MSOI thePost Numero 58

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Il Settimanale di M.S.O.I. Torino


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MSOI Torino M.S.O.I. è un’associazione studentesca impegnata a promuovere la diffusione della cultura internazionalistica ed è diffuso a livello nazionale (Gorizia, Milano, Napoli, Roma e Torino). Nato nel 1949, il Movimento rappresenta la sezione giovanile ed universitaria della Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale (S.I.O.I.), persegue fini di formazione, ricerca e informazione nell’ambito dell’organizzazione e del diritto internazionale. M.S.O.I. è membro del World Forum of United Nations Associations Youth (WFUNA Youth), l’organo che rappresenta e coordina i movimenti giovanili delle Nazioni Unite. Ogni anno M.S.O.I. Torino organizza conferenze, tavole rotonde, workshop, seminari e viaggi studio volti a stimolare la discussione e lo scambio di idee nell’ambito della politica internazionale e del diritto. M.S.O.I. Torino costituisce perciò non solo un’opportunità unica per entrare in contatto con un ampio network di esperti, docenti e studenti, ma anche una straordinaria esperienza per condividere interessi e passioni e vivere l’università in maniera più attiva. Elisabetta Botta, Segretario M.S.O.I. Torino

MSOI thePost MSOI thePost, il settimanale online di politica internazionale di M.S.O.I. Torino, si propone come un modulo d’informazione ideato, gestito ed al servizio degli studenti e offrire a chi è appassionato di affari internazionali e scrittura la possibilità di vedere pubblicati i propri articoli. La rivista nasce dalla volontà di creare una redazione appassionata dalla sfida dell’informazione, attenta ai principali temi dell’attualità. Aspiriamo ad avere come lettori coloro che credono che tutti i fatti debbano essere riportati senza filtri, eufemismi o sensazionalismi. La natura super partes del Movimento risulta riconoscibile nel mezzo di informazione che ne è l’espressione: MSOI thePost non è, infatti, un giornale affiliato ad una parte politica, espressione di una lobby o di un gruppo ristretto. Percorrere il solco tracciato da chi persegue un certo costume giornalistico di serietà e rigore, innovandolo con lo stile fresco di redattori giovani ed entusiasti, è la nostra ambizione. Jacopo Folco, Direttore MSOI thePost 2 • MSOI the Post

N u m e r o

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Redazione Direttore Jacopo Folco Vicedirettore Davide Tedesco Caporedattore Alessia Pesce Capi Servizio Rebecca Barresi, Luca Bolzanin, Sarah Sabina Montaldo, Daniele Pennavaria, Leonardo Scanavino, Giulia Tempo, Martina Terraglia, Chiara Zaghi Media e Management Samantha Scarpa Redattori Federica Allasia, Erica Ambroggio, Elena Amici, Daniele Baldo, Lorenzo Bardia, Giulia Bazzano, Lorenzo Bazzano, Andrea Bertazzoni, Giusto Amedeo Boccheni, Luca Bolzanin, Giulia Botta, Maria Francesca Bottura, Adna Camdzic, Matteo Candelari, Claudia Cantone, Giulia Capriotti, Daniele Cavalli, Emanuele Chieppa, Giuliana Cristauro, Lucky Dalena, Alessandro Dalpasso,Francesca Maria De Matteis, Luca De Santis, Sabrina Di Dio,Ilaria Di Donato, Sofia Ercolessi, Simone Esposito, Guglielmo Fasana, Giulia Ficuciello, Alessandro Fornaroli, Lorenzo Gilardetti, Ann-Marlen Hoolt, Michelangelo Inverso, Vladimiro Labate, Giulia Marzinotto, Simone Massarenti, Efrem Moiso, Virginia Orsili, Daniele Pennavaria, Ivana Pesic, Edoardo Pignocco, Sara Ponza, Jessica Prieto, Carolina Quaranta, Giacomo Robasto, Daniele Reano, Jean-Marie Reure, Clarissa Rossetti, Michele Rosso,Daniele Ruffino,Fabio Saksida, Martina Santi, Federico Sarri, Leonardo Scanavino, Martina Scarnato, Samantha Scarpa, Francesca Schellino, Viola Serena Stefanello, Lola Ferrand Stanley, Giulia Tempo, Martina Terraglia, Elisa Todesco, Francesco Tosco, Tiziano Traversa, Fabio Tumminello, Chiara Zaghi, Francesca Maria De Matteis, Martina Unali, Elisa Zamuner. Editing Lorenzo Aprà Copertine Amandine Delclos Vuoi entrare a far parte della redazione? Scrivi una mail a thepost@msoitorino.org!


EUROPA 7 Giorni in 300 Parole ESTONIA 17 marzo. 120 truppe britanniche sono ufficialmente arrivate nella base militare di Amari. È solo l’avanguardia di una missione di circa 800 militari NATO sul Baltico per scongiurare la possibilità di un’eventuale invasione russa, una delle maggiori operazioni NATO in Europa dalla fine della Guerra Fredda. GERMANIA 19 marzo. Martin Schulz è stato ufficialmente nominato leader del partito socialista SPD nel corso del congresso della scorsa settimana, ottenendo tutti i 605 voti dell’assemblea per la prima volta nella storia del partito. IRLANDA 23 marzo. Si sono svolti a Derry i funerali di Martin McGuinnes, ex leader dell’IRA divenuto nel corso della sua carriera uno dei principali proponenti del processo di riappacificazione fra Nord e Sud. Erano presenti diversi leader unionisti protestanti e figure di spicco come Bill Clinton.

REGNO UNITO 22 marzo. Un sospetto attacco terroristico a Westminister, davanti alla sede del Parlamento, ha causato la morte di 5 persone e ferito altre 40. La polizia londinese ha fatto sapere di aver identificato il colpevole, ma le indagini sono ancora in corso. SPAGNA

60 ANNI DI UNIONE EUROPA Tra unità e scetticismo

Di Giulia Ficuciello Nel 1951 venne creata a Parigi la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio. Jean Monnet, padre fondatore dell’Unione Europea, volle successivamente estendere i compiti della CECA in modo da creare un più forte sistema d’integrazione europea. La proposta incontrò il favore di molti, come il Ministro degli Esteri olandese, ma anche delle opposizioni, come quella della Gran Bretagna. A seguito della Conferenza di Messina del 1955, il 25 marzo 1957 vennero firmati a Roma i trattati istitutivi della Comunità Economica Europea e della Comunità Europea dell’energia Atomica, entrati in vigore il 1° gennaio 1958. Questi hanno dato inizio al più lungo periodo di pace nella storia europea. Il TCEE è divenuto a seguito del trattato di Lisbona il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea. Tra le altre cose, viene prevista l’eliminazione dei dazi doganali, lo sviluppo e la cooperazione tra gli Stati Membri ed un mercato comune basato sulla libera circolazione di persone, beni, servizi e capitali. Oggi, nonostante il 61% dei cittadini europei veda l’Unione Europea come un garante di stabilità, assistiamo al contempo ad una crescita esponenziale di partiti e movimenti populisti-

euroscettici: il 23 giugno 2016 il popolo del Regno Unito ha votato per la cosiddetta Brexit, il Front National è il partito più votato dai giovani francesi e l’81% della popolazione greca ha grande sfiducia nell’Unione Europea. Il 1° marzo è stato presentato alla Commissione Europea il Libro Bianco nel quale vengono delineati 5 scenari possibili per l’evoluzione dell’Unione Europea. Tale libro costituisce l’inizio del dibattito sulle attuali sfide dell’Unione (dalla globalizzazione all’immigrazione) ed il prossimo incontro si terrà il 25 marzo a Roma per celebrare il 60° Anniversario dei Trattati di Roma. Obbiettivo del vertice è creare un programma da presentare ai cittadini europei entro giugno 2019 in occasione delle elezioni del Parlamento Europeo. Antonio Tajani, il nuovo presidente del Parlamento Europeo, sostiene che oggi in UE ci siano tre grandi problemi: la disoccupazione, l’immigrazione illegale ed il terrorismo. A suo avviso tutte le istituzioni europee devono lavorare assieme e bisogna comprendere le ragioni di questo crescente euroscetticismo, solo facendo in questo modo si riusciranno a dare risposte concrete ai cittadini dell’UE . È quindi necessario “andare avanti tutti assieme”. MSOI the Post • 3


EUROPA 17 marzo. Il gruppo separatista basco ETA, che rinunciò ufficialmente alla violenza nel 2011, ha comunicato la propria intenzione di voler effettuare un disarmo completo, promettendo di rivelare tutte le sedi delle proprie scorte di armi entro l’8 aprile.

