MSOI thePost Numero 65

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Il Settimanale di M.S.O.I. Torino


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MSOI Torino M.S.O.I. è un’associazione studentesca impegnata a promuovere la diffusione della cultura internazionalistica ed è diffuso a livello nazionale (Gorizia, Milano, Napoli, Roma e Torino). Nato nel 1949, il Movimento rappresenta la sezione giovanile ed universitaria della Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale (S.I.O.I.), persegue fini di formazione, ricerca e informazione nell’ambito dell’organizzazione e del diritto internazionale. M.S.O.I. è membro del World Forum of United Nations Associations Youth (WFUNA Youth), l’organo che rappresenta e coordina i movimenti giovanili delle Nazioni Unite. Ogni anno M.S.O.I. Torino organizza conferenze, tavole rotonde, workshop, seminari e viaggi studio volti a stimolare la discussione e lo scambio di idee nell’ambito della politica internazionale e del diritto. M.S.O.I. Torino costituisce perciò non solo un’opportunità unica per entrare in contatto con un ampio network di esperti, docenti e studenti, ma anche una straordinaria esperienza per condividere interessi e passioni e vivere l’università in maniera più attiva. Elisabetta Botta, Segretario M.S.O.I. Torino

MSOI thePost MSOI thePost, il settimanale online di politica internazionale di M.S.O.I. Torino, si propone come un modulo d’informazione ideato, gestito ed al servizio degli studenti e offrire a chi è appassionato di affari internazionali e scrittura la possibilità di vedere pubblicati i propri articoli. La rivista nasce dalla volontà di creare una redazione appassionata dalla sfida dell’informazione, attenta ai principali temi dell’attualità. Aspiriamo ad avere come lettori coloro che credono che tutti i fatti debbano essere riportati senza filtri, eufemismi o sensazionalismi. La natura super partes del Movimento risulta riconoscibile nel mezzo di informazione che ne è l’espressione: MSOI thePost non è, infatti, un giornale affiliato ad una parte politica, espressione di una lobby o di un gruppo ristretto. Percorrere il solco tracciato da chi persegue un certo costume giornalistico di serietà e rigore, innovandolo con lo stile fresco di redattori giovani ed entusiasti, è la nostra ambizione. Jacopo Folco, Direttore MSOI thePost 2 • MSOI the Post

N u m e r o

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REDAZIONE Direttore Jacopo Folco Vicedirettore Davide Tedesco Caporedattori Giusto Amedeo Boccheni, Pilar d’Alò, Pauline Rosa Capi Servizio Rebecca Barresi, Luca Bolzanin, Sarah Sabina Montaldo, Daniele Pennavaria, Leonardo Scanavino, Giulia Tempo, Martina Terraglia, Chiara Zaghi Media e Management Samantha Scarpa Redattori Federica Allasia, Erica Ambroggio, Elena Amici, Daniele Baldo, Lorenzo Bardia, Giulia Bazzano, Lorenzo Bazzano, Andrea Bertazzoni, Giusto Amedeo Boccheni, Luca Bolzanin, Giulia Botta, Maria Francesca Bottura, Adna Camdzic, Matteo Candelari, Claudia Cantone, Giulia Capriotti, Emanuele Chieppa, Giuliana Cristauro, Lucky Dalena, Alessandro Dalpasso,Francesca Maria De Matteis, Luca De Santis, Sabrina Di Dio,Ilaria Di Donato, Sofia Ercolessi, Simone Esposito, Guglielmo Fasana, Kevin Ferri, Giulia Ficuciello, Alessandro Fornaroli, Lorenzo Gilardetti, Ann-Marlen Hoolt, Michelangelo Inverso, Vladimiro Labate, Giulia Marzinotto, Simone Massarenti, Efrem Moiso, Virginia Orsili, Daniele Pennavaria, Ivana Pesic, Edoardo Pignocco, Sara Ponza, Jessica Prieto, Carolina Quaranta, Giacomo Robasto, Daniele Reano, Jean-Marie Reure, Clarissa Rossetti, Michele Rosso,Daniele Ruffino , Martina Santi, Federico Sarri, Leonardo Scanavino, Martina Scarnato, Samantha Scarpa, Francesca Schellino, Viola Serena Stefanello, Lola Ferrand Stanley, Giulia Tempo, Martina Terraglia, Elisa Todesco, Francesco Tosco, Tiziano Traversa, Fabio Tumminello, Chiara Zaghi, Francesca Maria De Matteis, Martina Unali, Elisa Zamuner. Editing Lorenzo Aprà Copertine Amandine Delclos, Carolina Elisabetta Zuniga Vuoi entrare a far parte della redazione? Scrivi una mail a thepost@msoitorino.org!


EUROPA 7 Giorni in 300 Parole

CECENIA 6 maggio. Dopo le pressioni di Tatyana Moskalkova, il presidente russo Vladimir Putin ha autorizzato le indagini riguardanti i casi di tortura denunciati da alcuni detenuti omosessuali. Putin si dice disposto a parlare e a discutere dell’argomento con il Ministro degli Interni, il procuratore generale e i funzionari del carcere. FRANCIA 7 maggio. Il nuovo Presidente della Repubblica francese è Emmanuel Macron. Il suo programma, liberale e centrista, ha raccolto consensi per oltre il 65% dei votanti. A sostenere Macron sono stati molti europeisti e coloro i quali miravano a frenare i messaggi nazionalisti di Marine Le Pen. Quest’ultima, seppur sconfitta, porta a casa un risultato storico per l’estrema destra, attestandosi al 34% circa.

KOSOVO 10 maggio. Dopo mesi di stallo, il governo di Isa Mustafa è stato sfiduciato dal parlamento del Kosovo con 73 voti favorevoli su 115 votanti. La mozione di

MACRON PRESIDENT

Il leader di En Marche! stravince il confronto con la Le Pen e conquista l’Eliseo

Di Matteo Candelari Domenica 7 maggio Emmanuel Macron è divenuto il più giovane Presidente della V Repubblica. Nel ballottaggio con Marine Le Pen non c’è stata partita: 66% per il candidato indipendente, mentre la leader del Front National si è fermata al 34%. Il partito di estrema destra è comunque riuscito a segnare il suo record storico di voti avvicinandosi agli 11 milioni, rimanendo tuttavia ben lontano dal 40%, considerato la soglia minima di un risultato soddisfacente. Le elezioni di domenica scorsa si sono distinte per un altro dato importante: il tasso di astensione. Il 25% degli iscritti non è andato a votare, una cifra considerevolmente alta per un secondo turno; per trovare un numero di astenuti così alto bisogna tornare indietro fino al 1969. Considerevole anche il numero di voti bianchi e nulli, rispettivamente 3 milioni e 1 milione. Per quanto riguarda le mosse future del nuovo inquilino dell’Eliseo, un punto pare essere certo: riportare la Francia al centro della scena. Da troppo tempo, infatti, il Paese ha perso il suo ruolo di leadership,

fondamentale per la costruzione dell’Unione Europea. La strada per governare però non appare in discesa. Innanzitutto sarà necessario dotarsi di una maggioranza parlamentare alle elezioni legislative di giugno. Impresa tutt’altro che scontata considerando il fatto che il neopresidente non ha un partito alle spalle e il suo movimento è nato solamente un anno fa, troppo poco per avere un sufficiente radicamento sul territorio. Macron potrebbe quindi essere costretto ad una coalizione con altri partiti per poter formare una maggioranza. Le cancellerie di tutta Europa hanno salutato la vittoria di Macron con un sospiro di sollievo, segno di una prova di fiducia e di adesione all’integrazione europea da parte del popolo francese. L’entrata trionfale al Louvre davanti ai suoi sostenitori in festa, sulle note dell’Inno alla Gioia, ha fatto capire quanto sia importante per Macron il fatto di sentirsi europeo. Nel suo discorso ha detto di comprendere quella parte di elettori che hanno scelto Marine Le Pen, ma allo stesso tempo ha promesso di unire tutti i francesi e fare in modo che non vi siano più motivi per votare gli estremismi. La sua elezione rappresenta un’occasione unica per dimostrare ai cittadini francesi che la loro fiducia nell’Europa è stata ben riposta. Un’opportunità da sfruttare al meglio, anche perchè potrebbero non essercene altre.

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EUROPA sfiducia, proposta da “Iniziativa per il Kosovo”, “Alleanza per il Futuro” e “Movimento Autodeterminazione”, potrebbe portare il paese al voto tra l’11 e il 18 giugno.

A COMMON GROUND FOR EUROPE European ideas need fertile soil. Does that imply having a leading culture?

By Ann-Marlen Hoolt REPUBBLICA CECA 4 maggio. Secondo il portavoce del governo, il Primo Ministro Bohuslav Sobotka dovrebbe rassegnare le dimissioni nella seconda metà di maggio. Sobotka, inoltre, avrebbe intenzione di proporre al Presidente ceco un piano di risoluzione per la crisi che ha toccato il paese in seguito a degli affari non trasparenti del ministro delle Finanze Andrei Babis.

