MSOI thePost Numero 64

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Il Settimanale di M.S.O.I. Torino


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MSOI Torino M.S.O.I. è un’associazione studentesca impegnata a promuovere la diffusione della cultura internazionalistica ed è diffuso a livello nazionale (Gorizia, Milano, Napoli, Roma e Torino). Nato nel 1949, il Movimento rappresenta la sezione giovanile ed universitaria della Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale (S.I.O.I.), persegue fini di formazione, ricerca e informazione nell’ambito dell’organizzazione e del diritto internazionale. M.S.O.I. è membro del World Forum of United Nations Associations Youth (WFUNA Youth), l’organo che rappresenta e coordina i movimenti giovanili delle Nazioni Unite. Ogni anno M.S.O.I. Torino organizza conferenze, tavole rotonde, workshop, seminari e viaggi studio volti a stimolare la discussione e lo scambio di idee nell’ambito della politica internazionale e del diritto. M.S.O.I. Torino costituisce perciò non solo un’opportunità unica per entrare in contatto con un ampio network di esperti, docenti e studenti, ma anche una straordinaria esperienza per condividere interessi e passioni e vivere l’università in maniera più attiva. Elisabetta Botta, Segretario M.S.O.I. Torino

MSOI thePost MSOI thePost, il settimanale online di politica internazionale di M.S.O.I. Torino, si propone come un modulo d’informazione ideato, gestito ed al servizio degli studenti e offrire a chi è appassionato di affari internazionali e scrittura la possibilità di vedere pubblicati i propri articoli. La rivista nasce dalla volontà di creare una redazione appassionata dalla sfida dell’informazione, attenta ai principali temi dell’attualità. Aspiriamo ad avere come lettori coloro che credono che tutti i fatti debbano essere riportati senza filtri, eufemismi o sensazionalismi. La natura super partes del Movimento risulta riconoscibile nel mezzo di informazione che ne è l’espressione: MSOI thePost non è, infatti, un giornale affiliato ad una parte politica, espressione di una lobby o di un gruppo ristretto. Percorrere il solco tracciato da chi persegue un certo costume giornalistico di serietà e rigore, innovandolo con lo stile fresco di redattori giovani ed entusiasti, è la nostra ambizione. Jacopo Folco, Direttore MSOI thePost 2 • MSOI the Post

N u m e r o

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Redazione Direttore Jacopo Folco Vicedirettore Davide Tedesco Caporedattori Giusto Amedeo Boccheni, Pilar d’Alò, Pauline Rosa Capi Servizio Rebecca Barresi, Luca Bolzanin, Sarah Sabina Montaldo, Daniele Pennavaria, Leonardo Scanavino, Giulia Tempo, Martina Terraglia, Chiara Zaghi Media e Management Samantha Scarpa Redattori Federica Allasia, Erica Ambroggio, Elena Amici, Daniele Baldo, Lorenzo Bardia, Giulia Bazzano, Lorenzo Bazzano, Andrea Bertazzoni, Giusto Amedeo Boccheni, Luca Bolzanin, Giulia Botta, Maria Francesca Bottura, Adna Camdzic, Matteo Candelari, Claudia Cantone, Giulia Capriotti, Emanuele Chieppa, Giuliana Cristauro, Lucky Dalena, Alessandro Dalpasso,Francesca Maria De Matteis, Luca De Santis, Sabrina Di Dio,Ilaria Di Donato, Sofia Ercolessi, Simone Esposito, Guglielmo Fasana, Giulia Ficuciello, Alessandro Fornaroli, Lorenzo Gilardetti, Ann-Marlen Hoolt, Michelangelo Inverso, Vladimiro Labate, Giulia Marzinotto, Simone Massarenti, Efrem Moiso, Virginia Orsili, Daniele Pennavaria, Ivana Pesic, Edoardo Pignocco, Sara Ponza, Jessica Prieto, Carolina Quaranta, Giacomo Robasto, Daniele Reano, Jean-Marie Reure, Clarissa Rossetti, Michele Rosso,Daniele Ruffino,Fabio Saksida, Martina Santi, Federico Sarri, Leonardo Scanavino, Martina Scarnato, Samantha Scarpa, Francesca Schellino, Viola Serena Stefanello, Lola Ferrand Stanley, Giulia Tempo, Martina Terraglia, Elisa Todesco, Francesco Tosco, Tiziano Traversa, Fabio Tumminello, Chiara Zaghi, Francesca Maria De Matteis, Martina Unali, Elisa Zamuner. Editing Lorenzo Aprà Copertine Amandine Delclos, Carolina Elisabetta Zuniga Vuoi entrare a far parte della redazione? Scrivi una mail a thepost@msoitorino.org!


EUROPA 7 Giorni in 300 Parole

FRANCIA 3 maggio. I due candidati rimasti in lizza per le elezioni presidenziali francesi, Emmanuel Macron e Marine Le Pen, hanno partecipato al tradizionale dibattito televisivo dell’entre deux tours. A differenza del 2002, in cui Chirac rifiutò di interfacciarsi con Le Pen padre, il leader di En Marche! ha accettato il confronto con l’avversaria. Il dibattito si è caratterizzato per un’inconsueta aggressività, considerate le radicali differenze di posizione dei due candidati.

REGNO UNITO 3 maggio. Theresa May, è tornata ad alzare i toni nei confronti delle istituzioni europee sulle trattative per la Brexit. Stando alle parole del Primo Ministro britannico, “qualcuno, a Bruxelles, desidera che i negoziati non vadano a buon fine, e vuole che il Regno Unito non ce la faccia da sé”. Il riferimento è a Michel Barnier, responsabile dell’UE per i negoziati, accusato dalla Premier britannica di voler compromettere l’esito dei conservatori alle elezioni

NUOVO INTOPPO PER LA BREXIT

La campagna elettorale nel Regno Unito va avanti, ma i negoziati con l’Europa non avanzano

Di Elena Amici La premier britannica Theresa May ha recentemente incontrato il capo della Commissione Europea Jean-Claude Juncker per una cena privata, definita dalla stampa come “disastrosa” e considerata il culmine di una settimana fallimentare per i negoziati fra il Regno Unito e l’Unione Europea. Il giorno stesso dell’incontro la delegazione britannica a Bruxelles si è detta impossibilitata a partecipare all’incontro per la redistribuzione del budget UE, in programma da tempo, chiedendo che fosse posticipato a dopo le elezioni dell’8 giugno. Nel frattempo, May ha ripetuto di non avere intenzione di pagare la cosiddetta “Brexit bill”, i 60 miliardi di euro che l’Unione Europea sostiene le siano dovuti, ed è probabile che la questione dei pagamenti finirà davanti alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea. Nel corso della cena a Downing Street, Theresa May ha comunicato di voler essere a capo dei negoziati per la Brexit, facendo eco alla sua promessa elettorale di essere “una negoziatrice maledettamente difficile per Juncker”. I negoziati per la Brexit avranno luogo a Bruxelles per diversi giorni ogni mese, un impegno considerato

impossibile per un capo di governo; e il rifiuto della May di delegare ha infastidito Juncker, dando l’impressione che la Premier stia sottovalutando dell’impegno richiesto. Inoltre, Juncker si è detto contrario all’intenzione del governo britannico di voler avviare negoziati per la creazione di un accordo di mercato fra il Regno Unito e l’Europa in parallelo con quelli per la Brexit, sostenendo che la priorità debba esser data alla creazione di accordi per tutelare i cittadini europei residenti in Gran Bretagna prima di parlare di commercio. Secondo la stampa tedesca, Juncker avrebbe lasciato Downing Street dicendosi “10 volte più scettico di quanto già non fossi,” e avrebbe immediatamente chiamato Angela Merkel per lamentarsi del comportamento della May. Il Cancelliere tedesco ha espresso la propria fiducia nel processo di negoziati avviato dall’Unione Europea in un discorso al Bundestag, ribadendo che la priorità debba essere tutelare i diritti dei cittadini europei nel Regno Unito prima di qualunque altra cosa. “Forse sto ripetendo cose già dette”, ha detto la Merkel. “Ma in Gran Bretagna c’è ancora chi si fa illusioni”. MSOI the Post • 3


EUROPA dell’8 giugno. Barnier ha in effetti dichiarato che l’uscita del Regno Unito non sarà un processo rapido e indolore. GRECIA 2 maggio. Un accordo è stato raggiunto tra la Grecia, BCE, FMI e Commissione Europea per l’erogazione di una nuova tranche di aiuti. Tale accordo prevede 86 miliardi di euro di assistenza finanziaria e copre un periodo di tre anni. Sarà approvato il 22 maggio prossimo, in occasione della riunione dell’Eurogruppo. Il governo greco ha dovuto garantire nuove misure di austerity tra le quali un taglio alle pensioni, un aumento delle tasse. Oltre a ciò la Grecia si impegnerà a velocizzare le privatizzazioni e a riformare il mercato del lavoro e dell’energia. Si aprono tuttavia spiragli circa un futuro alleggerimento del debito greco. Al governo è stato inoltre concesso di varare alcune misure anti-povertà. ITALIA 4 maggio. Il trionfo di Matteo Renzi alle primarie del Partito Democratico di domenica scorsa incassa l’endorsement di Pierre Moscovici. Il commissario europeo ha deciso infatti di esporsi, ribadendo il suo appoggio a Renzi e definendo, inoltre, Gentiloni e Padoan “interlocutori di qualità” e dichiarando che se il Partito Democratico manterrà la linea adottata negli ultimi anni si confermerà un “grande partito europeo” che sostiene gli interessi degli italiani pur rispettando gli impegni derivanti dall’adesione all’Unione europea. A cura di Michele Rosso

