MSOI thePost Numero 60

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Il Settimanale di M.S.O.I. Torino


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MSOI Torino M.S.O.I. è un’associazione studentesca impegnata a promuovere la diffusione della cultura internazionalistica ed è diffuso a livello nazionale (Gorizia, Milano, Napoli, Roma e Torino). Nato nel 1949, il Movimento rappresenta la sezione giovanile ed universitaria della Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale (S.I.O.I.), persegue fini di formazione, ricerca e informazione nell’ambito dell’organizzazione e del diritto internazionale. M.S.O.I. è membro del World Forum of United Nations Associations Youth (WFUNA Youth), l’organo che rappresenta e coordina i movimenti giovanili delle Nazioni Unite. Ogni anno M.S.O.I. Torino organizza conferenze, tavole rotonde, workshop, seminari e viaggi studio volti a stimolare la discussione e lo scambio di idee nell’ambito della politica internazionale e del diritto. M.S.O.I. Torino costituisce perciò non solo un’opportunità unica per entrare in contatto con un ampio network di esperti, docenti e studenti, ma anche una straordinaria esperienza per condividere interessi e passioni e vivere l’università in maniera più attiva. Elisabetta Botta, Segretario M.S.O.I. Torino

MSOI thePost MSOI thePost, il settimanale online di politica internazionale di M.S.O.I. Torino, si propone come un modulo d’informazione ideato, gestito ed al servizio degli studenti e offrire a chi è appassionato di affari internazionali e scrittura la possibilità di vedere pubblicati i propri articoli. La rivista nasce dalla volontà di creare una redazione appassionata dalla sfida dell’informazione, attenta ai principali temi dell’attualità. Aspiriamo ad avere come lettori coloro che credono che tutti i fatti debbano essere riportati senza filtri, eufemismi o sensazionalismi. La natura super partes del Movimento risulta riconoscibile nel mezzo di informazione che ne è l’espressione: MSOI thePost non è, infatti, un giornale affiliato ad una parte politica, espressione di una lobby o di un gruppo ristretto. Percorrere il solco tracciato da chi persegue un certo costume giornalistico di serietà e rigore, innovandolo con lo stile fresco di redattori giovani ed entusiasti, è la nostra ambizione. Jacopo Folco, Direttore MSOI thePost 2 • MSOI the Post

N u m e r o

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Redazione Direttore Jacopo Folco Vicedirettore Davide Tedesco Caporedattori Giusto Amedeo Boccheni, Pilar d’Alò, Pauline Rosa Capi Servizio Rebecca Barresi, Luca Bolzanin, Sarah Sabina Montaldo, Daniele Pennavaria, Leonardo Scanavino, Giulia Tempo, Martina Terraglia, Chiara Zaghi Media e Management Samantha Scarpa Redattori Federica Allasia, Erica Ambroggio, Elena Amici, Daniele Baldo, Lorenzo Bardia, Giulia Bazzano, Lorenzo Bazzano, Andrea Bertazzoni, Giusto Amedeo Boccheni, Luca Bolzanin, Giulia Botta, Maria Francesca Bottura, Adna Camdzic, Matteo Candelari, Claudia Cantone, Giulia Capriotti, Daniele Cavalli, Emanuele Chieppa, Giuliana Cristauro, Lucky Dalena, Alessandro Dalpasso,Francesca Maria De Matteis, Luca De Santis, Sabrina Di Dio,Ilaria Di Donato, Sofia Ercolessi, Simone Esposito, Guglielmo Fasana, Giulia Ficuciello, Alessandro Fornaroli, Lorenzo Gilardetti, Ann-Marlen Hoolt, Michelangelo Inverso, Vladimiro Labate, Giulia Marzinotto, Simone Massarenti, Efrem Moiso, Virginia Orsili, Daniele Pennavaria, Ivana Pesic, Edoardo Pignocco, Sara Ponza, Jessica Prieto, Carolina Quaranta, Giacomo Robasto, Daniele Reano, Jean-Marie Reure, Clarissa Rossetti, Michele Rosso,Daniele Ruffino,Fabio Saksida, Martina Santi, Federico Sarri, Leonardo Scanavino, Martina Scarnato, Samantha Scarpa, Francesca Schellino, Viola Serena Stefanello, Lola Ferrand Stanley, Giulia Tempo, Martina Terraglia, Elisa Todesco, Francesco Tosco, Tiziano Traversa, Fabio Tumminello, Chiara Zaghi, Francesca Maria De Matteis, Martina Unali, Elisa Zamuner. Editing Lorenzo Aprà Copertine Amandine Delclos Vuoi entrare a far parte della redazione? Scrivi una mail a thepost@msoitorino.org!


EUROPA 7 Giorni in 300 Parole BELGIO 31 marzo. La tensione tra favorevoli e contrari al referendum in Turchia è sfociata in scontri davanti al Consolato di Bruxelles. Lì, in attesa della consultazione che si svolgerà proprio in Turchia il 16 aprile, i residenti turchi stavano votando in anticipo. Gli scontri hanno provocato almeno 4 feriti, uno dei quali è grave.

GRECIA 5 aprile. L’accordo sulle sorti del debito greco, che avrebbe dovuto essere raggiunto lo scorso dicembre, stenta a diventare realtà. Alexis Tsipras, in un ultimatum, ha dichiarato la volontà di raggiungere un accordo entro venerdì, richiamando in caso contrario alla necessità di convocare un vertice europeo. A bloccare l’accordo, negli ultimi giorni, sarebbe stata anche l’opposizione del Paese ad accettare i nuovi tagli alle pensioni. REGNO UNITO 1 aprile. Il Regno Unito riprende in mano la questione Gibilterra. In vista dei negoziati della Brexit sarà infatti necessaria un’intesa preliminare tra Spagna e Regno Unito. Il territorio britannico teme da una parte, che questa clausola possa essere utilizzata da Madrid per rivendicare la vecchia sovranità perduta, e dall’altra, che si ritrovi a essere

WHAT IS LEFT?

La crisi senza fine delle socialdemocrazie europee

Di Matteo Candelari Dallo scoppio della crisi economico-finanziaria, i partiti di centro-sinistra europei hanno cominciato a perdere consensi elettorali, senza quasi mai riuscire a invertire il trend negativo. I socialdemocratici, quando si sono trovati al governo, hanno adottato una politica economica analoga a quella di conservatori e liberali. Proprio su tali convergenze i populisti hanno avuto buon gioco nell’additare destra e sinistra come due facce della stessa medaglia, entrambe responsabili della situazione d’impasse venutasi a creare. Il Pasok, il partito socialista greco, è stato polverizzato dall’ascesa di Syriza, ormai forza egemone della sinistra greca. Il PSOE, in Spagna, seppur sia riuscito a evitare il sorpasso da parte di Podemos a giugno dello scorso anno, ha conseguito il peggior risultato elettorale di sempre nell’era post-franchista. In Francia, Hollande ha rinunciato a candidarsi per un secondo mandato a causa della forte impopolarità. Un fatto unico nella storia della V Repubblica: mai un Presidente uscente aveva deciso di non presentarsi per la riconferma. Se nel sud Europa i socialdemocratici sono in grande crisi, i loro omologhi del Nord non se la passano meglio. In Olanda, i laburisti sono an-

dati incontro a una sconfitta di proporzioni storiche nell’ultima tornata elettorale, passando in 5 anni dal 25% al 6%. In Inghilterra, la sconfitta elettorale di Copeland, un seggio che i laburisti detenevano da 80 anni, ha messoinulterioredifficoltà Corbyn. I sondaggi lo danno nettamente sconfitto in eventuali elezioni anticipate. A tutto ciò si aggiungono le critiche ricevute per aver tenuto una posizione troppo ambigua sull’UE durante il referendum. In Germania, la SPD è stata costantemente all’ombra della CDU all’interno della Große Koalition. Solo la discesa in campo di Schulz pare aver riportato i socialdemocratici in corsa per la conquista della cancelleria. Un caso forse unico nel suo genere è il Portogallo: il premier socialista Costa è riuscito a formare una coalizione di governo con il Partito Comunista e il Blocco di Sinistra. Dopo essere riuscito ad aumentare i salari e ridurre il deficit,con grande stupore di molti analisti, sta incrementando i propri consensi in termini di popolarità. Insomma, la strada delle riforme ha fatto allontanare una parte di elettorato dal centro-sinistra. Se le forze progressiste non vogliono continuare a essere irrilevanti o addirittura scomparire dallo scacchiere politico, devono capire al più presto quale strategia adottare per reagire.