SPAGNA 9 maggio. I dati dell’economia spagnola tornano ai livelli precrisi. Ad annunciarlo è il Ministro dell’Economia Luis De Guindos, che prevede, per il 2017, un tasso del 2,7%, molto vicino a quello dell’anno precedente che si attestava attorno al 3,2%. Inoltre, secondo la stima preliminare dell’Ine, l’economia spagnola è cresciuta dello 0,8% su base trimestrale.

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The German language is full of words that do not exist in any other languages. Amongst them “leitkultur”, a term used describing a national identity and common values. It can most accurately be translated into leading culture. Emanuel Macron’s victory in the French presidential elections can be seen as a strong proEuropean signal. Nevertheless anti-European voices within the European Union should not be forgotten. To make those uttering them feel at home in the EU, the Union needs to be unified. It needs people who are willing to listen. For some politicians a European leitkultur is the way to reach that goal. In German discourses the term is often seen in a negative light. Remembering the regime of National Socialism the country regards most kinds of nationalism as dangerous. But the concept can be interpreted in different ways. How can a certain culture be a leading one? Does it have to be governmentally implemented or is it just a description of the lowest common denominator? The times in which governments forced a belief-system on their people are – at least in Europe – long gone. People do not like

being told what to believe and change can only come from them themselves: shared values and beliefs cannot be developed by force. Still, the Union can give pushes in the right direction. So far Europe is missing a shared basis, or, more accurately, is missing the basis for shared discourses. National debates do not stimulate discussions on a European scale: they focus on differences instead of common ground. Finding a European identity, identifying as European, will never occur if discussions stay on a national level. Shared media, music and pop-culture are needed to initiate discussion the overcome national borders. While a leitkultur might promote a European identity, the idea of a leading culture should not be taken too seriously. It should be interpreted as a shared basis, a starting point, never though as a classification of what is right and wrong. Unification does not imply assimilation. Everyone has the right to belief in whatever they think true. Diversity and multiculturalism should remain the subordinate goal. Only then can the discussion about a leitkultur be productive. In all other forms the concept goes against the very essence of the European Union: unity in diversity.


NORD AMERICA 7 Giorni in 300 Parole STATI UNITI 7 maggio. Un membro dello staff dell’ex presidente Obama ha rivelato che l’allora presidente-eletto Trump era stato avvisato da Obama stesso, durante uno dei loro incontri lo scorso novembre, dei pericoli concernenti Michael Flynn. In particolare l’allora 44º Presidente avrebbe consigliato, a quello che sarebbe diventato di lì a poco il suo successore, di non assegnargli il posto di National Security Adviser.

8 maggio. Secondo quanto riporta la CNN il Presidente starebbe per ricevere sulla sua scrivania una proposta definitiva da parte del Segretario alla Difesa James Mattis per aumentare le truppe statunitensi presenti in Afghanistan di un numero compreso tra le 3.000 e le 5.000 unità. 9 maggio. Obama in Italia per una due giorni fitta di incontri istituzionali. A Milano, tra le altre cose, parlerà ad un summit globale sulle innovazioni alimentari, il “Seed&Chips”, e riceverà le chiavi della città dal sindaco Sala. 9 maggio. In un’intervista televisiva con la MSNBC l’ex segretario di Stato Condoleezza Rice ha dichiarato che il presidente Trump si sta “comportando bene nella vicenda Nord Corea” poiché bisogna tenere comunque presente che “è una situazione di estrema difficolt ”. à

FROM ITALY WITH LOVE

La due giorni milanese di Obama in chiave anti-presidenziale

Di Alessandro Dalpasso In America, di consuetudine, terminato il loro ufficio, gli ex presidenti si dedicano a temi di ampio respiro, solitamente di tipo etico o morale, e non alla politica interna degli States. Alcuni osservatori della politica americana, anche quelli più attenti, avevano scommesso che l’oramai ex Presidente Obama, subito dopo aver visto il suo successore giurare dal palco di Capitol Hill, si sarebbe dedicato ad una dura opposizione. Opposizione verso la costruzione di un parallelo Governo-Ombra, contro ogni proposta di legge od ordine esecutivo, perlomeno un’attiva presenza nei media del Paese per tarpare le ali fin da subito a The Donald. Queste previsioni, invece, sono state smentite da Obama stesso, il quale si è dedicato a moglie e famiglia ed è partito per delle lunghe vacanze. Una pausa per riflettere e scrivere la sua autobiografia, prima nella Polinesia francese e poi a Martha’s Vineyard. Che le sue intenzioni stessero cambiando è stato chiaro fin da prima della sua due giorni milanese, in cui si è accreditato come vero e proprio oppositore della presidenza. A Boston, infatti, durante la cerimonia per la consegna del “Profile Courage Award” ha difeso con durezza l’Obamacare. L’ex Presidente l’ha definita come “una riforma sanitaria di stampo

europeo” e ha lanciato un vero e proprio appello accorato a tutti i membri del Congresso affinché si prodighino per salvarla con ogni mezzo e “contro i dogmi di partito”. Spera così di influenzare il Senato, dove la riforma deve ancora passare, dopo essere stata approvata dalla Camera per una manciata di voti, e dove il GOP è molto diviso al suo interno. Sempre a Milano, il 44º Presidente ha parlato a Seed&Chips, un summit globale sull’innovazione alimentare tenutosi nella vecchia area espositiva di Expo. È stato il suo primo viaggio all’estero da ex Presidente e ha sfruttato questa cornice e questo ruolo per dimostrare come effettivamente la sua intenzione sia quella di porsi in una situazione di contraltare rispetto all’attuale Presidente (cosa non usuale per la figura che sarebbe chiamato a ricoprire). Obama ha ribadito come sia necessario coinvolgere soprattutto i giovani nelle posizioni chiave della politica, ricordando quanto fatto “insieme a Matteo [Renzi] a Parigi per rendere il mondo consapevole che fosse necessario un accordo sul clima”. Si è concesso, infine, un duro affondo sulle politiche migratorie di Trump sostenendo che “l’America oggi è quella che è grazie al contributo degli immigrati italiani che nonostante le discriminazioni […] hanno rafforzato gli USA”.

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NORD AMERICA 10 maggio. Il presidente Trump ha licenziato il direttore dell’FBI James Comey. Nella nota diffusa sulla decisione si legge che è stata una decisione caldeggiata anche “dall’Attorney General Jeff Session e il suo vice, Rod Rosenstein”. Nella lettera indirizzata a Comey, poi, Trump gli ha fatto sapere come non lo ritenesse più capace di dirigere un’agenzia importante come l’FBI.

PRESIDENT TRUMP OPENS TO COOPERATION WITH RUSSIA Tillerson and Lavrov searching solutions over Syrian and Ukrainian conflict

By Kevin Ferri

CANADA 8 maggio. Risultato morale gratificante per le politiche di accoglienza del governo canadese. Una coppia di rifugiati siriani residenti a Calgary ha chiamato il loro figlio neonato Justin Trudeau, in onore del presidente dal quale si sono sentiti accolti e voluti in Canada.

In April 2016, Russia was preparing to shoot down any U.S. aircraft that was willing to strike non-Daesh targets in Syria. The U.S. Department of State, at that time, completely shut down any bilateral relationship with the Russian Federation as they wouldn’t stop bombing the city of Aleppo, following Bashar al-Assad’s orders. It is not difficult to notice how this happened under Barack Obama’s Presidency, which has always had a hard time managing international relations with the Russian counterpart.

11 maggio. Moody’s, la famosa agenzia di rating statunitense, ha abbassato il rating di sei granThings seem to have changed di banche canadesi (Toronto-Dosince President Trump took minion Bank, Bank of Montreal, e oath of offic back in January. Bank of Nova Scotia, Canadian Already in April, U.S. secretary Imperial Bank, National Bank of of state Tillerson met with Canada e Royal Bank of Canada). president Putin in Moscow to Una mossa che non giunge inadiscuss about the Syrian and spettata e che segue le dichiaraUkrainian crisis. Unfortunately, zioni del governatore della Banthat meeting didn’t bring any ca Centrale canadese, Stephen solution or proposal that was Poloz, che aveva lanciato l’allareffective in solving any issue. me dicendo che dal collasso delHowever, Trump and Tillerson la Home Capital Group lo scorwelcomed today Russian foreign so marzo i prezzi degli immobili affairs minister Lavrov at the nelle grandi città sono diventati White House. The Secretary insostenibili. and Foreign Minister discussed the importance of defeating A cura di Alessandro Dalpasso Daesh, but also of creating “safe zones” for refugees that are escaping the violence of the

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Syrian civil war, and ensuring that humanitarian assistance reaches civilians throughout the country. Additionally, support was given for the UN-led peace talks held in Geneva, which are central to international efforts in bringing an enduring resolution to the conflict. On Ukraine, secretary Tillerson stressed the need for progress toward full implementation of the “Minsk agreements”, that should have held together a hasty peace between Russia, Ukraine and the separatists. Sanctions on Russia will remain in place until Moscow will decide to re-enter the peace deal from which it unilaterally rescinded. The United States and Russia overall agreed to continue the discussions meant to resolve other issues of bilateral concern, including strategic stability. It looks as though Trump’s foreign policy is more effective than the one held by the previous administration, by trying to cancel out what Lavrov called “The Obama’s administration dialogue ideology”, but is it truly so? The answer to this question is still unknown as, in a practical manner, no real step towards a resolution of any conflict has yet occurred.