LE GRAN DÉBAT

Il primo confronto televisivo dei candidati tra accuse e difese

Di Daniele Reano

UNIONE EUROPEA 18 marzo. Il capogruppo dei Ministri delle Finanze dell’UE, l’olandese Jeroen Dijsselbloem, si è trovato al centro di una controversia dopo un’intervista in cui, parlando delle richieste di aiuto economico avanzate dai Paesi del sud Europa, ha commentato “se io spendessi tutti i miei soldi in alcol e donne non avrei il diritto di chiedere aiuto.” Dijsselbloem ha annunciato di non avere intenzione di dimettersi. A cura di Elena Amici

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Quale immagine della Francia vedremo emergere nei prossimi 5 anni? Questa la domanda principale che ha tenuto incollati davanti ai televisori più di 10 milioni di telespettatori il primo dibattito tra i 5 candidati principali per la presidenza della Repubblica francese. Il sistema del suffragio universale diretto per la scelta del presidente implica una maggiore attenzione al temperamento e alla personalità del candidato, da cui dipende una parte consistente del consenso che si è in grado di attrarre. Una campagna elettorale aspra, segnata da svariate inchieste giudiziarie e dove un terzo dei francesi dichiara di non volersi recare alle urne, lasciava presagire un dibattito ricco di scontri e profonde divisioni. I sondaggi prima del confronto mostrano come sempre più probabile una sfida a due tra Emmanuel Macron, candidato indipendente di En Marche! e Marine Le Pen del Front National con gli altri staccati di diversi punti. Proprio tra loro due si sono consumati i momenti di scontro, in particolare le accuse reciproche di vuota retorica o di mentire di fronte al popolo francese. Macron ha cercato di approfittare della sua

oratoria, attaccando Le Pen sull’amicizia con Vladimir Putin e sulla sua idea di “patriottismo economico” che “divide la nazione anzichè unirla”. La leader del FN ha elogiato la Brexit contro l’europeismo dell’ex ministro, puntando a inchiodare l’avversario sui temi della sicurezza e degli attentati terroristici. Benoit Hamon, candidato del Partito Socialista, e Jean-Luc Melenchon del Fronte della Sinistra, considerati vicini su un gran numero di temi, hanno conseguito una sorta di tregua armata, evitando di scontrarsi tra di loro e concentrandosi sugli altri avversari. Più defilato Francois Fillon, uomo del centrodestra in crisi di consenso per gli scandali che si susseguono da mesi, che ha cercato di darsi un profilo più presidenziale senza cedere alla tentazione di attaccare gli avversari. Più di tre ore di dibattito hanno visto i candidati confrontarsi sulla laicità, sul terrorismo che ha insaguinato la Francia, sulla politica estera, sulla trasparenza dei finanziamenti e sulla visione globale della società. Una delle rilevazioni condotte alla fine del dibattito ha mostrato come il più convincente sia stato Macron con il 24% di gradimento, seguito da Fillon e Le Pen al 19%. Melenchon ha raggiunto il 15% mentre Hamon chiude la classifica con un magro 10% .


NORD AMERICA 7 Giorni in 300 Parole

STATI UNITI 17 marzo. Donald Trump ha ricevuto presso la Casa Bianca la cancelliera tedesca Angela Merkel. I due leader si sono confrontati su commercio, questione ucraina e ruolo della NATO promuovendo punti di contatto tra le due reciproche nazioni. Attese, invece, le divergenze sul tema dei rifugiati. 18 marzo. Il Segretario di Stato americano ha incontrato a Pechino il ministro degli Esteri cinese Wang Yi. Durante il confronto, Tillerson, ha raffreddato, con toni più diplomatici, le dichiarazioni rese il giorno precedente circa un possibile intervento militare ai danni della Corea del Nord e del programma nucleare portato avanti da Pyongyang. Fissato un futuro vertice tra Donald Trump ed il presidente cinese Xi Jinping. 19 marzo. Il Dipartimento dell’Homeland Security ha reso noti i parametri fissati per la gara d’appalto finalizzata alla costruzione della barriera di confine tra Stati Uniti e Messico. Fissato al 29 marzo il termine per la presentazione delle proposte. 20 marzo. James Comey, direttore del Federal Bureau of Investigation, ha dichiarato l’assenza di prove a sostegno delle accuse mosse contro l’ex presidente Obama, responsabile, secondo Donald Trump, delle possibili intercettazioni avvenute all’interno della Trump Tower. Proseguono le indagini sul

WELCOME TO CANADA?

Cosa ne pensano i canadesi delle politiche del governo Trudeau?

di Alessandro Dalpasso “A coloro che fuggono dalla persecuzione, dal terrore e dalla guerra: i Canadesi vi daranno il benvenuto, a prescindere dal vostro credo. La diversità è la nostra forza. #WelcomeToCanada”. Così Justin Trudeau scriveva su Twitter il 28 gennaio scorso. Ma la realtà del sentimento comune all’interno della società canadese sembra essere molto diversa. Il Canada è stato costruito sull’immigrazione, è uno dei Paesi fra i più multiculturali del pianeta. Nel 2011, anno dell’ultimo censimento disponibile, venne rilevato che più di 1 canadese su 5 era un immigrato. Questa proporzione è poi, perlomeno, rimasta stabile, considerando anche i livelli di accoglienza a cui ci ha abituato il Paese della foglia d’acero. Solo nel corso del 2016, infatti, sono stati accolti più di 320mila migranti, superando di molte unità la media annua (che si stabilisce con regolarità attorno ai 250mila). Alla luce di questi dati, che danno bene l’idea di quale sia l’intenzione del Governo sulla questione, un sondaggio della casa CROP ha cercato di capire se le politiche statali e il sentimento dei cittadini fossero allineati. Innanzitutto è stato chiesto agli intervistati quale fosse la loro percezione generale sul numero totale di immigrati. Sebbene il sentimento comune

fosse una presa d’atto del fatto che il fenomeno stia cambiando la società canadese, il 40% sostiene che si sia superata la soglia massima di ingressi del Paese. A costoro si aggiunge inoltre la voce di un altro gruppo di persone, che sono più del 50% degli intervistati, che sostiene che sul lungo periodo la cultura e l’identità canadese saranno messe a dura prova da coloro che oggi sono accolti dal governo di Ottawa. Inoltre queste percentuali sono maggiori di circa il 10% ciascuna se come campione si considerano solo gli abitanti della regione francofona del Québec. A smorzare i toni sensazionalistici ci ha pensato il presidente stesso della casa CROP. Alain Giguère ha infatti sostenuto che questo sentimento diffuso, ma soffuso, di intolleranza è dovuto esclusivamente a situazioni contingenti. “Una parte della popolazione ha delle difficoltà a vivere in una società così diversificata, creando così un substrato di potenziale intolleranza che è però solamente il corollario di una difficoltà economica dovuta alla situazione attuale”. Le cause sarebbero dunque solamente economiche, nonché passeggere. A sostegno della sua ipotesi un’ulteriore affermazione “nonostante sembrino i più diffidenti, un abitante del Québec su tre crede che la diversità renderà il Paese un posto migliore per vivere”. MSOI the Post • 5


NORD AMERICA Russiagate. 21 marzo. Il presidente Trump ha firmato il NASA Transition Authorization Act stanziando $19,5 miliardi a sostegno delle attività spaziali previste per il 2018. Tra le missioni menzionate figurerebbe la prossima esplorazione umana di Marte ed un aumento degli sforzi da dedicare allo studio dello spazio profondo. 22 marzo. Il segretario di Stato americano, Rex Tillerson ha inaugurato il vertice della Global Coalition contro lo Stato islamico. I 68 membri della coalizione sono stati esortati a rivedere le strategie militari attualmente operative sul territorio iracheno e siriano con l’obiettivo di rafforzare l’impegno comune contro il terrorismo. CANADA 20 marzo. Secondo un sondaggio pubblicato da Reuters, il 41% dei canadesi non condividerebbe l’operato del primo ministro Justin Trudeau in relazione alla gestione dell’afflusso di migranti dagli Stati Uniti. L’aumento del numero di coloro che oltrepassa il confine per giungere in Canada renderebbe il Paese “meno sicuro”. 22 marzo. Il Canada prenderà in considerazione la possibilità di attivare ulteriori misure di sicurezza a bordo dei voli diretti verso i propri aeroporti. Le dichiarazioni del ministro dei Trasporti canadese, Marc Garneau, giungono all’indomani del divieto imposto dall’amministrazione Trump all’utilizzo di laptop e tablet a bordo di voli provenienti da specifici Paesi mediorientali e nordafricani. A cura di Erica Ambroggio 6 • MSOI the Post

