. Lo si legge nel rapporto redatto dalla Commissione ONU e presentato dalla Commissione economica e sociale delle Nazioni Unite per l’Asia Occidentale a Beirut. 16 marzo: Israele risponde duramente al razzo lanciato da Gaza nella zona meridionale del Paese. Distrutti due siti di Hamas, di cui uno impiegato per l’addestramento miliare. Ad annunciarne la notizia un portavoce militare a Tel Aviv. Non si hanno notizie di vittime. PALESTINA 15 marzo. Scambio di vedute tra Stati Uniti e Palestina: l’inviato speciale del presidente americano Donald Trump, Jason Greenblatt ha incontrato il leader palestinese Abu Mazen a Ramallah per discutere della situazione attuale. SIRIA 11 marzo. E’ di 40 morti e 122 feriti il bilancio delle vittime dei due attentati avvenuti nella cit-

Di David Friedman ce ne sono tanti, molti dei quali godono di una discreta fama: un artista hawaiano, un giornalista di politica economica, un economista, figlio di un altro famoso Friedman. È tuttavia probabile che questo Friedman si distinguerà dai suoi omonimi negli anni a venire. Classe 1978, nato da una famiglia di ebrei americani a Woodmere, nello Stato di New York, emerge fin dalla giovane età per il suo attivismo in seno alla comunità ebraica. Noto per le posizioni conservatrici, arriva a sedere nel consiglio rabbinico dello Stato. Nel 1994 si unisce allo studio di avvocati Kasowitz, Benson & Torres: non passerà molto prima che il suo nome venga aggiunto a quello degli altri tre soci. Attorno al 2000 lo studio inizia a lavorare per la Trump Organization. Nel 2005 conosce Trump e stringe amicizia con il miliardario. Durante la campagna del 2016 diviene il suo consigliere sulla questione israelo-palestinese. La nomina dell’ex governatore dell’Arkansas Huckabee alla carica che oggi occupa Friedman era quasi data per scontata dai grandi quotidiani americani, anche se si conoscevano certe sue affermazioni sull’olocausto e il suo evidente fastidio di fronte

alla strumentalizzazione della Shoah; posizioni, queste, che tuttabia Trump sembrava condividere. Eppure, proprio quando tutti sembrvano concordare, è accaduto l’impensabile. Ha infatti ottenuto la nomina Friedman, conosciuto per essersi scagliato contro l’associazione ebraica “liberal” J Street – definendo i suoi membri “peggio dei Kapo”, non ebrei ma anti-ebraici e anti-palestinesi” – e per aver dato a Obama dell’antisemita, strenuo oppositore della “soluzione dei due Stati” al conflitto israelo-palestinese, sostenitore degli insediamenti in Cisgiordania. Una netta rottura con la politica dell’amministrazione Obama in Israele. Se il Presidente uscente, in particolar modo durante il suo ultimo mandato, aveva chiaramente lasciato intendere ai dirigenti di Tel-Aviv che non avrebbero più potuto contare, come avevano sempre fatto, sull’appoggio incondizionato degli USA, possiamo intuire che il nuovo ambasciatore avrà un appoggio differente. Il 26 dicembre 2016 l’ambasciatore USA presso l’ONU si asteneva per la prima volta, lasciando che si prendessero risoluzioni contro gli insediamenti israeliani in nome proprio della soluzione dei due Stati. Ma “dal 20 gennaio le cose cambieranno” aveva detto Trump. MSOI the Post • 7


MEDIO ORIENTE tà vecchia di Damasco. Secondo l’Osservatorio per i diritti umani, la prima bomba sarebbe esplosa al passaggio di un pullman, mentre per il secondo attacco si tratterebbe di un kamikaze. 13 marzo. Tentato golpe da parte di un gruppo di miliziani tunisini che, dopo aver accusato pubblicamente Abu Bakr al Baghdadi di cattivo trattamento economico, ha ucciso circa venti membri jihadisti di alto profilo. A darne notizia l’emittente televisiva al Mayadin. 15 marzo. Due attacchi kamikaze a Damasco, il primo davanti alla corte di Giustizia nella zona di Al Hamidiyeh, ha ucciso 25 persone mentre poche ore dopo, un secondo attacco avvenuto in un ristorante nella zona di Rabweh fa salire il numero delle vittime a 31 civili. A riferirlo l’agenzia siriana Sana. 15 marzo. Un raid aereo che ancora non è stato rivendicato ha colpito la città di Qusur, nella regione di Idlib. Secondo l’Osservatorio Nazionale per i diritti umani in Siria il numero delle vittime è di 22 civili.

TURCHIA 15 marzo. La crisi diplomatica tra Turchia e Olanda entra ufficialmente in Commissione Europea, dove il presidente Junker ha espresso la sua opinione in merito agli attacchi dei giorni scorsi del presidente Erdogan, definendosi sconvolto per quanto detto sull’Olanda e su altri Paesi dell’Unione. A cura di Maria Francesca Bottura 8 • MSOI the Post

ANKARA VA ALLE URNE

Il suicidio formale di Erdoğan di fronte all’Unione come arma per consolidare l’autoritarismo interno

Di Samantha Scarpa Una marcata linea di separazione tra i progetti di lungo e breve periodo sta inevitabilmente dividendo le acque all’interno dell’agenda del presidente turco Erdoğan. Il capo di Stato, sopravvissuto al golpe dell’estate 2016, pur di assicurarsi una fondamentale vittoria sul fronte interno sembra essere disposto a pagare un prezzo altissimo: il deterioramento delle relazioni con i Paesi UE. Per comprendere ciò che sta accadendo all’interno delle cancellerie di alcuni Stati europei, pertanto, è necessario partire da una scadenza imminente per il Paese anatolico, il 16 aprile prossimo. Proprio nel giorno della Pasqua cristiana, i Turchi saranno infatti chiamati alle urne per esprimersi, tramite referendum, su una scelta dalle gravissime conseguenze sotto i profili storico, giuridico e politico. La riforma costituzionale proposta da Erdoğan trasformerebbe la Turchia in un ordinamento dagli aspetti prettamente presidenziali, concentrando una parte importante del potere nelle mani dell’esecutivo. Per una personalità come Erdoğan, la cui immagine di “uomo forte” è stata particolarmente incentivata a partire dalla scorsa estate, il referendum è una partita che non può e non deve