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EUROPA una “vittima della Brexit”.

SERBIA 6 aprile. A Belgrado e in altre città del Paese si protesta per il terzo giorno consecutivo contro la cosiddetta “dittatura” del neo eletto Aleksandar Vucic. L’accusa nei confronti del premier è quella di essere stato favorito da brogli e dal controllo sui media: queste sono le motivazioni che spingono il movimento “Contro la dittatura” a chiedere un cambio nei vertici della tv pubblica e il voto elettronico. Intanto, circa 10.000 elettori torneranno alle urne il prossimo 11 aprile. UNGHERIA 2 aprile. È una legge che limiterebbe la libertà di insegnamento ciò che ha portato migliaia di persone a manifestare a Budapest. La proposta, si basa sulla norma ungherese che prevede che le università straniere possano insediarsi nel Paese solo dopo un accordo bilaterale tra i due governi interessati. L’approvazione di questa legge significherebbe la chiusura della Central European University fondata da George Soros, nemico politico del primo ministro ungherese Orban. A cura di Giulia Capriotti

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YOUNG, EUROPEAN & RADICAL

Europe’s youth tends to populist-right wing parties

By Ann-Marlen Hoolt Winston Churchill said: “If you are not a Liberal at 25, you have no heart”. Young people tend to orientate themselves on the left-wing side of the political spectrum. But, is that true for all of them? Populist parties – right and left-winged – attract young Europeans, and an increasing number of Europe’s youth is supporting right-wing nationalists. Extreme right-wing Parties and populists are young people’s favourite faction in various European countries: Slovakia, Poland, Hungary, Austria and France. Established political parties have lost touch with young people’s needs, radicalizing them. As way of example, while the Brexit was heavily favoured by elderly voters, the French presidential election is a different story. Surveys show that only a minority within the elderly intents to vote for Marine Le Pen and the Front National, but the Party does have the support of over a fourth of French under 25-year-olds. This does not necessarily imply that young people will determine Europe’s future in the up-coming elections, as they also rank high amongst non-voters. A third of young voters did not attend to

the regional French elections. While the Front National was voted by about 35% of under 25-year-olds, a third of them did not attend to the election at all, leaving a dark figure of unknown cases. Those nonvoters might agree with the Front National, but they can just as likely be against the party. Why do radical populist parties rank so highly amongst young people? Many try to oppose elitism and corruption by supporting nonestablished parties. Europe’s youth is frustrated. Euro crisis, unemployment, poverty – young people are losing faith in their government’s problem solving ability. They want leaders who act instead of giving theoretic talks. Populist parties offer them aid, an open ear for their concerns and improvement in their situation. Things their governments, as well as the European Union, in their eyes, failed to provide. Independent from the political orientation young people in Europe are dissatisfied with the political situation and the party system. They feel left out, forgotten, betrayed. Should the EU and its member states fail to include young people in their policies, Europe’s future won’t be looking bright.


NORD AMERICA 7 Giorni in 300 Parole

STATI UNITI 31 marzo. Il presidente Donald Trump ha firmato due decreti finalizzati all’identificazione di abusi contro gli Stati Uniti nei rapporti di interscambio (essi sono ritenuti causa del deficit commerciale americano). La revisione delle pratiche ritenute viziate dovrà avere luogo entro 90 giorni. 31 marzo. Rex Tillerson si è recato in visita nella città di Bruxelles in occasione del NATO Foreign Ministers Meeting. Dal fronte americano non sono mancate denunce nei confronti di alcuni Stati membri dell’Organizzazione e verso il loro mancato impegno economico. 3 aprile. Donald Trump ha ricevuto presso la Casa Bianca il proprio omologo egiziano alSisi. Oggetto dell’incontro sono state le reciproche intese e la lotta al terrorismo estremista jihadista. “Hai un grande amico ed alleato in me e negli Stati Uniti”, ha dichiarato Trump durante l’incontro. 3 aprile. Jared Kushner, genero e consigliere del presidente Trump, si è recato in Iraq insieme al capo del Joint Chiefs of Staff, il generale Dunford, Jr. Obiettivo della visita è stato la supervisione dell’operato dell’esercito statunitense impegnato, insieme alle forze irachene, nelle operazioni sulla città di Mosul. 4

aprile.

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Trump

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STATI PULITI D’AMERICA

Le ultime riforme di Trump, tra preoccupazioni ambientali e politica

Di Alessandro Dalpasso Il Clean Power Plan è stata una delle misure per cui l’ex presidente Obama si è battuto maggiormente nel suo secondo mandato. La versione finale del piano, un documento di 460 pagine fortemente voluto dall’EPA (Environmental Protection Agency) e realizzato dopo due anni di lavoro, ha visto la luce il 3 agosto 2015. Scopo dichiarato della misura era di diminuire del 32% le emissioni di gas serra in 25 anni, prendendo come dati di partenza quelli del 2005, così da allinearsi agli impegni che gli Stati Uniti avevano assunto alla COP21 di Parigi. Il 28 marzo però, con l’ordine esecutivo Energy Independence, il presidente Trump ha cancellato i progressi dell’amministrazione precedente, prendendo altri provvedimenti correlati, che sono stati percepiti come un sostanziale passo indietro nella lotta al cambiamento climatico. “La mia azione oggi è un altro passo verso la creazione di posti di lavoro. Basta a chi rubava la nostra prosperità! Oggi comincia una nuova rivoluzione energetica”. Manifestando l’intento di diminuire la disoccupazione, dunque, l’inquilino della Casa Bianca ha svuotato di significato, pur senza mai nominarli e senza

formalmente abrogarli, Accordi di Parigi.

gli

L’ordine esecutivo in questione non si limita ad abolire il precedente firmato da Obama, ma si prefigge, tra le altre cose, di: annullare la moratoria previgente che impediva nuove concessioni per estrazioni minerarie a livello federale; rimuovere il limite massimo di emissioni di gas serra consentiti alle centrali elettriche; rimuovere il limite massimo di emissioni di metano consentito agli oleodotti; e, infine, rimuovere qualsiasi limite a nuove trivellazioni costiere. In ultima analisi, a spaventare gli osservatori è soprattutto l’ultima provvisione, che prevede che non saranno più necessarie valutazioni d’impatto ambientale per le grandi opere e le infrastrutture. Trump cerca così di riprendere le redini dopo il fallimento della contro-riforma sanitaria. Questa volta, con una certa probabilità di successo, dato che la destra repubblicana in larga parte sposa, o non è esplicitamente contraria, alle tesi negazioniste sul clima. Inoltre, bisogna ricordare che adesso spetterà all’EPA, guidata da Scott Pruitt, già osteggiatore delle misure di Obama, scrivere una nuova riforma-quadro, entro la quale le misure prese da Trump si dovranno muovere per evitare di essere abrogate dalla Corte Suprema.

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NORD AMERICA manifestato la sua vicinanza la popolo russo all’indomani dell’attentato che ha colpito San Pietroburgo. In una telefonata tra il Presidente e Vladimir Putin, il leader americano ha sottolineato l’importanza di un “intervento congiunto” contro il terrorismo. 5 aprile. Convocata, a New York, una sessione d’emergenza del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite in risposta all’attacco sferrato in Siria il 4 aprile e che ha causato numerose morti tra i civili. 6 aprile. Tensioni al massimo per l’avvio del vertice tra Donald Trump ed il presidente cinese Xi Jinping. I due leader, affiancati dalle rispettive mogli, si sono incontrati a Mar-a-Lago, Florida, presso la tenuta del presidente Trump. CANADA 3 aprile. Justin Trudeau ha annunciato la visita in Canada del premio Nobel per la pace Malala Yousafzai. Il 12 aprile l’attivista pakistana si recherà in Parlamento per ricevere ufficialmente la cittadinanza onoraria canadese conferitale nel 2014. “Il Canada è orgoglioso di ricevere un proprio cittadino onorario, esempio di determinazione e dignità”, ha dichiarato Trudeau. 6 aprile. Il primo ministro Justin Trudeau si è recato in visita nella città di New York in occasione del Women in The World Summit. Il leader canadese ha sostenuto l’impegno a favore della parità di genere ricordando l’importanza “dell’Empowerment economico femminile” sulla crescita mondiale. A cura di Erica Ambroggio.