LA MAFIA RUSSA ALLA TRUMP TOWER: RICICLAGGIO E SCOMMESSE ILLECITE

L’indagine dell’FBI che ha smascherato il covo di Tokhtakhounov e altre 30 persone

di Federico Sarri Criminali russi con uffici alla Trump Tower: svelate le intercettazioni telefoniche dell’FBI. Riciclaggio di denaro sporco e scommesse illecite sono stati al centro di un’inchiesta conclusasi nel 2013. Alimzhan Tokhtakhounov, uno dei più noti boss della mafia russa, conduceva i propri affari dall’edificio sulla 5th Avenue. Nell’inchiesta pubblicata da Abc News si rende nota un’indagine condotta dall’FBI negli anni che vanno dal 2011 al 2013. Microspie e intercettazioni telefoniche hanno smascherato un clan affiliato alla mafia russa, che aveva i propri uffici (acquistati o in affitto) alla TrumpTower.Riciclaggiodidenaro e scommesse illecite: sono questi i reati di cui Tokhtakhounov dovrebbe rispondere. Prima di essere formalmente accusato dall’ente federale, però, è tornato in Russia. Qui, dov’è soprannominato “piccolo taiwanese” per i tratti orientali, continua a svolgere i propri affari. Nel giorno in cui il direttore dell’FBI James B. Comey conferma le indagini sui rapporti tra la Russia e l’allora candidato repubblicano, la Trump Tower torna sotto i riflettori. Ma questa volta non per le presun-

te intercettazioni ordinate da Barack Obama nei confronti di Trump (delle quali nemmeno il Federal Bureau Investigation ha prova), bensì per un’inchiesta conclusa 4 anni fa. Gli appartamenti al 63esimo piano della torre, poche scalinate sotto l’attico residenziale dei Trump, sono stati messi sotto stretta sorveglianza. Da qui Tokhtakhounov e altri 30 affiliati alla mafia russa hanno svolto attività di riciclaggio e scommesse sportive illecite. Le telefonate e i messaggi intercettati hanno svelato un giro criminale che ha immesso negli Stati Uniti, ogni anno, circa 50 milioni di dollari. La Trump Tower, come si legge nell’inchiesta, è stata anche casa di un altro criminale russo. Vadim Trincher, che qui ha soggiornato, è stato infatti trovato colpevole di estorsione e sta scontando una pena di 5 anni in carcere. Il presidente Trump, mai indagato, ora si trova un’altra gatta da pelare. I suoi rapporti con uomini d’affari russi sono sotto la lente degli inquirenti, ma prima di tutto egli dovrà fare i conti con l’opinione pubblica. Proprio mentre i sondaggi fanno registrare il suo più basso tasso di popolarità.


MEDIO ORIENTE 7 Giorni in 300 Parole ARABIA SAUDITA, EGITTO, GIORDANIA, LIBANO, TUNISIA, TURCHIA 20 marzo. Un’ordinanza degli Stati Uniti, percepita come un altro “muslim ban”, impedisce a tutti i passeggeri dei voli provenienti da sei Paesi del Medio Oriente di portare dispositivi elettronici al di sopra di una certa dimensione nel proprio bagaglio a mano (le restrizioni sono applicabili a laptop e tablet). 21 marzo. Su dichiarazione del premier britannico Theresa May, anche il Regno Unito si unisce all’ordinanza. GIORDANIA 21 marzo. Per la prima volta nella storia giordana, la Corte di Cassazione ha deciso di inasprire la pena per due uomini accusati di omicidio della propria sorella, accusata di aver violato l’onore della famiglia. 22 marzo. Il governo ha bloccato l’estradizione di Ahlam alTamimi, coinvolta un attacco terroristico in una pizzeria di Gerusalemme nel 2001, sotto accusa negli Stati Uniti (nell’attacco sono morti due cittadini americani).

IRAQ 20 marzo. In un incontro tra il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump e il Primo Ministro iracheno Haider al-Abadi, vengono stabilite le priorità

“I BENEFICI DELLA POLIGAMIA” PER COMBATTERE LA CRISI La proposta contro la crisi sociale irachena della deputata sunnita Jamila Ubaydi

Di Maria Francesca Bottura “Il nostro egoismo ci ha fatto dimenticare i benefici della poligamia in un’epoca in cui ci sono oltre 4 milioni di donne vedove o divorziate”. A parlare la deputata sunnita Jamila Ubaydi, che in una conferenza stampa a Baghdad dello scorso 13 marzo ha motivato così la sua proposta. L’Iraq è un Paese affetto dalla crisi sociale: molte le donne rimaste vedove a causa della guerra o di attentati. La soluzione? La poligamia, secondo la deputata, che si troverebbe in linea anche con la tradizione locale di sposare più di una donna. L’incentivo per gli uomini rimasti sarebbe di tipo economico: infatti, tale proposta prevedrebbe un indennizzo per chiunque decida di prendere più di una moglie a suo carico. Non è la prima volta che viene avanzata un’iniziativa simile, soprattutto da diverse fazioni politiche del Paese. Infatti sono stati numerosi i tentativi che negli anni sono stati portati avanti da politici e ONG, suscitando non poche proteste. Nonostante le credenze generalmente diffuse su questo tipo di atto, la poligamia, per quanto risalente ad una

tradizione ben radicata nel Paese, non è del tutto legale in Iraq: per sposare più di una donna, infatti, un uomo iracheno deve avere il permesso del giudice e non può superare le quattro mogli, come prescritto anche dal codice shariatico, ovvero l’insieme delle normative che derivano dalla shari’a, la scienza giurisprudenziale islamica. Nel 2010, l’Iraq Crisis Report scriveva di donne rimaste vedove e con numerosi figli a carico, impossibilitate a vivere senza accettare di sposare uomini con altre mogli. Anche la BBC News, nel gennaio 2011, faceva riferimento a “uomini-rifugio”, che per le donne irachene potrebbero significare l’unica salvezza in un Paese dove la guerra ha distrutto tutto. Nonostante il serio problema sociale, molte sono state le critiche mosse nei confronti della deputata Ubaydi, come quelle della parlamentare yazida Vian Dakhil, del Partito Democratico Curdo, secondo il quale la proposta non è altro che un “incoraggiamento al traffico ” delle donne . Se secondo la Ubaydi bisognerebbe “mettere fine alla cultura di una sola donna per ogni uomo”, mentre per le altre deputate il problema andrebbe risolto “in maniera più ampia”.

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MEDIO ORIENTE nell’agenda dei due Paesi: la lotta al Daesh e al terrorismo iraniano. LIBIA 21 marzo. In un vertice a Roma il Ministero dell’Interno Italiano, insieme a rappresentanti di 8 Paesi europei ha rinnovato la volontà di fornire aiuto economico alla Libia per cercare di controllare la crisi dei migranti nonostante la crescente instabilità nel paese. 20 marzo. Il governo di Tripoli ha dichiarato di avere delle prove di abusi compiuti dall’Esercito Nazionale Libico a Benghazi.