essere persa. I pochi dati alla mano mostrano una divisione 40%-40% sull’argomento e un 20% di indecisi: di fronte a tali cifre, i 4 milioni di turchi residenti in Europa e aventi diritto di voto saranno probabilmente decisivi per i piani di Ankara. L’amministrazione centrale ha quindi cominciato a inviare Ministri e personalità politiche – anche di spicco – in Danimarca, Svizzera, Germania e Olanda, Paesi dalla forte concentrazione di immigrati turchi, per propagandare e fare campagna per il referendum, con modalità talvolta eterodosse. Uno dei primi blocchi, per quanto non il più eclatante, è arrivato dalla Germania la scorsa settimana, quando il cancelliere Merkel ha vietato le manifestazioni organizzate dai funzionari di Ankara nelle comunità locali. A tale divieto Erdoğan aveva risposto usando toni estremamente duri nelle comunicazioni formali e reiterando così il parallelo tra le policies tedesche e la governance nazista. Al blocco tedesco sono seguiti quello austriaco e quello olandese. La situazione nei Paesi Bassi, tuttavia, è stata aggravata dalle proteste dei Turchi, i quali hanno dimostrato con violenza contro il divieto di manifestare imposto al Ministro turco della Famiglia Fatma Betül Sayan Kaya e al ministro degli Esteri Mevlüt Çavuşoğlu.


RUSSIA E BALCANI 7 Giorni in 300 Parole ALBANIA 12 marzo. A 3 mesi dalle elezioni parlamentari di giugno, il premier albanese Edi Rama ha sostituito 4 ministri del suo governo. Rama ha sostenuto il rimpasto di governo con l’obiettivo di dare nuova energia alla campagna elettorale. Il Ministro dell’Interno uscente era da tempo coinvolto in uno scandalo che lo vedeva vicino alla criminalità organizzata del Paese. KAZAKISTAN 13 marzo. Terzo round di colloqui di pace ad Astana per la fine della guerra in Siria. L’ambasciatore ONU del governo siriano ha incontrato il 14 marzo la delegazione russa. I colloqui sono stati prolungati per consentire l’arrivo degli esponenti dell’opposizione siriana che però il 15 marzo hanno disertato l’incontro. Russia, Turchia ed Iran si incontreranno nuovamente il 3 e 4 maggio. RUSSIA 14 marzo. L’agenzia spaziale russa ha aperto il reclutamento di nuovi cosmonauti per l’avvio di una missione spaziale che culminerà con il primo allunaggio russo, fissato per il 2031. L’annuncio ha l’intento di rilanciare un settore che negli ultimi anni, dopo una serie di fallimenti, ha perso gli stimoli ereditati dall’era sovietica. 15 marzo. Il Dipartimento di Giustizia americano ha accusato due agenti dell’intelligence russa di aver violato oltre 500 milioni di account Yahoo nel 2014. Le informazioni ottenute sarebbero state usate dal governo di Mosca contro agenti stranieri, imprenditori e giornalisti. I due agenti russi, che avrebbero dovuto collaborare con le autorità america-

LE FERITE APERTE DELLA GUERRA IN BOSNIA

La Corte dell’Aia rifiuta la revisione della sentenza contro la Serbia

Di Adna Camdzic Il 23 febbraio una delegazione della Bosnia Erzegovina ha presentato alla Corte Internazionale di Giustizia (International Court of Justice, ICJ) dell’Aia la richiesta di revisione della sentenza che nel 2007 aveva liberato la Serbia da ogni responsabilità diretta nel conflitto 1992-1995. Il caso era stato avviato nel 1993 dal governo bosniaco, a quel tempo guidato dal musulmano Alija Izetbegovic. Sarajevo aveva accusato Belgrado di essere la mente dietro il massacro che avrebbe portato alla pulizia etnica della popolazione musulmana, causando circa 100.000 morti. Nel 2007, per insufficienza di prove, la Serbia è stata assolta dall’accusa. In quell’occasione, è stata condannata solo per non aver impedito né punito il genocidio di Srebrenica del 1995, durante il quale circa 8.000 bosniaci musulmani hanno perso la vita. Secondo quanto emerso dalla sentenza sono, invece, da considerarsi i diretti responsabili del genocidio le truppe serbo-bosniache guidate dal generale Ratko Mladic. Dopo 10 anni, a presentare la richiesta di revisione è stato Bakir Izetbegovic, figlio di Alija, membro musulmano della Presidenza Tripartita Bosniaca e presidente del Partito di Azione

Democratica (SDA, nella sigla in bosniaco), sotto la pressione delle associazioni e della comunità bosniaco-musulmana: “Penso di essere sulla strada della verità e della giustizia”, ha dichiarato. D’altra parte il ricorso alla Corte dell’Aia è stato osteggiato dai serbo-bosniaci e dal primo ministro serbo Vucic, che si è detto preoccupato per le future relazioni tra Sarajevo e Belgrado. Il membro serbo della Presidenza Tripartita, Ivanic, che attualmente ricopre l’incarico di Presidente della Presidenza, ovvero di Capo di Stato, ha parlato subito di “seria crisi”. Secondo Ivanic la decisione avrebbe dovuto essere presa all’unanimità dal corpo tripartito. Invece, i tre presidenti hanno inviato tre lettere diverse alla Corte per definire la propria posizione. È arrivato, infine, il no, già previsto, dall’Aia. La ICJ ha rigettato la richiesta dopo aver considerato le tre lettere e ha concluso che “il loro contenuto dimostra che nessuna decisione era stata presa dagli organi competenti e a nome dello Stato di Bosnia Erzegovina”. Ancora una volta emergono le divisioni politiche di un Paese profondamente spaccato al suo interno e in cui molte ferite vengono continuamente riaperte. MSOI the Post • 9