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LA NUOVA ODISSEA

Nuovo accordo tra FMI, creditori e governo greco

Di Daniele Reano Dopo settimane di estenuanti trattative e molte ore di discussione è stata raggiunta un’intesa preliminare sul debito ellenico tra il Fondo Monetario Internazionale, i creditori dell’Unione Europea e il governo greco. L’accordo ha permesso di salvare in extremis il programma di prestiti da 86 miliardi di euro, già concordato tra le parti nel 2015, scongiurando ancora una volta che la Grecia precipitasse nella spirale del default a causa dell’interesse sul proprio debito. Soddisfatto il ministro delle Finanze greco, Euclid Tsakalotos, secondo il quale “la discussione di un accordo che assicura la sostenibilità del debito greco inizia ora”, aggiungendo che il confronto sugli obiettivi di surplus primario della Grecia per gli anni successivi alla fine del programma nel 2018 sarà affrontata in occasione della riunione del prossimo Eurogruppo il 22 maggio. Il governo guidato da Alexis Tsipras, leader del partito di sinistra Syriza, ha dovuto accettare delle dure misure di austerity per rassicurare i creditori dell’area-euro e ottenere la nuova tranche di 7 miliardi che il governo stesso dovrà restituire con gli interessi maturati entro giugno. Tra le misure concordate si

segnalano un taglio medio delle pensioni del 9%, un aumento della pressione fiscale, una nuova sforbiciata sui salari dei dipendenti pubblici, la riduzione dell’esenzione fiscale a 6.000 euro dagli attuali 8.636, la possibilità di aperture domenicali dei negozi in diversi settori, oltre alla discussione sulla vendita dei farmaci senza prescrizione nei supermercati. All’attacco il principale partito di opposizione, il conservatore Nea Demokratia, il cui portavoce Vassilis Kikilias ha dichiarato “Noi non voteremo le nuove misure di austerità che prevedono ulteriori tagli alle pensioni e nuove tasse sui greci”. I malumori sono notevoli nel Paese, fiaccato dalle richieste di austerity che in questi anni si sono susseguite. Nonostante questo, il governo ha una maggioranza sufficientemente ampiaperapprovareinautonomia il pacchetto di riforme. Il problema per Tsipras sarà la gestione sul medio-lungo periodo: il capo dell’ufficio legislativo del bilancio della Camera ha espresso forte preoccupazione sulle misure accettate dal governo sostenendo che “avranno come unico risultato quello di mortificare ogni tentativo di crescita del PIL, scoraggiando quindi lo sforzo relativo ai nuovi investimenti”.


NORD AMERICA 7 Giorni in 300 Parole

LIBERO SCAMBIO, MA NON TROPPO L’incerto futuro del trattato di libero scambio tra Stati Uniti, Canada e Messico

Di Alessandro Dalpasso STATI UNITI 28 aprile. Il Congresso ha approvato a larga maggioranza (382 a 30) una legge provvisoria che proroga sino al 5 maggio il finanziamento delle attività dello Stato federale, evitando così lo shutdown che sarebbe scattato a mezzanotte.

Il NAFTA (North America Free Trade Agreement) è un trattato di libero scambio di tipo commerciale che comprende tra i suoi aderenti Stati Uniti, Canada e Messico. In vigore dal 1994, si ispira all’accordo presente fra gli Stati Membri dell’Unione Europea.

29 aprile. Decine di migliaia di persone hanno invaso Washington per protestare contro le politiche ambientali del presidente Trump.

Il 26 aprile la CNN, citando fonti “vicine alla Casa Bianca”, ha fatto sapere che il presidente Trump sarebbe in procinto di firmare un ordine esecutivo per il recesso degli USA dal trattato. Fin dai giorni immediatamente successivi l’annuncio, è apparso però evidente che venire meno, prima della scadenza dei fatidici 100 giorni, ad un altro accordo commerciale multilaterale (dopo il TPP) potrebbe non essere il vero obiettivo del Presidente: si sarebbe trattata piuttosto dell’ennesima mossa fuori dagli schemi per poter giungere a rinegoziare i termini dell’accordo, o quantomeno accelerare i tempi per una futura ri-discussione del medesimo.

30 aprile. Tramite una conversazione telefonica Donald Trump ha invitato alla Casa Bianca il presidente filippino Rodrigo Duterte - aspramente criticato da Barack Obama – sostenendo di apprezzare la sua lotta contro la droga. 30 aprile. Il Midwest e il Southeast sono stati colpiti da violenti tornado, temporali e alluvioni. 9 il bilancio delle vittime. 5 i morti in Texas, due in Arkansas, uno in Mississippi e uno in Missouri. 1° maggio. I leader del Congresso hanno raggiunto un accordo sul bilancio pubblico, che prevede più fondi per i militari e per la sicurezza delle frontiere, ma non per il muro con il Messico. 1° maggio. Parlando a Bloomberg News nel corso di un’inter-

Infatti, il 27 aprile, via Twitter, Trump ha affermato di aver ricevuto una chiamata dal Presidente del Messico e dal Premier canadese per rinegoziare i termini del trattato. Egli avrebbe dunque “accettato a condizione di raggiungere un accordo conveniente per tutti”.

Alla voce del Presidente si è poi aggiunta quella del segretario al Commercio Wilbur Ross, che, in un’intervista con l’emittente televisiva CNBC, ha sostenuto che il trattato presenta numerose “imperfezioni concettuali” e che pertanto “il NAFTA ha bisogno di un irrigidimento per permettere alle nazioni facenti parti del blocco di avvantaggiarsi delle altre grazie ai benefici dell’accordo”. L’intento dell’esecutivo di sottrarsi agli obblighi del NAFTA deriva innanzitutto dal voler mantenere gli impegni presi in campagna elettorale, quando il trattato era stato descritto come voluto dall’establishment democratico (che fu negoziato ed approvato sotto la presidenza Clinton). Inoltre, come emerge da un documento pubblicato dal Financial Times, la decisione sarebbe stata determinata anche da un calcolo economico. Nel paper pubblicato, che altro non sarebbe che il progetto di ordine esecutivo che Trump stava per firmare, si legge come il NAFTA sarebbe la causa di un “massiccio trasferimento della ricchezza” verso il Canada. Inoltre, avrebbe portato alla perdita di 700.000 posti di lavoro e ad un consistente deficit della bilancia commerciale nei confronti del Messico (nel solo 2016 di ben 63 miliardi di dollari).

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NORD AMERICA vista, il presidente Usa Donald Trump ha detto che è pronto ad incontrare il leader nordcoreano Kim Jong-un.

“I FAKE MEDIA NON CI FERMERANNO”: STORIA DEI 100 GIORNI Trump diserta la Cena dei Corrispondenti e arringa “The Movement”

3 maggio. L’assistente presidenziale russo Yuri Ushakov ha descritto ai giornalisti la telefonata fra Putin e Trump, definendola molto positiva e pratica. 3 maggio. Donald Trump ha incontrato il leader palestinese Abu Mazen, proponendosi come mediatore per raggiungere la pace fra Israele e Palestina. 3 maggio. Il capo della diplomazia Usa, Rex Tillerson, ha dichiarato che gli Stati Uniti stanno preparando nuove sanzioni ai danni della Corea del Nord. Tillerson ha aggiunto anche che gli Stati Uniti stanno ripensando la loro politica nei confronti della Cina. CANADA 1° maggio. Due fortissime scosse di terremoto di magnitudo 6.3 e 6.2 della scala Richter sono state registrate nell’arco di due ore in Canada, nell’area di Whitehorse, nei pressi del confine con l’Alaska. A cura di Lorenzo Bazzano

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Di Federico Sarri Stando ai dati di Gallup solo il 32% degli americani ripone fiducia in giornali e televisioni. Non sembra, d’altronde, che il presidente Donald Trump possa essere incluso nel novero. Lo ha dimostrato in campagna elettorale e lo ha ribadito pochi giorni fa in occasione del discorso per i primi 100 giorni di governo. “In questo momento, star di Hollywood e media si consolano in un hotel di Washington” – ha detto il Commander in Chief, parlando a Harrisburg, PA – “Non potrei essere più felice di trovarmi a più di 100 miglia da loro, con persone decisamente migliori”. L’ex tycoon ha rivolto queste parole ad una folla accorsa per il suo rally in Pennsylvania, mentre a Washington si teneva la tradizionale “Cena dei corrispondenti alla Casa Bianca”. È tradizione che a questo evento i Presidenti in carica non manchino mai (fatta eccezione per Harry Truman, che fu ricoverato dopo essere scampato a 7 colpi di pistola). Il comizio di Trump è stato trasmesso in diretta tv, certo non per caso, proprio durante la cena di gala. È stato l’ennesimo pretesto per attaccare i “fake media” che, stando alle parole del Presidente, cercano di mina-

re alle basi la sua amministrazione. L’occasione era di notevolissima importanza: i primi 100 giorni di governo. Il fil rouge che lo ha accompagnato, sin dalle primarie del Partito Repubblicano, è proprio il difficile rapporto con i media tradizionali. “Secondo il Center for Media Research, il coverage della mia amministrazione è per l’89 per cento negativo” – ha detto Trump – “ma noi non molliamo”. Eppure, “The Donald”, in questi primi 3 mesi di governo non ha raccolto i risultati in cui sperava. Al netto di una crescita dell’occupazione di 600.000 unità, del maggior numero di ordini esecutivi firmati nei primi 100 giorni e di qualche settimana positiva per il mercato azionario, ha perso le battaglie sui fronti a lui più cari. L’Obamacare, bersaglio di pesanti critiche, è intatto; il “muslim ban” è stato rigettato e dichiarato inapplicabile da numerosi giudici federali; e il muro con il Messico, vero e proprio cavallo di battaglia della campagna elettorale, sembra un sogno lontano: nel bilancio in corso non sono stati stanziati fondi, quindi, non se ne riparlerà prima del prossimo anno. “Ma non temete: noi renderemo l’America Great Again”.


