MSOI thePost Numero 66

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Il Settimanale di M.S.O.I. Torino


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MSOI Torino M.S.O.I. è un’associazione studentesca impegnata a promuovere la diffusione della cultura internazionalistica ed è diffuso a livello nazionale (Gorizia, Milano, Napoli, Roma e Torino). Nato nel 1949, il Movimento rappresenta la sezione giovanile ed universitaria della Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale (S.I.O.I.), persegue fini di formazione, ricerca e informazione nell’ambito dell’organizzazione e del diritto internazionale. M.S.O.I. è membro del World Forum of United Nations Associations Youth (WFUNA Youth), l’organo che rappresenta e coordina i movimenti giovanili delle Nazioni Unite. Ogni anno M.S.O.I. Torino organizza conferenze, tavole rotonde, workshop, seminari e viaggi studio volti a stimolare la discussione e lo scambio di idee nell’ambito della politica internazionale e del diritto. M.S.O.I. Torino costituisce perciò non solo un’opportunità unica per entrare in contatto con un ampio network di esperti, docenti e studenti, ma anche una straordinaria esperienza per condividere interessi e passioni e vivere l’università in maniera più attiva. Elisabetta Botta, Segretario M.S.O.I. Torino

MSOI thePost MSOI thePost, il settimanale online di politica internazionale di M.S.O.I. Torino, si propone come un modulo d’informazione ideato, gestito ed al servizio degli studenti e offrire a chi è appassionato di affari internazionali e scrittura la possibilità di vedere pubblicati i propri articoli. La rivista nasce dalla volontà di creare una redazione appassionata dalla sfida dell’informazione, attenta ai principali temi dell’attualità. Aspiriamo ad avere come lettori coloro che credono che tutti i fatti debbano essere riportati senza filtri, eufemismi o sensazionalismi. La natura super partes del Movimento risulta riconoscibile nel mezzo di informazione che ne è l’espressione: MSOI thePost non è, infatti, un giornale affiliato ad una parte politica, espressione di una lobby o di un gruppo ristretto. Percorrere il solco tracciato da chi persegue un certo costume giornalistico di serietà e rigore, innovandolo con lo stile fresco di redattori giovani ed entusiasti, è la nostra ambizione. Jacopo Folco, Direttore MSOI thePost 2 • MSOI the Post

N u m e r o

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REDAZIONE Direttore Jacopo Folco Vicedirettore Davide Tedesco Caporedattori Giusto Amedeo Boccheni, Pilar d’Alò, Pauline Rosa Capi Servizio Rebecca Barresi, Luca Bolzanin, Sarah Sabina Montaldo, Daniele Pennavaria, Leonardo Scanavino, Giulia Tempo, Martina Terraglia, Chiara Zaghi Media e Management Samantha Scarpa Redattori Federica Allasia, Erica Ambroggio, Elena Amici, Daniele Baldo, Lorenzo Bardia, Giulia Bazzano, Lorenzo Bazzano, Andrea Bertazzoni, Giusto Amedeo Boccheni, Luca Bolzanin, Giulia Botta, Maria Francesca Bottura, Adna Camdzic, Matteo Candelari, Claudia Cantone, Giulia Capriotti, Emanuele Chieppa, Giuliana Cristauro, Lucky Dalena, Alessandro Dalpasso,Francesca Maria De Matteis, Luca De Santis, Sabrina Di Dio,Ilaria Di Donato, Sofia Ercolessi, Simone Esposito, Guglielmo Fasana, Kevin Ferri, Giulia Ficuciello, Alessandro Fornaroli, Lorenzo Gilardetti, Ann-Marlen Hoolt, Michelangelo Inverso, Vladimiro Labate, Giulia Marzinotto, Simone Massarenti, Efrem Moiso, Virginia Orsili, Daniele Pennavaria, Ivana Pesic, Edoardo Pignocco, Sara Ponza, Jessica Prieto, Carolina Quaranta, Giacomo Robasto, Daniele Reano, Jean-Marie Reure, Clarissa Rossetti, Michele Rosso,Daniele Ruffino , Martina Santi, Federico Sarri, Leonardo Scanavino, Martina Scarnato, Samantha Scarpa, Francesca Schellino, Viola Serena Stefanello, Lola Ferrand Stanley, Giulia Tempo, Martina Terraglia, Elisa Todesco, Francesco Tosco, Tiziano Traversa, Fabio Tumminello, Chiara Zaghi, Francesca Maria De Matteis, Martina Unali, Elisa Zamuner. Editing Lorenzo Aprà Copertine Amandine Delclos, Carolina Elisabetta Zuniga Vuoi entrare a far parte della redazione? Scrivi una mail a thepost@msoitorino.org!


EUROPA 7 Giorni in 300 Parole AUSTRIA 15 maggio. L’Austria andrà al voto anticipato in autunno dopo le dimissioni del vice cancelliere e segretario del Partito Popolare (ÖVP), Reinhold Mitterlehner. Sebastian Kurz ha incontrato Van der Bellen e Kern per decretare l’eclissi della coalizione e chiedere una campagna elettorale a settembre. FRANCIA 14 maggio. Emmanuel Macron, neo eletto presidente della Repubblica francese si è recato all’Eliseo per il tradizionale passaggio di consegne con il premier uscente, François Hollande.

15 maggio. Il nuovo capo dell’Eliseo è andato a Berlino per la prima e visita ufficial . Angela Merkel ed Emmanuel Macron sono pronti a rivedere i trattati europei per rafforzare gli interessi nazionali. 16 maggio. Il presidente francese Emmanuel Macron ha incontrato il nuovo primo ministro Édouard Philippe per mettere a punto la formazione del nuovo governo. GERMANIA 15 maggio. L’Unione Cristiano-Democratica (CDU) di Angela Merkel vince le elezioni per il rinnovo del Landtag nel Nord-Reno Westfalia. Risultato rilevante in vista delle elezioni

UNPRECEDENTED CYBER ATTACK HITS THE WORLD A wake-up call for governments and companies

By Lola Ferrand The global cyber attack that hit the world on Friday 12th May has caused “200,000 victims, mostly businesses, in at least 150 countries”, said Europol Director Rob Wainwright on Sunday. The “Wanna Cry” ransom ware encrypts the contents of computers on which it is installed, making it inaccessible to its owner and demanding a $300 payment in bitcoins to unlock it. The attack has hit many computers and disrupted the operation of administrations and businesses in Europe and around the world. WanaCrypt0r 2.0 relies on a Microsoft Windows security vulnerability that has only recently been revealed. The flaw had been corrected by Microsoft shortly before, but the Company had to air a security patch on Sunday. The assault first hit the National Health Service (NHS) in the UK, disabling 47 of the 248 trusts in England plus several in Scotland, forcing them to postpone operations and procedures over the weekend. This malicious software then spread to organisations including the French carmaker Renault, the Russian banking system, the American FedEx group, the Spanish telecommunications giant Telefonica and universities in Greece and Italy.

The cyber attack continued to spread throughout the weekend and on Monday, reaching the Asian continent and affecting thousands of users in China and Japan. Chinese state media say more than 29,000 institutions across the country have been infected, along with hundreds of thousands of devices, impacting universities and government services amongst others. The Japan Computer Emergency Response Team Co-ordination Centre said 2,000 computers in 600 companies had been affected. It is suggested about $38,000 had been paid by Monday morning. The massive spread of WanaCrypt0r 2.0 wasslowed on Saturday afternoon, as a computer security researcher purchased the URL’s corresponding domain name. Unknowingly, this approach actually hindered the spread of the ransomware, designed to stop working if this domain name becomes active. The cyber-attack can be traced back to the US NSA (National Security Agency) – raising questions over the US government’s decision to keep such flaws a secret. The scale of this event also questions the ability of governments and institutions to face these new technological threats. “The governments of the world should treat this attack as a wake-up call”, said Microsoft president Brad Smith.

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EUROPA federali tedesche che si terranno il 24 settembre 2017.

MERKEL EFFEKT

La CDU scardina il “fortino Rosso” della Vestfalia

GRECIA 17 maggio. I lavoratori scendono in piazza per protestare contro l’approvazione in parlamento di nuove misure di austerità.