RUSSIA E BALCANI ne per dare la caccia agli hacker, sono i primi ad essere formalmente incriminati sul territorio americano e, con altri due complici, vanno incontro a 47 capi d’accusa, tra cui cospirazione, frode economica e furto d’identità aggravato. Il Cremlino non ha commentato la vicenda. UCRAINA 15 marzo. Oleksandr Turchynov, segretario del Consiglio di sicurezza e difesa ucraino, ha annunciato l’approvazione della sospensione di tutto il traffico merci con il territorio controllato dai separatisti e sostenuto dai ribelli russi. Il blocco avrà effetto fino a che i ribelli non restituiranno il controllo di numerose imprese registrate in Ucraina e non seguiranno gli obblighi previsti dall’accordo di pace di Minsk del 2015. Sarà consentito solo il passaggio di trasporti umanitari. È prevista inoltre l’imposizione di nuove sanzioni nei confronti delle sedi delle banche controllate dal governo russo presenti nel Paese, con il divieto di far uscire capitali verso la Russia. A cura di Daniele Baldo

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UCRAINA VS. RUSSIA

L’Ucraina porta la Russia davanti alla Corte Internazionale di Giustizia

Di Elisa Todesco Tre anni dopo il referendum che ha sancito il ricongiungimento della Crimea con la Russia (14 marzo 2014), le tensioni fra Ucraina e Russia hanno raggiunto una nuova dimensione. Da gennaio 2017, infatti, il conflitto non si combatte più solamente nel Donbass o lungo le strade di Sebastopoli, ma anche nelle aule della Corte Internazionale di Giustizia (ICJ). Esattamente il 17 gennaio scorso, l’Ucraina ha citato in giudizio la Russia presso la ICJ, adducendo numerosi capi d’accusa. Le imputazioni sono state presentate da Kiev di fronte ai giudici della Corte la scorsa settimana, e successivamente rigettate dalla Russia. In particolare, l’Ucraina sostiene che “a partire dal 2014 la Federazione Russa ha intensificato l’interferenza negli affari ucraini ad un nuovo e pericoloso livello”; si parla specificamente di “interventi militari in Ucraina, finanziamenti per atti terroristici e violazioni dei diritti umani di milioni di cittadini ucraini”, compreso “il loro diritto alla vita”. Le accuse principali vertono attorno ai finanziamenti a favore dei gruppi terroristici presenti sul territorio ucraino e alle discriminazioni cui sono stati sottoposti i gruppi etnici non russi, quali i tartari, in Crimea.

Per tutta risposta, lo scorso martedì, la Russia ha ribattuto che l’Ucraina ha portato il caso dinanzi la Corte ricorrendo a false pretese e che la Corte stessa non ha giurisdizione sulla materia. L’esito della controversia è ancora incerto. Ad esempio, nonostante le investigazioni condotte sull’abbattimento dell’aereo Malaysian Airlines -- che causò circa 300 vittime - potrebbero fornire un legame diretto fra i ribelli filo-russi e il governo di Putin, muovere un’azione legale contro una grande potenza non è mai semplice, soprattutto quando questa siede nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Questa, infatti, non è la prima volta che l’Ucraina cerca di ricorrere alla giustizia internazionale, tuttavia, poiché la Russia non aveva mai ratificato lo statuto di Roma, essa non era vincolata alla giurisdizione della Corte. Forse, le cose potrebbero andare diversamente con la Corte Internazionale di Giustizia, determinando il blocco di finanziamenti diretti e indiretti, e l’esportazione di materiale e personale militare a sostegno dei gruppi indipendentisti filo-russi in Donbass. Un’ingiunzione ad interim potrebbe già essere emessa ad aprile.


ORIENTE 7 Giorni in 300 Parole BIRMANIA 10 marzo. Il governo del Myanmar ha accusato gli osservatori delle Nazioni Unite di aver esagerato nel constatare i crimini commessi dei militari nei confronti della minoranza musulmana dei Rohingya. Il portavoce del governo ha poi dichiarato che la questione delle minoranze è un problema interno e come tale deve essere trattato. CINA 15 marzo. Il governo di Pechino, nella persona del premier Li Kequiang, ha espresso preoccupazione per l’evoluzione dei rapporti tra l’alleanza USASud Corea e Pyongyang. I rapporti tra gli Stati Uniti e la Corea del Nord si fanno sempre più tesi dopo che Seul, appoggiata da Washington, continua le proprie esercitazioni militari. Pechino teme di trovarsi a dover affrontare una crisi sui propri confini. Il Primo Ministro ha chiesto di moderare i toni e di scongiurare la possibilità di una escalation militare Nord Coreana. COREA DEL SUD 15 marzo. Dopo una riunione dei ministri la Corea del Sud ha indetto le nuove elezioni presidenziali il 9 maggio 2017, si terranno 60 giorni dopo la destituzione del presidente Park Geun-hye. L’ex capo di Stato, accusata di corruzione ed abuso di potere, era stata sfiduciata dal Parlamento con l’accusa di impeachment, accusa validata il 9 marzo da una sentenza della Corte Costituzionale che ha dichiarato la Geun-hye rimossa dalle funzioni presidenziali. FILIPPINE 16 marzo. Altri scontri e morti tra i ribelli del Fronte Democratico Nazionale e i militari.

LA PACE E LA GUERRILLA

Nelle Filippine riprende l’accidentato percorso verso una composizione.