MEDIO ORIENTE 7 Giorni in 300 Parole ARABIA SAUDITA 30 aprile. Arrestate 46 persone sospettate di aver partecipato all’attentato alla Moschea del Profeta Muhammad del 2016.

#undress522 E LA RIMOZIONE DELL’ARTICOLO 308 Un’ondata di cambiamento in merito alla protezione delle donne vittime di stupro

30 aprile. Angela Merkel a Riad. Affrontati temi delicati, come i diritti delle donne e la guerra in Yemen. EGITTO. 28 aprile. Approvata legge che permetterá al Presidente di nominare giudici. 1° maggio. Attacco non rivendicato uccide 3 poliziotti al Cairo. IRAN. 28 aprile. Con l’approssimarsi delle elezioni, i conservatori accusano il presidente Rouhani di aver fallito nel revitalizzare l’economia del Paese. 29 aprile. Il presidente Rouhani si è appellato alla popolazione, affinchè dalle urne del prossimo 19 maggio “non esca un governo estremista e autoritario”. 3 maggio. In seguito a un’esplosione, 50 operai sono rimasti intrappolati in una miniera di carbone nella regione del Golestan, nel nord del Paese. 2 morti e 25 feriti. ISRAELE 28 aprile. Il Governo israeliano vuole edificare 15.000 nuove case a Gerusalemme., progetto condannato dall’OLP. 3 maggio. UNESCO adotta la risoluzione che nega la sovranitá di Israele su Gerusalemme. 22 Sì, 10 No (tra cui l’Italia) e 23 astenuti. In risposta, Israele taglia i fondi all’ONU. LIBIA 28 aprile. La marina libica ha catturato 2 imbarcazioni sospettate di contrabbandare petrolio dal Nord Africa.

Di Lucky Dalena Lo scorso gennaio, in un articolo di MSOI thePost, abbiamo parlato delle proteste di varie ONG libanesi in merito all’articolo 522. Questo articolo prevede la diminuzione della pena nel caso in cui uno stupratore sposi la vittima della violenza. Come in altri Paesi del Medio Oriente, la composizione sociale del Libano – ove i legami familiari e la diffusione degli stupri da parte di membri della famiglia allargata non sono fenomeni occasionali – ha fatto sì che questi casi fossero ricorrenti e che numerosi stupratori sfuggissero alla pena. Grazie alle proteste, in Libano è stata creata, a gennaio, una commissione parlamentare per discutere la legge. Maggiori progressi sono stati fatti, invece, dalla Giordania che, a seguito di numerose proteste e manifestazioni, ha finalmente dichiarato la volontà di rimuovere l’articolo 308 del Codice Penale. Questo articolo, simile al 522 libanese, prevedeva il perdono del perpetratore di uno stupro nel caso in cui avesse sposato la vittima. Un emendamento dello scorso anno aveva limitato l’applicabilità all’età della vittima, che doveva esse-

re compresa tra i 15 e i 18 anni e avere “natura consensuale” (in altri ordinamenti, come nel nostro, non pienamente riconosciuta a causa della minore età). Il Governo, qualche settimana fa, ha suggerito l’eliminazione dell’articolo tra l’entusiasmo degli attivisti per i diritti delle donne. La rimozione dell’articolo, però, sarà effettuata dopo l’approvazione da parte del Parlamento, dove in realtà si prevede ci siano numerosi pareri contrari. Il tema della violenza di genere, come in molti Paesi del Medio Oriente, risulta ancora controverso e l’idea che non sia così essenziale è radicata nella società. Articoli simili sono stati rimossi dagli ordinamenti di Marocco, l’Egitto e l’Etiopia, mentre in alcuni casi, come per il Bahrain, è in corso un dibattito sul tema, alla pari di Libano e Giordania. Se in questi due Paesi dovesse venire approvata la rimozione degli articoli, mossa sperata dalle organizzazioni non governative, questo potrebbe portare ad un’ondata di cambiamento in tutta la regione araba e non solo. La protezione alle vittime di stupro anche in Paesi come la Tunisia, le Filippine o l’Iraq sarebbe infatti garantita.

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MEDIO ORIENTE IN VISTA DELLE ELEZIONI PRESIDENZIALI IRANIANE

Le possibili ripercussioni della nuova Presidenza

PALESTINA. 1 maggio. HAMAS accetta la creazione di uno Stato palestinese entro i confini del 1967. Israele rigetta la dichiarazione, definendola “fumo negli occhi”. 3 maggio. Mahmoud Abbas incontra Donald Trump alla Casa Bianca, in un tentativo di riaprire i colloqui di pace per la Palestina. SIRIA 30 aprile. 8 volontari dei Caschi Bianchi uccisi in un raid ad Hama. 1 maggio. Lo Human Rights Watch dichiara di avere le prove dell’uso di gas nervino da parte del regime siriano, accusato di crimini contro l’umanitá. 2 maggio. Attacco ISIS in campo rifugiati nel nord-est del Paese: 30 morti. Intanto, Trump e Putin discutono un cessate il fuoco. TURCHIA 28 aprile. Il CHP, il partito di opposizione, si appella alla Corte Europea per i Diritti Umani per ottenere l’annullamento del referendum. 28 aprile. L’esercito turco ha ucciso 11 militanti curdi del YPG, rispondendo a un attacco lanciato da territori controllati dalle milizie: a seguito dell’azione, finti YPG riportano che gli USA inizieranno a monitorare il confine. 29 aprile. Bloccato accesso a Wikipedia in Turchia. Secondo il Ministero delle Comunicazioni, ”il sito stava portando avanti una campagna diffamatoria contro il governo”. A cura di Martina Terraglia

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Di Clarissa Rossetti Si avvicina il giorno delle elezioni presidenziali in Iran, che si terranno il prossimo 19 maggio e vedranno 6 candidati contendersi la carica più importante del Paese dopo quella del leader supremo, l’Ayatollah Ali Khamenei. Tra due settimane, a sfidare il presidente uscente Rouhani, in corsa per il secondo mandato, saranno principalmente i candidati conservatori Mohammed Baqer Qalibaf, sindaco di Teheran, sconfitto nelle precedenti elezioni, e Ebrahim Raisi, figura meno nota, ma potente nell’establishment politico e religioso. Altri 3 candidati, considerati di basso profilo, sono in corsa. È fallito il tentativo di Ahmadinejad, presidente dal 2005 al 2013, di concorrere per il suo terzo mandato. La sua registrazione come candidato aveva destato scalpore, soprattutto in quanto la mossa aveva scavalcato l’opinione dell’Ayatollah Khamenei, che l’aveva fortemente scoraggiato definendo una sua nuova presidenza come una mossa “contro l’interesse del Paese e di Ahmadinejad stesso”. Il Guardian Council, corpo giuridico e clericale responsabile per l’approvazione dei candidati alle elezioni, sembra condividere la posizione di Khamenei e ha

posto un veto, ponendo fine alla corsa di Ahmadinejad per un altro mandato. Le prossime elezioni non saranno rilevanti soltanto per il Paese e il Medio Oriente. La Presidenza di Rouhani ha rilassato quella tensione diplomatica tra l’Iran e il mondo occidentale (in particolare con Stati Uniti ed Europa) creatasi dopo la Rivoluzione Islamica del 1979, che aveva raggiunto un picco negli anni 2000 per le sanzioni imposte sul Paese per il proprio programma nucleare. È stato infatti Rouhani a negoziare nel 2015 il sollevamento delle sanzioni in cambio di una revisione del programma, aprendo la strada a nuovi rapporti con i principali Stati occidentali. Il ritorno a una presidenza fortemente conservatrice rischia di portare con sé una linea dura sull’accordo sulle sanzioni, in particolare nell’instabile cornice delle relazioni con gli Stati Uniti, dove Trump ha espresso riserve sull’accordo nucleare e avanzato in campagna elettorale l’ipotesi di rivisitarlo, rendendolo più favorevole a ispezioni esterne. Sebbene i poll suggeriscano al momento una vittoria dell’uscente Rouhani, la vittoria di un candidato più conservatore non è da escludere, gettando ombre sulle prospettive economiche e diplomatiche del Paese.