MEDIO ORIENTE 7 Giorni in 300 Parole

L’ALGERIA E LA “PIROETTA DEMOCRATICA” Quando l’astensione diventa un importante gesto politico

Di Martina Scarnato

PALESTINA/ISRAELE 9 maggio. La nota catena Pizza Hunt e si scusa ufficialment dopo aver diffuso uno spot di derisione nei confronti dei prigionieri palestinesi attualmente in sciopero della fame. 10 maggio. Una proposta di alcuni parlamentari israeliani consiste nel rendere l’ebraico l’unica lingua ufficiale del Paese, riducendo di fatto l’uso dell’arabo nelle comunicazioni ufficiali e nella segnaletica stradale.

10 maggio. Auspicando una risoluzione del conflitto tra Palestina ed Israele, il presidente americano Donald Trump si propone come mediatore per un eventuale futuro processo di pace. SIRIA 9 maggio. I ribelli siriani hanno conquistato una delle ultime città verso Raqqa, la roccaforte del cosiddetto Stato Islamico.

Giovedì 4 Maggio si sono svolte le elezioni legislative in Algeria: circa 23 milioni di elettori sono stati chiamati alle urne per eleggere i membri della camera bassa, l’Assemblea Nazional Popolare (ANP). Il Fronte di Liberazione Nazionale (FLN), il partito dell’attuale presidente Abdelaziz Bouteflika, si è riconfermato al potere, ottenendo 164 seggi su 462, insieme al suo alleato, il Raduno Nazionale per la Democrazia (RND), che si è assicurato 97 seggi. Attualmente in Algeria il Parlamento viene eletto a suffragio universale e i seggi vengono distribuiti in proporzione ai voti ottenuti dai vari partiti. L’affluenza alle urne è stata molto bassa: le cifre ufficiali parlano in un tasso di partecipazione del 38.25%, contro il 43% circa del 2012. In realtà tale risultato non ha sorpreso nessuno: Omar Banderra, ex funzionario del governo e attuale collaboratore per un sito d’opposizione, l’Algeria Watch, ha spiegato al giornale francese l’Express che “le elezioni in Algeria sono solo una “piroetta democratica”, una figura imposta e destinata a mostrare alle grandi potenze, come la Francia, gli Stati Uniti e l’Unione Europea, che l’Algeria non è formalmente una dittatura”.

Il fattore “partecipazione” era di cruciale importanza per il governo, poiché è uno strumento per ottenere una maggiore legittimazione. Proprio a questo scopo, è stata ideata una campagna di comunicazione chiamata “Samaa sawtek” – “Fai sentire la tua voce”. Inoltre, lo stesso presidente Bouteflika aveva diffuso un invito a recarsi alle urne il 28 aprile. Tuttavia, i giovani algerini hanno voluto far sentire la loro voce non andando a votare. Stando alle parole degli intervistati da al-Jazeera, i motivi del boicottaggio risiedono nella dilagante corruzione della politica e nel fatto che le elezioni non sono davvero trasparenti. Inoltre, si punta il dito contro il fatto che il risultato sia già deciso e che andando a votare non si faccia altro che favorire il governo. Dunque, secondo alcuni osservatori, l’astensione avrebbe rappresentato un vero e proprio atto politico. Anche alcuni partiti di opposizione, come Jil Jadid, non hanno voluto partecipare a queste legislative. Molti hanno sostenuto che non sono interessati tanto alle elezioni quanto alla situazione economica, sempre più grave a causa della caduta del prezzo del petrolio e della mancata diversificazione dell’economia. MSOI the Post • 7


MEDIO ORIENTE 11 maggio. Gli Stati Uniti hanno dichiarato che offriranno armi

VECCHI CONFLITTI, NUOVI PROBLEMI Dalla difficile posizione statunitens al crollo di consensi per Abu Mazen

ai ribelli siriani e alle truppe curde per la battaglia per la conquista di Raqqa. IRAN 10 maggio. L’ayatollah iraniano Ali Khomeini, supremo leader religioso del Paese, raccomanda la correttezza nello svolgimento delle elezioni e promette “gravi conseguenze” in caso di brogli. LIBIA 10 maggio. La situazione dei migranti nel Mediterraneo si è aggravata negli ultimi giorni, mettendo a dura prova le forze italiane, europee e le ONG coinvolte. Il naufragio di un barcone proveniente dalle coste libiche ha causato la morte di 250 persone. TURCHIA Aine Lesley Davis, trentacinquenne britannico accusato di aver decapitato numerosi ostaggi occidentali in Siria, è ora detenuto in Turchia con l’accusa di terrorismo. A cura di Lucky Dalena

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Di Samantha Scarpa Il nuovo documento di Hamas che aggiorna i propri obiettivi politici e la visita di Mahmoud Abbas – presidente dell’Autoritá Nazionale Palestinese – alla Casa Bianca sottolineano la complessità sempre della delicatissima scacchiera mediorientale. Il 1 maggio, infatti, Hamas ha reso noto che sarebbe disposta ad accettare un patto che dividerebbe il territorio in due Stati indipendenti e sovrani. I confini sarebbero stabiliti secondo le conquiste israeliane fino al 1967, prima della Guerra dei Sei Giorni. Ciò che ha maggiormente colpito di questa dichiarazione non è tanto la dichiarata “non avversione verso il popolo ebraico, bensì verso la devianza sionista che propugna da decenni l’invasione della Palestina”, quanto il fatto che il testo sembra accettare e riconoscere l’esistenza di uno Stato legittimo con il quale poter intavolare negoziazioni – pur non citando mai direttamente il nome di Israele. I confini del 1967, inoltre, implicherebbero il controllo palestinese sulla parte Est di Gerusalemme, la quale diventerebbe capitale ufficiale dello Stato. Proprio su Gerusalemme, tuttavia, si aprono i dubbi circa

un’autentica volontà dell’amministrazione Trump di portarsi verso una posizione più mediatrice nell’area. Uno dei goal che il nuovo team di consulenti per gli affari mediorientali si è imposto, infatti, prevede lo spostamento dell’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme, fornendo quindi un endorsement ad Israele riguardo la sua occupazione. Davanti ad una tale ambiguità e ad un Presidente americano che ritiene tale riconciliazione “forse , non così difficile” la missione di Abbas, mercoledì, è diventata ancora più difficile. L’ottantaduenne capo dell’ANP, infatti, si trova in una situazione di prorompente perdita di consenso tra la popolazione cisgiordana. Non essendoci state elezioni dal 2005 e avendo pertanto ricoperto tre mandati senza legittimazione in questo senso, egli non ha potuto permettersi di incrinare ulteriormente i rapporti con Hamas, opponendosi al nuovo disegno. Al tempo stesso, Abbas ha dovuto riporre tutte le sue fiducie nello sforzo che Trump impegnerà per portare a termine il conflitto. Che i toni pacati e pacifici e le timide offensive alle conquiste israeliane siano effettivamente servite alla ricerca di nuova reliability, però, rimane un dubbio ancora non risolvibile.


RUSSIA E BALCANI 7 Giorni in 300 Parole BULGARIA 7 maggio. Il ministro dell’Istruzione Krasimi Valchev ha annunciato che dal prossimo settembre gli stipendi degli insegnanti verranno aumentati del 15%, un primo passo del governo bulgaro che ha promesso un incremento del 50% degli stessi entro la fine del mandato.

RUSSIA 9 maggio. L’oppositore Aleksej Naval’nyj si è sottoposto a un intervento all’occhio destro presso una clinica oftalmologica a Barcellona a causa dell’aggressione subita lo scorso 27 aprile quando gli era stata gettata in volto la sostanza chimica “zelyonka”. Nonostante la condanna confermata la settimana scorsa, Naval’nyj aveva ottenuto il passaporto per recarsi all’estero e curarsi. Non è ancora chiaro quanto il blogger russo dovrà fermarsi in Spagna per ripristinare in toto la vista. 10 maggio. Il presidente statunitense Donald Trump ha incontrato alla Casa Bianca il ministro degli Affari Esteri russo Sergej Lavrov, secondo il quale il dialogo Russia-USA è ora “libero dalle ideologie”, a differenza dell’amministrazione Obama. Inoltre, non esisterebbe alcun coinvolgimento russo nel licenziamento del numero uno del FBI Comey. Trump e Lavrov hanno parlato anche di Siria,

CELEBRANDO IL VICTORY DAY

A Mosca si ricorda la fine della 2a Guerra Mondiale ma l’unità nazionale inizia a sgretolarsi

Di Daniele Baldo Il 9 maggio in Russia si è celebrato il Giorno della Vittoria per ricordare la capitolazione della Germania nazista ed il trionfo delle truppe sovietiche nel 1945. Ogni anno il fulcro delle celebrazioni è occupato dalla parata militare organizzata nel centro della capitale, che vede la partecipazione di migliaia di soldati ed il dispiegamento di centinaia di mezzi militari. Quest’anno il presidente Putin, il quale ha partecipato alla parata al fianco dei veterani e di un solo Capo di Stato straniero, quello moldavo, ha potuto vedere sfilare non solo le truppe ed i carri armati dell’esercito, ma anche i nuovi sistemi difensivi aerei. Questi sono stati costruiti per poter resistere a condizioni di temperatura sfavorevoli nei territori artici. Un segnale del fatto che il Cremlino è pronto a prendere il controllo di un territorio ricco di idrocarburi, conteso da Stati Uniti, Canada e Norvegia. Rivolgendosi alla folla presente alla parata, il Presidente ha sottolineato la rilevanza di un apparato difensivo così importante, capace di reprimere ogni eventuale aggressione. Putin ha poi espresso la volontà della Russia di rafforzare la comunità internazionale, per combattere il terrorismo, gli estremismi ed il neonazismo.

