MSOI thePost Numero 67

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Il Settimanale di M.S.O.I. Torino


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MSOI Torino M.S.O.I. è un’associazione studentesca impegnata a promuovere la diffusione della cultura internazionalistica ed è diffuso a livello nazionale (Gorizia, Milano, Napoli, Roma e Torino). Nato nel 1949, il Movimento rappresenta la sezione giovanile ed universitaria della Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale (S.I.O.I.), persegue fini di formazione, ricerca e informazione nell’ambito dell’organizzazione e del diritto internazionale. M.S.O.I. è membro del World Forum of United Nations Associations Youth (WFUNA Youth), l’organo che rappresenta e coordina i movimenti giovanili delle Nazioni Unite. Ogni anno M.S.O.I. Torino organizza conferenze, tavole rotonde, workshop, seminari e viaggi studio volti a stimolare la discussione e lo scambio di idee nell’ambito della politica internazionale e del diritto. M.S.O.I. Torino costituisce perciò non solo un’opportunità unica per entrare in contatto con un ampio network di esperti, docenti e studenti, ma anche una straordinaria esperienza per condividere interessi e passioni e vivere l’università in maniera più attiva. Elisabetta Botta, Segretario M.S.O.I. Torino

MSOI thePost MSOI thePost, il settimanale online di politica internazionale di M.S.O.I. Torino, si propone come un modulo d’informazione ideato, gestito ed al servizio degli studenti e offrire a chi è appassionato di affari internazionali e scrittura la possibilità di vedere pubblicati i propri articoli. La rivista nasce dalla volontà di creare una redazione appassionata dalla sfida dell’informazione, attenta ai principali temi dell’attualità. Aspiriamo ad avere come lettori coloro che credono che tutti i fatti debbano essere riportati senza filtri, eufemismi o sensazionalismi. La natura super partes del Movimento risulta riconoscibile nel mezzo di informazione che ne è l’espressione: MSOI thePost non è, infatti, un giornale affiliato ad una parte politica, espressione di una lobby o di un gruppo ristretto. Percorrere il solco tracciato da chi persegue un certo costume giornalistico di serietà e rigore, innovandolo con lo stile fresco di redattori giovani ed entusiasti, è la nostra ambizione. Jacopo Folco, Direttore MSOI thePost 2 • MSOI the Post

N u m e r o REDAZIONE Direttore Jacopo Folco Vicedirettore Davide Tedesco Caporedattori Giusto Amedeo Boccheni, Pilar d’Alò, Pauline Rosa Capi Servizio Rebecca Barresi, Luca Bolzanin, Sarah Sabina Montaldo, Daniele Pennavaria, Leonardo Scanavino, Giulia Tempo, Martina Terraglia, Chiara Zaghi Media e Management Samantha Scarpa Redattori Federica Allasia, Erica Ambroggio, Elena Amici, Daniele Baldo, Lorenzo Bardia, Giulia Bazzano, Lorenzo Bazzano, Andrea Bertazzoni, Giusto Amedeo Boccheni, Luca Bolzanin, Giulia Botta, Maria Francesca Bottura, Adna Camdzic, Matteo Candelari, Claudia Cantone, Giulia Capriotti, Emanuele Chieppa, Giuliana Cristauro, Lucky Dalena, Alessandro Dalpasso,Francesca Maria De Matteis, Luca De Santis, Sabrina Di Dio,Ilaria Di Donato, Sofia Ercolessi, Simone Esposito, Guglielmo Fasana, Kevin Ferri, Giulia Ficuciello, Alessandro Fornaroli, Lorenzo Gilardetti, Ann-Marlen Hoolt, Michelangelo Inverso, Vladimiro Labate, Giulia Marzinotto, Simone Massarenti, Efrem Moiso, Virginia Orsili, Daniele Pennavaria, Ivana Pesic, Edoardo Pignocco, Sara Ponza, Jessica Prieto, Carolina Quaranta, Giacomo Robasto, Daniele Reano, Jean-Marie Reure, Clarissa Rossetti, Michele Rosso,Daniele Ruffino , Martina Santi, Federico Sarri, Leonardo Scanavino, Martina Scarnato, Samantha Scarpa, Francesca Schellino, Viola Serena Stefanello, Lola Ferrand Stanley, Giulia Tempo, Martina Terraglia, Elisa Todesco, Francesco Tosco, Tiziano Traversa, Fabio Tumminello, Chiara Zaghi, Francesca Maria De Matteis, Martina Unali, Elisa Zamuner. Editing Lorenzo Aprà Copertine Amandine Delclos, Carolina Elisabetta Zuniga Vuoi entrare a far parte della redazione? Scrivi una mail a thepost@msoitorino.org!