RUSSIA E BALCANI 7 Giorni in 300 Parole

LETTERE PER PUTIN

Mentre il Presidente pensa al 2018, centinaia di russi esprimono il loro malcontento

Di Daniele Baldo Il 29 aprile migliaia di cittadini russi hanno manifestato in 30 città del Paese contro il governo Putin. ALBANIA 28 aprile. Ilir Meta è stato eletto come nuovo Presidente della Repubblica di Albania con 87 voti a favore e 2 contrari. Grande assente alla votazione è stata l’opposizione guidata da Lulzim Basha. Il neopresidente ha preso atto dell’astensionismo, chiedendo diverse forze politiche di collaborare per la creazione di un dialogo e per evitare che l’Albania “diventi come la Macedonia”.

i critici del presidente Putin, anche grazie alla nascita di Open Russia nel 2014.

Molti degli attivisti e dei cittadini che hanno presentato le proprie petizioni hanno riconoSu iniziativa del movimento sciuto che la bassa partecipaOpen Russia, fondato dall’op- zione popolare e l’indifferenza positore Michail Chodorkovskij del governo di fronte alle proteper difendere la democrazia ed ste faranno sì che non vi siano i diritti civili, i manifestanti si risultati concreti, perlomeno in sono messi in fila davanti agli un futuro immediato. uffici pubblici incaricati di rac Per molti, però, era giunto il cogliere le lettere di petizione al tempo di far sentire la progoverno. Il fine di questa prote- pria voce in uno scenario in cui sta era chiedere a Putin di non le libertà civili sono in pericolo ricandidarsi per il suo quarto e la scarsa crescita economica mandato nelle elezioni che si mette a repentaglio le fasce più terranno il prossimo marzo. deboli della popolazione.

KOSOVO 27 aprile. L’ex premier kosovaro Ramush Haradinaj, arrestato in Francia il 4 gennaio 2017 con un mandato di cattura proveniente da Belgrado emanato nel 2005, non verrà estradato in Serbia. La decisione presa comporta l’immediato rilascio di Haradinaj. A Pristina la notizia è stata accolta positivamente, ma la sua scarcerazione potrebbe implicare disordini all’interno dell’opposizione e complicazioni nei rapporti con Belgrado.

A Mosca e a San Pietroburgo, città in cui la partecipazione è stata più massiccia, si sono verificati alcuni scontri con la polizia. Erano presenti centinaia di agenti in assetto anti sommossa, che hanno effettuato numerosissimi arresti.

MACEDONIA 27 aprile. Alcuni sostenitori del partito conservatore macedone VMRO hanno aggirato i controlli di sicurezza e hanno fatto irruzione all’interno del Parlamento, ferendo giornalisti e deputati

Chodorkovskij, ex presidente della compagnia petrolifera Yukos, venne arrestato nel 2010 per motivi politici e venne rilasciato nel 2013 grazie ad un’amnistia. Da allora ha vissuto fuori dai confini russi ed è diventato uno dei personaggi più noti tra

Putin, al potere da 17 anni, non ha confermato la sua corsa ad un nuovo mandato, ma intanto le autorità hanno aumentato la pressione su Open Russia, da sempre vista come un’organizzazione indesiderata.

Il movimento di Chodorkovskij è comunque riuscito a tenere vive le più imponenti proteste anti-Putin che si tennero il prossimo 26 marzo in oltre 80 città della Russia. Aleksei Navalny, altro leader del fronte dell’opposizione russa, fu il promotore di queste proteste. Egli trascorse 15 giorni in carcere con l’accusa di aver organizzato quelle manifestazioni, durante le quali si registrarono 1.000 arresti ed un picco di partecipazione popolare mai visto prima. Il malcontento non sembra, ad ogni modo, mostrare segnali di stop e Navalny ha raccolto il sentimento di milioni di cittadini russi, invitandoli a partecipare a nuove proteste, previste per il prossimo 12 giugno. MSOI the Post • 9


RUSSIA E BALCANI tra cui il leader dell’opposizione Zoran Zaev. L’intento dei manifestanti era quello di ostacolare la scelta di un nuovo Presidente del Parlamento. I deputati VMRO facevano ostruzionismo da ormai un mese, creando tensioni e rallentando il lavoro delle altre forze politiche. RUSSIA 2 maggio. Putin ha incontrato la cancelliera Angela Merkel a Sochi. I punti principali del loro incontro sono stati le proteste in Russia, la questione Ucraina e l’uso delle armi chimiche in Siria. Putin ha inoltre affermato che sarebbe auspicabile una minore intromissione da parte degli altri Stati nelle questioni di politica interna in Russia. 3 maggio. Alexei Navalny è stato e condannato ufficialment per appropriazione indebita dei fondi della società Kirovles. La sentenza è stata confermata a tutti gli effetti e vieta a Navalny di presentarsi alle prossime elezioni presidenziali del 2018, nonostante l’oppositore prometta di fare ricorso alla corte di Strasburgo e di proseguire con la sua campagna elettorale in ogni caso. Navalni aveva subito una grave aggressione lo scorso 27 aprile, che ha ridotto dell’80 % la sua capacità visiva da un occhio. 3 maggio. Erdogan è arrivato a Sochi per incontrare Putin. I due leader hanno discusso di diverse questioni cruciali a livello internazionale, come la crisi siriana. Putin si è congratulato con Erdogan per il risultato del referendum costituzionale ed entrambi hanno espresso la volontà di cooperare e migliorare i rapporti in modo da arrivare finalmente a risultati efficaci. A cura di Giulia Bazzano 10 • MSOI the Post

LA NOTTE DELLA DEMOCRAZIA MACEDONE Uno stallo politico senza fine alimenta tensioni e violenze

Di Vladimiro Labate Il 27 aprile scorso, un gruppo di sostenitori del partito nazionalista dell’ex premier Nikola Gruevski (VMRO–DPMNE) ha fatto irruzione nel Parlamento macedone, aggredendo i giornalisti e i deputati presenti. Le violenze sono avvenute in seguito all’elezione a presidente del Parlamento dell’albanese Talata Xhaferi (DUI – Unione per l’Integrazione) con il sostegno del partito socialdemocratico di Zoran Zaev (tra i feriti) e dei partiti che rappresentano la minoranza albanese. Le tensioni, culminate in questo episodio, si collocano in quel particolare quadro politico consolidatosi dopo le elezioni dell’11 dicembre scorso, quando conservatori e socialdemocratici hanno ottenuto una sostanziale parità. Il successivo rifiuto da parte del presidente Gjorgje Ivanov (in quota VMRO) di concedere il mandato per la formazione di un nuovo governo al leader del partito socialdemocratico ha alimentato uno stallo politico oramai insostenibile. Dopo 10 anni di governo conservatore, l’alleanza parlamentare tra socialdemocratici e minoranza albanese appare intenzionata a procedere nel percorso di costituzione degli organi parlamentari per la formazione di un nuovo esecutivo. L’opposizione del presidente Ivanov e l’ostruzionismo del partito nazionalista, mani-

festatosi anche nelle proteste di piazza del movimento “Per una Macedonia unita”, però, sono impossibili da ignorare. L’elezione di Xhaferi a nuovo Presidente del Parlamento è una tappa importante di questo percorso, in quanto nella sua posizione potrebbe agire al posto del Presidente della Repubblica, affidando a Zaev l’incarico di governo. Tuttavia, il clima di violenza e di tensione non è favorevole a questo passaggio politico: paura e notizie incontrollate (una voce riferiva della presunta volontà del presidente Ivanov di dichiarare lo stato d’emergenza e prendere il controllo del Paese) rendono instabile la situazione. Intervistato dall’agenzia Reuters, l’esperto di Balcani Pieter Fieth ha sottolineato che “i nazionalisti stanno giocando col fuoco. Se le armi dovessero riprendere a circolare come nel 2001, si tornerebbe velocemente nell’abisso della guerra civile”. Per questo, gli Stati Uniti e l’Unione Europea si sono affrettati ad invitare al dialogo, sollecitando la polizia a riprendere il controllo della situazione e riconoscendo come legittima la nomina di Xhaferi. Inoltre, secondo lo stesso Fieth, l’UE potrebbe considerare la decisione di imporre delle sanzioni alla leadership del partito nazionalista.


ORIENTE 7 Giorni in 300 Parole

FONDAMENTALISMO RILUTTANTE L’Indonesia rischia la radicalizzazione?

Di Giusto Amedeo Boccheni

AUSTRALIA 1° maggio. Il primo ministro australiano Malcolm Turnbull annuncia di essere dalla parte di Trump nello scontro USACorea del Nord: “Non tolleriamo minacce alla stabilità”.