Di Giusto Amedeo Boccheni Sabato 11 marzo da Utrecht, in Olanda, Jesus Dureza, consigliere presidenziale per il processo di pace nelle Filippine, ha annunciato la ripresa dei negoziati tra il governo filippino e il gruppo composto dal Partito Comunista delle Filippine (CPP), dall’ala armata dello stesso – l’Armata del Nuovo Popolo (NPA) – e dal suo tramite istituzionale, il Fronte Democratico Nazionale (NDF). La guerrilla tra il CPP e il governo ha causato oltre 40000 morti negli ultimi cinquant’anni. Gli scontri sono stati interrotti da vari tentativi di pacificazione, sotto diverse presidenze. L’Accordo Congiunto sulle Garanzie di Sicurezza e Immunità (JASIG), firmato da Ramos nel 1995, ha permesso ai componenti delle parti coinvolte nei negoziati di poter fruire della libertà di movimento, senza il pericolo di essere ricercati, sorvegliati o arrestati. Inoltre, nel 1998, è stato firmato l’Accordo Comprensivo per Rispettare i Diritti Umani e la Legge Umanitaria (CARHRIHL), al fine di tutelare i civili dalla violenza degli scontri tra le due fazioni. Con la presidenza Arroyo, i negoziati sono risorti e subito tramontati, a causa dell’inclusione del CPPNPA tra le organizzazioni

terroristiche, stabilita dagli USA dopo l’11 settembre. Le riprese successive, con Aquino III nel 2010 e con Duterte più di recente, sono state segnate da una maggiore fragilità del fronte comunista, indebolito da alcune diatribe interne, dalla riduzione dei suoi affiliati a circa 4000 unità e dall’arresto, nel 2014, di due dei suoi vertici: Benito e Wilma Tiamzon, poi rilasciati l’estate scorsa perché potessero partecipare ai negoziati di Oslo. A febbraio, il CPP-NDP ha annunciato che avrebbe interrotto il cessate il fuoco in seguito al rifiuto del governo di rilasciare alcune centinaia di prigionieri politici. Duterte ha risposto incitando l’esercito a usare tutto il proprio arsenale. Giovedì 9 quattro poliziotti sono stati uccisi in un’imboscata attribuita a ribelli comunisti. Già venerdì 10, tuttavia, le parti si sono impegnate a ristabilire il cessate il fuoco, che pure potrà essere pienamente effettivo solo una volta raggiunte tutte le cellule autonome di militanti rivoluzionari. Ad aprile potrebbe allora tornare sul tavolo delle trattative un accordo comprensivo sulle riforme socio-economiche, cruciale per il raggiungimento di un compromesso e forse per la soluzione definitiva del conflitto. MSOI the Post • 11


ORIENTE A pochi giorni dalla dichiarazione con la quale il presidente Rodrigo Duterte aveva espresso la propria volontà di riprendere i negoziati per la tregua con i comunisti filippini del NdF, una guerriglia è esplosa a Davao nel sud delle Filippine. Durante gli scontri sono morti due militari e due ribelli, ancora nessun comunicato governativo è stato emesso, è quindi difficile capire quali saranno gli sviluppi di questo fenomeno. GIAPPONE 15 marzo. Prosegue in Giappone la visita del re saudita Salman Bin, il sovrano sta compiendo un viaggio ufficiale in diversi paesi dell’area asiatica toccando la Cina l’Indonesia e la Malesia. Il monarca ha incontrato il Primo Ministro Shinzo Abe con il quale ha discusso principalmente riguardo la cooperazione economica tra i due Stati che sarà sempre più rafforzata. Martedì il sovrano è stato ricevuto dall’Imperatore Akihito. INDIA 15 marzo. Il neoletto premier Narendra Modi, capo fazione della destra nazionalista indiana, ha ottenuto un grande consenso nelle elezioni legislative che si sono tenute in alcuni Stati indiani. Una vittoria che fortifica la posizione e l’influenza di Modi all’interno della politica indiana. PAKISTAN 16 marzo. Il governo di Islamabad ha accettato di aiutare militarmente l’Arabia Saudita. Il Pakistan è pronto ad inviare un battaglione al confine con lo Yemen, dove i sauditi stanno cercando di combattere le minoranze religiose stanziate nella regione. A cura di Tiziano Traversa

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INDIA: IL TRIONFO DI MODI ALLE ELEZIONI LOCALI Storica vittoria per il partito del primo ministro nell’Uttar Pradesh

Di Virginia Orsili Sabato 11 marzo sono comparsi i risultati delle elezioni svoltesi nei 5 Stati indiani (Uttar Pradesh, Punjab, Uttarakhand, Goa e Manipur) per rinnovare i Parlamenti locali, con un risultato sorprendente. Il primo ministro indiano Narendra Modi ha ottenuto una vittoria schiacciante in uno degli Stati chiave del Paese, l’Uttar Pradesh. Si tratta di un traguardo storico per il partito di centro-destra Bharatiya Janata (BJP), che nello Stato del nord dell’India ha ottenuto la maggioranza più ampia dal 1980, con 309 seggi su 403 al Parlamento locale. Questa vittoria garantisce un maggiore potere decisionale all’interno del Parlamento indiano per il BJP, in passato ostacolato nell’attuazione di riforme dall’assenza di una netta maggioranza. Si tratta di un risultato importante per il partito e soprattutto per Modi, che a metà mandato riceve una conferma decisiva da parte del suo elettorato e uno stimolo a portare avanti le riforme intraprese. Il Premier ha, infatti, assunto un ruolo centrale nella campagna elettorale, facendosi portavoce di un progetto politico e sociale che si basa su tre punti: crescita, modernizzazione, lotta alla corruzione. Un programma, questo,

che trova nell’Uttar Pradesh – uno degli Stati più popolosi dell’India e un’area molto povera – un terreno decisamente fertile. I progetti del Premier vanno però oltre il singolo Stato. Durante la campagna elettorale, Modi ha infatti posto l’accento su come i risultati raggiunti nella prima parte del mandato siano la prova di un programma di sviluppo che coinvolge l’intero Paese. La soddisfazione del Primo Ministro emerge in un tweet di ringraziamento, in cui egli ribadisce: “questa è una vittoria storica per il BJP, una vittoria per lo sviluppo e per un buon governo.” Ma un’approvazione tanto ampia appare ancora più significativa se si pensa alla recente polemica sulla procedura di demonetizzazione portata avanti dal Primo Ministro. La manovra, scelta da Modi per combattere la corruzione, prevedeva il ritiro dalla circolazione dell’86% del denaro liquido e ha portato il Paese a uno stato di semiparalisi per circa due mesi. Le elezioni, che il BJP temeva potessero evidenziare un calo dei consensi, si sono in realtà rivelate una conferma della posizione centrale che il partito di Modi continua a ricoprire nello scenario politico indiano.