Negli ultimi decenni la parata è stata un modo per dimostrare al mondo la potenza militare della Russia e l’unità nazionale, come dimostrano le parole di Putin. Il Presidente ha però dovuto, da qualche tempo, fare i conti con una serie di manifestazioni contro di lui ed il suo governo. Dopo quelle del 26 marzo, promosse da Aleksei Navalny, e quelle più ristrette tenutesi due settimane fa, organizzate dal movimento Open Russia guidato da Michail Chodorkovskij, il 6 maggio ci sono state altre proteste nel centro di Mosca. Esse hanno dato modo all’opposizione russa di continuare ad alzare la voce, dopo anni di repressione e di isolamento a causa della propaganda governativa. In questa occasione più di 1000 manifestanti, autorizzati dal Ministero dell’Interno, hanno celebrato il quinto anniversario delle proteste di Piazza Bolotnaya, in cui ci furono violenti scontri con la polizia ed oltre 400 arresti di membri dell’opposizione. Nel periodo tra il 2011 ed il 2012 le proteste videro oltre centomila persone protestare contro il governo. Oggi, quel sentimento di protesta sembra aver trovato nuova linfa con centinaia di cori che, all’unisono, chiedono a Putin di fare un passo indietro. MSOI the Post • 9


RUSSIA E BALCANI Ucraina, Afghanistan, senza però discutere delle sanzioni americane nei confronti di Mosca. SERBIA 10 maggio. Il governo serbo ha duramente criticato le parole dell’ex responsabile della missione OSCE in Kosovo William Walker, il quale lunedì scorso a Pristina aveva parlato di “unificazione di Kosovo, Albania e altri Paesi” come passo finale dopo il raggiungimento dell’indipendenza di questi stati. Il presidente Aleksandar Vučić ha dichiarato che la Serbia si rivolgerà all’ONU e che Walker, già inviso a gran parte dell’ex Jugoslavia, in realtà lotta “contro gli interessi della popolazione serba e mira alla creazione di una Grande Albania”. UCRAINA 9 maggio. Mentre a Mosca e in numerose città russe si teneva la parata in onore dei caduti della Seconda Guerra Mondiale, nella capitale e in altre città ucraine si sono verificate decine di arresti a causa di scontri nelle piazze tra alcuni gruppi di nazionalisti. Il presidente Poroshenko, durante la cerimonia a Kiev, ha sottolineato come la Russia stia tentando ancora oggi “di comandare l’Ucraina, che non reciterà lo stesso copione di Mosca in occasione del 9 maggio”. 10 maggio. A Istanbul il consorzio statale industriale ucraino Ukroboronprom ha firmato un memorandum di cooperazione con il Ministero della Difesa turco, nell’ambito del quale sono previsti la produzione di velivoli, sistemi terrestri e lo sviluppo della collaborazione delle forze armate ucrainoturche. A cura di Andrea Bertazzoni 10 • MSOI the Post

L’ETERNO RITORNO DELLA “GRANDE ALBANIA”

Reazioni alle dichiarazioni del premier albanese Edi Rama

Di Adna Camdzic Il 18 aprile scorso il quotidiano Politico ha pubblicato i contenuti di un’intervista all’attuale premier albanese, Edi Rama. Ad una domanda su una possibile unione tra Albania e Kosovo, il premier ha risposto che non è nel suo interesse perseguire un’unione con il Kosovo. Ha poi aggiunto che questa potrebbe essere, però, una “possibile alternativa alle porte chiuse dell’Unione Europea”. Le reazioni sono state immediate. La replica più aspra è arrivata dalla Serbia. Il ministro degli esteri Ivica Dacic ha parlato di “un’ulteriore conferma che l’attuazione del progetto nazionalistico di una Grande Albania resta l’obiettivo comune di tutti gli albanesi”, chiedendo all’Unione Europea di non rimanere in silenzio di fronte a una tale minaccia per la stabilità della regione. La portavoce della Commissione UE, Kocijancic, e il commissario europeo per l’allargamento, Hahn, hanno rilasciato i loro commenti nei giorni successivi. I due hanno definito le dichiarazioni di Rama controproducenti, condannando qualsiasi tipo di influenza politica che sia dannosa per i Balcani e ribadendo l’interesse europeo a promuovere buoni rapporti di vicinato.

Il tema della possibile unione tra Albania e Kosovo e della creazione di una “Grande Albania”, che raccolga tutti gli albanesi dei territori Greci, Serbi, Montenegrini e Macedoni, ritorna così di attualità. Si ritorna anche a parlare delle storiche tensioni tra Serbia e Albania, inasprite con il conflitto in Kosovo alla fine degli anni ‘90, quando il Kosovo, a maggioranza albanese, era ancora parte integrante della Serbia. Nel 2008 Pristina dichiarò l’indipendenza, ancora non riconosciuta dalla Serbia, ma non vennero meno le spinte nazionalistiche pan-albaniste. Lo stesso presidente del Kosovo, Thaci, riprendendo l’affermazione di Rama, ha ribadito che: “senza l’obiettivo UE, gli albanesi vorranno vivere uniti in un solo Paese”. A detta di alcuni esperti, interpellati dalla compagnia di informazione tedesca Deutsche Welle, Rama e Thaci non dovrebbero essere presi troppo sul serio. Il fantasma della “Grande Albania” ritorna di tanto in tanto e viene sfruttato dai leader politici della regione, per raccogliere consensi in vista delle future elezioni in Kosovo e Albania e come strumento di pressione verso l’UE. Tuttavia, se l’influenza dell’Unione Europea dovesse diminuire, non è detto che in futuro la minaccia non possa diventare reale.


ORIENTE 7 Giorni in 300 Parole CINA 9 maggio. Il presidente Xi Jinping, nell’interesse globale che l’accordo di Parigi sul clima (COOP 21) venga rispettato, ha dichiarato di essere pronto a collaborare con il neo-eletto presidente francese Emmanuel Macron. Lo stesso Xi Jinping ha più volte sottolineato la volontà della Cina nel rendersi parte attiva nella lotta ai cambiamenti climatici. COREA DEL SUD 9 maggio. Seul ha scelto il nuovo presidente, Moon Jae-in è stato eletto a succedere a Park Geun-hye. Il neo Presidente ha affermato a sorpresa, durante le prime ore di presidenza, di essere pronto a recarsi nella Corea del Nord nel tentativo di aprire un dialogo con il presidente Kim Jong-un. Il presidente Moon ha poi riferito all’Assemblea Nazionale di Seul che si recherà presto in Cina e in Giappone, paesi con i quali è fondamentale mantenere saldi rapporti di amicizia.

FILIPPINE 10 maggio. Il presidente Rodrigo Duterte e il suo staff presenteranno il piano economico e ufficial del governo filippino durante durante il World Economic Forum che si terrà a Phnom Penh, Cambogia. INDONESIA 9 maggio. L’ex governatore di Giacarta è stato condannato a due anni di reclusione da una corte indonesiana.

UNITÀ NELLA DIVERISTÀ?

Il Governo colpisce i radicali, mentre Ahok va in carcere Di Giusto Amedeo Boccheni Il 9 maggio, Basuki “Ahok” Tjahaja Purnama è stato condannato a 2 anni di carcere per blasfemia, a dispetto del declassamento dell’accusa proposto dai procuratori. Il suo legale ha annunciato che intende ricorrere in appello. Per ora, Ahok è stato rinchiuso a Cipinang. Il suo vice lo sostituirà negli ultimi sei mesi di mandato. Secondo alcuni, il verdetto conferma la crescente influenza dell’Islam conservatore in Indonesia. Lo sguardo è rivolto alle elezioni locali dei prossimi anni e alle generali del 2019, in cui si decideranno anche esecutivo e legislatura nazionali. A contendersi la presidenza saranno probabilmente l’attuale Presidente Joko “Jokowi” Widodo, giavanese musulmano, e Prabowo Subianto, exgenero di Suharto. Quando i due si sono affrontati nel 2014, Subianto ha cercato di cavalcare le allegazioni che volevano Jokowi di madre cristiana. Per questo motivo, secondo molti, il Widodo Presidente si è curato di assecondare l’Islam, più di quanto non avesse fatto da Governatore a Giacarta e Solo. Oggi, Widodo raccoglie i consensi del 66% della popolazione, ma anche Ahok, fino a settembre, godeva di un simile supporto. Nel corso del processo del suo ex-vice, Jokowi ha assicurato alle folle che la giustizia avrebbe fatto il suo corso.