EUROPA 7 Giorni in 300 Parole FRANCIA 24 maggio. Il presidente francese Emmanuel Macron ha chiesto una proroga fino al prossimo 1 novembre dello stato di emergenza che, in vigore dal 13 novembre del 2015 a seguito degli attentati di Parigi, avrebbe dovuto concludersi a luglio. La richiesta dovrà essere approvata dal Parlamento.

TIME FOR SOLIDARITY

The Greek government is hoping for a debt cut from the European Union

By Ann-Marlen Hoolt

GERMANIA 22 maggio. Al termine del primo incontro dopo l’arrivo di Emmanuel Macron all’Eliseo, i ministri delle Finanze di Germania e Francia, rispettivamente Wolfgang Schaeuble e Bruno Le Mairie, hanno riferito dell’intesa dei due Paesi in merito alla creazione di un gruppo di lavoro per l’elaborazione di una serie di proposte per rafforzare la zona euro entro il mese di luglio.

GRAN BRETAGNA 22 maggio. 22 persone sono state uccise e 59 sono rimaste ferite in un attentato terroristico compiuto da un attentatore suicida al termine di un concerto della pop star Ariana Grande a Manchester. L’ISIS ha rivendicato la strage. La premier Theresa May ha affermato che “tutti gli attacchi terroristici sono terribili, ma questo si distingue per la sua

An increasing number of EU politicians are calling for a relief of Greece’s debt. For years, the southern European country has been trying to repay the European Union and stabilise its financial position. Though the led-led Greek government has been able to overcome its economic depression and to improve public finances, time is running up. In summer, Greece is due to repay the EU about seven billion euros like be not able to meet the goal. However, the inability to clear the debts does not imply a lack of determination. Since the first bailout program, Greece has been imposing several, increasing taxes and burocratic efficiency. Some of these reforms have hit Greek citizens hard. The government can only save money when cutting social performances.The social cuts lead to decreased consumption, which means that companies do not earn enough money. Thence they have to dismiss some of their workers, which consequently will decrease their level of consumptions. The result are even more problems for local companies followed by even more dismissals. The pover-

ty rate in Greece currently stands at 35 percent. The government in Athens is facing a difficult task: paying off its debt while caring for its citizens. “It’s important to find a solution that reassures the Greek people and reassures Greece’s creditors”, said French Finance minister Bruno Le Maire. Greece’s current bailout program will expire in 2018 and might be worth up to 86 billion euros. It is already the third aid package the EuropeanUnion has send to Greece. In return, the Government has promised a series of reforms, constantly monitored by the EU and the International Monetary Fund. Despite protests, last week the Greek Parliament approved new reforms that will impose further income losses on the Greek. Prime Minister Alexis Tsipras stressed “his determination to find tan accord soon to lighten the burden of Greek debt”. Others like the German foreign minister and the newly elected French president support the claim. Over the years, the European Union has promised Greece to cut their debts in return for fulfilling the bailout conditions. This may be the time to show solidarity.