CINA 1 maggio. Il Ministro della Difesa ha annunciato lo smantellamento di 5 dei 18 corpi militari che compongono il People’s Liberation Army, l’esercito cinese; la misura fa parte di un processo di smantellamento e revisione delle forze armate, voluto dal presidente Xi Jinping. COREA DEL NORD 1° maggio. Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha dichiarato di essere disposto ad incontrare il dittatore Kim Jon Un per un eventuale incontro. Quanto detto potrebbe essere interpretato come un segno di allentamento della tensione che attualmente intercorre tra i due Stati. COREA DEL SUD

La terza maggiore democrazia al mondo è composta all’88% da musulmani e, fino a qualche mese fa, è sempre stata descritta come ‘il bastione dell’Islam tollerante e pluralista’. Gli osservatori hanno cambiato tono nel corso della campagna per le elezioni governative di Giacarta, nelle quali l’etnia ed il credo religioso dei candidati avrebbero, secondo i più, soppiantato ogni considerazione politica nella determinazione del vincitore. In verità, il seme del fondamentalismo è germogliato con il colonialismo, quando tra la popolazione musulmana, relegata al fondo della società dagli europei, è maturato un sentimento di rivolta. Nel XIX secolo, inoltre, il Wahhabismo ed il Salafismo, tramite il canale di Suez, sono giunte nel Paese, predicando la purificazione dell’Islam sotto il segno dell’intolleranza. Nonostante ciò, l’Islam radicale non ha guadagnato un ruolo centrale nell’arena politica. Ai tempi dell’indipendenza, un gruppo di estremisti, Darul Islam, si sollevò e venne abbattuto dall’esercito. Con Suharto, gli attivisti vennero oppressi, soppressi e costretti alla fuga. Caduto il regime, furono sconfitti nelle elezioni legislative del 1999. Negli anni, tuttavia, anche grazie a traffici commerciali con il Medio Oriente, la tendenza

è cambiata. Il fondamentalismo ha dato vita ad alcune organizzazioni terroristiche e ha cominciato a far capolino nelle istituzioni. Lo spazio e il discorso pubblico sono stati infiltrati da pretese anti-secolariste, a dispetto della comune condanna dei mezzi degli estremisti. Ecco perché molti si sono stupiti di come il Fronte di Difesa Islamico (FPI), gruppo radicale nato nel 1998, sia stato il centro delle proteste di novembre contro Ahok. Quella che fino a ieri era un’organizzazione minore di squadristi e incitatori è riuscita a farsi un nome e ad organizzare dimostrazioni di massa. Nahdlatul Ulama (NU), la maggiore associazione musulmana del Paese (e del mondo), che conta oltre 93 milioni di membri, di stampo progressista, liberale e pluralista, ha da sempre osteggiato l’FPI. Un’organizzazione giovanile affiliata a NU, insieme a due partiti politici musulmani moderati, il PKB ed il PPP, si sono pronunciati a favore di Ahok. Troppo tardi, comunque, per sortire qualche effetto. La visita del 20 aprile alla maggiore moschea del Paese da parte del rappresentante di un’altra Nazione che per molti ha preso una svolta fondamentalista, Mike Pence, è stata l’occasione per ricordare che la religione “è qualcosa che unisce, non che che divide”.

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ORIENTE 2 maggio. Il THAAD, Terminal High Altitude Area Defense, è o ufficialmente operativ ; attivato dagli Stati Uniti con lo scopo di identificare e distruggere missili balistici, potrebbe rappresentare anche una risposta ai recenti test nucleari effettuati dalla Corea del Nord, in possesso dei missili per cui il sistema di difesa è predisposto. GIAPPONE 2 maggio. Alcuni membri di una delle organizzazioni mafiose più potenti del Paese, la Kobe Yamaguchi-gumi, si sono distaccati dal gruppo annunciando l’intenzione di fondare un’organizzazione criminale a parte. La notizia ha innescato lo stato di allerta nella polizia giapponese. 3 maggio. Nel Giorno della Costituzione, il premier Shinzo Abe ha annunciato un piano di modifica del documento: la revisione riguarderà lo status delle forze armate del paese, tecnicamente non previste se non in forma di autodifesa. MYANMAR 3 maggio. La consigliera di Stato Aung San Suu Kyi ha affermato in conferenza stampa a Bruxelles di riconoscere le accuse di violenze contro la minoranza musulmana, sostenendo che il Paese stia cercando venire a capo delle vicende. A cura di Carolina Quaranta

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ACCORDI COMMERCIALI E TUTELA DEL LAVORO IN AUSTRALIA Malcolm Turnbull in visita in India

Di Luca De Santis Il primo ministro australiano Malcolm Turnbull è stato in India lo scorso 10 aprile per portare il rapporto India-Australia a livelli “nuovi e superiori”, ma ha ammesso che “ci sarà bisogno di tempo”.

crescendo in modo costante e ci sono opportunità sempre maggiori.

Il Primo Ministro ha dichiarato che è stato importante “perseverare” nel negoziare un accordo che risulta strategico alla luce del commercio bidirezionale tra l’Australia e l’India, che attualSi tratta del primo uff i di mente valeviaggio circa 20 miliardi ciale di Turnbull nella democra- dollari ogni anno. zia più popolosa del mondo: il Se la miniera australiana del Primo Ministro si è detto entu- magnate indiano Adani consiasta di poter rafforzare e au- tinuerà il processo di sviluppo mentare la cooperazione tra i in atto, sarà possibile esportadue Paesi. re carbone verso l’India. A tal Quello indiano “è un merca- proposito, Turnbull si è detto to competitivo, e come sapete soddisfatto dell’incontro con il amiamo la concorrenza e il libe- proprietario del giacimento: duro scambio, ci piacciono i mer- rante la sua visita di tre giorni cati aperti”, ha detto Turnbull a è stato chiesto di siglare un acNew Delhi. cordo da 900 milioni di dollari con il fondo Northern InfraQuest’ultimo ha concluso un ac- structure Australia. L’obiettivo cordo commerciale con l’India, è quello di collegare la miniera realizzando così un’intenzione con il bacino Galileo del Queenche il suo predecessore Tony sland – anche nell’ottica di poAbbott non era riuscito a man- tenziali esportazioni. dare in porto. Il governo australiano potrà dunque aumentare Intanto, si dibatte sulle consele esportazioni – soprattutto guenze interne derivanti da per quanto riguarda le materie partnership con l’India. prime energetiche, istruzione Il ministro ombra delle Risorse, superiore e servizi professiona- Jason Clare, ha dissipato il mito li. che l’aumento del commercio “Si tratta di un processo che ri- implichi meno posti di lavoro chiederà un po’ di tempo, […] per gli australiani. Secondo Clal’India ha una lunga tradizio- re, spetterà al governo federale ne protezionistica, soprattutto fornire maggiori redditi e opin ambito agricolo”, ha affer- portunità per la classe opemato Turnbull. Stando alle sue raia per evitare l’emersione di dichiarazioni, inoltre, il com- un sentimento ostile al commermercio tra le due nazioni sta cio estero.


AFRICA 7 Giorni in 300 Parole CAMERUN 28 aprile. Tre militanti, che hanno contestato lo stato d’illegalità riservato al trattamento della minoranza anglofona da parte del presidente Yaoundé, sono stati accusati di terrorismo e delitto di opinione e per questo arrestati e tradotti nella prigione di Kondengui, nella capitale del Paese. Gli avvocati dei tre militanti accusano il Presidente di aver leso una libertà fondamentale, quella di opinione, e molti insegnanti delle zone anglofone stanno portando avanti scioperi in segno di protesta. Secondo Claude Assira, uno degli avvocati della difesa, l’unico modo per ristabilire la calma nel Paese sarebbe la liberazione degli attivisti.

KENYA 27 aprile. L’opposizione ha scelto l’ex primo ministro Raila Odinga come candidato per le prossime elezioni dell’8 agosto. L’annuncio è stato organizzato nei minimi dettagli ed è avvenuto giovedì 27 aprile nel parco Uhuru di Nairobi, dove 7 anni fa era stata presentata ufficialmente la Costituzione del Paese. Odinga dovrà quindi iniziare a preparare la sua campagna elettorale per affrontare il presidente uscente Kenyatta. MALI 30 aprile. I militari francesi dispiegati in Sahel hanno annunciato di aver ucciso una ventina di terroristi nascosti in una foresta al confine tra il Mali e il Bur-

STOP AL NUCLEARE IN SUDAFRICA La Corte Suprema ha bloccato gli accordi per costruire nuove centrali

Di Sabrina Di Dio Il Sudafrica è l’unico Stato del continente africano ad avere sul suo territorio una centrale nucleare. L’impianto si trova a Koeberg, a 30 km a nord di Città del Capo, e appartiene alla società energetica locale Eskom; la centrale produce ogni anno 1800 Mega-Watt, circa il 5% della produzione di energia elettrica nazionale. La centrale di Koeberg è però stata costruita nel 1985 ed è oggi antiquata per un Paese in rapido sviluppo come il Sudafrica. Infatti, non è più in grado di rispondere alle esigenze energetiche del Paese. Per questo motivo, nel 2010 il governo sudafricano ha deciso di costruire da 6 a 8 nuovi reattori nucleari entro il 2030. Per realizzare questo ambizioso progetto sono stati sottoscritti diversi accordi bilaterali con Russia, Cina, Giappone, Francia e Stati Uniti. Il ministro dell’Energia Tina Joemat-Pettersson ha ratificato nel 2014 un accordo per circa 7,7 miliardi di euro con la società nucleare di Stato russa Rosatom per la costruzione di alcuni reattori nel Paese. Nello stesso anno, il presidente Jacob Zuma ha firmato un

la società accordo con energetica China Nuclear per il Power Technology finanziamento di un’altra centrale nucleare, oltre ad un’intesa con due università cinesi per la formazione dei tecnici sudafricani. Grazie alla cooperazione e agli aiuti provenienti da queste nazioni, il Sudafrica potrebbe arrivare a produrre i 9600 MW previsti dal piano energetico nazionale per il 2030. L’energia nucleare, tuttavia, non è per tutti la soluzione migliore. Non solo gli ambientalisti le sono avversi, ma anche molti economisti sostengono che il progetto sia irrealizzabile date le scarse risorse economiche del Paese. Prima fra tutti gli antagonisti, però, sembrerebbe essere la legge. Mercoledì 26 aprile, infatti, la Corte Suprema sudafricana ha giudicato incostituzionali gli accordi cooperativi stipulati nel corso degli scorsi anni. Il giudice Lee Bozalek ha affermato che non ci sia stato un dibattito parlamentare circa i progetti nucleari: per questo motivo, la Corte Suprema ha cassato la loro realizzazione. Ma la sentenza rischia di non essere applicata: il Governo potrebbe ricorrere in appello.