Per comprendere l’atteggiamento del Presidente, è necessario considerare quale equilibrio intercorra tra laicità, politica e religione nel Paese e, più in generale, tra l’unità e la diversità di cui si parla nel motto nazionale, così simile a quello dell’UE. La società civile indonesiana è riunita in varie organizzazioni di massa: alcune di esse evocano il secolarismo, altre la Shari’a. Anche tra le file della pluralista Nahdlatul Ulama, però, c’è chi vede la laicità e la non-discriminazione come valori temperabili, se il contesto lo richiede. È questo pluralismo debole che non sembra capace di arginare molti gruppi radicali, come l’FPI, motore delle proteste anti-Ahok. Il Ministro per gli Affari Politici, Legali e di Sicurezza ha annunciato l’8 maggio che il Governo intende adire le vie legali per ottenere la dissoluzione di Hizbut Tahrir, un gruppo fondamentalista già bandito in diversi Paesi. responsabilità di Sarà Jokowi, e dei tanti attori dell’arena politica, fare appello agli istinti migliori del popolo, promuovendo la democrazia liberale-delibarativa di cui parla la Pancasila. Se poi Subianto vorrà sfruttare la carta della religione, o dell’etnia, come il partito Repubblicano ha fatto per anni in America, farà bene a prepararsi al suo Trump personale.

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ORIENTE Ahok, cristiano protestante, era stato accusato di blasfemia da alcuni politici musulmani radicali, il processo conclusosi il 9 maggio ha dichiarato l’ex politico colpevole; la sentenza sottolinea una crescente intolleranza religiosa all’interno del Paese.

PAKISTAN-AFGHANISTAN: SUL CONFINE Islamabad tra tensioni e apertura

Di Virginia Orsili

GIAPPONE 10 maggio. Il Partito Liberal Democratico (LDP) ha deciso di creare una commissione per discutere l’eventuale modifica costituzionale voluta dal Presidente Shinzo Abe. Abe ha dichiarato di voler modificare la costituzione entro il 2020 per dare al Giappone un nuovo volto e una carta costituzionale maggiormente in linea con il panorama internazionale attuale. Per una parte dell’opinione pubblica, infatti, la costituzione odierna appare troppo legata agli assetti globali del dopoguerra. THAILANDIA 9 maggio. Due esplosioni si sono verificate in un centro commerciale nella provincia di Pattani nel sud del Paese. L’attacco che ha ferito più di 50 persone, si presume essere opera dei separatisti musulmani, numerosi nella Thailandia meridionale. Il mese scorso il governo militare di Bangkok aveva respinto l’offerta di pace condizionata proposta da uno dei gruppi separatisti. A cura di Tiziano Traversa 12 • MSOI the Post

Le forze armate pakistane hanno dichiarato di aver ucciso oltre cinquanta soldati afghani, distruggendo cinque posti di blocco, durante i disordini che hanno avuto luogo il 5 maggio lungo la linea di confine tra lo stato afghano e quello pakistano. Le autorità afghane, tuttavia, non confermano questa versione. Secondo le forze militari pakistane, sarebbe stato un ufficiale afghan o ad aprire il fuoco contro le guardie armate che scortavano civili pakistani della comunità di Chaman in occasione di un censimento, senza nessun motivo apparente. Il generale di stato maggiore pakistano Nadim Ahmad, a capo delle forze militari di frontiera, sostiene che due suoi uomini siano stati uccisi, mentre sarebbero nove i feriti. Nelle parole di Ahmad, le milizie pakistane “[…] sono state costrette a rispondere”. Sediq Sediqqui, portavoce del Governo afghano, ha definito in un tweet “completamente falsa” e “priva di fondamento” questa versione dei fatti. Nell’ultimo periodo, il Pakistan si è adoperato per tentare di sanare le proprie relazioni con l’Afghanistan. La scorsa settimana il capo dei servizi militari segreti del Pakistan – a lungo accusato di aver

appoggiato attacchi terroristici in Afghanistan – si è recato a Kabul per una visita inaspettata. Allo stesso tempo, però, il presidente afghano Ashraf Ghani rifiuta di ricambiare la visita fino a che non verranno individuati ed arrestati i colpevoli di diversi attentati che hanno avuto luogo sul suolo afghano. Alcuni osservatori afghani hanno criticato la decisione del presidente Ghani: la visita avrebbe potuto testimoniare un effettivo impegno del Pakistan in nome della pace. Rahmatullah Nabil, ex capo dei servizi segreti afghani, sostiene invece che un nuovo impegno diplomatico di Islamabad possa essere letto come un ‘piano segreto’: “fingere di essere disposti a collaborare con il Governo afghano” per guadagnarsi l’appoggio degli Stati Uniti, continuando invece a supportare i talebani. Nonostante i recenti tentativi di pacificazione, si è avuto nel giro di un anno un crescendo di conflittualità lungo la linea di confine “Durand”. Malgrado la politica di frontiera spesso conflittuale, il Pakistan sta portando avanti una progressiva apertura verso l’Occidente, soprattutto dal punto di vista infrastrutturale. Ad agosto verrà inaugurato il nuovo aeroporto di Islamabad: l’obiettivo è quello di migliorare le comunicazioni e incentivare i trasporti internazionali.


AFRICA 7 Giorni in 300 Parole

UCCISO IL MINISTRO SOMALO PER I LAVORI PUBBLICI

Abbas Abdullahi Sheik Siraji è stato colpito da 4 soldati

ALGERIA 5 maggio. Il Fronte di Liberazione Nazionale (FLN), partito di governo dell’attuale presidente Abdelaziz Bouteflika, e i suoi alleati, hanno vinto una maggioranza assoluta nelle politiche in Algeria, oscurate dalle preoccupazioni riguardanti la salute del Presidente e dalle difficoltà economiche legate al crollo del prezzo del petrolio. Il dato sull’affluenza, che è scesa a poco più del 38%, riflette un clima di forte sfiducia nei confronti della classe politica nel Paese. LIBIA 8 maggio. Due naufragi al largo della Libia nel fine settimana fanno temere un bilancio di circa 200 vittime, secondo le testimonianze dei sopravvissuti e di alcune ONG. Gli arrivi in Italia via mare sono in aumento di circa il 30 percento quest’anno rispetto ai primi mesi del 2016, quando si registrò un record di sbarchi. NIGERIA 6 maggio. Sono state rilasciate 82 delle studentesse rapite da Boko Haram nell’aprile di tre anni fa a Chibok, nel nord-est della Nigeria. La liberazione è avvenuta in cambio del rilascio di alcuni sospetti militanti detenuti, al termine di intensi negoziati con il governo federale. Queste si unisono alle ragazze che sono riuscite a scappare o sono state liberate nel corso dei mesi, mentre resta ancora sconosciuto

Di Francesca Schellino Mercoledì 3 maggio il ministro Abbas Abdullahi Sheik Siraji è stato ucciso. Al momento dell’attentato stava guidando nei pressi del Palazzo presidenziale di Mogadiscio. Siraji aveva 31 anni ed era il più giovane membro del neo-eletto governo somalo. La polizia ha immediatamente arrestato i quattro soldati responsabili dell’omicidio.

Mohamed Abdullahi Mohamed Farmajo. Il politico trentunenne è stato in carica soltanto un mese come Ministro per i Lavori pubblici, ma era membro del Parlamento federale dal novembre 2016. Il Ministro è stato un esempio di coraggio per i giovani, i quali lo consideravano un modello da seguire. Lasciata la Somalia in piena guerra civile in seguito al colpo di stato del 1991, aveva vissuto nel campo di rifugiati di Dadaab, in Kenya, gestito dall’UNHCR. Rientrato nel suo Paese a 18 anni, Siraji si era dedicato alla politica, con l’obiettivo di migliorare situazione della Somalia.