AFRICA 7 Giorni in 300 Parole CAMERUN 15 marzo. L’offensiva militare del Camerun contro i terroristi di Boko Haram riscuote un grande successo: 5.000 civili tenuti come ostaggi vengono liberati e nello scontro armato più di 60 estremisti jihadisti perdono la vita. CONGO 9 marzo. Wilfrid Nguesso, nipote del Presidente congolese e capo della società statale dei trasporti marittimi, è sotto processo. La sua colpa sarebbe quella di aver reindirizzato verso investimenti privati una grossa parte della rendita dei trasporti marittimi che avrebbe dovuto essere devoluta allo Stato.

ETIOPIA 12 marzo. Una discarica frana su 49 baracche costruite ai piedi della collina di rifiuti. Il numero delle vittime continua a salire, e aumentano anche le critiche e le proteste dovute alla scarsità di risorse impiegate per recuperare le persone sotterrate. Per ora si è fermato a 115 il conteggio delle vittime. MAURITANIA 9 marzo. Il Parlamento approva una riforma costituzionale che prevede l’abolizione del Senato, dell’Alta Corte di Giustizia e dell’Alto Consiglio Islamico. Se verrà approvata anche dal Senato con almeno i 2/3 dei voti, i cambiamenti verranno ridiscussi e infine attuati.

IL NUOVO JIHADISMO SAHELIANO Un video annuncia la nascita di GSIM, “gruppo di sostegno all’Islam e ai musulmani”

Di Jessica Prieto Ancora una volta, Internet è stato veicolo di un messaggio globale: la nascita di un nuovo movimento estremista jihadista in Sahel.

sedicente Stato Islamico, che vorrebbe ottenerne il controllo. La zona contesa si estende dal deserto del Sahara (a nord) fino alla savana del Sudan (a sud) e dall’oceano Atlantico (a ovest) fino al Mar Rosso (a est).

La notizia è stata trasmessa il 1° marzo attraverso un video. In un fermo immagine, diffuso dall’agenzia di stampa mauritana ANI, Iyad Ag-Ghali, capo del movimento Ansar Eddine, appare seduto accanto a quattro dei più noti jihadisti del Sahel: Abul Hammam, comandante dell’Emirato del Sahara, nona regione militare di Al-Qaeda nel Maghreb islamico (AQMI), Amadou Koufa, capo del gruppo salafita Katiba de Macina, Al-Hassan Al-Ansari, seconda figura del movimento di AlMourabitoun e Abderrahmane Sanhaji, magistrato musulmano dell’AQMI.

Di fronte alla nascita e alla diffusione di questi movimenti terroristici, a fine gennaio i capi di Stato di Burkina Faso, Mauritania, Niger, Ciad e Mali si sono incontrati a Bamako per il G5 Sahel. Durante il vertice, i cinque leader hanno concordato la formazione di un contingente internazionale, costituito da militari maliani, bukinabé, ciadiani, mauritani e nigeriani. Il progetto dovrà essere approvato dall’ONU, mentre all’Unione Europea è stato chiesto di assumere tutte le spese per il suo equipaggiamento e per gli armamenti necessari.

Dalla fusione di questi gruppi ha origine il GSMI, “gruppo di sostegno all’Islam e ai musulmani”. Esso è guidato da Ag-Ghali, alleato di Al-Qaeda e dei talebani afgani. Secondo alcuni analisti, la sua nascita sarebbe dovuta a ragioni di maggior coordinamento e al tentativo di espandersi in territori già destabilizzati da conflitti.

La minaccia di questo nuovo movimento rende ancora più difficile la realizzazione della pace nel nord del continente. In particolare, gli Stati del Sahel continuano a mostrare una forte debolezza e la mancanza di governi centrali autorevoli. Tuttavia, fino a quando la situazione non verrà stabilizzata, non saranno pensabili la democrazia e lo sviluppo economico e sociale, mentre i fenomeni di terrorismo avranno nuove possibilità di espansione. Un circolo vizioso che sembra impossibile spezzare.

L’obiettivo del GMSI sarebbe, infatti, quello di conquistare tutti i territori del Sahel, arrivando fino in Burkina Faso, contrastando l’avanzata del

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AFRICA LA COSTA D’AVORIO UN ANNO DOPO L’ATTENTATO

Le indagini sull’attacco jihadista a Grand-Bassam

NIGERIA 10 marzo. Il presidente Muhammadu Buhari rientra in Nigeria dopo 2 mesi di assenza giustificati dalla sua grave condizione di salute. Per continuare a curarsi rinuncia alla sua carica di Presidente e affida al vice-presidente Yemi Osinbajo il compito di governare il paese. SENEGAL 9 marzo. Viene incarcerato Khalifa Sall, il sindaco della capitale Dakar. È stato accusato di aver prelevato dalla cassa della città 2,7 milioni di euro senza specificarne le ragioni.

SOMALIA 13 marzo. I pirati somali hanno sequestrato una nave cisterna che trasportava carburante destinato alla Somalia. Nell’imbarcazione sono presenti 8 uomini dell’equipaggio tenuti come ostaggi. I pirati hanno dirottato la nave verso la regione semi-autonoma del Puntland e da lì hanno chiesto un riscatto. SUD SUDAN 13 marzo. Il presidente Juba ha aumentato sensibilmente i prezzi dei permessi di lavoro per stranieri: per i professionisti passerà dai 400 dollari annuali ai 10.000. Le conseguenze saranno terribili per una popolazione che soffre la fame e la guerra civile iniziata da 3 anni. A cura di Sabrina Di Dio 14 • MSOI the Post