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EUROPA codardia”. GRECIA 19 maggio. Nuove misure di austerità approvate dal Parlamento in seguito all’accordo tra il governo e i creditori internazionali, tra le quali un nuovo taglio alle pensioni e l’innalzamento della soglia di esenzione fiscale. A votazione in corso le forze di polizia presenti all’esterno del Parlamento sono ricorse al lancio di gas lacrimogeni contro decine di giovani a volto coperto che hanno cercato di avvicinarsi all’edificio con bottiglie molotov. SPAGNA 21 maggio. Vittoria netta di Pedro Sanchez alle primarie del Partito Socialista Spagnolo (PSOE): con circa 13.000 voti ha ottenuto il 49,5% delle preferenze, staccando la sua principale oppositrice, la Presidente dell’Autorità regionale dell’Andalusia, Susana Diaz, di 9 punti percentuali (40,4%). ll nuovo segretario, tornato in cattedra 7 mesi dopo la sua cacciata dalla segreteria del partito, sfiderà il leader del PPE, Mariano Rajoy. alle prossime elezioni. UNGHERIA 21 maggio. Circa 5.000 cittadini in piazza a Budapest per protestare contro le politiche del governo di Viktor Orban, accusato di aver messo in atto politiche repressive in materia di libertà stampa, limitative dell’insegnamento universitario e intimidatorie nei confronti delle ONG che ricevono finanziamenti dall’estero. I dimostranti hanno inoltre scandito slogan a favore dell’Unione Europea. A cura di Giulia Marzinotto 4 • MSOI the Post

AUSTRIA: UN NUOVO GIRO DI VALZER Sfida a tre per le elezioni austriache

Di Daniele Reano A pochi mesi dalla vittoria presidenziale dell’indipendente Van Der Bellen sul candidato dell’FPO Hofer, entrambi provenienti da partiti non tradizionali, l’Austria si trova nuovamente ad affrontare un delicato momento della sua vita politica. Il 15 ottobre, infatti, i cittadini austriaci saranno chiamati a rinnovare il Parlamento a seguito della rottura della maggioranza di Governo, costituita dall’SPO, il partito socialdemocratico di centrosinistra, e dall’OVP, il partito popolare della destra moderata. Il casus belli che ha portato alla rottura della Große Koalition sono state le dimissioni del Vice Cancelliere Reinhold Mitterlehner a seguito del cambio di leadership interno all’OVP. Il nuovo segretario del Partito Popolare austriaco, il giovane ministro degli Esteri Sebastian Kurz, da sempre critico nei confronti dell’azione lenta e farraginosa dell’Esecutivo, ha chiesto e ottenuto che venisse sciolto il Consiglio nazionale e si ritornasse alle urne. L’attuale Cancelliere, il socialdemocratico Christian Kern, ha accettato il voto anticipato chiedendo a tutte le forze politiche di impegnarsi nel portare a compimento una serie di riforme, tra cui una serie di interventi per diminuire la disoccupazione.

Il via libera alle nuove consultazioni è arrivato anche da Heinz-Christian Strache, presidente dei populisti di estrema destra del Partito delle Libertà (FPO), che spera di poter ottenere una rivincita dopo la doppia sconfitta alle presidenziali e avere la possibilità di influenzare, se non guidare, la compagine governativa per i prossimi anni. L’idea di Sebastian Kurz è di rivoluzionare il partito dalle fondamenta, proponendo all’elettorato una nuova formazione chiamata “Liste Sebastian Kurz – die neue Volkspartei”, per slegarsi dall’immagine della vecchia formazione e consolidare intorno alla sua figura l’intero risultato di ottobre. Fino a pochi giorni fa i sondaggi attestavano l’OVP intorno al 20%, il suo minimo storico, ma attualmente registrano un imponente aumento di consensi grazie alla popolarità di cui gode Kurz. Le intenzioni di voto sondate dall’Institut Unique Research danno Kurzal 33%, seguito dall’FPO e dall’SPO appaiati al 26%. Nonostante manchino molti mesi prima dell’apertura dei seggi, un balzo in avanti così importante, un katapultiert, sancirebbe una grande vittoria per Kurz.