La notizia è stata divulgata dal Ministro dell’Informazione della Somalia, che ha confermato tramite Twitter, non fornendo ulteriori dettagli sull’accaduto. Il colonnello Hassan Mohamed, ufficiale della polizia somala, ha dichiarato che un altro funzionario del governo era presente nel- L’improvvisa morte del Ministro, la vettura di Siraji, ma quest’ul- nonostante la versione ufficiale timo è riuscito a salvarsi. sull’omicidio, riapre una delicaDalle prime ricostruzioni sem- ta questione che sembrava orabra che il giovane sia stato mai superata: quella dei nemici scambiato per un terrorista interni dell’attuale Governo, suicida appartenente al gruppo guidato dal neo-eletto PresidenAl Shabaab, affiliato di al-Qa te Mohamed Abdullahi Mohaeda. Il portavoce del sindaco med Farmajo. di Mogadiscio, Abdifatah Omar Halane, ha dichiarato: “Il Mini- La Somalia è una Repubblica stro è stato ucciso per errore. molto giovane; solo nel 2012 è I militari hanno sparato sulla terminata la transizione posua auto accidentalmente. Che litica iniziata nel 2004, dopo la sua anima possa riposare in vent’anni di dittatura e guerra pace”. civile. La situazione non può ancora Il giorno dopo la morte di Siraj essere dichiarata stabile, soè stato celebrato in suo onore prattutto a causa dei numeroun funerale di Stato a cui hanno si attacchi terroristici. Nel partecipato il Primo ministro, 2011, inoltre, una grave careHassan Ali Kheyre, e il Presi- stia ha colpito lo Stato. dente della Repubblica somala,

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AFRICA il destino di 113 di loro. REPUBBLICA CENTRAFRICANA 8 maggio. 4 caschi blu sono stati uccisi e altri 8 sono rimasti feriti in un’imboscata avvenuta contro un convoglio della missione ONU in Repubblica Centrafricana (MINUSCA) da parte di milizie cristiane. L’attacco segue la decisione di 5 organizzazioni umanitarie di sospendere temporaneamente le operazioni di peacekeeping nel nord del Paese a causa delle ripetute aggressioni al personale umanitario da parte di gruppi armati. REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO 9 maggio. Il presidente della RDC Joseph Kabila ha presentato martedì un nuovo governo di transizione, che, secondo il principale blocco d’opposizione congolese, non rispetterebbe l’accordo di condivisione stretto lo scorso dicembre, che permette a Kabila di rimanere in carica nonostante la scadenza del suo mandato, a condizione che questo porti alle elezioni politiche e presidenziali entro il 2017. SOMALIA 5 maggio. Un soldato americano è rimasto ucciso, e altri due sono rimasti feriti, nel corso di un’operazione organizzata congiuntamente con l’esercito somalo contro i militanti di alShabaab, a circa 60 chilometri dalla capitale Mogadiscio. Si tratta del primo morto in combattimento nelle forze USA in Somalia dal disastroso incidente Black Hawk Down del 1993. A cura di Simone Esposito

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LIBERE 82 CHIBOKGIRLS

Il negoziato tra la Nigeria e Boko Haram per le studentesse sequestrate

Di Chiara Zaghi Sabato 6 maggio sono state rilasciate, vicino alla città di Banki nello Stato nigeriano di Borno, 82 ragazze nigeriane rapite nell’aprile del 2014 da parte del gruppo terroristico di Boko Haram. La liberazione sembra essere avvenuta dopo un periodo di lunghi negoziati da parte del Governo federale nigeriano con le milizie islamiche. Il risultato è stato lo scambio delle studentesse con 5 militanti di Boko Haram arrestati nei mesi scorsi. Le ragazze liberate fanno parte del gruppo delle 276 studentesse della scuola di Chibok sequestrate la notte del 14 aprile del 2014. All’epoca riuscirono immediatamente a scappare dalla ferocia del gruppo terroristico 57 ragazze. Successivamente il gruppo ne rilasciò 21 grazie anche all’intervento e alla negoziazione della Croce Rossa Internazionale. Domenica 7 maggio, il Presidente nigeriano Muhammadu Buhari ha incontrato ad Abuja le 82 ragazze. Aisha Yesufu, portavoce dell’associazione Bring Back Our Girls, nata in favore delle studentesse nigeriane rapite, ha dichiarato: “Il nostro compito non si esaurisce solo riportandole a casa, dobbiamo assicurarsi che ottengano un adeguato appoggio psicologico e fisico”.

Le ragazze rapite, infatti, durante la prigionia hanno subito violenze e trattamenti atroci. Sembra che alcune siano tornate ferite, altre con i figli nati in questi tre anni. E’ necessario dunque prevedere una riabilitazione adeguata e nello stesso tempo permettere alle ragazze di tornare dalle loro famiglie d’origine il prima possibile. Boko Haram ha ancora in sequestro circa 113 studentesse di Chibok. La guerra contro il gruppo islamico da parte del governo nigeriano non terminerà con questa vittoria anche se, indubbiamente, è un segno positivo degli sforzi e della via da proseguire. L’evento ha avuto una grande attenzione mediatica anche attraverso l’utilizzo dei social network e la partecipazione di personaggi illustri. Ad esempio, l’ex first lady americana Michelle Obama e il Premio Nobel per la pace Malala hanno preso parte alla campagna di solidarietà lanciata su Twitter #bringbackourgirls. La Presidente della Camera Laura Boldrini, in visita ufficiale in Nigeria, ha incontrato i promotori di Bring Back Our Girls: “Sono venuta qui da voi perché il rilascio delle ragazze è anche merito vostro, avete svolto un ruolo importantissimo continuando a tenere alta l’attenzione per tutto questo tempo”.


SUD AMERICA 7 Giorni in 300 Parole

IL LAND GRABBING IN BRASILE ED I DIRITTI DELLE POPOLAZIONI INDIGENE Attacco alle popolazioni indigene da parte degli allevatori nella regione del Maranhão

ARGENTINA 8 maggio. Il presidente Mauricio Macri ha incontrato alla Casa Rosada il suo omologo italiano Sergio Mattarella. “Cio che entrambi vogliamo è una relazione preferenziale speciale” ha dichiarato Macri. L’incontro tra i due capi di Stato ha portato alla conclusione di accordi di cooperazione scientifica e tecnologica, culturali e politici. BRASILE 10 maggio. Prima deposizione in tribunale dell’ex presidente brasiliano Ignacio Lula da Silva coinvolto nello scandalo Lava Jato. Paradossalmente, la vicenda giudiziaria che vede protagonista l’ex presidente sta facendo aumentare il suo consenso, tanto che si pensa possa essere un possibile candidato alle prossime elezioni. “Una parte importante della popolazione brasiliana crede che Lula sia un perseguitato politico. Il popolo brasiliano odia la persecuzione e Lula è bravissimo nell’interpretare la psicologia popolare” ha annunciato l’ex ministro della Giustizia Ciro Gomes

CILE 7 maggio. Il partito comunista ha proposto come candidato per le

Di Anna Filippucci Survival International, il movimento mondiale per i diritti dei popoli autoctoni, ha ricevuto negli scorsi giorni foto e testimonianze di una violenta aggressione alla popolazione dei Gamela, indigeni che vivono nell’area dello stato di Maranhão, nel Brasile settentrionale. Ad attaccarli sarebbero statigli allevatori e proprietari dei territori locali, in rappresaglia al tentativo degli indigeni di riconquistare parte dell’area. La situazione in Brasile per queste popolazioni indigene è molto difficile: i loro territori ancestrali sono stati confiscati da allevatori e taglialegna, i cosiddetti Land Grabber (“accaparratori di terre”) per soddisfare i bisogni dell’agribusiness. Tra i potenti interessi coinvolti, figurano anche quelli della famiglia di proprietari terrieri Sarney, di cui fa parte un ex presidente del Brasile. Le conseguenze di queste dinamiche sulla vita delle popolazioni autoctone sono state pesanti: confinati in una porzione di territorio molto piccola rispetto a quella originale, gli indigeni sono costretti a cercare di riconquistare questi territori abusivamente. L’attacco riportato dal Survival il 5 maggio 2017 sarebbe

dunque da collocare in questo contesto, e viene descritto dai testimoni oculari come un vero e proprio massacro. Le foto mostrano arti tranciati di netto con l’uso di machete e altre lesioni molto gravi. Prima della rappresaglia c’erano state minacce contro le popolazioni, qualora queste avessero cercato di impossessarsi nuovamente dei terreni. Inoltre, sempre secondo Survival International non è da escludere che quest’aggressione sia una diretta conseguenza delle proteste avvenute nella capitale, in cui gli indigeni hanno manifestato per le loro condizioni di vita, rivendicando il possesso delle terre. In risposta all’attacco, il Conselho Indigenista Missionário (Cimi) riporta una dichiarazione di Zilmar Mendes, leader dei Gamela di Quilombo Charco-Juçaral: “La gente si sbaglia se pensa che uccidendoci metterà fine alla nostra lotta. Se ci uccidono, cresceremo ancora, ci spargeremo come semi e germineremo in molti luoghi… Né la paura, né i proiettili degliallevatori potranno fermarci”. Gli indios e i difensori dei diritti umani denunciano inoltre il legame esistente tra queste importanti lobbies dell’agricoltura e il governo di centro-destra del presidente Michel Miguel Elias Temer Lulia. MSOI the Post • 15