Di Simone Massarenti

ITALIA 17 maggio. Putin e Gentiloni si sono incontrati nella residenza presidenziale Bocharov Ruchei per un incontro bilaterale. Durante il colloquio il leader della Federazione Russa ha affermato che da quando Gentiloni è diventato Premier l’interscambio tra Italia e Russia ha ripreso a crescere dopo anni di declino. REGNO UNITO 12 maggio. I sistemi del servizio sanitario britannico sono stati presi di mira da un attacco informatico che ha colpito anche altri Paesi, tra i quali la Spagna. A cura di Giuliana Cristauro

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Nonostante le elezioni alla Cancelleria del 24 settembre siano ancora distanti, la CDU di Angela Merkel ha appena posto un tassello importante nella costruzione di una nuova vittoria. Il 14 maggio scorso, infatti, il partito social-democratico tedesco ha sostituito i socialisti di Martin Schulz al governo della regione del NordReno Vestfalia, considerata il “fortino Rosso” della Germania. Il land più popoloso della Germania, spesso decisivo per le sorti delle elezioni nazionali, ha smorzato lo “Shulz Effekt”, mettendo in seria discussione l’efficacia della candidatura dell’ex presidente del Parlamento Europeo. Secondo la stampa nazionale tedesca il risultato deludente della SPD è dipeso dalla “sfiducia dei cittadini nelle istituzioni dopo i fatti di Colonia” a tal punto da ledere alla stabilità del partito. Le reazioni interne alla SPD sono state durissime, esemplificate dalle dimissioni della premier del land Hannelore Kraft. L’“onda d’urto” non si è fatta attendere: alcuni media hanno

avanzato supposizioni circa il ritiro della candidatura di Schulz (voci smentite dall’ufficio stampa della SPD). Il candidato Cancelliere, nonostante la sonora sconfitta in Vestfalia, ha dichiarato che “l’obiettivo della SPD è ora capire i reali bisogni di Berlino”, dirottando l’attenzione sulla sfida di settembre. Nonostante questo, le dimissioni della presidente Kraft non sono passate inosservate, e l’SPD continua a perdere consensi in tutto il paese. Di tutt’altro tono le parole dei rappresentati della CDU, che si dichiarano pronti a vincere ogni sfida elettorale da qui al 24 settembre. Armin Laschet, candidato Presidente per il land di Düsseldorf, ha commentato il risultato definendolo una “buona giornata per il NordReno Vestfalia”, poiché la vittoria implica l’avanzamento della CDU come primo partito della regione. Con questo risultato, inoltre, il blocco CDU-CDS (rappresentanza del CDU nella Baviera) si attesta al 37% a livello nazionale, distaccando di oltre 10 punti percentuali la SPD.


NORD AMERICA 7 Giorni in 300 Parole STATI UNITI D’AMERICA 12 maggio. “Comey deve sperare che non ci siano registrazioni delle nostre conversazioni, prima che cominci a parlare con la stampa!”. A dirlo è il presidente Donald Trump in alcuni tweet relativi al licenziamento dell’ex direttore dell’FBI. Interpretati da molti come minacce, la portata dei tweet è poi stata ridimensionata dal portavoce della Casa Bianca Sean Spicer: “L’intenzione del Presidente non era intimidatoria” ha spiegato ai giornalisti. 17 maggio. Informazioni altamente classificate sono state rivelate a esponenti del governo russo. Secondo quanto riportato dal Washington Post, il presidente Trump avrebbe rivelato informazioni segrete sul sedicente Stato Islamico al Ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov e all’ambasciatore russo a Washington Sergey Kislyak. “Come presidente volevo condividere con la Russia, cosa che ho assolutamente il diritto di fare, alcuni fatti relativi al terrorismo e alla sicurezza dei voli aerei” la replica di Trump. 17 maggio. Bufera su Donald Trump: secondo il New York Times, egli avrebbe cercato di affondare le indagini dell’FBI sui rapporti tra la Russia e alcuni esponenti della sua amministrazione tra cui l’ex consigliere alla sicurezza nazionale Michael Flynn. A rivelarlo sono gli appunti che l’ex direttore Comey ha prodotto in seguito ad alcuni incontri con il Presidente. Stando alle memo, Trump avrebbe chiesto di interrompere l’indagine federale. 17 maggio. Chelsea Manning è stata liberata. L’ex soldato ha scontato la pena detentiva di 7

LA DIRTBAG LEFT

Una nuova piattaforma digitale arricchisce il panorama politico statunitense Di Lorenzo Bazzano Felix Biederman, Matt Christman e Will Menaker si sono conosciuti alcuni anni fa su Twitter e si sono resi conto di avere molte cose in comune: l’interesse per la politica, uno spiccato senso dell’umorismo e un’insofferenza crescente nei confronti del sistema politico americano. Nel marzo del 2016 i loro interessi comuni sono diventati una piattaforma on-line; i tre giovani hanno infatti creato un vodcast, il Chapo trap house (dal nome del celebre narcotrafficante messicano), in cui pubblicano video satirici (e caratterizzati da un linguaggio spiccatamente volgare) sulla situazione politica statunitense. La comunità digitale che si è così creata è stata presto ribattezzata dirtbag left, letteralmente “sinistra sporca”. Il loro orientamento riflette una visione del mondo, e soprattutto della politica attuale, fortemente nichilista. Il loro punto di partenza è che la politica e i giornalisti statunitensi sono corrotti, che il mondo è condannato alla rovina e che tanto vale riderci su. Il Chapo trap house ha attirato l’attenzione dell’opinione pubblica americana soprattutto durante le elezioni, quando il gruppo ha iniziato a criticare duramente sia il Partito Democratico di Hillary Clinton sia il Partito Repubblicano di Donald Trump.

La dirtbag left rimane convinta che Bernie Sanders avrebbe dovuto vincere le primarie dei democratici, e il loro obiettivo primario è continuare le sue battaglie. La dirtbag left è fortemente critica nei confronti del pensiero liberale e liberista, che identifica nelle politiche di Hillary Clinton e negli orientamenti mainstream dell’opinione pubblica americana. Ritengono che il capitalismo sia destinato a morire e che il conservatorismo sia controproducente. Il movimento è anche molto sensibile alle disuguaglianze crescenti che caratterizzano la realtà degli Stati Uniti, e che sono uno dei fattori che più ha contribuito alla vittoria di Trump. I ragazzi del Chapo Trap House si sentono infatti molto vicini alle minoranze e alle classi sociali più disagiate, cioè a quella parte di elettorato che secondo loro Hillary Clinton non è riuscita a intercettare. La Chapo Trap House ha abbozzato alcuni progetti per il futuro: vogliono aprire un sito web, pubblicare saggi e raggiungere una copertura internazionale. La dirtbag left è la dimostrazione che la politica statunitense non si riduce ai due partiti più importanti, ma è ben più complessa e sfaccettata, soprattutto in un’epoca in cui molte delle categorie politiche tradizionali sembrano venire meno. MSOI the Post • 5


NORD AMERICA anni per aver passato migliaia di documenti a Wikileaks. La condanna, che inizialmente prevedeva 35 anni di carcere, era stata commutata dall’ex presidente Barack Obama. 18 maggio. Le tensioni a Washington affondano Wall Street. Si è conclusa la luna di miele tra il presidente Trump e i mercati: nella giornata di ieri gli indici di New York hanno fatto registrare un netto calo (Dow Jones -1,76%, Nasdaq -2,57%, S&P 500 -1,80%). Si tratta del peggior listino dal settembre 2016.

COMEY FIRED

Si restringe la cerchia dei “fedelissimi”

Di Martina Santi La decisione del presidente Donald Trump di sollevare James Comey dal suo incarico di direttore dell’FBI è stata resa nota dalla Casa Bianca, nella giornata di Martedì 9 maggio. L’iniziativa sembrerebbe esser stata promossa dal Procuratore Generale, J. Sessions, e dal suo vice, R. Rosenstein, i quali avrebbero caldamente suggerito al Presidente la necessità di una cambio di vertice all’FBI. Secondo questi ultimi, nel corso delle investigazioni relative alle famigerate e-mail di Hillary Clinton, il direttore dell’intelligence avrebbe violato alcuni principi del Dipartimento di Giustizia.

CANADA 17 maggio. Un ponte tra Canada e Italia. Il governo canadese ha stanziato 2 milioni di dollari per la ricostruzione di Norcia e Amatrice, due dei Paesi italiani colpiti dal terremoto del 2016. Ad annunciarlo sono gli stessi primi cittadini dei comuni umbri, di ritorno dal viaggio a Toronto dove hanno incontrato il primo ministro Justin Trudeau. Altri fondi per la ricostruzione saranno raccolti dalla comunità italiana in Canada. A cura di Federico Sarri

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Il direttore, a tal proposito, è stato definito “unpredictable” e “uncooperative”, specialmente a seguito della decisione dell’FBI di riaprire l’indagine relativa al Mailgate (chiusa l’estate precedente senza alcuna incriminazione), a soli dieci giorni delle elezioni presidenziali, a causa dell’emersione di nuovi gravi elementi. La notizia aveva suscitato le proteste del partito democratico, il quale non riteneva le nuove prove tali da giustificare la riapertura del caso, nell’imminenza delle elezioni. Trump, invece, accolse con entusiasmo la decisione di Comey, elogiandolo: “He shows guts”, commentò, allora.

La riapertura delle indagini, infatti, aveva duramente compromesso la candidatura di Hillary Clinton alle presidenziali americane e messo in una più vantaggiosa posizione quella del magnate. La giustificazione di un tale cambio di rotta addotta dal Presidente, che ha citato le osservazioni riferite dal Dipartimento di Giustizia, sembra infatti nasconderne un’altra, per molti più verosimile: la mancata volontà di Comey di porre fine alle indagini sul Russiagate, ossia sulla presunta intromissione del Cremlino nella campagna elettorale del Tycoon. Durante una cena con Trump, infatti, Comey aveva mostrato la sua determinazione nella libera gestione del caso, promettendo al Presidente “honesty”, anziché “loyalty”. Il licenziamento, così repentino, del direttore dei servizi di sicurezza non può che far sorgere qualche dubbio. L’indipendenza dell’FBI rischia ora di venire compromessa, con un cambio di leadership in grado di favorire la White House. Non è dunque un caso che il partito Democratico abbia richiesto la nomina di un procuratore speciale e indipendente, che prosegua l’indagine sul Russiagate. L’episodio rivela, insomma, l’incapacità ( o la riluttanza?) del presidente Trump di prendere importanti decisioni senza condizionamenti, e non fa che indebolire e compromettere la presidenza del Tycoon.