PALESTINA/ISRAELE 22 marzo. Creata ufficialmente la prima squadra di baseball femminile nella striscia di Gaza. L’obiettivo è di partecipare al campionato asiatico. 23 marzo. L’autorità israeliana ha ordinato di chiudere la scuola al-Nukhba, a causa di e una sospetta affiliazion della direzione con il gruppo terroristico Hamas. SIRIA 20 marzo. Secondo alcuni attivisti per i diritti umani, una coalizione guidata dagli Stati Uniti ha bombardato una scuola che ospitava dei rifugiati interni nei pressi della roccaforte del Gruppo IS, Raqqa. A cura di Lucky Dalena

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I DIVERSIVI DI NETANYAHU

Israele con un piede nella crisi e l’altro in Oriente

Di Clarissa Rossetti Israele sembra essere sull’orlo di una crisi di governo dopo il dietrofront del primo ministro Benjamin Netanyahu sull’accordo con il Ministro dell’Economia Moshe Kahlon per la creazione dell’Israel Broadcasting Corporation, la nuova societá che dovrebbe sostituire l’emittente nazionale per le telecomunicazioni, la Israel Broadcasting Authority. Secondo la pagina Facebook ufficiale del Premier israeliano, i ripensamenti di Netanyahu sarebbero dovuti al rischio di perdere circa un migliaio di posti di lavoro, come emerso durante un incontro con gli impiegati della IBA. Inoltre, il mantenimento della IBA farebbe risparmiare al Paese almeno 10 milioni di Shekel (circa 2,5 milioni di Euro). Secondo i media nazionali, Netanyahu avrebbe minacciato di sciogliere il governo se Kahlon non acconsentirá ad annullare l’operazione per il lancio dell’IBC prima della data prevista, il 30 aprile prossimo. La risposta di Kahlon non si è fatta attendere: in consultazioni con Isaac Herzog, leader dell’opposizione - che su Twitter ha giá dichiarato di voler sostenere un voto di sfiducia per il governo ha parlato di lasciare la coalizione e voler arrivare ad elezioni anticipate. Al momento Kulanu, partito

di cui è leader Kahlon, é fondamentale per assicurare la maggioranza al Premier nella coalizione guidata dal partito conservatore, il Likud. L’opposizione accusa il Likud di voler deliberatamente distrarre l’opinione pubblica dalle attuali investigazioni sulle accuse di condotta criminale che pendono su Netanyahu, che lo costringerebbero alle dimissioni. Fonti un tempo vicine al Primo Ministro hanno definito la mossa come un pretesto per sollevare agitazioni e cogliere colleghi e oppositori di sorpresa, “una strategia abituale di Netanyahu”, secondo il precedente assistente del Premier, Yoaz Handel. Nel frattempo, Netanyahu si è recato in Cina per una visita di Stato, ma l’incontro con i vertici cinesi è rimasto in ombra, a causa dalla crisi politica. Oltre ai consueti colloqui con il primo ministro cinese Li Keqiang e il presidente Xi Jinping, in programma per Netanyahu ci sarebbe anche l’incontro con i leader di 11 grandi aziende, con l’intento di qualificare Israele come il candidato ideale per nuove partnership. Il Primo Ministro Israeliano ha infatti definito il Paese una potenza tecnologica globale e mira ad espandere le relazioni diplomatiche e commerciali con l’Estremo Oriente. I riflettori puntati sulle dinamiche politiche interne al Paese certo non aiutano la causa.


RUSSIA E BALCANI 7 Giorni in 300 Parole

I RAPPORTI COMMERCIALI TRA UCRAINA E DONBASS

La Blokade si interpone tra Kiev e gli stati secessionisti

BULGARIA 23/03/2017. Atteso per domenica prossima il voto per le elezioni politiche. Le elezioni anticipate arrivano a seguito della decisione dell’ex premier, Borisov, di porre fine al suo mandato dopo la sconfitta subita alle presidenziali dello scorso novembre. Secondo gli ultimi sondaggi, il GERB (movimento di centro- destra) e il BSP (partito socialista), si attesterebbero entrambi intorno al 28% dei consensi. KOSOVO. 20/03/2017. Il generale italiano Fungo, comandante della Kfor, da sempre impegnato a contrastare ogni atto di violenza nella regione, ha evidenziato il notevole miglioramento della situazione in Kosovo. “Le Forze Nato sono diminuite da 55mila a 4mila”, ha dichiarato.

RUSSIA 22/03/2017. L’Ucraina ha vietato alla cantante disabile russa, Samoilova, l’ingresso nel Paese in occasione degli Eurovision del prossimo maggio. Il motivo di tale decisione sarebbe la partecipazione della cantante ad una tournée in Crimea. Già in passato, il sostegno alla penisola autonnessa alla

Di Giulia Bazzano Negli ultimi due mesi Kiev e le autoproclamate repubbliche del Donbass sono stati nuovamente al centro dell’attenzione. Questa volta c’è il pericolo che le relazioni commerciali tra l’Ucraina e le repubbliche secessioniste vengano seriamente compromesse. Le avvisaglie dell’ennesima crisi nei rapporti erano iniziate a gennaio, quando un blocco ferroviario organizzato da ultranazionalisti ucraini ha impedito il trasporto del carbone proveniente dalle miniere di Donetsk. A mostrarsi particolarmente preoccupato era stato il primo ministro ucraino Groysman, che aveva sottolineato come per almeno due o tre anni il Paese non avesse alternative al carbone fornito dal Donbass. Il Primo Ministro, attraverso il suo ufficio stampa si era dichiarato disponibile al dialogo, definendo le conseguenze del blocco “distruttive per l’economia nel suo complesso”. L’obiettivo dei nazionalisti ucraini è principalmente quello di bloccare i rapporti commerciali con il Donbass, da loro ritenuti semplice “contrabbando”. Questi gruppi, i quali si definiscono “veterani di guerra” e “patrioti fedeli”, possono contare sul sostegno esplicito di alcuni membri del parlamento ucraino. Il

problema reale non riguarda tale appoggio, quanto piuttosto la tacita complicità di altre personalità politiche. Mantenere un consenso che sia il più vasto possibile, infatti, è il principale obiettivo delle forze politiche ucraine, le quali non vogliono inimicarsi gruppi ultranazionalisti. A inizio marzo il “divorzio” commerciale tra Kiev e il Donbass è ulteriormente progredito con il passaggio delle industrie di Donetsk e Luhansk sotto il controllo diretto dei separatisti. La presenza di industrie ancora sotto la legislazione ucraina negli stessi territori rende evidente quanto la situazione sia fuori dal controllo delle autorità. I nazionalisti organizzatori del blocco sono stati infine arrestati dai servizi di sicurezza ucraini, ma rilasciati poco dopo. I gruppi hanno ricevuto manifestazioni di solidarietà da parte di altri attivisti in alcune regioni ucraine. La Blokade rappresenta sia un’inequivocabile impossibilità di un futuro dialogo tra Kiev e il Donbass, sia un problema immediato per l’Ucraina, il cui fabbisogno energetico è alle dirette dipendenze dei territori separatisti, e la cui stabilità economica tende a vacillare. Secondo il primo ministro Groysman, il blocco potrebbe comportare una perdita di 3.5 miliardi di dollari e 75.000 posti di lavoro.

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RUSSIA E BALCANI Russia era costato il divieto di ingresso a circa 140 artisti. La Russia non ha visto di buon occhio la decisione ucraina di “politicizzare” un concorso canoro. 22/03/2017. Il vice ministro delle finanze russo, Storchak, annuncia che il debito estero dell’ex Urss verrà pagato entro “45 giorni”, e subito dopo aver saldato i 125 milioni di dollari che ancora deve alla Bosnia- Erzegovina. La Russia aveva già pagato, tra il 2011 e il 2016, il debito che aveva ereditato dall’ex Unione, nei confronti delle repubbliche jugoslave. SERBIA. 20/03/2017. L’ambasciatore americano, Scott, alla conferenza di Belgrado sulla prevenzione del terrorismo, ha rappresentato i Balcani come luogo di reclutamento di terroristi islamici: attraverso la rotta balcanica numerosi terroristi entrerebbero in Europa. Il ministro dell’interno serbo, Stefanovic, ha sottolineato l’impegno del Paese nella lotta al terrorismo, messo in atto anche attraverso l’interruzione dei canali di finanziamento degli estremisti.