SUD AMERICA elezioni presidenziali, che si terranno il prossimo 19 novembre, il giornalista ed attuale senatore appartenente all’ala indipendente Alejandro Guiller. “L’abbiamo fatto con la sicurezza che è l’unico candidato di centro-sinistra che può battere Sebastian Piñera sia al primo che al secondo turno” ha affermato Guillermo Tellier, presidente del partito comunista. COLOMBIA 9 maggio. Un acceso dibattito ha avuto luogo nella città di Cali, dopo che è stata resa nota una petizione, promossa da alcuni lavoratori operanti nel settore sanitario pubblico, tesa a ostacolare i diritti dei pazienti appartenenti alla comunità LGBT. Gli ideatori dell’iniziativa hanno inoltre dichiarato che non assisteranno i pazienti omosessuali , bisessuali e transessuali. PUERTO RICO 5 maggio. Puerto Rico richiede la bancarotta assistita. L’evento determina un ulteriore punto di rottura tra il governatore di Puerto Rico, Ricardo Rossello, e i creditori di Wall Street. VENEZUELA 9 maggio. L’opposizione venezuelana ha indetto un’ulteriore protesta antigovernativa. La mobilitazione ha avuto origine sia ad est e che ad ovest di Caracas e si è sviluppata nelle ragioni di Mérida e Tàchira, aree interessate dagli scontri tra manifestanti, organi di polizia e militari la notte di martedì. Nessun rappresentante dell’opposizione si è dichiarato organizzatore della protesta. A cura di Sara Ponza

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HASTA LA VISTA SAN JUAN! Porto Rico ufficializza il proprio default

Di Daniele Ruffino A dare la notizia non è un pettegolezzo governativo ma Bloomberg, il Wall Street Journal e pochi giorni fa il New York Times. Il Porto Rico è a tutti gli effetti “fallito” con un debito di oltre 73 miliardi di dollari che ha intaccato anche i titoli di Stato con un deficit di oltre 123 miliardi di dollari. Le autorità di San Juan hanno riferito che il piccolo Stato – sotto tutela americana dopo la guerra ispanico-americana del 1898 – non è più in grado di mantenere i servizi offerti ai propri cittadini. Già diversi mesi fa i leader della comunità cattolica portoricana, tra cui S. E. Roberto González, Arcivescovo di San Juan, avevano lanciato un monito all’Esecutivo circa la gravissima situazione economica nella quale versavano le casse dello Stato (richieste alla Caritas e ai vari servizi di assistenza offerti dalla Chiesa erano aumentati vertiginosamente). Tale monito non è stato ascoltato fino a poche settimane fa, quando il Governo ha finalmente deciso di ufficializzare il processo legale di fallimento onde cercare di riparare i conti nazionali e poter garantire i servizi base agli isolani.

Dato che la piccola isola è dipendente dagli U.S.A. sia a livello militare che in parte economico, l’Esecutivo del nuovo Governatore Ricky Rosselló punta verso Washington, ma pare che fino ad oggi dalla Casa Bianca non sia arrivata nessuna buona notizia. Il procedimento vero e proprio avverrà tra qualche mese, e fino ad allora non si saprà cosa succederà al Porto Rico e alle modifiche strutturali necessarie. L’opzione più plausibile – ma scongiurata dal NYT – è quella di privatizzare diverse entità statali come spiagge o aziende, mettendo quindi lo Stato in mano ai privati. Lo scoppio del debito portoricano non è una notizia del tutto inattesa: da diversi anni il deficit pubblico sta precipitando senza freno alcuno. Come ha riportato l’Agenzia Fides, una delibera del Congresso (che evidentemente aveva già intuito la catastrofe) recita che, in caso di fallimento conclamato, sarebbe compito del governo statunitense ristrutturare l’economia isolana, dato che legalmente il Paese è uno stato confederato americano. Allo stato attuale pare che il governo degli U.S.A.verrà in aiuto del Porto Rico, ma il come non è ancora specificato.


ECONOMIA LA RIVOLUZIONE ECONOMICA E SOCIALE ISLANDESE Dopo 8 anni di crisi, l’isola rialza la testa

Di Edoardo Pignocco L’Islanda è stato il primo Paese europeo, dopo gli Stati Uniti d’America, ad essere stato travolto dalla crisi finanziaria del 2008; non solo il primo, ma anche quello colpito con più violenza. 85 miliardi di dollari, contro un PIL di 17.5 miliardi. Questo il debito che le tre banche private (Kaupthing Bank, Landsbanki e Glitnir) hanno contratto con il mondo della finanza. Quali sono state, allora, le principali misure per uscire da questa situazione? A differenza del contesto statunitense, la crisi è stata gestita in modo totalmente diverso. Le tre banche, dopo essere fallite, sono state nazionalizzate. Il Fondo Monetario Internazionale, l’Unione Europea, il Regno Unito, i Paesi Bassi e la Russia (ovvero i principali creditori) hanno, da subito, esercitato pressione per ripartire il debito delle banche sui cittadini. Altrimenti? Se così non fosse stato, i due organismi internazionali avrebbero tagliato i prestiti concessi e lasciato il Paese senza aiuti, mentre gli altri creditori avrebbero adottato forti rappresaglie, come bloccare i conti dei cittadini islandesi all’estero. Tuttavia, il capo dello Stato Ólafur Ragnar Grímsson si

rifiutò di ratificare la legge che prevedeva un piano di rimborso da parte dei cittadini di circa 100 euro al mese per 15 anni. Si vuole qui inserire una citazione di Grímsson molto significativa della situazione che si stava vivendo in Islanda, in relazione al debito: “Ci è stato detto che se rifiutiamo le condizioni, saremo la Cuba del nord ma se accettiamo, saremo l’Haiti del nord”. Così, venne indetto un referendum nel quale si dava la possibilità ai cittadini di scegliere se preferivano assolvere il debito oppure no. Il 93% dei cittadini si rifiutò di pagare. Dopo il referendum, furono messi in prigione i responsabili della crisi finanziaria, dai banchieri ai relativi controllori. In questo clima di panico, i cittadini stessi diedero vita ad un’esperienza unica: 25 di loro, votati fra tutti tra 522 candidati, si riunirono per stilare una nuova Costituzione. Il dibattito è stato messo in streaming e tutti potevano sottoporre dei commenti sull’operato dei 25. Un vero esempio di democrazia (quasi) diretta. Da sottolineare che l’Islanda aveva fatto domanda per entrare nell’Unione Europea. Ebbene, il governo di centro destra l’ha cancellata nel 2013. Il motivo? Una delle

ragioni cruciali per cui l’isola nordica è riuscita comunque a salvarsi è che la sua economia si basa su fattori solidi e reali. Il principale è il commercio ittico. Se fossero entrati nella UE, quest’ultima avrebbe imposto forti regolamentazioni sulla quantità del pescato, oltre a tutta una serie di imposizioni finanziarie. Altro elemento determinante per la ripresa è stato senza dubbio il turismo. Infatti, come conseguenza del fallimento delle banche, il Governo ha spostato i conti dei cittadini in banche sane. Questo ha causato il crollo della Corona islandese nei confronti dell’Euro per più del 85%, moltiplicando ancora di più i debiti. Ciononostante, questo ha permesso di rendere ancora più attrattiva l’isola: il turismo è, di conseguenza, raddoppiato, registrando 2 milioni di turisti l’anno, contro i 320 mila abitanti. Da ricordare, però, che le imposte sono ancora molto alte (l’imposta sui consumi è al 25%) e che il blocco dei capitali, valevole sia per gli islandesi sia per gli stranieri e finalizzato ad evitare che gli spostamenti di denaro possano destabilizzare una serenità economica appena ritrovata, è ancora presente (ancora per poco). MSOI the Post • 17


ECONOMIA L’INTERMEDIAZIONE FINANZIARIA PASSO PASSO - PARTE I L’iter che ha portato all’introduzione del Testo Unico della Finanza

Di Martina Unali Il diritto dell’intermediazione finanziaria è relativamente recente. Sebbene fosse presente la legge istitutiva delle Borse Valori già dal 1913, è solo con la legge sulle Società di intermediazione mobiliare (SIM) del 1991 che il legislatore ha introdotto un sistema di norme organico in materia di intermediazione finanziaria. Fino ad allora, non esisteva un sistema di disciplina della materia in quanto, in Italia, non era operativo un mercato finanziario vero e proprio, ma solamente un mercato molto piccolo nel quale qualsiasi operazione di compravendita provocava forti oscillazioni del prezzo. Le motivazioni di tale “avversione” erano riconducibili all’assenza di scambi, alla diffidenza di emittenti e risparmiatori e alle esigue negoziazioni, queste ultime dovute a scarsità di titoli e minori volumi di scambio. Qualcosa è cambiato con la legge n° 216 del 1974, nota come la “mini-riforma delle società per azioni”, che ha eretto il pilastro della disciplina della tutela dell’investitore. La legge prevedeva: l’introduzione delle azioni di risparmio, ossia prive del diritto di voto, per superare il fenomeno della separazione tra proprietà e