MEDIO ORIENTE 7 Giorni in 300 Parole EGITTO 13 maggio. Un gruppo di archeologi al lavoro nell’Egitto centrale ritrova 17 mummie in buone condizioni, che datano dell’epoca di Alessandro Magno.

ADDIO A MABAT LAHADASHOT, IL TG PIU’ LONGEVO DI ISRAELE La riforma della Israeli Broadcasting Authority chiude il TG di Canale 1, durava dal ‘68

GIORDANIA 17 maggio. Apre il primo acceleratore di particelle nel Medio Oriente, a seguito di un progetto scientifico. IRAN 13 maggio. Alla vigilia delle elezioni, il Presidente uscente Rhoani attacca duramente in un dibattito televisivo gli avversari provenienti dal clero conservatore. “Signor Raisi, come giudice del tribunale islamico può anche emanare un ordine di arresto nei miei confronti, ma per favore non usi la religione come pretesto per il potere”. Questa fra le frasi più salienti del dibattito. IRAQ 15 maggio. Le truppe irachene, supportate dagli USA, danno l’assalto all’ultima porzione di Mosul ancora nelle mani dell’IS; ISRAELE 14 maggio. Attentatore giordano si scaglia contro militari iraeliani a Gerusalemme est, armato di un coltello, muore sul colpo. 15 maggio. In una serie di raid lanciati alle prime ore del mattino viene arrestato lo scrittore palestinese Ahmad Qatamesh insieme ad almeno 13 altre persone. 17 maggio. L’ambasciatore nominato da Trump in Israele, Friedman, atterra a Tel Aviv. Fra due giorni la vista dello stesso Presidente USA. YEMEN 13 maggio. Forte dell’appoggio

Di Maria Francesca Bottura

denti ora senza un lavoro.

“Che cosa siamo, criminali?”. Così ha esordito Yaakov Ahimeir, una delle voci più autorevoli del telegiornale serale Mabat, che dal 1968 portava le notizie all’attenzione dei cittadini israeliani.

“Non è in gioco la libertà di espressione in Israele, anche perché oramai le piattaforme da cui prendiamo le informazioni sono molto varie e nel Paese sono presenti tutte le voci. Il problema è lo sperpero di energie e soldi pubblici”, ha precisato Amit Shejter, capo del dipartimento di Comunicazione della Ben Gurion University a Be’er Sheva, nel sud del Paese. Una precisazione dovuta alla recente disputa tra il primo ministro Netanyahu e il ministro delle finanze Moshe Kahlon, in merito alla modifica del canale pubblico israeliano, che il Primo Ministro desiderava sdoppiare in due canali diversi: uno dedicato alle notizie e uno all’intrattenimento. Disputa che ha rischiato di portare il Paese ad una crisi di governo, ma che fortunatamente è stata risolta dallo stesso Primo Ministro.

Una decisione presa dal primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, che nel suo precedente mandato aveva appoggiato la riforma della Israeli Broadcating Authority (IBA), nel tentativo di alleggerire le pratiche burocratiche al suo interno e di diminuire il numero eccessivo di dipendenti. Con il nuovo mandato, però, il Primo Ministro ha deciso di modificare profondamente questa riforma, con un fine diverso: limitare l’indipendenza politica dell’emittente. Ad annunciare l’accaduto in diretta è stata la conduttrice Geula Even, la quale, visibilmente turbata dalla notizia appena ricevuta ha comunicato a tutti i telespettatori che quello sarebbe stato l’ultimo telegiornale. Una decisione del Parlamento israeliano che ha colpito duramente tutti i giornalisti del TG serale, oltre che tutti i dipen-

Intanto rimane lo sdegno di tutti i giornalisti di Canale 1, che a fronte della riforma erano già consci del fatto che qualcosa sarebbe cambiato, ma non in modo così drastico e senza preavviso. MSOI the Post • 7


MEDIO ORIENTE del Consiglio di Cooperazione del Golfo, il Presidente yemenita Abd-Rabbu Mansour Hadi rifiuta il consiglio di transizione politica del generale al-Zubaidi, ex-governatore di Aden. 15 maggio. Secondo il Comitato Intenazionale della Croce Rossa, l’epidemia di colera scoppiata nel Paese ha già mietuto 115 persone. Definita come “preoccupante”, il numero di morti sembra destinato ad aumentare. PALESTINA 13 maggio. Le elezioni locali tenutesi sabato si risolvono in una vittoria di Fatah, solo partito a non aver boicottato le elezioni. 16 maggio. Si svolgono le commemorazioni per il 69 anniversario del Nakba, “giorno della catastrofe” dove 750.000 palestinesi furono allontanati dalle loro abitazioni. SIRIA 14 maggio. Le Forze Democratiche Siriane si avvicinano sempre più al feudo dell’ISIL, Raqqa. 15 maggio. I ribelli Siriani lasciano Damasco mentre l’esercito avanza, spostandosi da Quaboun a Idlib, come da accordi. TUNISIA 13 maggio. Un ambulante si dà fuoco per protesta, scaramucce tra la polizia e i manifestanti scesi in strada dopo la fatto il giorno stesso. TURCHIA 16 maggio. 85 funzionari dei Ministeri dell’Energia e dell’Educazione sono stati arrestati nell’ambito delle indagini sul predicatore Fethullah Gülen, accusato di essere all’origine del fallito colpo di Stato della scorsa estate. A cura di Jean-Marie Reure

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LO YEMEN AI TEMPI DEL COLERA

115 morti da fine aprile: Sana’a dichiara lo stato d’emergenza

Di Lorenzo Gilardetti Il governo di Sana’a, capitale yemenita controllata interamente dalle forze ribelli degli houthi, ha dichiarato lo stato d’emergenza e ha chiesto aiuto alla Comunità Internazionale. Secondo la Croce Rossa Internazionale, sono più di 8500 i casi di colera tra quelli sospetti e quelli accertati, che dal 27 aprile al 13 maggio hanno fatto collassare il sistema sanitario del Paese. Lo Yemen è già stato messo in ginocchio dalla guerra civile, evento che conta nello stesso periodo già 115 vittime (circa 40 solo nell’ultima settimana). Il colera è un’infezione intestinale che porta a diarrea, vomito, e soprattutto a una grave disidratazione. Se non viene fronteggiata adeguatamente, può rivelarsi mortale in poco tempo. La trasmissione può avvenire tramite la contaminazione di acqua e cibi con il batterio vibrio colherae. L’aumento dei casi a macchia d’olio da Sana’a verso la provincia di Amanat al-Semah e la città di Aden è proprio dovuto alla grave situazione creata dalla guerra civile che sta vivendo il Paese. Se l’Organizzazione Mondiale della Sanità, già a fine marzo, aveva individuato 7 milioni di persone a imminente rischio ca-

restia, oggi l’ONU registra 14 milioni di persone senza possibilità di accesso alle cure base e quasi 19 milioni, equivalenti al 60% della popolazione totale, che vivono in situazioni di insufficienza alimentare e che quindi sono ad alto rischio di contaminazione. La mancanza di accesso all’acqua potabile, la scarse condizioni igieniche e la distruzione negli ultimi due anni di guerra di circa 300 infrastrutture ospedaliere, sono le cause principali che hanno portato le autorità houthi a dichiarare con lo stato di emergenza l’incapacità di fronteggiare un’epidemia che hanno definito come “una vera catastrofe”. Oltre alle strutture sanitarie adeguate, infatti, mancano anche i fondi sia per i medicinali standard sia per quelli specifici per la situazione attuale, in quella che è diventata in soli due anni una delle aree più povere dell’intero Medio Oriente. All’appello rivolto alla Comunità Internazionale si è unita anche l’organizzazione umanitaria Médecins Sans Frontières che è già presente in Yemen per far fronte all’emergenza. L’organizzazione ha sottolineato come l’epidemia, se non dovesse essere debellata con interventi immediati, potrebbe rivelarsi letale e finire in breve tempo fuori controllo viste le condizioni in cui versa il Paese.


RUSSIA E BALCANI 7 Giorni in 300 Parole AZERBAIJAN. 15 maggio. Nuova escalation di violenze in NagornoKarabach. Secondo quanto riportato dall’Azerbaijan, l’esercito azero avrebbe distrutto uno dei sistemi di difesa aerei armeni e il relativo equipaggio nel settore Fisuli-Khojavend, lungo il confine del Karabach. La notizia è stata confermata anche dai separatisti, i quali però escludono che ci siano state vittime. BOSNIA ERZEGOVINA. 14 maggio. Papa Francesco ha espresso dubbi sulla veridicità delle apparizioni che sarebbero avvenute a Medjugorje. Da quando 6 bambini e ragazzi locali hanno detto di aver visto la Madonna (giugno 1981), Medjugorje è diventata una famosissima meta di pellegrinaggio, da cui dipende parte dell’economia locale. La domanda ora è quale peso avranno queste affermazioni del Papa, giunte nel giorno in cui il Pontefice ha canonizzato i pastorelli di Fatima.