UCRAINA 22/03/2017. L’Operazione anti terrorismo ucraina riferisce che nelle ultime 24 ore i secessionisti hanno attaccato 76 volte le forze nazionali ucraine. Gli attacchi riguardano il settore di Donetsk e di Luhansk, dove sono molto attivi i militanti russi. A cura di Ilaria Di Donato 10 • MSOI the Post

ANTICHE E NUOVE TENSIONI PER IL PRESIDENTE THAÇI

Dalla riforma dell’esercito al caso Haradinaj: le mosse della politica kosovara

Di Vladimiro Labate Il 7 marzo scorso, il presidente della repubblica del Kosovo Hashim Thaçi ha presentato al Parlamento un disegno di legge che prevede la trasformazione del Kosovo Security Force (KSF) in esercito regolare. Il KSF, nato dopo l’indipendenza del Paese dalla Serbia nel 2008, è una forza speciale di intervento, composta da 4.000 unità, che si occupa di operazioni di risposta alle crisi e di protezione civile ed è equipaggiato di sole armi leggere. Questo corpo opera sotto il controllo della NATO, che nel Paese continua ad avere un contingente di 4.500 uomini. L’istituzione di un esercito regolare, però, dovrebbe avvenire attraverso una modifica della Costituzione, per la quale è necessaria l’approvazione in Parlamento delle minoranze etniche: la Lista Serba, che rappresenta la minoranza serba in Kosovo, in accordo con Belgrado, si è detta contraria al progetto. Per questo, Thaçi ha presentato una legge ordinaria che permette alla KSF di utilizzare armi pesanti, di assolvere compiti difensivi e di aumentare il numero delle proprie unità fino a 5.000 soldati attivi e 3.000 riservisti. È proprio questa scorciatoia a non essere piaciuta agli alleati del Kosovo, NATO e Stati Uniti in primis. L’ambasciata americana a

Pristina ha dichiarato che la creazione di un esercito regolare dovrebbe passare attraverso un processo di riforma costituzionale condiviso e sia l’Alleanza Atlantica sia gli Stati Uniti si sono detti pronti a ridimensionare la cooperazione con i servizi di sicurezza kosovari nel caso in cui il governo dovesse andare avanti nei propri progetti. A questa vicenda, nel tessuto delle relazioni tra Kosovo e Serbia, si lega la risoluzione, votata dal Parlamento kosovaro il 9 marzo scorso, che prevede la sospensione del processo dei di normalizzazione rapporti con Belgrado, finché l’ex primo ministro Ramush Haradinaj, arrestato in Francia a gennaio su mandato di cattura internazionale emanato dalla Serbia per crimini contro il popolo serbo, non verrà rilasciato. L’ex comandante dell’UÇK (Esercito di Liberazione del Kosovo) e attuale leader del partito AAK, che ha presentato la risoluzione, è accusato per vicende relative alla guerra del Kosovo. Il processo di normalizzazione è cominciato nel 2013 con gli Accordi di Bruxelles, che prevedevano anche la creazione di un’Associazione di Comuni Serbi nel nord del paese a maggioranza serba. Tuttavia, l’accordo non ha mai preso forma e le recenti tensioni tra i due Stati non prospettano alcun avanzamento positivo in tale direzione.


ORIENTE 7 Giorni in 300 Parole BANGLADESH 16 marzo. Quattro individui connessi all’organizzazione terroristica Jama’at-ulMujahideen sono morti nel corso di un raid della polizia. Tre di loro potrebbero essere stati coinvolti nell’attentato di luglio nel quartiere diplomatico di Dacca.

CINA 18 marzo. L’augurio di Rex Tillerson, nuovo Segretario di Stato statunitense, in seguito all’incontro con il suo omologo cinese Wang Yi, affinché tra i due Paesi si instaurasse un clima di “reciproco rispetto” è stato molto apprezzato da Pechino, che da sempre domanda l’attenuarsi delle pressioni diplomatiche statunitensi sulle sue politiche a Hong Kong, Taiwan, in Tibet e nel Mare Cinese Meridionale.

COREA DEL NORD 16 marzo. Tillerson ha evidenziato la necessità di un cambio di approccio nei confronti delle minacce di Pyongyang. A dispetto di ciò, il Segretario di Stato non ha proposto cambi di rotta significativi. Gli USA continueranno a spingere perché la Cina interrompa i flussi economici col vicino. Pechino, però, pur essendo i rapporti con Pyongyang ai minimi storici dopo l’attentato di Kim Jong Nam, resta poco propensa a ricorrere a una cura che potrebbe arrecare più danni che benefici.

GIAPPONE 18 marzo. Il vice-Ministro degli Esteri russo Igor Morgulov e la sua controparte giapponese Takeo Akiba hanno discusso

IL FIUME SACRO DEI MAORI OTTIENE PERSONALITÀ GIURIDICA

In Nuova Zelanda lo storico riconoscimento giuridico del Whanganui.

Di Luca De Santis Le acque sacre ai Maori sono ora giuridicamente considerate un essere vivente. Dopo una battaglia legale durata 170 anni, il fiume Whanganui, il terzo più lungo della Nuova Zelanda (145 km), sarà ritenuto alla stregua di un “essere indivisibile e vivente con tutti i suoi elementi fisici e spirituali”. Verrà tutelato da un rappresentante scelto dalla comunità maori e da uno di nomina governativa. La legge trae origine dallo storico trattato di Waitangi, che fu firmato nel 1840 da un delegato della corona inglese e da 40 capi delle tribù maori dell’Isola del Nord. In base al trattato, la Nuova Zelanda divenne colonia inglese e si stabilì la tutela di interessi e proprietà maori. “La nuova legge mette fine al più lungo contenzioso nella storia del Paese” ha affermato il ministro per il trattato di Waitangi Christopher Finlayson. Con la legge si riconosce la profonda connessione spirituale tra i Maori e il loro fiume ancestrale, si tutelano le tradizioni di questa popolazione autoctona e si pongono basi solide per il futuro del fiume. Mercoledì 15 marzo, giorno del riconoscimento ufficiale, centinaia di aborigeni hanno esultato. Gerrard Albert, capo negoziatore dei Maori, ha

motivato il legame con il fiume spiegando che la comunità da sempre lo considera un proprio antenato. Intanto, il Ministero per l’Ambiente della Nuova Zelanda coglie l’occasione per lanciare una sfida: entro il 2040, il 90% delle proprie acque territoriali (inclusi laghi e fiumi) dovrà essere pulito e balneabile. Si tratta di un programma di lavoro volto a migliorare la gestione delle acque dolci. A curarne congiuntamente l’aspetto politico saranno il Ministero dell’Ambiente e il Ministero dell’Industria. Infatti, secondo il ministro Nick Smith, in Nuova Zelanda i fiumi e laghi sono fondamentali anche dal punto di vista economico. Il Freshwater Programme, che tutela la flora e la fauna del Paese, è un elemento chiave dell’economia neozelandese. L’acqua è utilizzata per irrigare le colture e per i pascoli, per smaltire o diluire i rifiuti commerciali e le acque reflue, per la produzione di energia idroelettrica e come attrazione turistica. Agli aspetti di natura economica, però, si uniscono i forti legami culturali dei Maori con laghi e fiumi locali. Questo “sacro rapporto con l’acqua” è ora anche sancito e tutelato dalla legge.

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ORIENTE delle attività economiche nelle isole Kurli meridionali, che il Giappone rivendica e in cui Mosca starebbe però dislocando proprie truppe.

20 marzo. I ministri degli Esteri e della Difesa russi e giapponesi - Sergey Lavrov e Fumio Kishida e Sergey Shoigu e Tomomi Inada, hanno disposto per il prossimo incontro del G7 in Sicilia,in cui Abe dovrebbe fungere da intermediario per la Russia, e han rinnovato l’impegno comune nella lotta al terrorismo internazionale. I russi hanno sottolineato di non approvare lo schieramento dei sistemi antimissile statunitensi nell’Asia settentrionale. Si attende il meeting tra Putin ed Abe del mese prossimo.

INDIA 22 marzo. Giornata mondiale dell’Acqua. Secondo un report di Water Aid, l’India è il primo Paese per mancanza di accesso all’acqua pulita. 63 milioni di persone nelle zone rurali ne sono prive a causa di infrastrutture carenti e piani inadeguati. Il cambiamento climatico e l’incremento demografico alimentano il problema. Segue la Cina con 44 milioni di individui.

THAILANDIA 20 marzo. Il giorno dopo l’annuncio da parte della polizia di un presunto complotto per assassinare il primo ministro Prayuth Chan-Ocha, arriva la smentita dall’accusato membro delle “camicie rosse”, fuggito in Laos: “È una montatura che davvero non sta in piedi”.