NORD AMERICA 7 Giorni in 300 Parole

L’INDAGINE SUL ‘RUSSIAGATE’ NON SI FERMA

Nuove rivelazioni, indagato il genero di Trump Di Sofia Ercolessi

STATI UNITI 22 maggio. Il re saudita Salman ha detto che la recente visita di Trump nel suo Paese ha segnato “un punto di svolta” nelle relazioni tra i due Paese. Parole che trovano conferma nelle dichiarazioni del Presidente statunitense che, dopo la visita ufficiale, ha detto ai giornalisti come “il livello di cooperazione e coordinazione su tutti i fronti” sia più forte che mai. 23 maggio. Secondo alcune intercettazioni ottenute dall’Intercept il Presidente Trump ha chiamato il suo omologo filippino “un buon uomo” aggiungendo inoltre che starebbe facendo “un ottimo lavoro” nella sua battaglia contro la droga nel suo Paese. In particolare, secondo le intercettazioni ottenute, Trump sarebbe rimasto particolarmente colpito dai metodi violenti che hanno portato ad un decremento dei venditori e consumatori di sostanze proibite. 24 maggio. Dopo che la prima tappa del suo viaggio l’ha portato in Israele, dove ha tenuto una conferenza stampa con il presidente palestinese Abbas e si è recato al memoriale della Shoah a Gerusalemme, il Presidente Trump si è recato in Italia. Ha incontrato prima il Papa in Vaticano (“Non dimenticherò mai le sue parole” ha dichiarato dopo l’udienza in cui hanno parlato tra le altre cose anche

Mentre Trump visita il Medio Oriente nel suo primo viaggio all’estero in veste ufficiale, negli StatiUnitileindaginisulRussiagate proseguono, coinvolgendo stavolta il marito di Ivanka Trump, Jared Kushner. È stato il Washington Post a rivelare, citando fonti vicine all’amministrazione, che un funzionario della Casa Bianca era considerato “persona significativa di interesse” ai fini dell’indagine. Questo personaggio è stato identificato come Kushner qualche ora più tardi su Twitter da un collaboratore del New York Magazine, Yashar Ali. Kushner, 36 anni, è un funzionario non pagato del Governo, così come la moglie Ivanka. Tempo fa la Casa Bianca ha riconosciuto che, a novembre, l’uomo aveva avuto contatti con Sergey Kislyak, l’ambasciatore russo negli Stati Uniti. Kushner stesso, inoltre, ha ammesso di essersi incontrato con il capo di una banca russa che si trova sotto sanzione americana dal 2014, la Vnesheconombank. La banca si occupa di sviluppo per conto dello Stato russo e, nel 2015, uno dei suoi impiegati a New York si è rivelato essere una spia. Se le allegazioni nei confronti di Kushner siano fondate è, naturalmente, da chiarire. Come sottolinea il Washington Post, l’indagine è ancora in corso, ma di certo il

coinvolgimento di una figura così vicina a Trump dice molto sulla portata dello scandalo. Secondo la testata americana, inoltre, l’indagine dell’FBI ormai non si limiterebbe più all’eventuale influenza sulla campagna elettorale dei rapporti tra l’entourage di Trump e la Russia, ma si sarebbe allargata anche a possibili “crimini finanziari” degli stessi funzionari governativi, analizzando i loro interessi nei territori dell’ex Unione Sovietica. Parallelamente alle rivelazioni del Post, il New York Times ha reso pubbliche alcune dichiarazioni del Presidente in un incontro di pochi giorni fa con il Ministro degli Esteri e l’ambasciatore russo Sergey Lavrov e Sergey Kislyak, a proposito del licenziamento del direttore dell’FBI James Comey. Trump avrebbe chiamato Comey “un pazzo”, il cui allontanamento avrebbe alleggerito la “grande pressione” che gravava sulle spalle del fu tycoon. “Non sono sotto indagine”, avrebbe aggiunto, infine. Le dichiarazioni rinforzano l’ipotesi che Comey sia stato licenziato per ostruire l’inchiesta sui rapporti di Trump con la Russia, e contribuiscono ad alimentare le fiamme del dibattito pubblico. Sean Spicer, il portavoce della Casa Bianca, non ha confermato né smentito le due rivelazioni.

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NORD AMERICA di ambiente, tema molto caro al pontefice); e successivamente il premier Gentiloni ed il Presidente Mattarella. Al contempo la First Lady si è recata all’ospedale Bambino Gesù, mentre la figlia Ivanka ha avuto un colloquio con il ministro Boschi. In serata sono arrivati a Bruxelles per continuare il loro tour istituzionale che prevede un incontro con il Segretario Generale della NATO. 24 maggio. L’ex consigliere per la politica estera del presidente Trump ha detto che testimonierà a proposito delle interferenze russe durante le scorse elezioni. Carter Page ha infatti rivelato, durante un’intervista con il network ABC News, che comparirà davanti all’Intel Committee il prossimo 6 giugno. 25 maggio. Termina il tour in Italia degli Obama. Dopo 6 giorni in Toscana si sono separati all’aeroporto militare di Grosseto. L’ex Presidente si è imbarcato per la Germania, destinazione Berlino, dove lo attende un dibattito sui temi di attualità con Angela Merkel.