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AFRICA kina Faso. Il nome del gruppo terroristico non è ancora stato rivelato, ma secondo le prime indiscrezioni potrebbe trattarsi di un nuovo gruppo estremista-jihadista, l’Ansaroul Islam, che utilizzerebbe la foresta come base di lancio per i suoi attacchi terroristici.

L’UGANDA SEGUE GLI USA E RITIRA LE TRUPPE DAL CENTRAFRICA La fine della lunga caccia al leader ribelle Joseph Kony

Di Francesco Tosco TUNISIA 30 aprile. Nel centro della città di Sidi Bouzid un uomo, armato di cintura esplosiva, si è fatto esplodere domenica mattina. Il terrorista suicida era accompagnato da un altro uomo, anch’esso dotato di una cintura esplosiva, che tuttavia non è stata azionata. Il secondo terrorista è stato infatti ucciso nel successivo scontro con le forze di polizia. Secondo le prime informazioni raccolte, i due terroristi sarebbero stati affiliati ad al-Qaeda e il loro gesto assume una valenza simbolica, essendo avvenuto all’inizio del ramadan. 1° maggio. Il capo di governo tunisino Youssef Chahed ha dimissionato il Ministro dell’Istruzione e quello delle Finanze. Il primo poiché duramente contestato da diversi insegnanti, che si sono considerati “insultati” dalle sue riforme e il secondo per la recente manovra di deprezzamento della moneta nazionale. A cura di Jessica Prieto

Il contingente di 1.500 soldati ugandesi di stanza nella Repubblica Centrafricana, il 20 aprile scorso, è stato richiamato in patria. La loro missione, iniziata nel 2011, consisteva nel dare la caccia al “signore della guerra” Joseph Kony, leader del gruppo ribelle Lord’s Resistance Army (LRA). Il ritiro delle truppe ugandesi arriva solo un mese dopo quello delle truppe statunitensi che partecipavano alla missione. Nel 2011, infatti, sotto la presidenza Obama furono inviati nella Repubblica Centrafricana un centinaio di militari che avrebbero fornito supporto tecnico e di intelligence per la lotta ai ribelli. Trascorsi 6 anni, nessuna traccia del latitante Kony. Tom Waldhauser, responsabile delle forze armate USA in Africa, ha reso noto che l’operazione “Caccia a Kony” costò tra i 600 e gli 800 milioni di dollari. La missione, secondo quanto riportato dal Generale, non sarebbe da considerare un fallimento anche se il leader dell’LRA non è stato catturato: il gruppo armato è stato decimato e molto ridimensionato. La Lord’s Resistance Army è nata nel 1987 in Uganda come organizzazione sovversiva di matrice cristiana. Il suo

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intento doveva essere quello di rovesciare il governo di Yoweri Museveni per istaurarne uno basato sui dieci comandamenti. Sotto la guida di Joseph Kony, la milizia ribelle avrebbe causato nel corso degli anni almeno 100.000 morti e sarebbe, inoltre, stata responsabile del rapimento di circa 60.000 bambini. Di questi molti sono stati trasformati in soldati, mentre altri sono stati usati come merce di scambio o schiavi. Nei confronti di Kony è già stato emesso un mandato di cattura internazionale dalla Corte Penale dell’Aja per crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Attualmente è già sotto processo uno dei principali luogotenenti di Kony, Dominic Ongwen. Su di lui pendono 70 capi d’accusa per crimini di guerra. Il generale si era consegnato spontaneamente alle autorità nel 2015. Un tempo bambino soldato, era diventato negli anni uno dei più feroci guerriglieri del gruppo. Nonostante le ultime voci non ufficiali su Kony, che sembra essere molto malato e a capo di un ristretto manipolo di miliziani infuga,ilpericolochel’LRApossa risorgere dalle proprie ceneri è concreto. La fine della caccia all’uomo potrebbe rendere vani gli sforzi congiunti di debellare definitivamente la sua armata.


SUD AMERICA 7 Giorni in 300 Parole

ARGENTINA 1° maggio. Dalle celebrazioni della Festa dei Lavoratori un forte messaggio a Mauricio Macri. La Central Obrera de los Trabajadores (CGT) critica le politiche del Presidente liberale, che secondo il sindacato non sarebbero condivise da nessuno, e chiede di “recuperare la strada della crescita e della giustizia sociale”. BRASILE 3 maggio. Il governatore della città di Rio de Janeiro Fernando Pezao ha richiesto l’invio di truppe federali per supportare le forze di polizia nella guerra al crimine organizzato che si è scatenata nelle ultime settimane. Per fare fronte alla presenza del Comando Vermelho, la principale organizzazione di narcos presente nel territorio, il Governatore si è riunito in settimana con le autorità federali ed ha sottoposto la questione al presidente Tamer ed al ministro della Difesa Raúl Jungman. COLOMBIA 1° maggio. Il presidente colombiano Santos prende le distanze dalla posizione del governo venezuelano, criticando la gestione dell’attuale crisi da parte di Maduro. Il Presidente e premio Nobel per la Pace ha dichiarato di non aver mai sostenuto la politica chavista, mentre i movimenti di guerriglia colombiani – FARC ed ELN – si schierano sul fronte opposto, garantendo sostegno a Maduro.

VENEZUELA, È CRISI SENZA FINE

La comunità internazionale spinge per “soluzioni negoziate”

Di Sveva Morgigni

zione.

A un mese dall’inizio degli scontri che stanno turbando il Venezuela, il bilancio delle vittime è di almeno 30 persone, alle quali si aggiungono centinaia di feriti e migliaia di arresti. Il presidente Maduro, nonostante sia sotto assedio su tutti i fronti, ha vanificato la richiesta da parte dell’opposizione di tenere un referendum revocatorio nei suoi confronti.

La crisi divampa nel Paese in preda a forte instabilità politica, mentre l’inflazione raggiunge picchi oltre il 500%. Una possibile via d’uscita pacifica è vanificata dalle violenze quasi in ininterrotte da parte del governo venezuelano. Tuttavia, negli ultimi giorni, si è svolta un’opera di mediazione che ha visto protagonisti papa Francesco e la ministra degli Esteri argentina Susana Malcorra.

Il governo venezuelano avrebbe inoltre rinviato alla fine del 2017 anche il voto per il rinnovo dei governatori in alcuni Stati della federazione venezuelana, in modo da guadagnare tempo per poter organizzare la propria campagna elettorale. Il rischio è che non si torni alle urne prima del 2018, anno in cui scadrà il mandato presidenziale di Maduro. In un comizio tenuto in occasione della tradizionale festa dei lavoratori, il Presidente ha annunciato la creazione di una “assemblea costituente del popolo” per riformare la struttura giuridica dello stato e “portare la pace al nostro Paese”. Una strategia denunciata come golpista, “una costituente truffa, inventata solo per distruggere la Costituzione attuale e cercare di fuggire così all’inesorabile verdetto delle elezioni” ha dichiarato Julio Borges, il presidente del Parlamento, attualmente in mano all’opposi-

Intanto, otto Paesi latinoamericani – tra cui Argentina e Brasile – hanno firmato un appello collettivo nel quale condividono la posizione di papa Francesco sulla necessità di cercare “soluzioni negoziate” alla crisi politica e istituzionale. Come affermato dal Papa, e ribadito nel documento degli Otto, prima di riaprire un dialogo politico è necessario che a Caracas “cessi la violenza, si ripristini la piena funzionalità dello Stato di diritto, si liberino i prigionieri politici, si restituiscano le prerogative dell’Assemblea Nazionale e si definisca un calendario elettorale”. Tuttavia, questa esortazione sembrerebbe essere nuovamente caduta nel vuoto, poiché il governo venezuelano avrebbe dato vita all’ennesimo tentativo di isolamento internazionale, annunciando l’intenzione di lasciare l’Organizzazione degli Stati Americani (OSA). MSOI the Post • 15


SUD AMERICA LE PROTESTE FEGLI INDIOS BRASILIANI NELLA CAPITALE A migliaia nelle strade di Brasilia durante la “Settimana Indigena”