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DAZI ALL’EUROPA: LA SCELTA DI TRUMP Firmati due decreti presidenziali per frenare le importazioni straniere

Di Federico Sarri “Siamo in una guerra commerciale”. Sono le parole del Segretario al Commercio statunitense Wilbur Ross. La stretta sui dazi di ingresso, voluta dal presidente Trump, minaccia di colpire le importazioni europee. La settimana scorsa, Donald Trump ha firmato due ordini esecutivi che minacciano le importazioni, in territorio statunitense, di merci di provenienza europea e che rafforzano le norme antidumping. Secondo quanto pubblicato dal Wall Street Journal, le intenzioni dell’amministrazione americana sono chiare e potrebbero esplicitarsi in dazi fino al 100%. Tra le merci che potrebbero essere colpite ci sono motociclette di bassa cilindrata, prodotti agricoli e prodotti caseari. Il Gruppo Piaggio, compagnia produttrice della famosa due ruote Vespa, si è già messa in allarme, così come i produttori di pomodori campani e i caseifici Roquefort. I Paesi che rischiano di essere più colpiti dai decreti di Trump sono, appunto, Francia, Spagna e Italia. Tanto che la stessa Confindustria ha dichiarato che “le politiche protezionistiche preannunciate dal neo presidente USA Donald Trump costituiscono un forte rischio al ribasso per

le prospettive del commercio globale”. Dello stesso avviso anche la Corporate America, che, tramite un’azione di pressione diretta a diversi deputati, invita l’amministrazione ad “una estrema cautela”. Anche Harley Davidson, la nota casa motociclistica statunitense, ha espresso perplessità e teme ritorsioni europee nei confronti dei propri prodotti. La stretta sulle importazioni ha ragioni ben precise. La prima, simbolica: lo slogan “America first”, che ha accompagnato Trump durante tutta la campagna elettorale. La seconda: il deficit commerciale (circa 500 miliardi di dollari) che gli USA devono fronteggiare. La terza: il bando alle carni bovine allevate con pratiche difformi da quelle approvate dall’Unione Europea. Si tratta di un contenzioso che va avanti sin dal 2009: i Paesi membri non possono importare manzo nordamericano e l UE, per questo, è stata multata in passato. La ragione tecnica per cui l’Unione ha adottato certe misure è che la maggior parte della carne allevata negli Stati Uniti viene trattata con ormoni. Per gli europei, questo può rappresentare un pericolo per la salute dei consumatori. Questa volta, però, sono le loro merci ad essere in pericolo.


MEDIO ORIENTE 7 Giorni in 300 Parole ARABIA SAUDITA 4 aprile. Il primo ministro britannico Theresa May è arrivata lo scorso martedì nel Paese per incontrare le autorità locali. Riad rappresenta il più grande partner commerciale del Regno Unito nel mondo arabo, con esportazioni pari a 8 miliardi di dollari e una potenziale di investimenti che il governo inglese mira ad esplorare per rafforzare e stabilizzare l’economia inglese post-Brexit. EGITTO 2 aprile. Continua la controversia sulla cessione di due isole situate nel Mar Rosso al Regno Saudita. La Corte Nazionale per gli Affari Urgenti si è espressa contro il precedente verdetto dell’Alta Corte Amministrativa, che aveva stabilito il diritto dell’Arabia Saudita di rivendicare i territori, Tiran e Sanafir, situati in un punto strategico dello spazio marittimo saudita. IRAQ 6 aprile. Fonti locali riportano un’esplosione nella città di Tikriti, nel nord del Paese. Le vittime accertate sarebbero almeno 30, ma il numero continua a salire. Sebbene non ufficialmente rivendicato, l’attacco è stato attribuito a Daesh, infiltrato nell’area. Le autorità locali hanno indetto un coprifuoco. ISRAELE 3 aprile. Human Rights Watch accusa le autorità israeliane di negare l’accesso degli operatori umanitari alla striscia di Gaza. Secondo un rapporto dell’organizzazione internazionale, Israele vieta sistematicamente l’accesso di membri di organizzazioni internazionali, giornalisti e accademici ai territori occupati

UN ACCORDO... DI SANGUE?

I negoziati fra Italia e Libia sulla questione dei migranti

Di Jean-Marie Reure “Governare il sud della Libia significa controllare le rotte migratorie e combattere il business dei trafficanti”. Così il Viminale ha introdotto l’accordo firmato venerdì scorso, in gran segreto, tra il premier Gentiloni e il corrispettivo libico Sarraj. “Un lavoro di squadra nel Mediterraneo” che ha portato attorno ad un tavolo 60 capi clan. Protagonisti principali i capi degli Awlad Suleiman e i Tebu, ma anche i leader Tuareg erano presenti. I buoni propositi di entrambe le parti si sono palesati grazie alle dichiarazioni dei rappresentanti Suleiman e Tebue a quella del ministro Minniti: “Per noi questo accordo ha un valore, lo rispetteremo come fosse un patto di sangue”, sono state le parole dei libici. Minniti ha invece detto “Io sono Calabrese, anche per me il sangue ha un valore”. Sul tavolo ci sono non solo il completamento del sistema di controllo dei confini terrestri del sud della Libia, ma anche l’adeguamento e il finanziamento dei centri di accoglienza usufruendo di fondi messi a disposizione dall’Italia e dall’Unione Europea. L’accordo comprende training, equipaggiamento, assistenza alla guardia costiera libica; droni per il controllo dei confini; la restituzione di 12 motovedette

e il supporto per energie rinnovabili, infrastrutture, sanità, trasporti, sviluppo delle risorse umane. Ai Libici viene chiesto il controllo unificato dei confini meridionali (700.000 chilometri quadrati): proprio da questo confine sono passati i 24.280 migranti sbarcati in Italia dall’inizio del 2017 (il 30% in più del 2016). Tuttavia, l’avvocata libica Azza Maghur ha presentato – e vinto in primo grado – un ricorso in tribunale contro il memorandum firmato fra i due Premier. Due ragioni, una di natura giuridica e l’altra di natura umanitaria, avrebbero spinto la giurista a presentare ricorso. A livello giuridico, il Premier libico, essendo ancora persona contestata in Libia e non avendo ottenuto il totale controllo di Tripoli, può sottoscrivere accordi solo all’unanimità. Requisito mancante, considerato che due Ministri si sono sottratti, uno dimettendosi, l’altro boicottando le trattative. Per quanto concerne il secondo punto, “le violazioni dei diritti umani sono evidenti e sistematiche, e i primi a subirle sono i migranti. A causa dell’insicurezza e di un sistema legale carente che non prevede la possibilità di fare controlli o garantire il diritto d’asilo, le autorità libiche non sono in grado di offrire loro protezione”, spiega Maghur. Oltre all’importanza del sangue, anche i vincoli giuridici paiono avere un loro peso. MSOI the Post • 7


MEDIO ORIENTE della Striscia, con poche eccezioni per interventi urgenti di tipo umanitario. xSecondo Human Rights Watch e numerosi esperti, Israele cerca di limitare l’accesso ad informazioni che potrebbero provare e documentare in dettaglio le violazioni dei diritti umani sulla popolazione palestinese ad opera delle forze israeliane. SIRIA 4 aprile. La zona di Khan Sheikhoun, nella provincia di Idlib, è stata colpita da un attacco chimico che ha causato almeno 58 morti e ferito oltre 300 persone. Un’inchiesta delle Nazioni Unite dovrà far luce sui responsabili del raid, ma per il momento le accuse ricadono sulle forze governative di Bashar al-Assad e sugli alleati russi.