CANADA 24 maggio. Il ministro della Difesa canadese, Harjit Sajjan, ha detto di fronte ad un panel delle Nazioni Unite che l’impegno del Canada nelle operazioni di peacekeeping è sempre costante. Il ministro si trovava a New York perché il suo Paese non ha ancora pubblicato il loro piano di revisione complessivo sul tema, suscitando timori nel Palazzo di Vetro. A cura di Alessandro Dalpasso 6 • MSOI the Post

DIALOGO AL VATICANO

Il presidente Trump si reca in visita dal Pontefice

Di Martina Santi Il 24 maggio il Presidente degli Stati Uniti ha incontrato il Papa. All’udienza hanno presenziato anche la first lady e la first daughter Ivanka. Le passate divergenze fra i due capi di Stato avevano fatto supporre un difficile risanamento dei rapporti. Nel corso della campagna elettorale americana, infatti, Bergoglio aveva criticato il progetto politico di Trump, particolarmente per le politiche anti-immigrazione e l’intenzione di costruire un muro tra Stati Uniti e Messico: “anyone, whoever he is, who only wants to build walls and not bridges is not a Christian”. Il presidente Trump non aveva tardato ad obiettare: “for a religious leader to question a person’s faith is disgraceful”. Era parsa dunque una sorpresa la decisione di Trump di inserire nell’itinerario del suo viaggio all’estero anche l’incontro con il Pontefice . Il colloquio, durato 40 minuti e tenutosi presso la Sala del Tronetto, si è svolto in forma privata. Al termine

dell’incontro, come di consueto, Trump e Bergoglio si sono scambiati alcuni doni. Il Pontefice, tra le altre cose, ha lasciato al Presidente il messaggio per la Giornata mondiale della pace, intitolato “La non violenza, stile di una politica per la pace”. POTUS ha ricambiato con alcuni libri di Martin Luther King. Dopo quest’incontro, non pochi si sono chiesti se Trump non ammorbidirà i toni per riconquistare fiducia nell’elettorato. Al colloquio con papa Francesco ha fatto seguito la visita privata della delegazione statunitense alla Cappella Sistina e l’incontro fra Trump e il presidente della Repubblica Mattarella, presso il Quirinale. La visita di Trump a Roma è la terza di 5 tappe, nel suo viaggio all’estero. Il Presidente, nelle scorse giornate, si era già recato in Arabia Saudita e in Israele, per poi raggiungere direttamente la capitale italiana. Il viaggio si concluderà il 27 maggio, a Taormina, in Sicilia, dove il Presidente prenderà parte al G7.


MEDIO ORIENTE 7 Giorni in 300 Parole

DIPLOMAZIA AEREA

Storia di un anomalo viaggio di Stato

BAHRAIN 24 maggio. Dure repressioni della polizia nella cittadina sciita di Diraz, dove vive l’oppositore religioso Isa Qassim, minacciato di deportazione da parte delle autorità: 5 i manifestanti uccisi, decine i feriti e più di 250 gli arresti. Indetta una manifestazione in Iraq per solidarietà che si terrà il giorno 25 maggio a Baghdad. EGITTO 25 maggio. 24 ore di fermo per Khaled Ali, avvocato per i diritti umani e fondatore del partito di opposizione Pane e Libertà. Già candidato alle elezioni del 2012, aveva da poco espresso il desiderio di ripresentarsi contro al-Sisi.