RUSSIA. 15 maggio. Dopo l’incontro che ha visto impegnati a Pechino il Ministro dell’Energia, dell’Industria e delle Risorse Minerarie dell’Arabia Saudita Khalid al-Falih e il suo pari russo Alexander Novak, i prezzi del petrolio al barile sono saliti. Questo è avvenuto grazie al fatto che i due grandi produttori, uno

CROLLA IL GOVERNO IN KOSOVO

Il governo di Isa Mustafa è arrivato al capolinea: quali sono ora i possibili scenari?

Di Giulia Bazzano Lo scorso 10 maggio il Parlamento del Kosovo ha votato la sfiducia al governo di Isa Mustafa con ben 78 deputati favorevoli sui 115 presenti. Il fatto ha rappresentato il crollo decisivo di un governo già fragile, formatosi sei mesi dopo le elezioni. La coabitazione tra il Partito Democratico del Kosovo e la Lega Democratica del Kosovo si era rivelata particolarmente difficoltosa fin dall’inizio, ma questo rappresenta un punto di non ritorno. Lo scenario che si apre è quello delle elezioni anticipate, che potrebbero essere indette tra l’8 e l’11 giugno, accompagnate da una campagna elettorale senza esclusione di colpi. La mozione di sfiducia ha avuto come elemento scatenante l’accordo per la demarcazione dei confini con il Montenegro, il quale porterebbe alla perdita di alcuni territori a favore di quest’ultimo. Questo accordo aveva creato tensioni in Parlamento già da tempo, portando anche a manifestazioni violente accompagnate da lanci di lacrimogeni. La mancata ratifica di quest’accordo potrebbe però rallentare ulteriormente l’integrazione europea di Pristina. Bruxelles e varie organizzazioni internazionali hanno più volte chiesto al governo kosovaro di procedere in questo senso, senza però riscuotere alcun successo.

La demarcazione dei confini con il Montenegro non è però l’unica decisione importante che Pristina deve prendere per avviare il processo di integrazione europea. I rapporti con l’Albania andrebbero infatti migliorati, e le posizioni di entrambe le Nazioni chiarite. Il presidente albanese Edi Rama ha recentemente attirato l’attenzione dell’opinione pubblica parlando della creazione di una “Grande Albania” durante un’intervista. Secondo Rama, se nessuno dei due Paesi sarà in grado di raggiungere pienamente l’integrazione europea, sarebbe meglio unirsi creando un’entità singola. Una prospettiva che non lascia perplessi solamente i cittadini kosovari, ma anche il governo serbo, il quale non ha mai riconosciuto l’indipendenza di Pristina e vorrebbe riprendere gradualmente il controllo della regione. Tutti i gruppi di opposizione hanno appoggiato la mozione di sfiducia, ma particolarmente rilevante è stato l’intervento del partito del presidente Thaci. Tra i gruppi di opposizione favorevoli troviamo anche il partito di Ramush Haradinaj, ex membro dell’esercito per la liberazione del Kosovo da poco rientrato in patria. La caduta del governo minaccia il già precario equilibrio del Paese, che si trova ad affrontare un ambiente ostile a livello internazionale ed un’instabilità politica al suo interno.

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RUSSIA E BALCANI leader dei Paesi OPEC, l’altro dei produttori non-OPEC, hanno deciso di estendere fino al prossimo marzo un limite alla produzione, per determinare un rialzo dei prezzi e stabilizzare il mercato. 17 maggio. Dopo che i media americani hanno accusato Trump di aver condiviso con il Cremlino informazioni riservate, Putin ha negato il fatto e si è offerto di condividere le registrazioni dell’incontro avvenuto fra le due delegazioni. SERBIA. 16 maggio. Zahir Tanin, capo dell’amministrazione ONU Interim per la Missione di Peacekeeping in Kosovo, ha riferito ieri davanti al Consiglio di Sicurezza dell’aggravarsi delle tensioni fra la Serbia e il Kosovo. In particolare, denuncia l’avanzata da ambo le parti di retorica piena di odio e basata su slogan etnico-nazionalistici che sta danneggiando le relazioni fra Pristina e Belgrado.

UCRAINA. 16 maggio. L’amministrazione ucraina ha dichiarato che il sito del presidente Petro Poroshenko è stato colpito da un cyber-attack organizzato e proveniente dalla Russia. Kiev non ha tuttavia portato prove a sostegno dell’accusa, che viene mossa nel momento in cui il governo ucraino ha deciso di inasprire le sanzioni per l’annessione della Crimea bandendo dal Paese molti siti russi, compreso il popolare social network VK.com. A cura di Elisa Todesco 10 • MSOI the Post

IL KAZAKISTAN TRA RUSSIA E CINA Tra nuove partnership commerciali, vicini scomodi e tutela dei diritti umani

Di Vladimiro Labate Incastonato tra Russia e Cina, il Kazakistan occupa una posizione centrale e privilegiata nelle relazioni tra Europa e Asia. Governato ininterrottamente dal presidente Nursultan Nazarbayev fin dalla sua indipendenza dall’URSS, lo Stato centro-asiatico vive oggi una fase di declino economico, causata dal lungo periodo di prezzi bassi del petrolio, prima fonte di ricchezza del Paese. In questi anni, nonostante la crisi, il governo kazako ha lanciato due progetti strategici con l’obiettivo di rivitalizzare l’economia e di acquisire prestigio sulla scena internazionale. Il primo, il Nurly Zhol, è un piano di sviluppo economico e infrastrutturale che punta a portare entro il 2050 il Kazakistan tra le prime trenta economie mondiali. Il secondo, l’EXPO 2017 di Astana, mostra la volontà del Paese di assumere una caratura internazionale. La decisione del presidente Nazarbayev di far adottare alla lingua kazaka l’alfabeto latino dal 2025 è sintomo di un progressivo affrancamento culturale, e soprattutto politico, dalla Russia. Le relazioni tra i due Paesi si sviluppano attorno ad una folta minoranza russa e ad una vicinanza territoriale che non entusiasma Astana. I progetti russi

di unione doganale centroasiatica non sono mai stati ben visti dal governo kazako per il timore di vincoli troppo stretti alle politiche di Mosca. L’allentamento dei rapporti con la Russia ha permesso alla Cina di farsi avanti, proponendo ad Astana il progetto economico e politico “One Belt, one Road”. Annunciata nel 2013, la Nuova via della seta vede nel Kazakistan uno snodo centrale per le merci e le infrastrutture made in China. Con 52 progetti industriali, per un valore di circa 24 miliardi di dollari, la Cina si vuole imporre come partner fondamentale per la traballante economia kazaka, non soltanto nel settore petrolifero, ma anche nell’industria agro-alimentare e nei trasporti. Temi cruciali per la credibilità della Grand Strategy cinese sono la sostenibilità ambientale e il rispetto dei diritti umani negli Stati coinvolti nel piano di investimenti. Il governo kazako si è mostrato molto poco sensibile alla tutela dei diritti, in particolare dei lavoratori. La legge del 2014 sui sindacati ha reso più difficile la formazione e l’operato di sindacati indipendenti, violando gli standard fondamentali stabiliti dall’ILO. Questa situazione rende insostenibili le pretese politiche del Paese, che dovrà su questo fronte adeguarsi alle richieste della comunità internazionale.


ORIENTE 7 Giorni in 300 Parole CINA 13 maggio. Il presidente Xi Jinping ha incontrato il suo corrispondente uzbeko Shavkat Mirziyoyev per siglare importanti accordi economici che impegneranno i due Paesi in materia di petrolio e gas. Secondo quanto riferito da un bollettino dell’ambasciata di Tashkent in Italia, nei due giorni di meeting sarebbero stati firmati 10 documenti dal valore di oltre 5 miliardi di dollari americani. Il Capo della Repubblica Popolare ha in seguito affermato di essere orgoglioso della collaborazione venticinquennale tra i due Paesi. COREA DEL NORD 13 maggio. La ministra della difesa giapponese Tomomi Inada ha affermato che all’alba (ore 22.30 italiane) un missile sarebbe decollato dalla base nordoccidentale di Kusong e successivamente inabissatosi nel Mar del Giappone dopo circa 700 kilometri. La NATO ha subito condannato tale comportamento sostenendo come nel contesto geopolitico contemporaneo non servano ulteriori tensioni ma un sostegno reciproco. GIAPPONE. 18 maggio. Il Giappone aprirà entro la fine di quest’anno il suo primo centro di arbitrato commerciale internazionale. La giurisdizione di tale polo sarà affidata congiuntamente ai Ministri degli esteri, della giustizia, dell’economia, del commercio e dell’industria. La gestione concreta sarà invece il risultato di una sinergia tra settore pubblico e privato, impegno che coinvolgerà studi di avvocati, corporazioni e altre agenzie indipendenti.