Di Francesca Schellino Il 13 marzo 2016, alle ore 12.45, una decina di uomini con il volto coperto, armati di kalashnikov e granate, ha aperto il fuoco sulla folla di turisti presso la spiaggia di Grand-Bassam, a circa 40 km dalla capitale Abidjan. Il primo attacco terroristico in Costa D’Avorio ha causato 19 vittime, 2 soldati e 17 civili, tra cui 4 turisti europei. L’attacco è stato rivendicato dal movimento jihadista dell’Africa Occidentale al Murabitun (lo stesso che ha rivendicato l’attentato in Mali di pochi mesi fa) e anche da alQaeda. In seguito all’attacco avvenuto al confine fra Mali e Costa D’Avorio nel 2015, diversi jihadisti sono stati arrestati nel territorio ivoriano ed estradati, causando un aumento della tensione nel Paese per la paura di imminenti attentati. Lo schema utilizzato nell’attacco a Grand-Bassam ricorda quello di Sousse in Tunisia, del Radisson Blu a Bamako e dello Splendid a Ouagadougu. I terroristi agiscono in gruppi di 5/10 uomini e prendono di mira locali frequentati da turisti occidentali, così da togliere a queste località l’unica fonte di guadagno e spaventare i locali. Oggi, a un anno dall’attacco terroristico, le autorità ivoriane hanno stilato un bilancio sulle

operazioni di indagine per arrestare i colpevoli e sulla situazione turistica nei luoghi in cui è avvenuto l’attentato. Il Ministero degli Interni ha dichiarato che, grazie all’appoggio da parte delle forze di polizia del Burkina Faso, del Mali e del Senegal, sono state arrestate 38 persone legate all’attacco terroristico. Anche i servizi segreti francesi, algerini e marocchini hanno contribuito all’arresto dei colpevoli, tutti imprigionati tranne uno, Kounta Dallah, il cui viso era stato ripreso dalle telecamere e diffuso sui vari media. Egli è tuttora considerato il principale responsabile dell’attentato. Gli albergatori dichiarano che, nonostante nelle ultime settimane le spiagge si siano ripopolate, la situazione resta critica e le camere d’hotel rimangono vuote per lunghi periodi. Sono stati colpiti soprattutto gli alberghi frequentati da turisti occidentali, in particolare L’Étoile du Sud e La Paillote. Jacques Ablé, presidente del Consiglio di amministrazione dell’Étoile du Sud, ha rivolto un appello allo Stato, affinché aiuti gli albergatori sia dal punto di vista economico sia sul piano dell’immagine, organizzando meeting governativi proprio nelle loro strutture.


SUD AMERICA 7 Giorni in 300 Parole

SUPERARE IL TPP PER RICOLLEGARE I DUE LATI DELL’OCEANO L’Alleanza del Pacifico rilancia l’integrazione dei mercati

MESSICO 14 marzo. Nella zona di Colinas de Santa Fe a Veracruz sono stati ritrovati più di 250 teschi, in quella che è stata definita la “fossa clandestina più grande del Messico, forse del mondo”. Il procuratore di Stato Jorge Winckler ha dichiarato che gli scheletri appartengono alle vittime del cartello degli Zetas che per anni hanno controllato Veracruz, una zona di transito di grandi quantità di narcotraffico, siccome collega l’area centroamericana con il nord del Messico.

BRASILE 15 marzo. L’ex presidente Luiz Inácio Lula da Silva ha affrontato il primo interrogatorio davanti ai magistrati per rispondere alle accuse di corruzione a lui rivolte. Lula si è dichiarato innocente e “vittima di un massacro”. L’ex Presidente è in particolare sospettato di tentata ostruzione delle indagini. Intanto l’inchiesta mani pulite

Di Daniele Pennavaria Tra il 14 e il 15 marzo si sono riuniti a Viña del Mar, in Cile, i rappresentanti di 14 Stati da entrambe le coste del Pacifico. Tra loro gli “orfani” del TPP, a cui si sono aggiunti Cina e Corea del Sud. Dopo l’abbandono degli Stati Uniti, ufficializzato lo scorso gennaio dal presidente Trump, il progetto del Partenariato Trans-Pacifico ha visto un rapido declino, che ha spiazzato molti Paesi della regione. A rilanciare il processo di integrazione dei mercati sono ora i Paesi dell’Alleanza Pacifica, capofila di un’iniziativa con attori che possano compensare non tanto il ruolo quanto il peso economico degli USA. L’Alleanza è composta da Cile, Colombia, Messico e Perù e da 5 anni lavora alla creazione di un Mercato Integrato LAtinoamericano (MILA), all’abbattimento delle barriere doganali, alla semplificazione del sistema di visti e ad altri progetti di integrazione regionale. Ora, nella definizione delle linee generali di un nuovo accordo, sono stati coinvolti i rappresentanti di Australia, Brunei, Canada, Cina, Corea del Sud, Giappone, Malesia, Nuova Zelanda, Singapore e Vietnam. In rappresentanza della Cina, grande assente del TPP, ha però partecipato solo Yin Hengmin, inviato speciale di Pechino per

l’America Latina. L’ambasciatore statunitense in Cile, Carol Perez, prenderà parte agli incontri come osservatore. “Uno dei membri importanti del TPP ha deciso di seguire una strada differente, il che apre anche opportunità” afferma il ministro degli Esteri messicano Luis Videgaray, inquadrando perfettamente lo spirito di quei Paesi dell’Alleanza che sembrano più attivi sul fronte delle proposte e maggiormente intenzionati a rafforzare i rapporti tra le due coste del Pacifico. Una possibilità discussa in questi giorni e supportata dai 4 Paesi latinoamericani è quella di far entrare come “Paesi associati” dell’Alleanza gli altri candidati della regione. “Vediamo questa come un’opportunità per partecipare a una tavola rotonda, al fine di valutare la situazione di ognuno dei Paesi e dunque considerare quali saranno i prossimi step, se ci saranno” ha dichiarato a Reuters Todd McClay, ministro del Commercio neozelandese, inquadrando lo scetticismo che molti dei Paesi partecipanti nutrono dopo l’affondamento del TPP. La posizione neozelandese, alla quale si allineano anche i Paesi est-asiatici, è più cauta rispetto alla riuscita del progetto. McClay sottolinea che, anche se non si aspetta che una soluzione venga trovata in questa settimana, “c’è ancora vita nel TPP”.