2 maggio. Annunciata la scoperta di un giacimento di gas nel sud del Mar dei Caraibi, “il maggiore negli ultimi 28 anni” secondo il presidente Juan Manuel Santos, che ha sottolineato che questo consentirà di aumentare oltre le previsioni il mercato colombiano di gas naturale. Della prospezione si sono occupate la compagnia di bandiera colombiana Ecopetrol e la statunitense Anadarko. MESSICO 3 maggio. Arrestato nella capitale Damaso López Núñez, uno degli eredi dell’impero del Chapo Guzman. Ricercato da 5 anni dalle forze messicane e dalla giustizia statunitense – negli USA faceva parte della lista nera dei narcotrafficanti – la mancanza de “El Licenciado”, come veniva chiamato Núñez, potrebbe portare a una svolta in quella che è stata definita la Guerra di Sinaloa per la successione a Guzman. VENEZUELA 3 maggio. Arriva a 30 il bilancio dei morti nelle proteste che scuotono da un mese Caracas e le altre maggiori città del Paese. Quando i manifestanti hanno bloccato le strade principali, sono stati dispersi dai corpi di sicurezza e da membri dei collettivi armati. Sono stati registrati anche azioni violente e saccheggi, come quello dell’Istituto Nazionale di Abilitazione ed Educazione Socialista, nello Stato di Carabobo. A cura di Daniele Pennavaria 16 • MSOI the Post

Di Viola Serena Stefanello La settimana scorsa, in Brasile - e soprattutto nella capitale, Brasilia - si festeggiava la Settimana delle popolazioni indigene, volta a diffondere il senso d’appartenenza e i valori appartenenti alla cultura, storia e tradizione originaria, ma anche a denunciare i problemi crescenti che queste popolazioni, spesso marginalizzate, devono affrontare. In questo contesto, è stata organizzata una gigantesca manifestazione che ha visto migliaia di indios arrivare nella capitale per protestare contro le condizioni di severo degrado e disagio in cui versano soprattutto le tribù che vivono nelle regioni amazzoniche. Armati di arco e frecce e con gli abiti tradizionali addosso, portando a braccio delle simboliche bare rappresentanti gli antenati che si sono battuti valorosamente per difendere le terre ancestrali, gli indigeni si sono scontrati con le forze dell’ordine. Gli organizzatori della marcia denunciano l’arresto di quattro manifestanti nonché violenze da parte della polizia in tenuta antisommossa, che avrebbe risposto alle proteste lanciando gas lacrimogeni e sparando proiettili di gomma, ma le autorità cittadine non hanno smentito né confermato.

La protesta, in ogni caso, si sarebbe svolta pacificamente almeno fino a quando la polizia non ha dovuto fermare alcuni indigeni nell’atto di tentare di arrampicarsi su una rampa dell’edificio del Congresso. A detta di Sonia Guajajara, una delle organizzatrici, la marcia ha radunato ben 4.000 persone. La causa scatenante della manifestazione sembra doversi individuare nel grave peggioramento delle condizioni di vita di queste popolazioni dall’insediamento dell’ultimo presidente, Michel Temer. Non solo, infatti, Temer ha rilassato i controlli legislativi sull’azione delle aziende appartenenti al settore agricolo (che spesso si allargano a toccare terre appartenenti alle riserve indigene senza ripercussioni), ma il suo Governo avrebbe recentemente avanzato una proposta di legge che permetterebbe al Congresso brasiliano di delimitare arbitrariamente i confini di queste riserve. Il tutto si colloca, poi, nel contesto in cui ogni anno diversi indios trovano la morte durante veri e propri combattimenti contro i coltivatori, che tendono sempre di più ad allargarsi sulle terre appartenenti alle riserve. Il problema non fa che peggiorare, tra l’altro, l’annosa questione della deforestazione, aumentata drammaticamente nel Paese a partire dal 2008.


ECONOMIA IL SACCO SIRIANO I sei anni di guerra la Siria è stata saccheggiata delle proprie ricchezze

Di Michelangelo Inverso La guerra in Siria sta entrando nel suo settimo anno e mentre i fronti si stabilizzano, avviandosi verso una qualche conclusione, l’economia del Paese ne esce premeditatamente danneggiata. Quello che è avvenuto in questi anni di conflitto, ad opera delle fazioni armate anti-Assad, spesso finanziate anche da UE e USA (come la Free Syrian Army o i White Helmets), può essere paragonato solamente al Sacco di Roma ad opera dei Lanzichenecchi nel 1527. Per fornire un quadro della situazione, prima di sgranare i dati economici, si riporta brevemente quanto successo tra il 2012 e dicembre 2016 alla città martire siriana, Aleppo, caso emblematico dell’intero conflitto. Fino al 2012, Aleppo è stata la “Milano siriana”, capitale economica del Paese, con oltre due milioni di abitanti e migliaia di industrie - specie nei settori della manifattura tessile e calzaturiera, oltre che nel settore chimico -, e passaggio obbligato dei commerci passanti fra Turchia, Siria, Kurdistan e Iraq. Dal 2012, malauguratamente, è divenuta anche l’epicentro delle più importanti battaglie per la conquista della Siria.

Raccogliendo interviste dagli abitanti di Aleppo Est, Patrick Henningsen, per “The Duran”, riporta che la città sarebbe stata invasa da diverse direzioni da militanti islamisti e mercenari stranieri che agivano sotto l’ombrello della cosiddetta Free Syrian Army. La FSA è un network di milizie e gruppi estremisti finanziato pubblicamente attraverso Ong legate a doppio filo con i terroristi, come i tristemente (ma non ancora troppo) famosi White Helmets, collegati all’ex fronte Al-Nousra, ossia la filiale di Al-Qaeda in Siria. Da quel momento, sarebbe iniziato il lento massacro della città. Anzitutto, furono occupati gli edifici governativi, le scuole, gli ospedali, financo gli edifici di valore storico come la Moschea degli Omayyadi, risalente al XII secolo e trasformata in una piazza d’armi. Al di là degli orrori più eclatanti, propri di qualsiasi guerra, ne iniziò parallelamente uno più nascosto ma egualmente rovinoso: il saccheggio della città. Per dare i numeri del sacco a cui Aleppo (e la Siria) è stata soggetta, da parte delle milizie, basterebbero i dati riportati dal Presidente della Camera di Commercio di Aleppo, riferendosi al solo distretto

industriale di Sheikh Najjar. Quest’ultimo è stato spogliato di ogni singola fabbrica, i macchinari smantellati e portati nel Nord della Turchia. Come se non bastasse, il 14 maggio del 2012, l’Unione Europea ha introdotto sanzioni sull’olio e sul tabacco, andando a peggiorare ulteriormente le condizioni di vita dei civili che si proponeva di difendere dal governo siriano. Qualche mese dopo, ad agosto, la stessa decisione è stata presa dagli Stati Uniti. Secondo un rapporto delle Nazioni Unite realizzato in collaborazione con l’Università scozzese St. Andrews, citato da Agi, le perdite complessive dell’economia siriana tra il 2011 e il 2015 sono stimate in 259.6 miliardi di dollari, con il prodotto interno lordo che si è contratto del 55% tra il 2010 e il 2015, mentre ci si attendeva una crescita attorno al 32% in assenza di conflitto. A dare il colpo di grazia ad un PIL già esangue, il crollo della produzione di petrolio tra il 2010 e il 2013, passato in un anno da 386 mila a 28 mila barili al giorno e di gas naturale, che da 8.9 miliardi di metri cubi al giorno è calato a 5.9 miliardi. MSOI the Post • 17


ECONOMIA LE GRANDI AZIENDE INVESTONO NEL TURISMO SPAZIALE Missioni lunari e viaggi suborbitali: il fascino di un futuro non più troppo lontano

Di Francesca Maria De Matteis

to di Tesla.

L’offerta di viaggi suborbitali per turisti decisamente benestanti si è, ormai, affermata nel mercato commerciale, che vede aumentare rapidamente l’interesse per questo genere di intrattenimento. Le società, da parte loro, stanno lavorando sulla riduzione dei costi, per permettere ad una fetta di popolazione sempre più ampia di sperimentare l’assenza di gravità e godere dello spettacolo dell’orizzonte curvo della Terra.

Investire nel turismo spaziale. In occasione del 33° Simposio annuale sullo spazio tenutosi a Colorado Springs, Bezos ha annunciato di voler vendere ogni anno un milione di azioni di Amazon per finanziare il progetto della società aerospaziale. Le imprese che investono in questo settore, infatti, non sono quotate pubblicamente, ma non si precludono neanche la possibilità di ricevere finanziamenti esterni. Esempio più eclatante è il caso della Virgin Galactic, che ha venduto una quota del 38% per 400 milioni di dollari americani alla Aabar Investments di Abu Dhabi.