USA-Cina: ulteriori aperture? I nuovi accordi commerciali e finanziari

Dalla fine del 1978, sotto la guida di Deng Xiaoping, la Cina ha vissuto uno dei suoi momenti di svolta più radicale, con l’apertura verso l’esterno e un graduale passaggio all’economia di mercato. Ciò ha indubbiamente contribuito ad una notevole crescita, che ha portato il Paese a diventare, in 30 anni, la seconda potenza mondiale. Non sono certo mancate le contraddizioni e gli aspetti negativi: in primis, la simbiosi tra governo autoritario ed economia di mercato, così come la scarsa attenzione alla salute pubblica e ai problemi ambientali. Nonostante l’apertura al commercio internazionale, la Cina ha mantenuto sempre un elevato livello di protezione attraverso barriere esplicite e implicite. Uno dei possibili effetti dell’invio della flotta da parte di Trump potrebbe essere la ridiscussione delle relazioni commerciali tra gli Stati Uniti e la Cina. Un ulteriore passo sembra essere stato fatto in questi giorni, quando il segretario al commercio Wilbur Ross ha annunciato alla Casa Bianca i nuovi accordi commerciali tra i due Paesi. È stata annunciata la ripresa delle importazioni di carne

statunitense, che era stata interrotta nel 2003, e si è consentito l’accesso al mercato cinese da parte di alcune società di pagamento elettronico come MasterCard, VISA e American Express. Si prevede, inoltre, l’ingresso sul mercato delle società statunitensi di rating, entro il 16 luglio, e si è data la possibilità a due istituzioni finanziarie americane qualificate di avviare in Cina l’attività di sottoscrizione e liquidazione di titoli interbancari. Nonostante la campagna elettorale di Trump abbia dato molta importanza all’industria del carbone, l’accordo privilegia piuttosto il gas naturale, prevedendo un graduale aumento del commercio di questa risorsa con gli Stati Uniti. In questo settore, il mercato cinese è infatti il più grande al mondo: per questo la partnership con Pechino può dare il via ad una concorrenza efficace nei confronti di potenze come la Russia, che nel 2014 aveva sottoscritto proprio con la Cina un accordo da 400 milioni di dollari per la fornitura di gas. In cambio, i cinesi potranno importare carne dagli Stati Uniti, le banche cinesi saranno trattate alla stregua di qualsiasi altra banca straniera e agli imprenditori non saranno più impediti investimenti diretti. MSOI the Post • 11


ORIENTE LAOS 17 maggio. Le truppe laotiane da diverso tempo si troverebbero in una condizione di tensione verso i soldati cambogiani. Secondo il servizio Khmer tali truppe avrebbero infatti ostacolato la costruzione di una strada al confine tra i due Paesi nella provincia di Stung Treng. L’esercito di Vientiane sarebbe inoltre stato accusato di aver costruito trincee lungo il limes divisorio. NEPAL. 14 maggio. Il Nepal ha tenuto le prime elezioni locali dopo 20 anni. La prima fase di votazione ha riguardato 281 comuni appartenenti a tre province diverse. Secondo al-Jazeera i candidati sarebbero stati più di 50.000 su 13.000 possibili rappresentanti. Questo evento politico è stato inoltre la prima espressione popolare significativa dall’entrata in vigore della nuova Costituzione nel 2015. 17 maggio. Il sottosegretario del Ministro delle Finanze del Nepal, Yug Raj Pandey, ha dichiarato al forum One Belt One Road di Pechino che il Nepal sarebbe in trattativa con la Cina per costruire una rete ferroviaria transnazionale dal valore di circa otto miliardi di dollari. Nel progetto ci sarebbe una linea di 550 kilometri che partirebbe dal Tibet per arrivare alla capitale del Paese, Kathmandu. Lo stesso viceministro ha inoltre dichiarato che tale opera costituirà l’inizio di una futura collaborazione che probabilmente riguarderà anche il settore idroelettrico. A cura di Alessandro Fornaroli

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LA COREA DEL SUD HA ELETTO IL SUO PRESIDENTE Dopo dieci anni, il Paese ad una svolta

Di Carolina Quaranta Due mesi dopo l’impeachment che ha visto la presidente Park Geun-hye lasciare il suo incarico, la Corea del Sud ha eletto un nuovo Presidente: il 9 maggio il candidato di centro-sinistra Moon Jae-in, del Partito Democratico Unito (DUP), è stato scelto tra i 13 proposti con il 40,2% dei voti. Dietro di lui il centrista Ahn Cheol-soo e il candidato conservatore Hong Joon-pyo, entrambi intorno al 18%. Moon Jae-in affiancherà ora l’operato del Parlamento, la cui Camera è stata eletta lo scorso anno con la vittoria del DUP. Si tratta di un’importante svolta per il Paese, che dopo 9 anni consecutivi ha rinunciato ad un governo conservatore e vi ha rinunciato in modo molto chiaro, prima con le manifestazioni di piazza dai numeri record per chiedere le dimissioni della Presidente, e poi con un’affluenza alle urne superiore al 90% degli aventi diritto. Il neoeletto Moon è visto con speranza dall’opinione pubblica. Già capo di gabinetto durante l’ultimo governo democratico del Paese, nel suo cursus politico si annoverano anni di lotta per i diritti umani, oltre ad una storica politica di riconci-

liazione con la Corea del Nord, allora chiamata sunshine policy. Tra i punti fondamentali della sua campagna elettorale risaltano la lotta alla diseguaglianza economica, l’opposizione al dispiegamento del sistema antimissile americano THAAD e la promessa di ripristinare e rafforzare il dialogo con la Corea del Nord. Inoltre, tra i suoi progetti vanno annoverate anche alcune iniziative turistiche e culturali già avviate durante il suo precedente incarico. L’apertura al dialogo con la Corea del Nord, tuttavia, è costata a Moon l’accusa, da parte dei suoi avversari politici, di essere troppo accomodante nei confronti del regime di Kim Jong-un. Come dichiarato dal segretario di stampa della Blue House Yoon Young-chan, tuttavia, il Presidente condizionerà l’apertura ad un cambiamento di atteggiamento da parte della leadership nordcoreana – e ha del resto condannato duramente il recente lancio missilistico. Nonostante tali dichiarazioni, però, un simile approccio alla politica estera non ha incontrato i favori del presidente statunitense Donald Trump, che – oltre ad aver già attivato il THAAD – ha recentemente dichiarato di aver inserito in agenda una rinegoziazione degli accordi di libero scambio in vigore tra i due Paesi.


AFRICA 7 Giorni in 300 Parole CENTRAFRICA 16 maggio. La nuova ondata di violenze in Centrafrica ha fatto almeno 26 morti civili a Bangassou, oltre a 5 Caschi Blu uccisi la settimana scorsa, secondo un primo bilancio fornito dall’ONU. La maggior parte delle vittime è da attribuire ad un attacco di un gruppo armato in un quartiere musulmano. Secondo il presidente della Croce Rossa centrafricana Antoine Mbao Bogo le vittime sarebbero almeno 115. COSTA D’AVORIO 14-15 maggio. Sono riprese le proteste dei circa 8.400 soldati dell’esercito ivoriano che da mesi si oppongono al governo a causa del mancato pagamento dei loro stipendi. Venerdì 12 maggio, un portavoce dei manifestanti aveva rilasciato dichiarazioni facendo intendere che le rivendicazioni sarebbero state abbandonate; tuttavia, a partire da domenica 14 maggio, nelle basi militari di Abidjan, Bouaké e Akouedo le contestazioni sono ricominciate e sono stati sentiti colpi di arma da fuoco. MALI 14 maggio. Degli impiegati maliani del Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR) sono stati sequestrati domenica sera nella regione di Mopti da presunti estremisti jihadisti. L’annuncio è stato dato lunedì pomeriggio dal CICR sulla pagina Facebook, senza precisare il numero di persone coinvolte. Secondo il CICR, i suoi dipendenti si trovavano sul posto nel quadro di una valutazione della situazione umanitaria, quando degli individui armati li hanno obbligati a seguirli, ha precisato l’organizzazione esprimendo così la sua

KENYA E CINA, SFORZO CONGIUNTO PER CRESCITA E INVESTIMENTI

Ma sulla One Belt One Road aleggia lo spettro del debito estero

Di Simone Esposito Il Kenya prevede di ricevere significativi finanziamenti dalla Cina nell’ambito dell’iniziativa ‘One Belt, One Road’, conosciuta anche come ‘la nuova Via della Seta’. A conferma di queste aspettative, il presidente cinese Xi Jinping avrebbe annunciato, durante la cerimonia di apertura del Belt and Road Forum, alla presenza di capi di Stato e di governo riuniti a Pechino, che il suo Paese avrebbe stanziato ingenti contributi per il progetto infrastrutturale più ambizioso del mondo. Grazie ai finanziamenti cinesi, il Kenya ha già raggiunto incredibili progressi nello sviluppo di impianti e servizi nazionali. La situazione, però, si fa più delicata: secondo alcuni, i piani di investimento cinese starebbero provocando un accumulo del debito pubblico keniano. La Cina ha investito 463 milioni di dollari nel Paese solo negli ultimi 15 anni, senza contare il proprio contributo alla Standard Gauge Railway (SGR), la linea ferroviaria tra il porto di Mombasa e la capitale Nairobi. Secondo l’opposizione, la SGR servirebbe solo ad aumentare il debito estero del Kenya, come

molti dei progetti in tutto il continente su cui si precipitano imprenditori cinesi attratti da prestiti facili. Al netto di un prestito da 600 milioni di dollari richiesto alla Cina per risanare il bilancio, il Paese ha accumulato un debito estero pari a 4 volte il proprio budget annuale, di cui il 60% appartiene alla sola Cina. Nel suo discorso di apertura, il Presidente del gigante asiatico ha affermato che la missione del suo Paese è promuovere una prosperità condivisa. Con queste parole, Xi ha confermato che la Cina non utilizzerà il proprio peso economico per interferire nella sovranità di altre nazioni. Secondo l’ex capo economista della World Bank per il Kenya, Apurva Sanghi, Pechino è divenuta un prezioso partner bilaterale proprio perché non interessata agli affari interni del Paese. Il credito cinese, infatti, è la potenziale alternativa a quello dei donatori tradizionali, vincolato a condizioni di buon governo e trasparenza. Da qui, l’accusa che il governo avrebbe chiuso un occhio sui prezzi inflazionati dei progetti di ammodernamento, che ora gravano sui crescenti oneri finanziari a carico del Paese.