A cura di Giusto Amedeo Boccheni 12 • MSOI the Post

MEANWHILE IN TIBET

La moria dei diritti a quasi 60 anni dalle rivolte

Di Carolina Quaranta Il 10 marzo ricorre in Tibet l’anniversario della rivolta che nel 1959 vide il movimento di resistenza tibetano sollevarsi contro il Partito comunista cinese. Nel 1950 una parte del Paese, che aspirava a svincolarsi definitivamente dal great game anglo-sovietico, venne invasa, e di fatto annessa, dall’esercito della neocostituita Repubblica Popolare Cinese. L’anno seguente un accordo sancì la sovranità cinese sul Tibet e diede inizio a un decennio di dominazione cinese, conclusosi con la rivolta del 1959. L’insurrezione costò al Paese il massacro di migliaia di civili e l’esilio del Dalai Lama; ancora oggi in tutto il mondo si svolgono manifestazioni di protesta e parate in sostegno al mai riconosciuto Stato del Tibet. Il 2017 si sta rivelando un anno difficile per la regione. Le politiche volte a favorire l’urbanizzazione della Cina hanno qui un impatto particolarmente forte: le procedure burocratiche di trasferimento degli abitanti cinesi verso il Tibet sono state rese più snelle negli ultimi anni e ciò ha comportato una massiccia migrazione e un lento scomparire della cultura tibetana. Quest’ultima è ulteriormente minacciata da una serie di

espropri delle zone rurali, che forzano la popolazione a trasferirsi nelle città. Si tratta di una politica del controllo giustificata da ragioni di stabilità sociale e che non lascia voce in capitolo alla popolazione tibetana. La città principale, Lhasa, e altri agglomerati urbani si stanno espandendo tanto da essere considerati ora delle vere e proprie prefetture. Ma la presenza cinese non si fa sentire solo tramite le politiche urbanistiche. A fine febbraio è stato imposto il divieto, per turisti e giornalisti, di visitare la regione autonoma. Inoltre, una settimana prima della commemorazione della rivolta, si è tenuta una monumentale parata in onore della Repubblica Popolare Cinese, che ha visto sfilare nel centro di Lhasa 5.000 soldati e 1.000 veicoli militari, avvertimento simbolico in vista dell’anniversario. Un portavoce del Parlamento tibetano in esilio, Khenpo Sonam Tenphel, ha denunciato la crescente mancanza di diritti nella regione: “Incarcerazioni arbitrarie, torture, discorsi di odio contro il Dalai Lama sono solo alcuni esempi degli abusi regolarmente subiti dal Tibet”. Dello stesso avviso è il direttore dell’area East Asia di Amnesty International, che ha definito il Paese “una tra le regioni in Cina dove l’oppressione politica e religiosa è al culmine”.


AFRICA 7 Giorni in 300 Parole KENYA 22 marzo. Un esperto IT è stato di accusato di aver violato la rete di computer della Kenya Revenue Authority e di aver rubato 39 milioni di dollari. L’accusa sostiene che il giovane faccia parte di un network internazionale di espatriati negli Stati Uniti dedito al furto di denaro da diversi enti pubblici, che, solo nel 2016, è costato al governo keniano oltre 165 milioni di dollari.

MAROCCO 17 marzo. Il re del Marocco Mohammed VI ha nominato Saâdeddine El Othmani nuovo Premier, incaricandolo dunque di formare il nuovo governo. Già ministro degli Esteri, il numero due del Partito islamista per la Giustizia e lo Sviluppo (PJD) raccoglie consensi trasversali, persino dal PAM, il principale partito di opposizione. NIGERIA 17 marzo. L’Alta Corte Federale di Abuja ha ordinato il dissequestro del giacimento petrolifero OPL245, il più ricco di tutta l’Africa, in concessione ad ENI e Shell dal 2011. Il sequestro provvisorio era stato ordinato nell’ambito dell’inchiesta su una presunta tangente da 1.2 miliardi di dollari pagata a dei funzionari del governo nigeriano. La Corte ha annullato la decisione in quanto la domanda di confisca è risultata viziata da irregolarità

SIAMO DAVANTI ALLA PEGGIOR CRISI UMANITARIA DAL 1945 Alle porte di una nuova tragedia

Di Guglielmo Fasana Carestia: se ne sente spesso parlare, ma di rado ci si sofferma sul significato reale di questo vocabolo. Un termine che racchiude molto più dei parametri fissati dalle Nazioni Unite per definire un’estrema scarsità di beni alimentari di base. Si parla di carestia quando il 20% della popolazione di uno Stato non ha accesso al cibo o non sa come si procurerà il prossimo pasto, quando il 30% dei bambini fino ai 5 anni soffre di malnutrizione, infine quando la mortalità dovuta a questi fattori si attesta a un tasso di 2/10.000 decessi al giorno. Tali cifre non consentono a un pubblico ampio di inquadrare il dramma umano che si consuma dietro quelle otto lettere. E, in questi ultimi giorni, il tema in questione rischia di tornare pericolosamente all’attenzione della comunità internazionale. Messi a fuoco questi dati con le lenti del sottosegretario Generale per gli Affari Umanitari dell’ONU Stephen O’Brien, è naturale guardarli con preoccupazione e allarme: “Siamo davanti alla peggior crisi umanitaria dal 1945”, ha annunciato il funzionario. In effetti, anche se passata piuttosto in sordina nei grandi flussi di

notizie, la pesante dichiarazione di O’Brien ha contribuito a dare una scossa all’opinione pubblica internazionale circa la gravità del momento. Attualmente, le nazioni maggiormente colpite dal fenomeno sono concentrate in Africa (Somalia, Sud Sudan, Nigeria), ma anche lo Yemen rischia la catastrofe. Il totale degli individui coinvolti si attesta all’impressionante cifra di 20 milioni di persone, che, senza la possibilità di nutrirsi, muoiono al ritmo di 4.000 ogni giorno. Di fatto, sarebbero necessari circa 4,4 miliardi di dollari per evitare che il bilancio delle vittime raggiunga proporzioni ancora più drammatiche. Ciò che tuttavia colpisce di più, nell’apprendere di un disastro che sembra ormai inevitabile, è proprio il fatto che avrebbe potuto facilmente essere evitato. Certo, le condizioni climatiche avverse hanno giocato un ruolo di primo piano. Ma la costante che porta il genere umano sull’orlo dell’involuzione è sempre la stessa. La guerra, il conflitto, la lotta impediscono un processo di normalizzazione che favorirebbe a sua volta lo sviluppo di politiche coerenti ed efficaci, capaci di contrastare le ataviche difficoltà di un continente in agonia.

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AFRICA procedurali.

NIGERIA: VIZIO DI FORMA PER IL SEQUESTRO DI OPL 245

ENI e SHELL si dichiarano soddisfatte della decisone

22 marzo. Almeno 6 persone sono morte ed altre 18 sono rimaste ferite nella notte a Maiduguri, nel nord-est della Nigeria, in seguito a 3 attacchi suicidi probabilmente legati al gruppo di estremisti islamici Boko Haram. Solo 3 giorni prima, 3 kamikaze si erano fatti saltare in aria nella stessa città, uccidendo 4 persone e ferendone 8. SOMALIA 18 marzo. Il governo della Somalia ha formalmente accusato la coalizione guidata dall’Arabia Saudita di aver attaccato con un elicottero militare un barcone con a bordo decine di profughi somali diretti verso il Sudan. Sono stati recuperati 42 cadaveri nelle acque davanti alle coste dello Yemen, ma le vittime potrebbero essere molte di più. SUD SUDAN 20 marzo. Un aereo con 44 persone a bordo è precipitato e ha preso fuoco sulla pista di atterraggio dell’aeroporto di Wau, nel nord-ovest del Paese. Sopravvissuti tutti i passeggeri ed i membri dell’equipaggio grazie all’apertura di un portellone al momento dello schianto, che gli ha consentito di fuggire prima del diffondersi delle fiamme. A cura di Simone Esposito

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Di Francesco Tosco L’Alta Corte Federale di Abuja, capitale della Nigeria, ha ordinato il dissequestro del giacimento petrolifero offshore OPL 245, concesso nel 2011 ad ENI e Shell. Il giacimento è situato nel Golfo di Guinea ad una profondità di circa 1.300 metri ed è considerato il più ricco di tutto il continente africano con i suoi 9 miliardi di barili stimati. La stessa Corte aveva sequestrato il giacimento nel gennaio scorso a seguito di una richiesta dell’Economic and Financial Crimes Commission (EFCC) che stava indagando su presunte tangenti pagate da Shell ed ENI al momento dell’ottenimento della concessione nel 2011. Dal 1998 il sito di estrazione era nella mani della Malabu Oil and Gas, che aveva acquistato la concessione dallo Stato per una somma irrisoria di 500 milioni di dollari. L’ex ministro del petrolio nigeriano, Dan Etete, uno tra i maggiori azionisti della compagnia, aveva personalmente ratificato l’accordo. Poi, nel 2011 la concessione è passata ad ENI a Shell per la somma di 1,3 miliardi di dollari. Questi soldi però, invece che finire nelle casse dello Stato, sono stati dirottati sulla Malabu sarebbero finiti direttamente nelle mani di Dan

Etete e di alcuni mediatori. Dei 1,3 miliardi, solo 200 milioni di dollari risultano arrivati alla Nigeria. Le accuse dell’EFCC nei confronti dell’ex Ministro e di altri politici del vecchio governo, oltre alla corruzione, riguardano accuse di associazione a delinquere, corruzione di funzionari governativi e riciclaggio di denaro. La posizione delle due compagnie è al vaglio dei giudici; secondo alcuni scambi di email, parrebbe che queste fossero a conoscenza della reale destinazione dei fondi e che fossero direttamente coinvolte nella negoziazione e nell’esecuzione degli accordi per assicurare che i fondi arrivassero alla Malabu Oil and Gas. Il 17 marzo scorso, il giudice dell’Alta Corte Federale, Jhon Tsoho, ha ordinato il dissequestro del giacimento per un vizio di forma. Il Presidente dell’EFCC si sarebbe dimenticato di presentare richiesta di sequestro ad interim del sito di estrazione. Quindi la domanda della Commissione risulta invalida, questa è stata la motivazione alla base della decisione del giudice. Attualmente l’affare OPL 245 è sotto inchiesta non solo da parte dell’EFCC nigeriana, ma anche della Procura di Milano e della National Crime Agency del Regno Unito.