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SUD AMERICA “Lava Jato” si espande, infatti il procuratore generale brasiliano Rodrigo Janot ha chiesto l’apertura di 83 nuovi filoni d’inchiesta. La richiesta è stata inviata sulla base delle confessioni di circa 70 ex dirigenti del gruppo Odebrecht. VENEZUELA 15 marzo. Il governo venezuelano ha dichiarato di voler espropriare tutti quei panifici che non rispettano le nuove norme per la produzione del pane; da giorni, infatti, aumentano le file per acquistare il pane che scarseggia sempre di più ed il governo ha attribuito ogni responsabilità ai panettieri, accusandoli di utilizzare la farina importata per preparare dolci, i quali vengono venduti ad un prezzo maggiore del pane. GUATEMALA 14 marzo. La polizia ha arrestato tre alti funzionari guatemaltechi nell’ambito dell’inchiesta sull’incendio avvenuto l’8 marzo nell’ala femminile dell’istituto Virgen de la Asuncion di San José Pinula, il quale ha causato la morte di 29 adolescenti. I tre arrestati sono l’ex segretario al welfare Carlos Rodas Mejia , la sua sottosegretaria e il direttore del centro Santos Torres; per tutti l’accusa è di omicidio colposo, negligenza e maltrattamento di minori. A cura di Elisa Zamuner

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STORIA DI UN’ESTINZIONE: LA FOCENA CALIFORNIANA La salvaguardia delle ultime 30 vaquita si scontra con interessi economici

Di Viola Serena Stefanello I locali le chiamano vaquitas (“piccole vacche”). Le focene del golfo della California sono considerate a rischio di estinzione: i pochi esemplari rimasti restano intrappolati mortalmente nelle reti da pesca usate per catturare un altro animale, il totoaba. Questo, a sua volta in via d’estinzione, viene cacciato illegalmente, in quanto la sua vescica natatoria è richiestissima in Asia e pagata a peso d’oro. Quella che sta dietro la rapida diminuzione dell’ultima comunità di vaquitas è una storia di traffico illegale internazionale, che raggiunge la Cina passando prima per la frontiera statunitense: un’emergenza che ha portato i comitati ambientalisti a dare l’allarme. Rimangono soltanto 30 esemplari di questi animali. Il Messico aveva emesso già nel 2015 il divieto di utilizzo di reti da pesca nel golfo della California, per salvaguardare l’habitat naturale dell’animale. Questo divieto, della durata di due anni, è prossimo a scadenza: data la gravità della situazione, il WWF ha chiesto che sia prolungato a tempo indeterminato. Gli abitanti delle comunità di pescatori sul Golfo sono però già sul piede di guerra.

Molto contrariati dal divieto di utilizzo delle reti nel “loro” mare, negli ultimi giorni alcuni gruppi di pescatori locali hanno aggredito 28 ufficiali divarieagenziegovernative, danneggiando inoltre veicoli e barche atti a pattugliare la costa per assicurarsi che la legge venga rispettata. Secondo gli inquirenti, le proteste sarebbero scoppiate a Golfo de Santa Clara, nel Sonora, per via di alcuni ritardi nell’accettazione dei permessi per la pesca della corvina, la cui stagione comincia a marzo. Alcuni esperti denunciano che le barche per la pesca della corvina trasportano spesso anche le reti per pescare illegalmente il totoaba. Come dichiarato da Martha Camacho, delegata di Golfo de Santa Clara, la reazione degli abitanti della zona sarebbe diversamente motivata: il divieto di pesca totale nell’Alto Golfo della California decreterebbe la morte economica dell’area, che vive quasi solo grazie alla pesca. Mentre il governo messicano, messo sotto pressione dalle organizzazioni ambientaliste, evita di prendere una posizione netta, gli animi si infuocano sempre più. Le 30 vaquitas rimaste nuotano ignare, tra una rete vietata e l’altra.


ECONOMIA WikiNomics

ARGENTINA, LUCI DEL PRESENTE

DRAGHI NON CANTA ANCORA VITTORIA Il Quantitative Easing compie due anni e la BCE non si ferma

A un anno dalle elezioni argentine, una prima verifica per Macri Anzi, il Peso argentino ha subìto una svalutazione del 40%, fatto che ha provocato un’ulteriore aumento del tasso di inflazione, il secondo più alto del continente dopo il Venezuela, che da mesi rischia il default, complice la perdurante stagnazione del prezzo mondiale delle materie prime, di cui il Sud America è grandissimo produttore.

Di Efrem Moiso Venerdì scorso il presidente della BCE Mario Draghi ha tenuto una conferenza stampa, durante la quale ha dichiarato che le criticate decisioni prese due anni fa riguardanti il Quantitative Easing stanno dando i frutti sperati. Cos’è e come funziona il Quantitative Easing. È una politica monetaria fortemente espansiva adottata dalle banche centrali per iniettare indirettamente denaro nell’economia reale. La banca centrale acquista titoli di Stato o privati (banche comprese) con lo scopo di stimolare la crescita economica e l’occupazione facilitando l’accesso al credito dato dall’aumento di disponibilità liquide. L’aumento di liquidità gioca a favore dell’inflazione, facendola crescere in modo graduale e - al contempo svalutando il valore della moneta e rafforzando la competitività nei confronti dell’estero. Tentativi prima del QE. Nel caso europeo, la BCE ha adottato il QE due anni fa - molto in ritardo rispetto ad altre banche centrali - avendo tentato, a partire dal 2014 e con scarsi risultati, opzioni come l’azzeramento dei tassi d’interesse per le operazioni di rifinanziamento, fino a

E FANTASMI DEL PASSATO

Di Michelangelo Inverso Il governo argentino di Macri ha ormai superato il primo anno di vita ed è possibile tracciarne un primo, parziale, bilancio. Nel discorso dell’anniversario, tenutosi lunedì, l’amministrazione della Casa Rosada ha voluto sottolineare i risultati ottenuti, primo fra tutti l’accordo raggiunto con gli investitori istituzionali per il pieno rimborso dei titoli di Stato acquistati precedentemente al default del 2001 e che i precedenti governi peronisti avevano deciso di punire per la loro speculazione (i tassi di interessi legati al debito pubblico superavano anche il 100% del valore nominale). L’accordo raggiunto ha reso possibile una riappacificazione con gli istituti finanziari internazionali, specialmente il FMI, consentendo un ritorno dell’Argentina sui circuiti finanziari globali. Risultato su cui Macri aveva molto investito in campagna elettorale, insieme alle promesse di una sostenuta crescita del mercato del lavoro e di tutta l’economia del Paese. Tuttavia, nonostante le dichiarazioni roboanti del governo, i risultati nell’economia reale tardano a manifestarsi.