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AFRICA inquietudine.

REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO 12 maggio. Un’epidemia di febbre emorragica Ebola è stata dichiarata nel nord-est del Paese, dove ha già fatto 3 vittime dal 22 aprile: lo ha annunciato l’Organizzazione mondiale della Sanità (OMS) in un comunicato. In una dichiarazione, rilasciata dal Ministro della Salute congolese Ilunga Kalenga, si faceva appello alla popolazione a non cedere al panico. Secondo l’OMS, l’epidemia toccherebbe una zona di difficile accesso nelle foreste nella provincia di Bas-Uélé, alla frontiera con la Repubblica centrafricana. SUDAN 11 maggio. Un nuovo governo, diretto da un Primo Ministro per la prima volta in 30 anni, è stato formato in Sudan con l’obiettivo ambizioso di mettere fine la crisi economica e al conflitto con i ribelli. La formazione del governo è stata annunciata giovedì da Bakri Hassan Saleh, nominato Primo Ministro il 1° marzo scorso da Omar al-Bachir, che mantiene comunque la prerogativa di licenziare i Ministri. Le funzioni di Primo Ministro erano state soppresse dallo stesso al-Bachir nel 1989, dopo il colpo di Stato che lo aveva portato al potere. A cura di Guglielmo Fasana

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LA PERDITA DI UNA GENERAZIONE L’UNHCR lancia un nuovo allarme: oltre un milione di bambini in fuga in Sud Sudan

Di Jessica Prieto In un rapporto pubblicato sul sito dell’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) Leila Pakkara, direttrice della sezione UNICEF dell’Africa Orientale e Meridionale, ha ribadito la necessità di intervento in Sud Sudan, dove la guerra civile e la carestia hanno costretto più di un milione di persone ad abbandonare il Paese. Secondo Pakkara, ad aggravare questo dato già allarmante si aggiunge un altro fattore: il 62% dei rifugiati che scappano verso Uganda, Kenya, Etiopia, Sudan, sono bambini. Per Valentin Tapsoba, direttrice dell’Ufficio dell’Africa dell’UNHCR, è indispensabile che tale crisi raccolga l’attenzione della comunità internazionale, affinché sia possibile fermare un esodo che rischia di distruggere un’intera generazione. I bambini che non riescono a fuggire rischiano di rimanere feriti, o uccisi, all’interno del Paese, o persino di essere reclutati come soldati da gruppi o forze armate. Inoltre, molti di essi sono analfabeti: secondo gli ultimi dati raccolti dall’ONU, un bambino su cinque in Sud Sudan non sa leggere né scrivere. Nel Paese sono state distrutte la maggior parte delle strutture sociali tradizionali, come ospedali e ambulatori, indispensabili per dare sostegno sanitario non solo

ai ragazzi, ma alla popolazione in generale. Le Agenzie specializzate come UNICEF e UNHCR lavorano in prima linea nella crisi, denunciando la carenza di fondi internazionali. Il piano lanciato dall’UNICEF, che prevede lo stanziamento di 181 milioni di dollari è infatti stato finanziato solo per il 52%; quello dell’Agenzia ONU per i Rifugiati – che dovrebbe portare alla raccolta 781,8 milioni di dollari – risulta essere coperto solo per l’11%. Alla base di questa grave crisi umanitaria, c’è la guerra civile tra i sostenitori del Presidente Salva Kiir di etnia dinka e del vicepresidente Machar di etnia neur. Tale conflitto negli ultimi mesi è stato aggravato da una pericolosa carestia. Lo scorso mese, il Norwegian Refugee Council (NRC) ha denunciato che nelle zone settentrionali del Paese la popolazione è arrivata a cibarsi unicamente di foglie d’albero per ovviare alla carenza di generi alimentari. Di fronte a questa serie di dati in negativo è necessaria, quindi, una mobilitazione di tutta la Comunità Internazionale, poiché la crisi sudanese rischia di estendersi ai Paesi vicini e trasformarsi in una guerra generalizzata. L’Italia dal canto suo, lo scorso marzo ha stanziato un pacchetto di aiuti umanitari del valore di 10 milioni di euro.


SUD AMERICA 7 Giorni in 300 Parole

ARGENTINA 17 maggio. Avvio di accordi bilaterali di cooperazione e commercio tra Cina e Argentina, firmati da Macri e Xi Jimping, al fine di finanziare i progetti di 2 centrali nucleari, ferrovie e investimenti nelle energie rinnovabili. 11 maggio. Manifestazione in Plaza de Mayo a Buenos Aires, contro la sentenza della Corte Suprema “del 2x1”, per la quale 38 militari, accusati di violazione dei diritti umani, coinvolti nel caso dei “desaparecidos” possono essere scagionati anticipatamente. BRASILE 18 maggio. Accuse di due imprenditori, poi smentite, al presidente Michel Temer, di aver autorizzato tangenti all’ex presidente dei Deputati Eduardo Cunha, nell’ambito dell’inchiesta Lava Jato. 16 maggio. Accusa rivolta contro l’ex presidente Ignacio Lula da Silva in un’inchiesta sul versamento di 2 milioni da parte di società automobilistiche al Partito dei Lavoratori (PT). CILE Emergenza a causa del maltempo e rischio inondazioni nel nord del Paese, in cui si contano 2 vittime e 12.000 persone evacuate nelle regioni di Coquimbo e di Atacama, in cui si stimano 40 millimetri di pioggia.

FUTURO DEL NAFTA: SI APRONO LE RINEGOZIAZIONI La paura per le rinegoziazioni spingono il Messico a cercare nuovi partner commerciali

Di Sveva Morgigni Dopo le numerose minacce di firmare l’uscita immediata dal North American Free Trade Agreement (NAFTA), il presidente statunitense Donald Trump ha ufficialmente dichiarato la sua intenzione di rivedere gli accordi stabiliti. I mesi di incertezza hanno avuto un forte impatto in particolare sulle previsioni di crescita del Messico, scuotendo il peso e frenando gli investimenti. Il presidente Peña Nieto si è detto pronto alle negoziazioni con Trump, ma solo dopo che gli verrà garantito il rispetto della sovranità dello stato messicano. Nelle prossime settimane il segretario agli Affari Esteri Luis Videgaray, assieme al Ministro delle Finanze, dell’Economia e degli Interni visiterà Washington in preparazione alla rinegoziazione del NAFTA. Come ricordato dal ministro dell’Economia Ildefonso Guajardo, un’efficace negoziazione dovrà riconoscere “i benefici che il trattato ha portato alle tre nazioni”. Tuttavia, solo qualche mese fa il Ministro aveva dichiarato che se la rinegoziazione dell’accordo di libero scambio non fosse sta-

ta conveniente per l’economia del Paese, il Messico avrebbe preso in seria considerazione la possibilità di uscire dal NAFTA: “Potrebbero non esserci opzioni. Accettare qualcosa che è inferiore a quel che già abbiamo? Non avrebbe senso rimanere”. Dopo la Trans-Pacific Partnership, quindi, per mano nel nuovo Presidente degli Stati Uniti potrebbe dissolversi un altro accordo internazionale. Nonostante l’esecutivo messicano ritenga conveniente cercare l’esito positivo delle negoziazioni e mantenere l’intesa NAFTA, il Governo ha preso la decisione di rivedere la politica di commercio estero e iniziare a muovere i primi passi verso trattati economici e commerciali con l’Unione Europea, Russia e Cina. Il segretario Videgaray ha dichiarato che diversi incontri con funzionari cinesi sono stati programmati già per quest’anno, mandando a Trump un messaggio inequivocabile circa le intenzioni del Paese. Se gli Stati Uniti decidessero di ritirarsi definitivamente dal NAFTA, rafforzare i legami con la Cina rappresenterebbe una possibile soluzione ai problemi economici che il Messico si troverebbe ad affrontare.

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SUD AMERICA COLOMBIA 16 maggio. Il presidente Santos avvia il piano di sostituzione di piantagioni di coca con prodotti legali; esso prevede un sussidio mensile di 330 dollari ai contadini che convertiranno i terreni ad altre colture. Il provvedimento riguarda 80.000 famiglie e 50.000 ettari di coltivazioni. 13 maggio. Secondo una missione di monitoraggio ONU, un primo gruppo FARC ha completato il processo di disarmo, previsto dall’accordo di pace, ricevendo un certificato che formalmente avvia il “reinserimento nella vita civile”. MESSICO 15 maggio. Ucciso in un attacco armato a Culican, nello Stato di Sinaloa, il giornalista Javier Valdez, uno dei reporter più impegnati nelle inchieste sulle guerre tra narcos. L’omicidio, avvenuto di fronte alla sede del giornale Riodoce, è il sesto dall’inizio dell’anno in cui vittime sono giornalisti.