SUD AMERICA 7 Giorni in 300 Parole ARGENTINA 23 marzo. Un magistrato argentino ha deciso che l’ex presidente Kirchner sarà processata per amministrazione fraudolenta. È accusata di aver ordinato vendite di futures sul dollaro a prezzi più bassi di quelli di mercato, causando così perdute di poco meno di 10 milioni di dollari solo negli ultimi mesi del proprio mandato. Insieme a lei sono processati anche l’ex Ministro dell’Economia, l’ex Presidente della Banca Centrale e altri dirigenti della sua ultima amministrazione.

BRASILE 23 marzo. Un maxi scandalo colpisce le esportazioni di carne del Brasile: 21 aziende sono coinvolte e accusate di commerciare carne avariata. In seguito alla scoperta Europa, Cina e Corea del Sud hanno imposto un embargo temporaneo nei confronti delle aziende responsabili. La circolazione di tali prodotti era resa possibile da un sistema di tangenti, in cui sarebbe coinvolta anche la classe politica; per rassicurare gli importatori sulla qualità del prodotto il presidente Temer ha cenato con gli ambasciatori dei paesi coinvolti in una “churrascaria” di Brasilia e postato la foto su Twitter. COLOMBIA 18 marzo. Come previsto dallo storico accordo di pace siglato lo scorso anno, le Farc, il maggior gruppo ribelle colombiano, ha consegnato 140 armi a osservatori delle Nazioni Unite. Il generale dell’esercito Javier Florez

ONU: IN COLOMBIA MINACCIA AI DIRITTI UMANI E ALLA SICUREZZA La fragilità delle negoziazioni di pace mette a rischio la popolazione

Di Giulia Botta Secondo il report del 16 marzo dall’Alto Commissariato per i Diritti Umani delle Nazioni Unite, 127 attivisti per i diritti umani sono stati uccisi in Colombia nel 2016. Le morti sono avvenute soprattutto in aree in precedenza occupate dalle FARC, e fra le vittime molte sono leader di associazioni per i diritti umani o membri di organizzazioni politiche di sinistra. Il governo colombiano è stato invitato a intervenire, per garantire una maggiore sicurezza dei cittadini. Ciò evidenzia la fragilità della sicurezza pubblica e lo scarso rispetto dei diritti umani, fenomeni dilaganti in una Colombia in cui il recente processo di pacificazione tra FARC e il governo di Juan Manuel Santos appare di difficile consolidamento. Dopo oltre 50 anni di guerra civile, l’accordo di pace siglato nel novembre 2016 ha segnato l’inizio di un delicato percorso che sta scuotendo le basi sociali ed economiche di un Paese ancora diviso. Nonostante l’ONU e altri istituti stiano offrendo il proprio appoggio, si prevede che i tempi per l’implementazione dei trattati saranno lunghi. Le Nazioni Unite sono presenti sul territorio colombiano con circa 400 osservatori speciali

di diversi Paesi, incaricati di garantire il rispetto degli accordi di pace e di verificare il cessate il fuoco e la consegna delle armi. Il processo di reintegrazione dei guerriglieri prevede sia operazioni di disarmo sia la smobilitazione dei territori occupati, costringendo i gruppi armati ad abbandonare i loro rifugi e spostarsi in zone di transizione e accampamenti temporanei, in attesa di essere reintegrati nelle comunità urbane. Sono proprio le aree di passaggio a essere le più pericolose, poiché nei territori abbandonati dalle FARC si stanno insediando altri gruppi illegali di ribelli (in particolare nella regione costiera del Pacifico, nei dipartimenti di Chocó, Cauca e Nariño), che si contendono risorse e controllo delle coltivazioni di coca, in aree in cui lo stesso sostentamento delle famiglie dipende dall’economia “cocalera”. I combattimenti tra questi gruppi armati, spesso coinvolti anche nel narcotraffico e nell’estrazione illegale d’oro, rendono sempre più precaria la sicurezza del Paese, costringendo alla fuga molti cittadini. Secondo l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), dall’inizio del 2017, 3.549 persone (913 famiglie) sono state costrette alla fuga, rendendo la situazione degli sfollati interni assai critica.

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SUD AMERICA ha dichiarato che nell’inventario svolto sull’arsenale del gruppo sono state conteggiate in tutto 14000 armi da fuoco, tra cui 11000 fucili. Il presidente Manuel Santos si è detto fiducioso, ed ha affermato che si tratta di un primo passo per una “pace stabile”.

HAITI 21 marzo. Almeno due persone sono rimaste ferite da colpi d’arma da fuoco sparati all’inizio di una parata alla quale partecipava l’ex presidente di Haiti Jean-Bertrand Aristide, rimasto illeso. A riferire il fatto, definendolo come “un tentato omicidio”, è stato Yvon Feuille, avvocato e stretto sostenitore del leader, presente anch’egli nel luogo della sparatoria. Secondo Ira Kurzban, un altro avvocato di Aristide, gli spari provenivano da poliziotti in uniforme. PERÚ 20 marzo. L’ondata di maltempo abbattutasi sul paese ha causato negli ultimi giorni almeno 72 morti, un numero imprecisato di dispersi e quasi 200 feriti. Piogge intense, inondazioni, esondazioni di fiumi e frane hanno colpito in maniera grave tutto il territorio causando anche un cortocircuito all’interno del carcere di Lurigancho, in seguito al quale si è sviluppato un incendio che ha ucciso due detenuti. A cura di Anna Filippucci

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L’OSA SI SOLLEVA CONTRO TRUMP Proposta la procedura di espulsione degli USA

Di Daniele Ruffino

verso i latinoamericani.

Questa volta a protestare contro il presidente eletto Donald Trump non sono le femministe o i radical chic e socialist champagne americani, bensì l’Organizzazione degli Stati Americani (OSA) e in particolare la Commissione Interamericana dei Diritti Umani (CIDU), riunita fino al 22 marzo nella sua sede operativa a San José (Costa Rica) per esaminare i decreti migratori dell’amministrazione repubblicana.

Come se non bastasse, una sezione della Commissione ha denunciato il fatto che tra le aziende appaltatrici in corsa per vincere la gara vi sia il colosso svizzero-francese Lafarge Holcim Ltd, reo di aver armato e finanziato, attraverso una sua filiale, i ribelli-guerriglieri siriani tra il 2012 e il 2014, per motivi prettamente economici (futuri appalti nel nord del Paese).

La sollecitazione per l’espulsione degli Stati Uniti d’America (membro dal 1948) è stata proposta dalla Comunità di Stati Latinoamericani e dei Caraibi (CELAC) e ribadita negli ultimi giorni dalla mozione di alcuni deputati cileni. La mozione, sollevata in massa da quasi tutto il continente americano, è volta a impugnare contro tutta l’amministrazione Trump la Carta Democratica Interamericana (CDI), di cui gli USA sono firmatari in quanto membri dell’OSA, per via delle politiche discriminatorie ai danni delle popolazioni musulmane. Tra i cori di dissenso spunta quello di alcuni deputati messicani, che hanno voluto denunciare nuovamente la discriminazione non solo verso i cittadini arabi, ma anche, per via della costruzione del muro,

La proposta per procedere all’espulsione degli USA è stata quindi presentata al Segretario dell’OSA Luis Almagro. Egli, però, negli ultimi anni si è rivelato un sostenitore della linea americanista a discapito del blocco latinoamericano: non ha mai preso iniziativa per alleviare, almeno in parte, le piaghe che da decadi infestano il Paese, come la corruzione, il narcotraffico, la mancanza di servizi sociali e sanitari. Al contrario, è sempre stato un accanito detrattore di Maduro e, come Segretario, non ha avuto nulla da obiettare in merito al golpe ai danni della Rousseff. A inizio seduta ha ribadito quanto sia fondamentale l’intervento della Commissione in Venezuela, mentre la platea (e simbolicamente il popolo) chiedeva a pieni polmoni di concentrarsi su altri problemi.