Inizia la sfida. Dopo un giro nello spazio suborbitale senza equipaggio, il razzo New Shepard atterra nel sito di lancio in Texas ad una velocità di 7 km/h. Eravamo nel novembre 2015 e da allora la Blue Origin non ha fermato la sua corsa verso un sempre più accessibile modello di turismo spaziale. Fondata nel 2003 da Jeff Bezos, CEO di Amazon, la Blue Origin è un’azienda privata di servizi aerospaziali in concorrenza diretta con la Virgin Galactic, una delle compagnie del Virgin Group di Richard Branson, e con il progetto SpaceX (Space Exploration Technologies Corp.) di Elon Musk, l’amministratore delega-

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Scadenze. L’entusiasmo iniziale che ha colto subito i principali investitori, ha portato, probabilmente, le aziende a sottovalutare le tempistiche. La Blue Origin, per esempio, nei primi anni di vita aveva dichiarato che entro il 2010 sarebbe stata in grado di garantire periodici viaggi suborbitali con una frequenza di uno a settimana. Nel 2008, però, costretta a ritrattare le affermazioni precedenti, ha corretto le proprie previsioni e dichiarato di essere in grado di mandare nel-

lo spazio suborbitale missioni dotate di equipaggio entro il 2018, sulla base di test di verifica da attuarsi nell’anno in corso. L’obiettivo di molti sembra essere quello di rendere un viaggio nello spazio acquistabile con un semplice biglietto. Altrettanto ottimiste sembrano le scadenze dettate dai responsabili del progetto SpaceX: sarebbero due i privati che si sono già prenotati, versando un ingente anticipo, per un volo intorno alla Luna. Dalla Silicon Valley allo spazio. Che questo sia un contesto nel quale regna la plutocrazia è innegabile: lo dimostrano l’elevato rischio che comportano gli investimenti e il consistente numero di fallimenti ai quali il settore ha finora assistito. Ma il fascino del quarto ambiente, l’attrattiva del successo e degli ingenti profitti che ne derivano, riescono per adesso a garantire all’innovazione e alla ricerca nel turismo spaziale il sostegno e l’entusiasmo necessari. Oltre a Bezos e Musk, anche Mark Zuckerberg di Facebook e i vertici di Google stanno dimostrando il proprio interesse e una certa disponibilità ad impegnare il proprio denaro in progetti come questi.


DIRITTO INTERNAZIONALE ED EUROPEO CORTE EUROPEA E DIRITTI DEI LAVORATORI

In occasione della festa del 1 maggio, una riflessione sul caso Alemo-Herron.

Di Elena Carente La decisione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea sul caso Alemo-Herron appare estremamente controversa, tanto da aver suscitato una pluralità di accesi dibattiti a livello internazionale. La sua analisi ha, però, il vantaggio di evitare che simili vicende cadano nell’oblio o che errori analoghi si ripetano. Mark Alemo-Herron e 23 altri colleghi lavoravano per il servizio “tempo libero” di uno dei distretti di Londra, il Lewisham Borough Council. I contratti di lavoro tra quest’ultimo e i dipendenti erano regolati dalle condizioni negoziate dal NJC, un organismo di contrattazione collettiva del settore pubblico locale del quale il datore di lavoro non è membro. Nel maggio 2004 il servizio “tempo libero” venne ceduto alla Parkwood, un’impresa privata che, allo scadere del contratto dei lavoratori, si rifiutò di applicare il nuovo accordo concluso dal NJC che prevedeva l’aumento degli stipendi, sostenendo che questo non fosse vincolante nei suoi confronti. In seguito al rifiuto della Parkwood di assoggettarsi agli accordi stipulati in seno al NJC, i lavoratori presentarono ricorso e la questione arrivò alla Supreme Court of United Kingdom,

la quale decise di sospendere il procedimento e rivolgere alla Corte di giustizia una domanda di pronuncia pregiudiziale sull’interpretazione dell’articolo 3 della Direttiva 2001/23/ CE. Il suddetto articolo prevede che i diritti e gli obblighi del cedente relativi a un contratto di lavoro vengano trasferiti al cessionario il quale è tenuto a mantenere le condizioni di lavoro nei termini previsti dal contratto collettivo fino alla data di scadenza del medesimo. Non solo, trattandosi di un’armonizzazione parziale, la Direttiva riconosce, all’articolo 8, un ampio potere discrezionale degli Stati ai quali non viene pregiudicata la possibilità di introdurre disposizioni legislative più favorevoli ai lavoratori ed incoraggiare l’applicazione di accordi collettivi. Nel caso di specie la questione consisteva nel determinare se il Regno Unito avesse o meno la facoltà di concedere ai lavoratori, in caso di trasferimento di impresa, una protezione “dinamica” in virtù della quale alla Parkwood potevano essere opposti contratti collettivi successivi al trasferimento. Contrariamente a quanto normalmente accade, la sentenza della Corte si discostò dal

parere dell’avvocato generale Villalón, sostenendo che, la libertà contrattuale della Parkwood (la quale non può prendere parte ai negoziati del NJC e si vede imporre l’applicazione di contratti collettivi anche futuri) è talmente ridotta che una tale limitazione può pregiudicare la sostanza stessa al suo diritto alla libertà d›impresa, protetto dall’art.16 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE. I diritti fondamentali inseriti nella Carta rappresentano uno dei più forti strumenti di tutela sociale all’interno dell’Unione (in particolare nei confronti dei soggetti più deboli come consumatori e lavoratori), in quanto hanno la facoltà di ridurre le libertà economiche alla base del libero mercato. Tuttavia, nel caso appena descritto, la Corte ha usato i diritti fondamentali (art.16) per abbassare il livello di protezione sociale. Questo costituisce un campanello d’allarme riguardo al potenziale dell’articolo 16 di derogare le norme vigenti in materia di diritto del lavoro. Essendo parte della Carta e quindi, per estensione, del diritto dell’UE, questo e altri articoli potrebbero dunque essere impiegati per fini diversi da quelli che assicurano un alto standard di tutela dei lavoratori. MSOI the Post • 19


DIRITTO INTERNAZIONALE ED EUROPEO IL GIOCO D’AZZARDO NELL’ORDINAMENTO EUROPEO

Verso l’armonizzazione tra protezione della salute pubblica e promozione degli interessi economici

Di Federica Sanna Il gioco d’azzardo può essere considerato una delle maggiori forme di intrattenimento in Europa. La prospettiva di un facile guadagno per i governi ha portato a una drammatica espansione del gioco legalizzato. La dipendenza ha effetti negativi sia sull’individuo che sulla società in generale, colpendo tanto l’economia quanto la salute delle persone. In base al diritto dell’UE, il gioco d’azzardo è regolato da normative nazionali, con la conseguenza di grandi divergenze nel modo in cui viene erogato il servizio e nelle politiche di accesso al gioco. Le leggi perseguono un duplice obiettivo: la protezione della salute pubblica (intesa come prevenzione di disturbi legati al gambling e la protezione dei consumatori) e la difesa e promozione di interessi economici. Nonostante la differenza tra le legislazioni, data dalla riluttanza degli Stati membri e la complessità delle procedure legislative, le scelte politiche degli ultimi anni dimostrano l’esistenza di un processo di armonizzazione nel regolare il gioco d’azzardo a livello europeo. Un ruolo di primo piano in questo senso è da attribuire alla Corte di Giustizia dell’UE. 20 • MSOI the Post

I principi derivanti dalle norme dei Trattati, le direttive del Consiglio e i documenti della Commissione (quali il Final Report del 2007, il Green Paper del 2011, il lavoro con il Parlamento europeo nel 2012) sono riusciti solo in parte a colmare il frammentato quadro normativo tra gli Stati membri. La Corte, invece, fin dai primi anni ’90 ha dato vita a una importante giurisprudenza in merito al gioco d’azzardo transfrontaliero. È infatti il case law della Corte di Lussemburgo ad aver creato un primo contesto giuridico comune, grazie a sentenze e decisioni che nel corso del tempo hanno enunciato i principi da applicare all’ambito del gioco d’azzardo. Il primo caso affrontato dalla Corte è il celebre caso Schindler. I fatti riguardano un’impresa tedesca che pubblicizza la sua attività di lotteria nel Regno Unito, le cui autorità decidono di confiscare il materiale promozionale, venendo dunque accusate dalla società di violare il principio della libera circolazione di beni e servizi. La sentenza del ‘94 è considerata una pietra miliare della giurisprudenza sul tema, perché per la prima volta il gioco d’azzardo è definito un “legittimo servizio” in base all’art.50 TCE. Di conseguenza, la prestazione del servizio proveniente da un altro Stato mem-

bro può essere ristretta sulla base dell’interesse pubblico. I vent’anni di sviluppo della giurisprudenza hanno portato alla sentenza più recente riguardante una vicenda italiana nota come il caso Politanò, giudicato nel 2016. La Corte constata che la differenza tra le legislazioni deriva da divergenze culturali e morali, in base alle quali gli Stati sono liberi di definire gli obiettivi delle politiche e il livello di protezione adeguato, prevedendo anche restrizioni ai servizi di gioco d’azzardo per ragioni di sicurezza e salute pubblica. Sebbene il ruolo della Corte sia pienamente riconosciuto, è tempo per l’UE di superare la propria giurisprudenza e avviare un processo di armonizzazione delle legislazioni nazionali. È infatti necessario ricordare che il gioco d’azzardo è innanzitutto un tema politico che richiede una soluzione politica, compito primario del legislatore europeo. È l’intera società ad avere interesse in un più elevato livello di protezione dai rischi derivanti dal gambling e l’UE non può lasciarsi sfuggire l’occasione di dare risposta ad un tema così rilevante, lavorando per raggiungere un obiettivo comune e parlare finalmente con una voce sola.


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