VENEZUELA 18 maggio. Il presidente Nicolas Maduro, con il Decreto di Stato di Eccezione e di Emergenza Economica del 17 maggio, estende per altri 60 giorni i poteri speciali e le garanzie costituzionali dell’esecutivo. Frattanto, le proteste contro il Presidente proseguono: con l’uccisione di due manifestanti, tra cui uno di 15 anni, nello stato di Tachira, sale a 50 il bilancio delle vittime. Il vicepresidente dell’Assemblea Nazionale, Freddy Guevara dichiara: “Finché ci sarà dittatura, ci saranno proteste”. A cura di Giulia Botta 16 • MSOI the Post

NESSUNO SCONTO AI REPRESSORI ARGENTINI

La “Ley 2x1” riaccende le manifestazioni in Plaza de Mayo

Di Daniele Pennavaria Lo scorso 3 maggio, la Corte Suprema argentina si è espressa con tre voti favorevoli su cinque sul caso di Luis Muiña, condannato per crimini di lesa umanità durante il regime di Reynaldo Bignone (ultimo Presidente della dittatura militare argentina). A Muiña, condannato nel 2011 per il sequestro e la tortura di lavoratori e pazienti dell’ospedale “Posadas”, è stata riconosciuta la possibilità di usufruire della “Ley 2x1”, abrogata nel 2001, che prevede la riduzione della pena in proporzione ai giorni trascorsi in carcere dopo il secondo anno in attesa di giudizio. La sentenza si basa sulle specifiche del secondo articolo del Codice Penale, che stabilisce che “se la legge vigente al tempo del delitto commesso fosse diversa da quella vigente al momento della pronunciazione della sentenza o in un periodo intermedio, si applicherà sempre la legge più benevola”. La decisione della Corte Suprema ha scatenato una forte ondata di proteste, anche in considerazione del fatto che lo stesso trattamento potrà essere concesso a oltre 700 repressori del Regime attualmente in carcere. Il 10 maggio i manifestanti sono tornati in gran numero in Plaza de Mayo, per ricordare che gli sconti della pena non possono essere

previsti per chi ha contribuito a scrivere una delle pagine più dolorose della storia del Paese. Amerigo Incalcaterra, rappresentante per l’America del Sud dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani (OHCHR), ha ricordato che l’Argentina nel 2003 ha firmato la Convenzione Onu sull’imprescrittibilità dei crimini di guerra e di lesa l’umanità, che, assieme all’articolo 110 dello Statuto della Corte Penale Internazionale, mira a negare queste possibilità a chi si sia macchiato di crimini contro l’umanità. Il presidente argentino Mauricio Macri ha dichiarato di essere “contro qualsiasi strumento che sia a favore dell’impunità”, e lo stesso 10 maggio il Parlamento ha approvato una legge che limita l’applicazione della 2x1. “Fortunatamente la società ha reagito con fermezza. Molti giudici stanno respingendo le domande di scarcerazione dei repressori. I legislatori hanno approvato una legge che cerca di frenare l’applicazione della sentenza della Corte Suprema. Questo ci riempie di speranza e gratitudine”, ha dichiarato Estela Carlotto, leader delle Abuelas dePlaza de Mayo, l’associazione di nonne e madri dei desaparecidos che solo lo scorso 30 aprile si erano riunite in piazza per celebrare i 40 anni dal loro primo raduno.


ECONOMIA DE PROFUNDIS PER ATENE L’amaro prezzo che la Grecia ha pagato e pagherà per le politiche UE

Di Michelangelo Inverso La crisi in Grecia si sta aggravando. Tra ospedali che non hanno più bende e lenzuola pulite, migranti che dormono in aeroporti privatizzati e dismessi e pensionati in fila alla mensa dei poveri per una zuppa, Atene si appresta ad una nuova manovra da “lacrime e sangue”. Con l’approvazione del IV Memorandum per la Grecia, sottoscritto dalla Troika e approvato dal governo di Alexis Tsipras, leader di Syriza, le problematiche legate all’austerity continuano a peggiorare. Il nuovo piano prevede una concessione da 7 miliardi di euro da rimborsare a luglio 2017 con un aggravio di circa 200 milioni di euro di interessi. Per ripagare i 7,2 miliardi, il governo si è impegnato a ricavarne una metà dalla tassazione dei redditi pari a novemila euro annui e l’altra dal taglio della previdenza sociale per l’1% del PIL, il quarto taglio dal 2009. La beffa di questa manovra è che, come ha ricordato la ministra del Lavoro Effie Achtsioglou in una lettera pubblicata sul “Financial Times”, il reddito medio di un greco sopra i 65 anni è proprio di 9 mila euro. Non c’è, quindi, da stupirsi se ogni tre giorni ad Atene va in scena una guerriglia urbana durante le manifestazioni anti-austerity,

perché il popolo dei manifestanti è proprio quello che ha portato Tsipras al governo e in cui credeva prima che si inginocchiasse sui ceci dell’austerity. Ovviamente, le responsabilità del disastro greco non possono essere imputate a Syriza, che si è trovata a fare i conti con l’enorme problema del debito pubblico quando ormai l’iceberg era già stato centrato in pieno. Semmai, andrebbero ricercate tra i partiti Pasok e Nea Democrazia, che hanno amministrato il Paese a turno dagli anni ’90, e alla UE, che ha imposto riforme totalmente fallimentari, basate su un’ideologia economica liberista, nella gestione della crisi finanziaria. Scelta politica dell’Unione che ha avuto il solo risultato di portare il rapporto debito/ PIL dal 113% del 2008 al 200% del 2016, la disoccupazione al 23% (quella giovanile addirittura al 50%) e il PIL, che nel 2008 era stimato in 354,5 miliardi di dollari a 195 miliardi nel 2015. Persino la popolazione è diminuita dagli 11,1 milioni del 2008 ai 10,8 del 2015! Le ricette per la crescita, tutte ispirate alla cosiddetta supply-side economy e che si riassumono nel mix di liberalizzazione, privatizzazione e taglio del costo del lavoro hanno martoriato

il sistema socio-economico greco. La liberalizzazione ha portato al crollo dei prezzi a causa dell’incremento delle importazioni, mentre le privatizzazioni hanno accentuato la dinamica ribassista dei salari, deprimendo ancora di più i consumi. Contemporaneamente, lo Stato ha dovuto provvedere a mostruosi tagli della spesa pubblica per rimborsare i prestiti concessi dalla Troika, tagli che hanno depresso ulteriormente il PIL. Per coprire i debiti, sono state aumentate le tasse, diminuendo il potere di acquisto e i consumi. Queste ricette hanno, quindi, trasformato una “normale” crisi finanziaria, in una depressione che non ha paragoni nella storia europea contemporanea. Eppure, quando la crisi è iniziata sarebbe bastato concedere subito gli stessi prestiti poi comunque erogati, ma sembrerebbe che la solidarietà esista solo quando ci sono populisti che possono rischiare di vincere nei Paesi “che contano”. Che cosa importa del caso greco? Dieci milioni di persone, in un profondo pozzo nero, non potranno avere voce in capitolo nel paradiso europeo della democrazia da 500 milioni di abitanti. Perciò requiescant in pacem, amen. MSOI the Post • 17


ECONOMIA IL BOOM DEI FONDI INDICIZZATI E L’OLIGOPOLIO DELLE BIG THREE BlackRock, Vanguard e State Street gestiscono il 90% dello S&P 500

Di Efrem Moiso A partire dalla crisi finanziaria iniziata nel 2007, gli investitori - istituzionali e non - hanno cambiato modo di investire, concentrando le proprie risorse non più in fondi gestiti attivamente, in cui i gestori scelgono le azioni con lo scopo di battere i rendimenti di mercato, ma in fondi indicizzati, costruiti per replicare l’andamento di indici come il noto S&P 500. L’ordine di grandezza di questo shift è impressionante: dal 2007 al 2016 i fondi gestiti in modo attivo hanno registrato uscite di capitali per circa 1.200 miliardi di dollari, mentre i fondi a gestione passiva hanno avuto entrate per 1.400 miliardi. Questo cambio di preferenza, senza dubbio il più importante nella storia degli investimenti azionari, è dovuto in gran parte ai costi molto più bassi offerti dai fondi passivi: perché pagare fino al 5% sui rendimenti dei fondi attivi, in cui la maggior parte dei manager non è effettivamente in grado di “battere il mercato”, quando i fondi indicizzati costano meno e restituiscono risultati simili? Alcuni osservatori la chiamano “democratizzazione degli investimenti” per via dell’accesso meno oneroso per gli investitori, ma questa evolu18 • MSOI the Post