TURCHIA 2 aprile. Il presidente Erdogan cerca il supporto curdo per la sua campagna sulla riforma costituzionale. Il leader turco si e’ infatti recato a Diyarbakir, roccaforte politica del Partito Popolare Democratico Curdo nel sud-est del Paese, promettendo supporto allo sviluppo economico della regione in cambio di appoggio al referendum previsto in aprile, che trasformerebbe la Turchia - attualmente un sistema parlamentare - in un governo presidenziale. A cura di Clarissa Rossetti 8 • MSOI the Post

BRUSSELS - SIRIA. 5 APRILE

Egeland: è l’ora di assumersi obblighi collettivi in difesa dei diritti umani del popolo siriano

Di Martina Terraglia Il 4 aprile è stato segnato dalla tragedia in Siria. Intanto, in Europa, a Bruxelles, si è tenuta la conferenza EU sulla Siria, incentrata sulle decisioni da prendere e le azioni da concretizzare per “assicurare un futuro (e un presente) al Paese”. I 4 statement di apertura sono stati affidati a: Federica Mogherini, alto rappresentante dell’Unione per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza; António Guterres, Segretario Generale UN; Hani al-Mulki, primo ministro giordano; Saad al-Hariri, primo ministro libanese. I 4 discorsi non hanno mancato dei tecnicismi tipici dei fact-sheets di UN, ma hanno anche offerto spunti di riflessione. L’Unione Europea ha rinnovato il proprio impegno umanitario, quantificato in 560 milioni di euro: tale la somma che l’Unione prevede di devolvere per cercare di arginare gli effetti della crisi in Siria e nei Paesi confinanti. Giordania e Libano pagano infatti i costi del conflitto in termini economici e di instabilità sociale: l’ineguale distribuzione dei rifugiati ha fatto ricadere il peso maggiore sui due Paesi. È forse il richiamo al ruolo della comunità internazionale la parte più importante di quanto detto dalla Mogherini. È neces-

saria un’azione congiunta, al fine di poter raggiungere una soluzione per la crisi. Di fronte a una realtà in cui, come sottolineato da Guterres, “crimini e abusi contro i civili sono diventati il marchio del conflitto”, la Mogherini ha fatto appello a un intervento bi-fronte, che, da un lato, garantisca un più fluido accesso alla Siria agli operatori umanitari e, dall’altro, faciliti una soluzione della crisi politica che attraversa la Siria, necessaria per poter raggiungere la pace. Fondamentale anche la necessità di iniziare a creare delle linee guida per il futuro: incombe il rischio di “perdere la pace”, ovvero che la comunità internazionale non sia pronta a quando giungerà il momento della ricostruzione. Niente di nuovo sotto il sole di Bruxelles. D’altronde, il tecnicismo della conferenza era stato anticipato da Jan Egeland, segretario generale di NRC, una delle molte ONG attive in Medio Oriente. Egeland ha infatti sottolineato come ora sia necessario assumersi degli obblighi collettivi nei confronti dei Siriani, inclusa la difesa dei loro diritti umani, attraverso politiche implementate in primo luogo dall’UE. “Qualsiasi altra cosa significherà ancora molti anni di catastrofe per la Siria”


RUSSIA E BALCANI 7 Giorni in 300 Parole ARMENIA 2 aprile. Le elezioni armene di domenica hanno visto il Partito Repubblicano d’Armenia, attualmente al governo, e del presidente Serž Sargsyan imporsi con più del 65% dei voti. Si tratta della prima votazione dopo l’approvazione della riforma costituzionale con la quale l’Armenia abbandona la forma presidenziale per divenire una Repubblica parlamentare. RUSSIA 3 aprile. Nuovo attacco alla metro di San Pietroburgo, dove in un’esplosione avvenuta tra due fermate hanno perso la vita 14 persone e più di 40 sono state ferite. Un ordigno esploso sarebbe stato lasciato dall’attentatore all’interno di uno dei vagoni del treno metrò all’altezza di Sennaya Ploshchad’; lo stesso si sarebbe poi fatto saltare in aria prima della fermata Tekhinstitut e sarebbe responsabile del secondo ordigno inesploso trovato solo dopo l’attentato. 2 aprile. A una settimana dalla marcia contro la corruzione e dall’arresto di Aleksei Navalny, continua la scia di manifestazioni in Russia: in seguito a nuove proteste in numerose città della Russia, sono state arrestate in totale 59 persone con l’accusa di violazione dell’ordine pubblico. I partecipanti nel corso della settimana avrebbero deciso di scendere in piazza ancora una volta sul web. Le forze armate, che avevano preventivamente promosso un’azione penale nei confronti degli attivisti, domenica hanno utilizzato metal detector per permettere ai cittadini di accedere alla Piazza Rossa di

QUESTIONI DI ONORE IN CECENIA

Più di 100 persone gay arrestate dalle autorità cecene

Di Adna Camdzic È arrivata sabato la conferma delle persecuzioni di omosessuali in Cecenia. La notizia è stata pubblicata da un giornale russo d’opposizione, la Novaya Gazeta, e riportata successivamente dal New York Times e dal Guardian. Secondo la testata russa, nelle ultime settimane sarebbe stata avviata una campagna da parte delle autorità cecene che avrebbe portato all’arresto di più di 100 uomini sospettati di essere omosessuali. “In alcuni casi si è arrivati fino all’omicidio”, ha scritto il giornale, pubblicando i nomi di tre persone che avrebbero perso la vita. Il leader ceceno, Ramazan Kadyrov, tramite il suo portavoce Karimov Alvi, ha smentito la notizia, accusando il giornale di aver diffuso informazioni false. “Non è possibile arrestare o reprimere persone che semplicemente non esistono nella Repubblica” – ha dichiarato Alvi, aggiungendo che, se ci fossero omosessuali in Cecenia, ci penserebbero gli stessi familiari a liberarsene, senza necessità di intervento da parte delle autorità. Si ritiene che l’operazione sia stata avviata in seguito ai tentativi di organizzare alcune manifestazioni da parte di attivisti LGBT.

Gli attivisti avrebbero presentato le richieste di autorizzazione in quattro città del Nord Caucaso, regione di cui fa parte anche la Cecenia. Consapevoli che queste richieste sarebbero state rifiutate, avrebbero poi progettato di fare ricorso alla Corte Europea per i Diritti Umani a Strasburgo, denunciando la violazione dei loro diritti. Ekaterina Sokirianskaia, project director dell’International Crisis Group per la Russia e il Nord Caucaso, ha sostenuto la veridicità della notizia. Sokirianskaia ha dichiarato al Guardian di aver ricevuto negli ultimi 10 giorni notizie allarmanti da parte di diverse fonti riguardo alla situazione in Cecenia, soprattutto nella capitale, Grozny. Tuttavia, non ci sarebbero ancora casi verificabili e risulta molto difficile ottenere informazioni direttamente dai familiari delle vittime. In Cecenia, infatti, i leader locali hanno promosso un’agenda che enfatizza l’importanza di valori tradizionali, per cui la società è estremamente conservatrice e gli omosessuali non sono tollerati. Novaya Gazeta, suggerisce, seppure senza riscontri ufficiali, che alcuni uomini potrebbero essere stati consegnati alle loro stesse famiglie per permettere l’esecuzione di delitti d’onore, o di reputazione. MSOI the Post • 9


RUSSIA E BALCANI Mosca. SERBIA 2 aprile. Le elezioni presidenziali in Serbia hanno visto una netta vittoria dell’ormai ex Capo del governo Aleksandar Vučić, il quale è riuscito a ottenere più del 55% dei voti definendo il risultato “una vittoria pulita come una goccia d’acqua”. Non si sono fatte attendere le critiche dell’opposizione che ha accusato il vincitore di aver creato confusione nel governo e l’ha tacciato di autoritarismo simile a Putin, ricordando la sua decisione di sospendere le attività parlamentari nell’ultimo mese di campagna elettorale. UCRAINA 1° aprile. Allo scoccare della mezzanotte fra venerdì e sabato è ufficialmente iniziato il cessate il fuoco nell’est dell’Ucraina, che dovrebbe garantire una tregua fino al 16 aprile, giorno della Pasqua ortodossa. La decisione era stata presa il 29 marzo in occasione del vertice fra i rappresentanti di OSCE, Ucraina e Russia. Ciononostante le forze armate ucraine sono già state accusate di aver violato il regime del cessate il fuoco almeno 86 volte. 6 aprile. Con 521 voti a favore e 75 contrari, il Parlamento Europeo ha approvato la liberalizzazione dei visti per l’ex Repubblica sovietica. Da giugno ucraini potranno muoversi liberamente all’interno dello spazio Schengen senza bisogno di visto per 90 giorni ogni 6 mesi. A cura di Andrea Bertazzoni

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NUOVO ARRESTO PER NAVALNY Il leader del movimento anticorruzione fermato durante una manifestazione a Mosca