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controllo; l’introduzione delle obbligazioni convertibili, cioè la possibilità data all’obbligazionista di convertire, a scadenza, le obbligazioni in azioni; l’istituzione della Consob, con funzioni di controllo, vigilanza e regolamentazione dei mercati. La norma cardine di questa legge era l’articolo 18, che presentava elementi di novità, introducendo il concetto di offerta al pubblico e la comunicazione alla Consob per l’emissione di titoli, la quale aveva il potere di accertare la presenza di elementi informativi utili al risparmiatore per renderlo consapevole. Compariva così, per la prima volta, la tutela del risparmiatore e il diritto all’informazione. Tale articolo è stato poi modificato dall’articolo 12 della legge n° 77 del 1983, che istituiva il primo sistema di disciplina delle attività mobiliari. Il “nuovo” articolo 18 prevedeva che chiunque intendesse procedere alla compravendita di qualsiasi valore mobiliare doveva, preventivamente, comunicare l’offerta di mercato e fornire un prospetto alla Consob, la quale poi ne poteva autorizzare il collocamento. Gli istituti innovativi furono il valore mobiliare, la sollecitazione al pubblico risparmio, gli obblighi a carico dell’emittente

e l’introduzione del metodo casistico, vale a dire che l’articolo non conteneva una definizione generale, ma un elenco di fattispecie. Questo sistema è rimasto in vigore sino al 1991, anno in cui è stata promulgata la legge sulle SIM, che rappresenta un sistema di disciplina dell’intermediazione mobiliare che non si sostituisce all’articolo 18 sopracitato, ma rappresenta la cornice al cui interno si colloca il sistema della sollecitazione al pubblico risparmio del valore mobiliare. Le sue peculiarità sono: l’istituzione delle SIM quale istituto polifunzionale, in sostituzione dell’agente di cambio; e l’introduzione di requisiti speciali per differenziarle dalle SpA di diritto pubblico e per poter esercitare l’attività di intermediazione mobiliare. Con tale legge, inoltre, entrano a far parte del nostro ordinamento i contratti di negoziazione, di collocamento, di raccolta ordini di acquisto/vendita di valori mobiliari, di gestione del patrimonio su base individuale e di consulenza di valori mobiliari, sino a quel momento innominati e atipici; infine, si aprono le porte ai contratti derivati, ampliando la precedente nozione di valore mobiliare.


DIRITTO INTERNAZIONALE ED EUROPEO PIRATI MODERNI E ANTICA LEGGE

Il diritto internazionale e le sfide della pirateria contemporanea

Di Luca Imperatore “Que es mi barco mi tesoro, que es mi Dios la libertad; mi ley, la fuerza y el viento; mi única patria, la mar” José de Espronceda, “La canción del Pirata” (1840) Lontani dall’anelo libertario che il mare evocava in epoche passate, a pochi giorni dalla pubblicazione del nuovo Commentario alla II Convenzione di Ginevra del 12 agosto 1949, si è riaperto il dibattito, mai sopito, circa i tentativi di regolamentazione e di contrasto ad un fenomeno tutto fuorché superato: la pirateria. Lungi dall’essere il retaggio anacronistico di un passato leggendario, la pirateria rappresenta ancora oggi una sfida per il diritto internazionale. Dall’inizio dell’anno sarebbero stati almeno 31 gli attacchi denunciati, dato che include anche gli assalti sventati e gli avvicinamenti sospetti (14 in tutto). Secondo i dati dell’International Maritime Bureau, il 2010 avrebbe visto un picco totale di 445 incidenti legati alla pirateria, solo in parziale diminuzione negli anni seguenti. La pirateria, affonda le sue radici nell’antica categoria dei crimina iuris gentium.

La teoria della giurisdizione universale,formatasi proprio al fine di contrastare questa condotta, ha permesso per secoli agli Stati di perseguire e punire il pirata, ovunque catturato e di qualunque nazionalità egli fosse. Oggi, naturalmente, gli strumenti e le tecniche della pirateria sono notevolmente cambiati, ciononostante la fattispecie non ha smesso di rappresentare una problematica considerevole per la sicurezza in mare. L’assenza di un consensus internazionale circa la definizione di pirateria, contribuisce a rendere labili i confini del fenomeno e arduo il suo contrasto. La Convezione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (1982) fornisce, agli artt. 100107, una definizione generale che esclude una vasta pluralità di condotte – quali ad esempio gli attacchi all’interno delle acque territoriali di uno Stato. Definizioni più inclusive, sono invece quelle adottate dall’International MaritimeOrganisation (IMO) o dalla Convenzione per la soppressione degli atti illeciti contro la sicurezza della navigazione marittima (1988). Il fenomeno si è caratterizzato negli ultimi anni per la straordinaria ferocia e violenza che comporta una grave minaccia per la vita degli equipaggi as-

saltati. Unitamente a questo, gli attacchi a navi cargo, trasporti petroliferi e imbarcazioni mercantili costituiscono un costante danno anche per gli interessi privati, basti pensare agli alti costi assicurativi necessari per far fronte a tale rischio. Molteplici sono stati gli strumenti normativi impiegati: dalla Proliferation Security Initiative (PSI) adottata a Parigi nel 2003, si è passati alla ben nota e più incisiva risoluzione 1814 del 2008 del Consiglio di sicurezza ONU – in relazione al caso somalo – che autorizzava l’ingresso nelle acque territoriali del golfo di Aden e la conduzione di operazioni di contrasto anche sulla terraferma. Nonostante non manchino volenterose attività anche a livello regionale, come l’operazione ‘Atalanta’ voluta dall’UE nel 2008 a protezione delle navi della World FoodProgramdirette in Somalia, pare decisiva l’assenza di un coordinamento internazionale in materia. La complessità connaturata nella regolamentazione del mare, le difficoltà del lavoro di enforcement del diritto internazionale e le diverse visioni del problema, rendono, di fatto, la pirateria una piaga ancora difficile da debellare. MSOI the Post • 19


DIRITTO INTERNAZIONALE ED EUROPEO DIRITTO DELL’AMBIENTE E PERSONALITÀ GIURIDICA: QUALE RAPPORTO? La natura chiede sempre più voce. Il diritto è chiamato a dare risposte

Di Pierre Clément Mingozzi È di pochi mesi fa la decisione del Parlamento neozelandese di riconoscere il fiume Whanganui come persona giuridica e di porre così fine a una battaglia legale durata oltre 150 anni. D’ora in avanti, il fiume sacro per la comunità Maori sarà a tutti gli effetti un soggetto di diritto e dunque sarà difeso, in caso di necessità, rispettivamente da un rappresentante del governo e da un membro della comunità stessa. Tale decisione, pur avendo portato con sé strascichi di commenti e molte perplessità, non è una prima in assoluto. Tutt’altro. Nel medesimo periodo infatti, anche in India il fiume Gange e lo Yamuna sono stati definiti come “entità viventi con lo statuto di persone morali” dall’alta Corte dello Stato himalayano dell’Uttarakhand. Ciò permetterà concretamente agli abitanti del territorio di poter adire un tribunale a nome dei due fiumi e dunque, difenderne gli interessi nel caso in cui quest’ultimi fossero messi in pericolo da attività umane che nella regione sono particolarmente intense. Oltre ad aver il merito di riproporre nel dibattito internazionale le tematiche ambientali e gli sviluppi che esse possono avere in ambito giuridico, tali decisioni si posizionano

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su quella che appare essere una linea evolutiva sempre più marcata a livello internazionale: un rimodellamento delle categorie giuridiche maggiormente in sintonia con l’ambiente naturale.

riconoscimento nel diritto internazionale dell’ambiente del cosiddetto “pure ecologica ldamage” in caso di valutazione (e riparazione) di un danno ambientale.

Le tematiche ambientali sono estremamente importanti per i paesi dell’America Latina: il caso ecuadoregno e quello boliviano sono paradigmatici in tal senso. L’Ecuador è stato il primo paese nel 2008 a introdurre costituzionalmente il diritto della “natura o Pacha Mama, dove si riproduce e si realizza la vita, (…) al mantenimento e alla rigenerazione dei suoi cicli vitali, strutture, funzioni e processi evolutivi” (art.71). La Bolivia, dal canto suo, ha invece votato una legge nel 2010 sui “diritti della Madre Terra” attribuendo alle risorse naturali un diritto alla rigenerazione, alla vita e alla diversità.

Tuttavia, recentemente anche gli animali sono stati oggetto di tentativi di conferimento di garanzie e diritti supplementari. Nel 2014, infatti, due casi riguardanti scimpanzé finirono sotto i riflettori dell’opinione pubblica. Il primo riguardava lo scimpanzé Tommy al quale la Corte Suprema di New York rifiutò lo status di persona giuridica in quanto, secondo il parere espresso, gli animali godono solo di diritti e non doveri, possibilità questa che contrasta con lo status di persona giuridica. Il secondo caso invece -portato davanti la Suprema Corte di Buenos Aires e riguardante la personalità giuridica dello scimpanzé Sandra-, ribaltò la visione data dal tribunale di New York stabilendo per la prima volta che l’animale, provando sentimenti ed emozioni simili a quelle degli umani, andasse riconosciuto come “persona non umana”.

Il rapporto che intercorre tra il diritto e la natura è sempre stato caratterizzato da uno sbilanciamento nei confronti degli interessi economici che provengono dall’utilizzo e dallo sfruttamento di quest’ultima -concezione avallata da una visione puramente antropocentrica dell’ambiente-, senza un reale riconoscimento della natura come entità in quanto tale. A riguardo, è significativo ricordare la difficoltà del

L’ecologia del diritto è dunque chiamata a ricoprire un ruolo fondamentale nel panorama internazionale, cercando di rispondere alle necessità sempre più impellenti della natura.


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