ECONOMIA WikiNomics

VALUTAZIONE D’AZIENDA: HOW TO DO IT? Introduzione al Giudizio Integrato di Valore

NUOVO HUB INNOVATIVO DI ENEL Nella Silicon Valley, Enel adotta le start-up dall’Università di Berkeley Di Edoardo Pignocco

Di Francesca Maria De Matteis Dal Vecchio al Nuovo Mondo. Dal 2013, la presenza di società europee nella Silicon Valley californiana sta crescendo molto velocemente, ed Enel e Luxottica si sono da tempo affermate come società europee pioniere di questo processo. Da parte sua, la prima, ha già lanciato iniziative nel campo dell’innovazione in Brasile, Cile ed Israele, ed è già proiettata verso Singapore e Australia. Nuove opportunità di business. Ormai da anni, Enel investe nella ricerca di nuove opportunità di business, in particolare tra le start-up più innovative, per aiutarle a crescere e con le quali collaborare alla fine del programma di “accelerazione”. Recentemente, infatti, ne ha analizzate più di 1500, incontrate circa 480 e concluso progetti con 80. La digitalizzazione, la mobilità sostenibile, l’efficienza energetica e il miglioramento delle soluzioni di gestione, stoccaggio e accesso all’energia sono i temi principali sui quali Enel si sta concentrando. L’obiettivo dichiarato dalla società è, infatti, quello di affrontare e risolvere le problematiche che l’umanità fronteggia quotidianamente, riducendo le distanze economiche e di benessere tra i Paesi del mondo.

Quante volte abbiamo sentito parlare di imprese acquisite a prezzi stratosferici, poi miseramente fallite? A parere di chi scrive, esempi eccellenti in merito a tale questione si possono trovare all’inizio degli anni Duemila con lo scoppio della famosissima bolla Internet: Worldcom, solo per citare il più importante. È proprio dopo tale scandalo che Luigi Guatri, professore ordinario della Bocconi, ha elaborato un metodo - o meglio - un modus operandi per misurare il valore d’azienda. Esso prende il nome di GIV, acronimo della formula “Giudizio Integrato di Valore”. Il punto focale del GIV consiste nell’individuazione di tre pilastri fondamentali su cui fondare la valutazione d’azienda: base informativa e analisi fondamentale, valori assoluti, valori relativi. A tal proposito, è indispensabile sottolineare che fra tali elementi non vi è alcun tipo di gerarchia, in quanto le categorie contengono informazioni complementari e non alternative: di conseguenza, non si deve attribuire alcun ordine d’importanza ai tre pilastri. Dopo aver enucleato la struttura e la suddetta premessa, possiamo analizzare il metodo con un maggior grado di dettaglio. La base informativa consiste nella

raccolta delle informazioni grezze. Queste non devono riguardare solo l’ambito dell’azienda target, ovvero impresa oggetto di valutazione, ma anche il contesto di settore e l’andamento macroeconomico che condiziona il suo operato. Infatti, sarebbe un grave errore non considerare le dinamiche esterne all’impresa. Successivamente, è necessario, elaborare le nozioni acquisite e trasformare i dati qualitativi in dati quantitativi attraverso il processo di analisi fondamentale. Il culmine di tale fase è consiste nella redazione di un piano di business che metta in luce i flussi di reddito o di cassa previsti per un periodo minimo di tre anni e massimo di cinque, affinché non si perda di credibilità. Solo dopo il completamento del primo pilastro è possibile misurare effettivamente il valore aziendale: questo è possibile grazie ai pilastri 2 e 3, i quali contengono informazioni complementari e, di conseguenza, non sono in competizione l’uno con l’altro. La differenza tra i due modelli di valutazione è che i valori assoluti fondano la loro struttura su formule analitiche prendendo a riferimento solo i dati scaturiti dall’analisi fondamentale, mentre i valori relativi sfruttano come categoria logica il posizionamento dell’impresa sul mercato, senza soffermarsi troppo sul piano industriale.

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ECONOMIA Enel e università. È con la più importante università americana impegnata nell’unione di energy e innovazione, l’Università di Berkeley, che Enel, prima nel mondo, ha avviato a partire da quest’anno un’importante collaborazione per lo scouting e la ricerca di start-up. L’accordo si è concretizzato con l’istallazione di un hub innovativo nel campus dell’ateneo californiano, più precisamente nell’area del CITRIS (Center for Information and Technology Research in the Interest of Society). Ma questo non è l’unico ateneo con il quale l’azienda italiana ha avviato un processo di apertura e scambio di idee e talenti: il numero delle facoltà del mondo coinvolte dal nuovo spirito innovativo targato Enel è ristretto ma significativo. La nuova strategia. L’Enel Innovation Hub ha, tra i tanti, anche l’obiettivo di diventare Italian Innovation Hub, aperto a tutte le aziende della penisola che vogliono aumentare la competitività del Paese e accrescere la propria presenza sulla scena economica mondiale. Tale proposito è in perfetta sincronia con la strategia “Open Power” adottata ufficialmente da gennaio 2016.

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LA FUSIONE DI VODAFONE CON IDEACELLULAR PUNTA ALLA LEADERSHIP NEL MERCATO INDIANO

Il nuovo colosso ambisce a diffondere capillarmente la tecnologia 4G in India

Di Giacomo Robasto L’avvio di questa settimana ha posto fine ad un lungo periodo di speculazioni sui possibili cambiamenti di scenario nel mercato indiano delle telecomunicazioni. Lunedì scorso, infatti, il gruppo Vodafone, secondo operatore telefonico in India con una quota di mercato del 18,6%, ha formalmente annunciato la fusione della propria filiale indiana con Idea-Cellular, terzo operatore per numero di utenti attivi nel Paese. La mossa verso il consolidamento intrapresa dalla multinazionale britannica è stata favorita dal debutto sul mercato, a settembre 2016, di Reliance Jo, nuova compagnia telefonica controllata dal magnate indiano Mukesh Ambani. Quest’ultima, infatti, grazie a un investimento di circa 20 miliardi di dollari, ha creato in pochi mesi la prima rete 4G del subcontinente indiano e ha attratto l’attenzione di oltre 100 milioni di utenti offrendo fino allo scorso dicembre servizi gratuiti (chiamate e contenuti multimediali), soprattutto nelle maggiori metropoli - a partire da New Delhi, Mumbai e Bangalore. Secondo l’amministratore delegato di Vodafone, l’italiano Vittorio Colao, il nuovo soggetto sarà l’unico a disporre

di dimensioni e capitali tali da poter diffondere i benefici della tecnologia 4G anche nelle città minori e nelle zone rurali del Paese, dando ai cittadini una maggiore libertà di scelta in un mercato in crescita e sempre più competitivo. In seguito alla fusione, che sarà completata entro il 2018, Vodafone avrà il controllo sul 45,2% della nuova compagnia, mentre agli attuali azionisti del gruppo IdeaCellular spetterà il 26% delle nuove azioni, lasciando sul mercato il restante pacchetto azionario. La nuova compagnia avrà, inoltre, un valore di mercato di circa 19 miliardi di dollari, un bacino potenziale da oltre 400 milioni di utenti ed un fatturato annuo - almeno nel 2018 - che sfiorerà i 26 miliardi di dollari. Restano, invece, ancora da definire il nome della nuova società, nonché il suo futuro Amministratore Delegato, che saranno comunque svelati entro la fine del 2017. Nonostante siano previsti, da entrambe le parti, tagli di posti di lavoro per ridurre ulteriormente i costi, tale fusione rappresenta senz’altro una buona notizia per i consumatori indiani, dal momento che la nuova entità intende offrire una gamma di servizi più ampia e capillare a prezzi più competitivi di Reliance Jo, a beneficio di tutti.


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