Di Ilaria Di Donato La manifestazione organizzata lo scorso 26 marzo in varie città della Russia è una delle più grandi proteste anti governative organizzate negli ultimi anni nel Paese. Migliaia di manifestanti, di cui molti giovani, si sono riversati nelle strade per esprimere il proprio dissenso verso la corruzione dilagante in tutto il Paese e denunciata a gran voce dal più noto oppositore di Putin, Aleksei Navalny. Quest’ultimo, in una recente video-inchiesta, ha accusato il premier Medvedev di essere l’uomo più corrotto della Russia, detentore di un impero “segreto” pari a 1,2 miliardi di dollari tra ville, terreni e yacht, interamente costruito tramite società dichiarate no-profit. Durante i cortei, la polizia ha arrestato molti attivisti, tra cui lo stesso Navalny, condannato a 15 giorni di carcere per avere disobbedito all’ordine di fermo degli agenti. Mentre veniva condotto in tribunale, Navalny ha dichiarato di essere “entusiasta per il numero di città che hanno preso parte alla manifestazione”, aggiungendo poi su Twitter che “verrà il giorno in cui noi giudicheremo loro, ma quel giorno lo faremo in maniera onesta”. Durissime le reazioni internazionali.

Gli Usa hanno condannato gli arresti e chiesto la liberazione dei manifestanti, se non colpevoli di atti violenti. Dello stesso avviso l’UE, che ha bollato le operazioni di polizia come un attacco alla libertà di espressione e di riunione pacifica, le quali sono riconosciute nella stessa costituzione russa. Le critiche non hanno modificato la posizione del Cremlino che, attraverso il suo portavoce, Peskov, ha dichiarato: “non possiamo essere d’accordo con questo appello. Pertanto, non possiamo prenderlo in considerazione”. I manifestanti, dal canto loro, hanno continuato ad esprimere la propria vicinanza a Navalny, il quale ha tranquillizzato gli attivisti con diversi tweet: “oggi l’ordine del giorno è la protesta contro la corruzione, non il mio fermo. Continuate a manifestare in modo pacifico e godetevi la bella giornata di sole”. Il blogger russo pone l’accento sulla risonanza avuta dalla protesta, che ha coinvolto non solo Mosca e San Pietroburgo ma anche centri minori e regioni più remote, come la Siberia e gli Urali. A detta di Navalny, “Se migliaia di persone partecipano a manifestazioni non autorizzate in queste regioni allora vuol dire che milioni le sostengono. Questo conferma che le persone si faranno avanti per votare una persona con le mie posizioni”.


ORIENTE 7 Giorni in 300 Parole AUSTRALIA 5 aprile. Il ministro degli Affari Indigeni Nigel Scullion ha respinto la richiesta dell’ONU di istituire un target legislativo speciale per gli Aborigeni, mirato a ridurre l’elevato tasso di reclusione tra la popolazione. CINA 3 aprile. Il presidente degli Stati Uniti Trump ha sollecitato la Cina perché interrompa le attività missilistiche della Corea del Nord, molto frequenti negli ultimi mesi, dichiarando che in caso contrario ci avrebbero pensato gli USA stessi a porre fine alle esercitazioni. 4 aprile. Trump ha etichettato come “problematiche” le trattative commerciali in agenda con il Paese giovedì, quando incontrerà il presidente Xi Jinping. Al momento, le importazioni statunitensi dalla Cina superano di gran lunga le esportazioni verso il Paese. COREA DEL NORD 5 aprile. Ancora missili balistici nel mare del Giappone: un test partito dal porto nordcoreano di Sinpo ha percorso sul mare circa 60 miglia, prima di inabissarsi. Il test fa parte di una serie di esperimenti, vietati dall’ONU, che il Paese ha continuato a condurre con l’intento di progettare un missile nucleare. FILIPPINE 31 marzo. Il presidente Rodrigo Duterte ha apostrofato

DA DIVERSO ESIGLIO A ILLACRIMATA SEPOLTURA Il corpo di Kim Jong Nam torna in patria, ma Pyongyang lo vuole Kim Chol

Di Giusto Amedeo Boccheni Il 13 febbraio scorso, nell’aeroporto internazionale di Kuala Lumpur, due donne, con dei panni imbevuti di agente nervino VX, hanno ucciso un uomo. In seguito, la vittima sarebbe stata identificata dalla polizia malese come Kim Jong Nam, fratellastro del leader nordcoreano Kim Jong Un. Da allora, una lunga disputa diplomatica si è consumata tra Malesia e Corea del Nord, che hanno ritirato i rispettivi ambasciatori e chiuso le frontiere. Giovedì 30 marzo, la situazione si è risolta con l’impegno congiunto, nel rispetto della Convenzione di Vienna, a rilasciare i rispettivi cittadini, ai quali era stato negato il rimpatrio. Il giorno dopo, 9 malesi sono partiti da Pyongyang e due sospetti nordcoreani, previo interrogatorio della polizia malese, da Kuala Lumpur, non senza la salma dell’assassinato. Per molti versi, la vicenda si è sviluppata in modi enigmatici. Il governo sudcoreano sarebbe stato tra i primi a dare una propria versione degli eventi. Pyongyang, a una decina di giorni dal fatto, ha riportato la morte per attacco cardiaco di un suo cittadino con passaporto diplomatico a Kuala Lumpur. Le autorità malesi avrebbero quindi confermato la causa del decesso e predisposto la consegna del corpo all’ambasciata, per poi però ritrattare, in vista del report sudcoreano sull’accaduto.

L’utilizzo del VX, in passato adoperato da estremisti giapponesi, è un altro elemento singolare. Si crede, del resto, che Pyongyang possegga il terzo maggiore arsenale di armi chimiche al mondo, dopo USA e Russia. La polizia malese, per ragioni di sicurezza, non ha detto da dove provenisse il campione di DNA utilizzato per identificare la vittima, né quale congiunto avesse fornito il consenso a disporre del corpo. Per riottenere la salma, peraltro, Pyongyang avrebbe prodotto “tutta la documentazione necessaria”, che, secondo la Convenzione di Vienna, è richiesta alla famiglia del defunto. Kim Jong Nam, che ha famiglia a Macau e Pechino, godeva dei favori cinesi. Non è chiaro perché volasse spesso in Malesia e perché non avesse con sé guardie del corpo. La Malesia non è un partner diplomatico chiave della Corea del Nord, ma uno dei pochi Paesi in cui i coreani potevano viaggiare senza bisogno di visto. Secondo le Nazioni Unite, inoltre, la Malesia è servita a lungo da porto per il commercio illegale di armi delle aziende nordcoreane. Il 2 aprile, 140 lavoratori nordcoreani del Sarawak sono stati espulsi dal governo malese per delle irregolarità del permesso lavorativo. MSOI the Post • 11


ORIENTE duramente i due principali media del paese, la rete televisiva ABS-CBN e il quotidiano Philippine Daily Inquirer, definendo i rispettivi proprietari come “oligarchi faziosi” responsabili della corruzione dei media filippini. GIAPPONE 30 marzo. Il Partito Liberale Democratico al governo (LDP) ha presentato una serie di provvedimenti che il Giappone intraprenderebbe ad un intensificarsi delle minacce missilistiche della Corea del Nord. 5 aprile. In seguito all’ennesima esercitazione missilistica della Nord Corea nel Mar del Giappone, il capo segretario di Gabinetto Yoshihide Suga ha condannato l’atto dicendo come il Giappone “Non ha mai tollerato le ripetute azioni provocatorie della Corea de Nord”. INDIA 3 aprile. Un vascello mercantile indiano proveniente da Dubai è stato attaccato dai pirati somali al largo della costa della regione autonoma del Puntland, nella Somalia nord-orientale, dove era diretto. La nave trasportava zucchero e grano; si tratta del secondo attacco pirata in meno di un mese. A cura di Carolina Quaranta

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TAIWAN INIZIA A CAMMINARE La regione ribelle cerca l’indipendenza