zione è ben lontana dall’essere democratica. Infatti, se l’industria dei fondi attivi è composta da centinaia di asset manager sia grandi sia piccoli, il settore dei fondi passivi è dominato da tre soli gestori di attività americani di enormi dimensioni: BlackRock, Vanguard e State Street. Poiché per replicare gli indici di mercato è necessario detenere delle quote nelle società su cui gli indici stessi si basano, al di là dei costi più bassi, la crescita dei fondi indicizzati ha implicato una massiccia concentrazione della proprietà aziendale. Le Big Three insieme gestiscono ad oggi un patrimonio di 11 triliardi di dollari - più di tre volte il patrimonio gestito dai fondi speculativi del mondo intero - e sono azioniste di maggioranza nel 40% delle 1600 aziende quotate in Borsa negli Stati Uniti. Prendendo in considerazione lo Standard & Poor’s 500, l’indice che tiene conto dell’andamento di un paniere azionario costituito dalle 500 corporation statunitensi a maggiore capitalizzazione, le Grandi Tre ricoprono il ruolo di maggiori azioniste in quasi il 90% delle aziende, incluse Apple, Microsoft e General Electric. La proprietà aziendale va a brac-

cetto con i diritti di voto degli azionisti. È innegabile che le Big Three esercitino il diritto di voto connesso ai titoli che “custodiscono” per i propri investitori e che, dunque, debbano essere trattate come proprietarie di fatto da parte dei dirigenti aziendali. Alcuni economisti sostengono che questa concentrazione di potere degli azionisti abbia effetti negativi sulla competizione e, di conseguenza, porti con sé degli elevati costi sociali impliciti. Ad esempio, difficilmente le linee aeree sotto l’ala delle Tre saranno incentivate ad abbassare i prezzi perché farlo ne ridurrebbe i profitti. Che esercitino un potere strutturale emergente su buona parte delle aziende americane o meno, le Big Three hanno ormai accumulato un potere straordinario e, a questo punto, potenziali nuovi entranti troverebbero grosse difficoltà nell’acquisire quote di mercato. Il boom dei fondi indicizzati sta trasformando BlackRock, Vanguard e State Street in aziende che forniscono servizi per la collettività con una posizione quasi monopolistica e presto o tardi ci si aspetta un aumento della vigilanza regolamentare nei confronti di questo “nuovo consiglio di amministrazione permanente”.


DIRITTO INTERNAZIONALE ED EUROPEO TEST NUCLEARI: UNA SFIDA AL DIRITTO INTERNAZIONALE L’ennesimo test nordcoreano continua a spaventare la comunità internazionale

Di Elena Carente Mentre il regime di Pyongyang si compiace per aver testato un nuovo missile, gli Stati Uniti chiedono una riunione d’emergenza del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e, in particolare, un rincaro delle sanzioni contro la Corea del Nord. Il test della scorsa domenica ha avuto lo scopo di esaminare le caratteristiche di un nuovo missile balistico strategico di media-lunga gittata (Hwasong-12), che può essere armato con una grande e potente testata nucleare. Secondo gli esperti, è opportuno prendere atto del fatto che i missili nordcoreani, in grado di uscire e poi rientrare nell’atmosfera, rappresentano un passo preoccupante verso lo sviluppo dei missili balistici intercontinentali (ICBM). Le armi nucleari sono una minaccia al destino dell’intera umanità dal 1945, quando vennero sganciate le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki. Nel 1970 entrò in vigore il TNP (Trattato di non proliferazione) basato sul disarmo, sulla non proliferazione e sull’uso pacifico di armi nucleari, sottoscritto da USA, Regno Unito e URSS. L’Articolo VI del trattato impegna “tutti gli Stati a perseguire negoziati in buona fede e con misure effettive per arrivare

presto ad una cessazione della corsa agli armamenti nucleari ed ad una convenzione di disarmo generale e totale sotto un rigido ed effettivo controllo internazionale”. Sembra, oggi, che il trattato abbia avuto esiti deludenti: gli Stati piuttosto che adempiere agli obblighi sottoscritti si impegnano ad ammodernare i loro armamenti nucleari, generando un ingente giro d’affari. L’8 luglio 1996 la Corte internazionale di giustizia, in un parere espresso su richiesta dell’Assemblea Generale dell’ONU, al fine di capire quale fosse la posizione della minaccia nucleare all’interno del diritto internazionale, decise che l’uso di tali armi risultava essere, in linea generale, in contrasto con le norme del diritto internazionale. Essa precisò, tuttavia, di non poter stabilire se la generale illiceità dell’uso di armi nucleari si applicasse anche in situazioni di rischio per la “sopravvivenza dello Stato stesso”, lasciando così aperta la porta alla legittima difesa. Sebbene criticato per non aver risolto del tutto la questione giuridica, il parere della Corte rappresentò un atto importante, confermando l’obbligo degli Stati di adempiere agli obblighi dell’Art.VI del TNP. Nonostante l’obbligo sia stato

confermato a più riprese, anche grazie gli sviluppi positivi del post-Guerra Fredda, gli Stati nucleari (e non-nucleari, che accolgono sul proprio suolo armamenti appartenenti ad altri Stati) non osservano il TNP ormai da decenni, mettendo a repentaglio l’esistenza dell’umanità stessa. È ormai evidente che la proliferazione di armi nucleari mascherata da autodifesa si è trasformata in un progetto di autodistruzione che potrebbe avere luogo in qualunque momento. La Corea del Nord rappresenta uno degli esempi più significativi di questa folle politica militare, potenzialmente finalizzata a realizzare un attacco nucleare sul suolo americano. Il tempo per fermare questo percorso-suicida, è limitato. La proliferazione nucleare è contraria anche ad un dettame cardine del diritto internazionale umanitario ovvero il principio di distinzione, che non ammette l’uso di armi simili neanche in caso di conflitto armato. Poiché a seguito di una guerra nucleare nessuna Corte (nazionale o internazionale) potrà più implementare il percorso di dissuasione, è opportuno che l’intera comunità internazionale intervenga al più presto per condurre tali soggetti sulla strada del disarmo.

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DIRITTO INTERNAZIONALE ED EUROPEO CROSS THE LINE

L’impeachment tra costituzionalismo americano e realtà globale

Di Fabio Tumminello I recenti fatti di cronaca riguardanti l’amministrazione Trump hanno riportato al centro del dibattito pubblico la possibilità che il Presidente, per aver tentato di ostacolare l’indagine sui rapporti tra il suo ex consigliere Flynn e la Russia licenziando il capo dell’FBI James Comey, possa essere messo in stato di accusa e rimosso dalla sua carica. Nella storia americana, però, i casi di impeachment si contano sulle dita di una mano ed è un’opzione “estrema”, dalle ripercussioni politiche ed istituzionali imprevedibili. Creato originariamente come salvacondotto utile per rimuovere dall’incarico delle figure, come i giudici, chiamati a ricoprire cariche a vita, si è presto trasformato in un istituto dalla forte connotazione politica, esercitato nei fatti (o perlomeno minacciato), soprattutto dopo i casi Clinton e Nixon – il quale però, essendosi dimesso prima del completamento della procedura, non è stato formalmente rimosso tramite impeachment. Il costituzionalismo americano vincola la rimozione dall’incarico ad una procedura che accerti la responsabilità del soggetto coinvolto con discussione di fronte alla Camera dei Rappre-

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sentanti prima e al Senato poi. In particolare, quest’ultimo organo svolge in tale contesto la funzione di giudice, esprimendosi a maggioranza di due terzi sulla colpevolezza dell’imputato. Non mancano però le difficoltà applicative. L’impeachment previsto dall’art. II sez. 4 della Costituzione si riferisce agli “high crimes and misdemeanours”, categoria che, grossomodo, può essere riferita a situazioni ben definite (come i casi di corruzione o di tradimento) o, più in generale, ad illeciti che mettano in crisi l’integrità della figura istituzionale e l’indipendenza tra i vari poteri. La fattispecie prevista dalla norma presta il fianco ad una interpretazione non sempre facile e facilmente piegabile ad una volontà politica. La peculiarità di questo istituto non è solo procedurale, ma anche storica. In quanto esclusiva dei sistemi di common law (il Regno Unito ne ha progressivamente abbandonato il ricorso), l’impeachment è espressamente previsto in alcuni ordinamenti sudamericani, come quello brasiliano. Recentemente, la crisi politica in Brasile si è conclusa proprio con l’impeachment di Dilma Rousseff a seguito dello scandalo Petrobas, sostituita, dopo tumulti e proteste di piazza, da

Michel Temer; proprio il caso brasiliano ci permette di “prevedere” quanto il ricorso a questo strumento sia potenzialmente destabilizzante per l’assetto politico di un paese. Altro esempio recente è quello della Corea del Sud. La presidente Park Guen-Hye è stata recentemente rimossa dall’incarico (e successivamente arrestata) per un’accusa di corruzione e tangenti che legava a doppio filo l’esecutivo e i principali affaristi del paese, tra cui anche il vice-presidente di Samsung, anch’egli finito in manette. Anche in questo caso, la decisione del Parlamento è stata accolta con proteste e scontri tra sostenitori del presidente e opposizione. Ad eccezione di questi casi, l’utilizzo del termine impeachment da parte della stampa è spesso errato. I Paesi europei conoscono sì istituti simili, come quelli relativi alla responsabilità ministeriale, che però sono spesso legati ad una “combinazione” di diversi strumenti: procedura dinnanzi al giudice ordinario, previsioni ad hoc (come la messa in stato di accusa del Presidente della Repubblica prevista dall’art. 90 della nostra Costituzione) e la subordinazione di questo peculiare giudizio al voto del Parlamento.


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