Anche la grave recessione dell’industria dell’ingombrante vicino brasiliano si è riflessa duramente su quella argentina, che è crollata in ottobre dell’8% portando la disoccupazione al 9,2% e ad una contrazione ulteriore dei salari. Ma la responsabilità di questa situazione non è totalmente avulsa dalle scelte del governo. Non è, infatti, un mistero che il liberista Macri abbia puntato molto sui tagli alla spesa pubblica come propellente alla crescita e ridotto i sussidi statali e i salari erogati al pubblico impiego. A farne le spese sono state certamente le fasce più deboli dei lavoratori, ma anche le piccole e medie imprese, che hanno visto crescere il costo dell’elettricità di quasi sei volte. Persino il presidente della Commissione episcopale per la pastorale sociale, mons. Jorge Lozano, ha affermato che “le misure del governo hanno ferito molte persone”. La strada intrapresa si pone nel solco già visto degli anni ‘90: efficienza economica contro uguaglianza. Vedremo quali saranno i nuovi esiti. Se la storia non si ripete, è pur vero che le crisi sono cicliche. MSOI the Post • 17


ECONOMIA raggiungere tassi negativi per i depositi delle banche presso la BCE stessa, piuttosto che l’acquisto di covered bond, di titoli cartolarizzati e di obbligazioni societarie. Erano state anche varate forniture di liquidità per pagare le banche in modo che queste impiegassero la propria liquidità nell’economia reale. Tali azioni erano state intraprese poiché diversi governatori si opposero al QE e tuttora lo criticano. QE e BCE. Quando il piano venne varato, era previsto che la BCE acquistasse mensilmente titoli per un valore di 60 miliardi, poi aumentato a 80 nell’aprile scorso e ora, scomparso lo spettro della deflazione, verrà riportato a 60. Entro la fine dell’anno, la BCE avrà acquistato - tramite il QE e le altre politiche monetarie - titoli per un valore complessivo di 3.440 miliardi. I risultati sono a favore di Draghi. Nell’arco di 3 anni, sono stati registrati un aumento cumulativo dell’inflazione dell’1,5% e della crescita dell’1,3%. I posti di lavoro creati sono 4.5 milioni e la ripresa continuerà anche nel 2017. Inoltre, lo spread fra i Paesi membri è stato compresso e l’euro ha subito un calo molto marcato (oltre il 20% nei confronti del Dollaro USA), incentivando l’export. I prossimi due anni, con l’uscita dal QE e la normalizzazione dei tassi d’interesse, richiederanno un’ennesima volta tutta l’esperienza del Presidente della BCE nel gestire ostacoli di ogni genere.

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CRISI GRECA

L’economia del Paese continua a soffrire

Di Ivana Pesic Le previsioni di crescita del PIL greco per l’anno in corso stimavano un aumento tra il 2,5 e il 2,7%. Si credeva, dunque, che la crisi in Grecia avesse raggiunto il suo picco massimo e che fosse giunto il tanto atteso momento di risalita per l’economia del Paese. La situazione torna, però, a dare cattivi segnali e le stime potrebbero ben presto essere riviste al ribasso. Infatti, l’economia continua a contrarsi, il tasso di disoccupazione si attesta ancora oltre il 23% e il PIL è ulteriormente calato dell’1,2%. Anni di scelte politiche sciagurate, posti pubblici regalati, un’enorme evasione fiscale e anni di conti falsificati all’epoca dell’allora primo ministro Konstatinos Karamanlis. Così è iniziata la crisi. Da allora, la Grecia ha ricevuto il più grande prestito internazionale della storia: in tutto, 110 miliardi di euro. Nonostante ciò, il prodotto pro capite di un cittadino greco è ancora del 20% al di sotto di quello registrato prima della crisi e gli investimenti non arrivano al 30% di quelli del 2008. Praticamente, uno scenario postbellico. Le trattative per il nuovo piano di salvataggio si sono arrestate e le prospettive di riuscire a salvarsi dal default imminente sembrano

sempre più vane, rendendo ancora più essenziale un aiuto economico da parte della BCE e dell’Unione Europea. La tranche di pagamenti sarà necessaria per riuscire a evitare il default di luglio, inevitabile per l’arrivo delle scadenze dei titoli di Stato. I soldi, però, arriveranno solo dopo che Atene stabilirà nuove manovre di austerità e imposterà dei nuovi tagli alla spesa pubblica. La presidente dell’FMI, Christine Lagarde, ha chiesto alla Grecia ulteriori riforme, soprattutto nei sistemi fiscali e pensionistici. Un taglio del debito di Atene, ha concluso Lagarde, non è al momento necessario, ma devono essere presi in considerazione ulteriori alleggerimenti sul debito come una riduzione dei tassi o una più lunga durata dei prestiti. L’economia e il suo andamento non sono il solo problema della Grecia. Infatti, l’UE - con la Germania in testa - spinge perché sia rispettato l’avanzo primario previsto del 3,5% nel 2018. Un obiettivo irraggiungibile se l’economia non cresce e non si alleggeriscono le manovre di austerità e pressione fiscale. In sostanza, la Grecia si trova in vero e proprio paradosso, con l’Eurozona che chiede nuove manovre di austerità, che, tuttavia, le impediscono di crescere e di aumentare il PIL per riuscire a raggiungere gli obiettivi stabiliti.


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