Di Alessandro Fornaroli L’esercito, nel complesso delle sue attività, rappresenta da sempre uno dei principali strumenti di affermazione globale di uno Stato. Soprattutto in epoca recente, però, a contribuire all’affermazione di un Paese sul piano internazionale sono con maggior frequenza anche le relazioni economiche. Taiwan non si sottrae a quest’ottica. Già da qualche tempo la nazione sta cercando di uscire dalla sua condizione di diplomazia informale, aprendosi a collaborazioni sul piano sia economico, sia militare. Taipei, infatti, tenta sistematicamente di sottrarsi al principio della “Cina unica”, provando nel contempo ad uscire dall’egida americana attraverso rapporti politico-commerciali siglati con altri Stati. Anche nell’ipotesi di un cambio di rotta, la Regione continuerebbe a rappresentare un importante partner per gli USA, rientrando nella top ten mondiale quanto a importazione di prodotti agroalimentari americani. Grazie alla maggioranza dei seggi nella legislatura Yuan, la presidente Tsai vuole varare un piano che aumenterà al 3% del PIL i finanziamenti indirizzati alla difesa. Come Israele, anche la Cina considera l’armamento come un mezzo in grado di svolgere

un’azione deterrente e, in questo caso, in grado anche di difendere l’Isola da un possibile attacco della People’s Liberation Army cinese. L’avanzamento tecnologico dovrà coinvolgere il settore marino, cibernetico e antiaereo. Il governo probabilmente permetterà il noleggio delle proprie piattaforme, intraprendendo addestramenti congiunti con altri partner asiatici o europei. Stando al Nikkei Asian Review, importante organo di stampa giapponese, il 29 marzo il primo ministro nipponico Shinzo Abe ha definito Taiwan un Paese che “condivide con il Giappone valori e interessi’’. Keisuke Suzuki, capo della divisione giovani del Partito Democratico Liberale, ha inoltre dichiarato di aver avuto contatti con la Presidente taiwanese. L’affermazione ha allarmato non poco Pechino, che teme un avvicinamento formale fra le giovani classi elitarie. Per impedire incomprensioni e ulteriori attriti, secondo gli analisti del Taiwan Sentinel, Taipei dovrebbe migliorare in primis l’integrazione regionale e successivamente indicare chiaramente ai suoi alleati principali (USA e Giappone), quale sia la loro red line. Anche dal punto di vista della propaganda internazionale, Taiwan potrebbe chiarificare meglio le condizioni che la portano a chiedere una più ampia indipendenza.


AFRICA 7 Giorni in 300 Parole GAMBIA 5 aprile. Le autorità gambiane hanno aperto un’inchiesta per indagare sulla sparizione di decine di persone durante il governo del precedente presidente Yahya Jammeh. Il nuovo presidente, Adama Barrow, ha supervisionato la costituzione della commissione d’inchiesta, al fine di provare e punire i reati commessi dal precedente Presidente e dal suo governo. NIGERIA 2 aprile. Tre kamikaze si sono fatti esplodere nei pressi della città di Maiduguri, nel nord-est del Paese, dove già in passato si erano verificati diversi attacchi comandati dalle milizie di BokoHaram. Secondo le ultime stime, sarebbero oltre 20.000 le persone che nell’ultimo anno hanno perso la vita in simili attacchi rivendicati dal gruppo terroristico. REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO 3 aprile. In un attacco terroristico organizzato da un gruppo armato, già noto per aver ucciso alcuni funzionari dell’ONU, hanno perso la vita 8 persone. L’attacco è avvenuto nella parte meridionale del Paese, dove i terroristi hanno distrutto diversi uffici amministrativi, una prigione e un convento di suore. Le autorità locali denunciano un aumento degli atti di violenza, che dallo scorso agosto hanno causato la morte di più di 400 persone. SOMALIA 30 marzo. Secondo un’ultima indagine condotta dall’UNICEF, il numero di bambini affetti da malnutrizione è cresciuto. Gli operatori sanitari che attualmente lavorano nel Paese temono il ritorno di una carestia simile a quella del 2011, in cui 130.000

IL TRAMONTO DI ZUMA?

Il Presidente affronta una nuova ondata di dissenso

Di Guglielmo Fasana La scintilla che ha riacceso la polemica attorno alla figura dell’uomo forte di Pretoria – Jacob Zuma – è stata la sua decisione, comunicata dall’ufficio presidenziale con una dichiarazione, di procedere a un rimpasto di governo. A giustificazione del licenziamento di 10 Ministri (compresi quelli di energia, polizia e turismo) su un esecutivo di 35, Zuma ha addotto la necessità di portare nuove idee e personalità inedite all’interno dell’esecutivo. Come ci si poteva aspettare, non si è fatta attendere una risposta violenta a una misura tanto spregiudicata. La stoccata al Presidente è arrivata da Bheki Ntshalintshali, il Segretario Generale della potente unione sindacale sudafricana Cosatu, che coordina circa 1,8 milioni di lavoratori: secondo la dirigenza, Jacob Zuma non è più “[...] la persona giusta” per guidare il Sud Africa. Tra le teste illustri, è caduta, inaspettatamente, anche quella di Pravin Gordhan, ministro delle Finanze, ritenuto

unanimemente da esperti e opinione pubblica come un funzionario estremamente capace, in virtù dei risultati positivi conseguiti alla guida dell’economia del Paese. Nei mesi scorsi, Gordhan era infatti riuscito a sventare il rischio di un possibile abbassamento del rating da parte di Standard and Poor’s, fatto puntualmente verificatosi al momento dell’allontanamento dalle sue funzioni del rispettato Ministro, in concomitanza con uno shock monetario ai danni del rand, la moneta ufficiale del Paese (-13%). Le critiche sono arrivate anche dai membri della stessa coalizione politica guidata da Zuma, la cosiddetta Tripartite Alliance, formata dal South African Communist Party, dalle cui fila proviene lo stesso Presidente, dall’African National Congress, partito di maggioranza, e dalla Cosatu. L’apparentemente solida posizione di Jacob Zuma va quindi sfaldandosi, di fronte ad una crisi che unisce componenti politiche a problemi economici. MSOI the Post • 13


AFRICA bambini persero la vita. Leila Pakkala, direttore regionale dell’UNICEF per l’Africa orientale e meridionale, ha dichiarato in un comunicato stampa che stanno lavorando a un piano di ampliamento delle strutture per la nutrizione sia mobili sia fisse, che includono servizi igienici e sanitari, collaborando con le autorità locali. SUDAFRICA 31 marzo. Nella notte tra il 30 e il 31 marzo il presidente del Sudafrica Zuma ha congedato una serie di figure chiave del suo governo, tra cui il ministro delle Finanze Pravin Gordhan. La sostituzione di Gordhan ha suscitato molte polemiche nel Paese, essendo considerato uno delle principali figure capaci di contrastare la corruzione e la spesa pubblica incontrollata del governo. La mossa del Presidente ha avuto ripercussioni anche sull’economia del Sudafrica, che ha subito una svalutazione del rand, la moneta nazionale, del 5%. Secondo l’analista Jason Burke del Guardian, il futuro del Presidente è incerto e la sua uscita potrebbe essere tutt’altro che dignitosa. ZIMBABWE 4 aprile. Nella notte tra il 3 e il 4 aprile un forte terremoto con epicentro nella capitale del Zimbabwe, Botwsana, ha colpito l’Africa meridionale. Secondo i primi dati raccolti il sisma avrebbe raggiunto la magnitudo 6.5 della scala richter, durando oltre 60 secondi. Le autorità locali hanno iniziato ha stimare i danni causati dal terremoto che, secondo le prime indiscrezioni, sarebbero ingenti, soprattutto nell’area epicentrale. A cura di Jessica Prieto

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SIMONE GBAGBO GIUDICATA INNOCENTE Assolta dall’accusa di crimini contro l’umanità

Di Francesca Schellino Il 29 marzo, il Presidente della Corte D’assise di Abidjan, Costa d’Avorio, ha pronunciato un verdetto che assolve l’ex first lady Simone Ehivet Gbagbo dal reato di crimini contro l’umanità, in particolare per il suo coinvolgimento nel bombardamento del mercato di Abobo, quartiere di Abidjan, dove – nel 2011 – persero la vita 30 persone. La moglie dell’ex presidente Laurent Gbagbo (il cui mandato è durato dal 2000 al 2010) era sotto accusa anche per la presuntaaffiliazioneaungruppoarmato soprannominato Squadroni della Morte, responsabile di massacri e violenze sui civili per conto del regime dittatoriale del marito. La decisione della Corte D’assise ha colto di sorpresa l’opinione pubblica, che si aspettava un risultato opposto. L’accusa aveva chiesto l’ergastolo per l’imputata, già accusata di crimini contro l’umanità nel periodo successivo alle elezioni presidenziali del 2010, quando, in seguito al rifiuto del marito di accettare la vittoria di Alassane Outtara, si era scatenata nel Paese una feroce guerra civile. Durante i disordini erano rimaste uccise più di 3.000 persone.

I giudici hanno respinto all’unanimità le tesi dell’accusa, scagionando l’imputata anche dal capo d’imputazione riguardante l’acquisto illegale di armi per rifornire gli “squadroni della morte”. Il verdetto è stato pronunciato in assenza dell’imputata e dei suoi avvocati. L’ex first lady è assente in tribunale dal novembre 2015, per protestare contro il rifiuto della Corte di far comparire alcuni testimoni, fra cui il presidente dell’Assemblea Nazionale Guillaume Soro. L’assoluzione è stata decisa per assenza di prove. Nonostante il discusso esito del processo, Simone Gbagbo, arrestata con il marito nel 2011, sta scontando la pena di 20 anni per minaccia alla sicurezza dello Stato in un carcere ivoriano. Le autorità di Yamoussoukro avevano deciso di non estradarla all’Aja per essere giudicata dalla Corte Penale Internazionale come il marito, anch’egli sotto processo per crimini contro l’umanità. Issiaka Diaby, presidente di uno dei numerosi gruppi di familiari delle vittime della guerra civile, ha affermato che la fiducia nella giustizia ivoriana è calata. Ha infine ribadito la richiesta di esecuzione del mandato emesso dalla Corte Penale Internazionale per l’estradizione di Simone Gbagbo.


SUD AMERICA 7 Giorni in 300 Parole ARGENTINA 5 aprile. A Buenos Aires inizia il Foro Economico Mondiale per l’America Latina (WEF Latam). Fino al 7 aprile il mondo del commercio si concentrerà nella capitale argentina con la partecipazione, tra gli altri, del presidente Mauricio Macri. ECUADOR 3 aprile. Annunciata la vittoria al ballottaggio per le presidenziali del 2 aprile di Lenín Moreno, candidato appoggiato dal presidente uscente Rafael Correa, con il 51% dei voti. Guillermo Lasso, l’altro candidato che aveva raggiunto il ballottaggio, ha sostenuto che fossero avvenuti dei brogli durante lo scrutino inviando i suoi sostenitori a scendere in piazza per una protesta pacifica. Già nella notte, prima della fine della pubblicazione di un risultato ufficiale, alcuni manifestanti si erano scontrati con la polizia ad Asunción.

IL PARAGUAY BRUCIA

Il Parlamento è stato incendiato da un gruppo di manifestanti

Di Daniele Ruffino La riforma costituzionale votata dal Senato pochi giorni fa ha gettato nel caos lo Stato latino, scatenando veri e propri scontri davanti e dentro il Parlamento. Una seduta imprevista del Senato ha deliberato con 25 voti a favore su 45 (principalmente pervenuti dai conservatori e pro-governativi) una modifica costituzionale per permettere di ricandidarsi a chi abbia già conseguito un mandato elettivo.

GUATEMALA 5 aprile. L’ex ministro del welfare Carlos Rodas, il suo vice ministro e l’ex direttore della casa rifugio statale “Virgen de la Asunción” – dove il mese scorso sono morte 41 ragazze in un incendio – sono stati accusati di omicidio per negligenza. Tutti e tre erano già stati rimossi dai loro incarichi a marzo dal presidente Jimmy Morales.

La riforma è stata appoggiata da gran parte del Partito Colorato (di cui è membro il presidente Horacio Cartes) e alcuni franchi tiratori dell’opposizione. A opporsi alla decisione c’è il Partito Liberale Radicale Autentico (PLRA; di cui fa parte Roberto Acevedo, Presidente del Senato), che ha portato avanti gli scontri e l’atto incendiario.

PARAGUAY 4 aprile. Amerigo Incalcaterra, rappresentante per il Sudamerica dell’Alto Commissariato per i Diritti Umani dell’ONU, ha richiesto formalmente un’indagine sulla morte di Rodrigo Quintana, un oppositore morto lo scorso venerdì durante gli scontri nei pressi del Parlamen-

Dopo il vaglio favorevole del Senato, il voto sarebbe dovuto approdare alla Camera dei Deputati (dove il governo detiene 44 seggi su 80) il 1° aprile, ma è stato rinviato per via dei gravi danni al Parlamento e della tensione generale nella capitale Asunción. In caso il voto passasse anche alla

Camera, il Tribunale elettorale dovrà indire un referendum nei successivi tre mesi. Gli scontri, culminati con l’incendio di una parte del Palazzo del Parlamento, hanno provocato oltre 30 feriti tra manifestanti, giornalisti e forze dell’ordine in tenuta antisommossa, e un morto tra le file del PLRA. La vittima è un ragazzo di 25 anni, arrivato nella capitale per prendere parte alla manifestazione. Il Segretario del PRLA, Efraim Alegre, ha reso noto che in seguito all’attacco al Parlamento la polizia ha fatto irruzione in molti sedi dell’opposizione sparando contro i presenti in segno di rappresaglia. Il Paraguay, dunque, si trova situazione assai in una delicata: l’ultima votazione del Parlamento potrebbe minare la democrazia e il decentramento politico (il Presidente è a capo del Cartes Group che controlla una buona parte dei media nazionali) e l’opposizione non ha avuto remore nello scendere immediatamente in piazza – anche con metodi violenti – per bloccare qualsiasi deriva autoritaria in un Paese che ha già vissuto 35 anni di dittatura. MSOI the Post • 15


SUD AMERICA to. In seguito agli scontri il presidente Horacio Cartes ha rimosso il capo della polizia nazionale ed un agente è stato accusato di omicidio per la morte di Quintana. PERÙ 4 aprile. In seguito alle violente alluvioni che hanno colpito il nord del paese il presidente Kuczynski ha annunciato che convocherà i leader dei partiti per elaborare un piano di ricostruzione. Il ministro della Salute Patricia García ha assicurato che coordinerà il lavoro per fare in modo che nelle zone a rischio di epidemia siano garantite misure sanitarie adeguate. VENEZUELA 6 aprile. Dopo le tensioni con l’Organizzazione degli Stati Americani (OEA) per la sentenza del Tribunale Supremo (TSJ) venezuelano che esautorava il Parlamento del potere legislativo, il ministro degli Esteri venezuelana Delcy Rodríguez ha criticato l’risoluzione che denuncia la violazione costituzionale della sentenza. Il Ministro ha affermato che essendo stata approvata per consenso e non per votazione, come previsto dal regolamento interno della OEA, rappresentava una frode e che insieme a Bolivia e Nicaragua proporranno una “revisione dei meccanismi legali della OEA”. A cura di Daniele Pennavaria

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IL VENEZUELA NELL’OCCHIO DEL CICLONE Le sentenze del Tribunale Supremo di Giustizia, poi annullate, alimentano le tensioni nel Paese

Di Elisa Zamuner Mercoledì 29 marzo, il Tribunale Supremo di Giustizia (TSJ) del Venezuela ha presentato un provvedimento con cui esautorava il Parlamento, assumendone le funzioni legislative. Con questa decisione l’Assemblea Nazionale, da dicembre 2015 composta in maggioranza da membri dell’opposizione, sarebbe stata spogliata di ogni autorità. Dato che una precedente sentenza del Tribunale aveva privato i parlamentari delle loro immunità, questo provvedimento sembrava consegnare il Venezuela a un governo sempre più autocratico, svincolando il presidente Maduro dal controllo parlamentare. Le reazioni sono state immediate e tra tutte ha assunto rilevanza quella dell’Organizzazione degli Stati Americani (OEA), che proprio in quei giorni si era riunita per discutere della situazione venezuelana. L’OEA ha accusato il Presidente venezuelano di aver assunto un comportamento antidemocratico, chiedendo di conseguenza la sospensione del Paese dall’Organizzazione. Anche l’ONU ha espresso grave preoccupazione, invitando il Tribunale a rivalutare questa decisione, poiché “la separazione dei poteri è essenziale affinché la

democrazia funzioni”. Il ministro degli Esteri del Venezuela Delcy Rodríguez ha invece difeso la sentenza della Corte Suprema e ha definito l’OEA “una pedina dell’imperialismo statunitense”. La presa di posizione più inattesa è stata quella della procuratrice generale Luisa Ortega, che venerdì 31 marzo ha definito la sentenza “una rottura dell’ordine costituzionale”. Queste dichiarazioni hanno costretto il presidente Maduro a convocare il Consiglio Nazionale di Difesa per rivedere la manovra politica. Il giorno dopo la dichiarazione della procuratrice Ortega, sul sito del TSJ è comparsa una nota nella quale si dichiarava che le sentenze riguardanti le immunità e l’esautoramento dei parlamentari erano state annullate. Nonostante ciò molti cittadini hanno continuato a protestare contro il governo e il presidente dell’Assemblea Nazionale Julio Borges, membro di spicco dell’opposizione, ha invitato il popolo a scendere in strada affermando che “il golpe continua”. Gli ultimi avvenimenti non hanno fatto altro che accrescere la forte tensione tra il governo di Maduro e l’opposizione, in un quadro politico-economico sempre più instabile, e indebolire le relazioni diplomatiche del Paese, soprattutto con gli altri Stati dell’America Latina.


ECONOMIA IL VENEZUELA NELLA MORSA DELLA CRISI POLITICO-ECONOMICA E UMANITARIA Lo stato bolivariano è sull’orlo del collasso

Di Giacomo a Robasto Lanciando lo sguardo sugli ultimi dati macroeconomici del Venezuela, rilasciati dalla Banca Mondiale e dalla Banca Centrale venezuelana riferiti al 2016, non si lascia spazio a dubbi sulla gravità della situazione: se durante lo scorso anno il tasso di inflazione rispetto al 2015 si è attestato a circa il 720%, è anche perché l’offerta di moneta è aumentata di oltre il 200% nello stesso periodo. Incremento eccezionale, se si tiene presente che negli Stati Uniti e negli altri Paesi occidentali l’aumento dell’offerta di moneta non ha mai superato la soglia dell’8% su base annua. Una tale svalutazione della valuta locale (il bolivár venezuelano) non si era mai vista dal 1940, anno a cui risalgono i primi dati disponibili in materia. Il Venezuela, primo Paese in America Latina per riserve stimate di petrolio, è in recessione dal 2014. Tuttavia, nel 2016 la decrescita del PIL è stata più accentuata che negli anni precedenti, sfiorando la soglia critica del 10%. Secondo José Manuel Puente, economista all’Istituto di Alti Studi Economici di Caracas, tale dato può essere verosimilmente paragonabile a quello di nazioni

in guerra. In effetti, nell’ultimo decennio, soltanto le economie di Paesi come Siria e Libia hanno registrato andamenti peggiori del Venezuela. I guai per lo Stato bolivariano iniziarono nell’aprile 2013, quando alla morte del presidente Ugo Chávez seguì l’elezione di Nicolás Maduro, ex ministro degli Affari Esteri e suo successore alla guida del Partito Socialista Unito del Venezuela. Avendo, tuttavia, vinto le elezioni con il 50,6% dei suffragi, il suo consenso è sempre stato - ed è tutt’ora - in bilico, dal momento che non ha né proposte concrete per diversificare l’economia del Paese, né una maggioranza solida in parlamento per approvarle. Per comprendere la situazione attuale, oltre all’instabilità politica, bisogna ricordare anche la totale dipendenza dalle esportazioni di petrolio dell’economia venezuelana, frutto di scelte passate. Il governo di Ugo Chávez, eletto per la prima volta nel 1998, optò infatti per la nazionalizzazione di migliaia di imprese o delle loro attività, riducendo la produzione interna di qualunque bene o servizio non correlato all’industria petrolifera. Esso investì poi le entrate petrolifere

per investimenti in istruzione e formazione, guadagnando un supporto elettorale crescente per trasformare una democrazia in un regime autoritario che persiste ancora oggi. Tuttavia, l’impopolarità e la mancanza di leadership di Maduro, unite al sempre più basso prezzo del petrolio sui mercati internazionali, stanno mettendo a dura prova l’economia nazionale, facendo pagare le conseguenze alla popolazione. Infatti, la carenza di generi di prima necessità nei supermercati è all’ordine del giorno, così come la mancanza di antibiotici negli ospedali è diventata ormai quasi la norma. Se gli effetti delle riforme in campo economico richiedono tempo per manifestarsi, così non si può dire per le svolte politiche. Se il Chavismo aveva puntato sulla costruzione di un rapido consenso con un progetto di crescita a breve termine, il Venezuela ha ora bisogno di un nuovo corso che prenda avvio da nuove elezioni e che continui con riforme mirate in politica economica e monetaria, che portino benefici nel lungo periodo, in netto contrasto con il recente passato. MSOI the Post • 17


ECONOMIA SYMBIOSIS: UN NUOVO MODELLO DI BUSINESS DISTRICT Milano al passo con le principali città europee

Di Francesca Maria De Matteis Symbiosis, candidato a nuovo business district di Milano, si inserisce all’interno di “Sharing Cities”, un progetto europeo finanziato dal programma europeo “Horizon 2020”. Ormai considerata indiscutibilmente “città più smart” d’Italia, il capoluogo lombardo sembra essere perfettamente al passo con i ritmi di sviluppo urbano e tecnologico scanditi dalle principali metropoli europee. Cos’è. Nasce dall’idea di inserire all’interno della vita quotidiana dei cittadini delle grandi metropoli la convivenza con un modello innovativo di edilizia, costruendo nuovi quartieri dall’anima tecnologica. Symbiosis si ispira ai modelli internazionali innovativi di smart working, nel tentativo di raggiungere una maggior vivibilità all’interno della città. Facendo affidamento su un contributo europeo di 25 milioni di euro, prevede la costruzione di 120.000 mq i di uffic , in un ambiente ipertecnologico, ma che, accanto alle esigenze di produttività, garantisce particolare attenzione al benessere dei cittadini. 18 • MSOI the Post

Soluzioni green. Gli immobili del nuovo business district sono progettati per garantire la sostenibilità dell’area e delle attività in essa svolte, raggiungendo, al tempo stesso, la massima efficienza nel rispetto dell’ambiente. Gli edifici saranno, infatti, in grado di controllare le emissioni di CO2 e riusciranno a coprire il 50% del proprio fabbisogno energetico sfruttando fonti rinnovabili interne. Illuminazione a basso consumo, lampioni a LED, panche con connessioni multimediali, spazi intelligenti e connessione Wi-Fi presente ovunque, velocità ed efficienza delle infrastrutture, ma anche giardini ruderali stagionali, boschi e articolati sistemi di fontane e specchi d’acqua. Mobilità condivisa e sistemi di gestione energetica integrata favoriranno la diffusione di benessere e di un nuovo stile di vita all’avanguardia. Horizon 2020. È il più grande programma di Ricerca e Innovazione aperto a tutti, sostenuto e finanziato dall’Unione Europea. A disposizione di aziende private, enti pubblici e privati cittadini, studenti o ricercatori, circa 80 miliardi di euro di finanziamenti disponibili nell’arco

di 7 anni (dal 2014 al 2020). Il progetto nasce con l’obiettivo di guidare la crescita economica e creare posti di lavoro, rimuovendo le barriere che ostacolano l’innovazione e la cooperazione tra enti pubblici e privati. Sharing cities. Il Comune di Milano, nel 2015, partecipando al bando SCC-01-2015 “Smart Cities and Communities solutions integrating energy, transport, ICT sectors through lighthouse projects” all’interno di Horizon 2020, ha presentato un progetto per la realizzazione di un distretto smart ad energia quasi zero per l’area di Porta Romana-Vettabbia. La durata complessiva è prevista in 5 anni, durante i quali si cercherà di istituire un sistema che garantisca una sostenibile mobilità urbana, favorisca lo scambio di dati e statistiche e costituisca un polo attrattivo tanto per gli affari quanto per il turismo e lo sviluppo architettonico e tecnologico. Affiancata dalle città di Londra (città capofila di Sharing Cities) e Lisbona, con le quali condivide sfide e obiettivi, Milano si sta impegnando per raggiungere soluzioni da estendere alle altre città europee.


MSOI the Post • 19


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