IRAN 20 maggio. Il presidente uscente Hassan Rouhani ha vinto al primo turno le presidenziali con il 57% delle preferenze. Altra dura sconfitta per i conservatori che dopo le comunali a Teheran vedono fallire anche il candidato Ebrahim Raisi, appoggiato dai Guardiani della Rivoluzione, e dall’ayatollah Khamenei. Affluenza in crescita dalle ultime

Di Jean-Marie Reure La nostra storia inizia con l’apertura di un ponte aereo. Non è però a fini commerciali o turistici che l’Air Force One è decollato da Riad per atterrare all’aeroporto Ben Gurion, in Israele. Lo Stato ebraico, difatti, non intrattiene alcuna relazione con la maggior parte degli Stati arabi, e l’Arabia Saudita non fa eccezione. Esiste uno scambio di informazioni fra i servizi segreti di entrambi i Paesi, perché “il nemico del mio nemico è (quasi) mio amico”, e quando il nemico comune è l’Iran, certe questioni di principio sono facilmente trascurabili. Normalmente, i viaggi di Stato fanno scalo ad Amman. Non questa volta però. Non concordando con le scelte della diplomazia precedente e, forse, fautore di un cambiamento nelle relazioni internazionali in Medio Oriente, The Donald non ha perso la capacità di far parlare di sé. Dicendosi favorevole a una soluzione a due Stati per il conflitto che lega Israele alla Palestina, apre al

processo di pace, nominando l’ultra conservatore Friedman come ambasciatore USA in Israele. Trump, inoltre, ha confermato l’appoggio incondizionato e assoluto della potenza atlantica alla politica dello Stato ebraico. La collezione di fallimenti nei processi di pace – fra cui gli accordi di Oslo nel 1993, seguiti poi dal summit di Camp David nel 2000 – è d’altronde piuttosto cospicua. Dall’insediamento di Trump, il prezioso alleato mediorientale ha infatti dato il via alla costruzione di 3.000 nuovi insediamenti, ma il Presidente, fiducioso, annunciava in un discorso fatto proprio a Riad: “Se le tre Fedi si uniscono, la pace è possibile”. Un film cult nel suo genere, “Slevin, patto criminale” la chiamava la mossa “Kansas city”: “quando loro guardano a destra, tu vai a sinistra”. Non si sarebbe potuto dire in modo più efficace. MSOI the Post • 7


MEDIO ORIENTE elezioni presidenziali. ISRAELE 23 maggio. Il presidente degli USA Donald Trump durante il viaggio diplomatico nel Paese (dove ha anche avuto occasione di recarsi al Muro del Pianto) ha ribadito l’unità di intenti con lo Stato israeliano contro il terrorismo. Nessun provvedimento immediato invece per quanto riguarda lo spostamento dell’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme auspicato da Netanyahu. PALESTINA 23 maggio. Nei territori occupati è stato sciopero generale il 22 maggio: trasporti fermi, uffici di credito bancari e negozi chiusi così come istituzioni pubbliche alla vigilia del giorno della rabbia in cui Donald Trump era atteso a Betlemme. Qui il giorno seguente l’incontro con Abu Mazen si è concluso con un nulla di fatto: massima cautela e nessun riferi-

mento a una Stato palestinese da parte dello statunitense. Intanto, altri 220 detenuti hanno aderito al digiuno che nelle carceri dura ormai da 36 giorni e coinvolge circa 1.500 persone. YEMEN 23 maggio. Raid americano nella provincia di Marib: secondo il Pentagono sarebbero stati uccisi 7 presunti membri di al-Qaeda. A cura di Lorenzo Gilardetti

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POTUS ATTERRA NEL GOLFO

Inizia la prima missione ufficiale all’estero del presidente Donald Trump

Di Clarissa Rossetti Si è conclusa domenica la visita di Donald Trump in Arabia Saudita, tappa iniziale del suo primo viaggio all’estero. Durante i due giorni nella penisola del Golfo, il presidente Trump ha incontrato il sovrano Salman bin Abdulaziz Al Saud e tenuto un discorso davanti a oltre 50 leader di Paesi arabi e islamici. Al centro, l’appello ai leader della regione a unirsi agli sforzi internazionali nella lotta al terrorismo e un’enfasi sulla sua vera natura, ovvero quella di guerra contro la barbarie di gruppi estremisti, non un conflitto tra fedi. Un’affermazione che si scontra con le precedenti dichiarazioni di Trump. È da ricordare la sua convinzione che il mondo occidentale, in particolare gli Stati Uniti, siano oggetto di odio dal mondo islamico, e l’invito a riflettere sull’origine dei responsabili di attacchi terroristici, ricordando al popolo americano che ‘non erano certo svedesi quelli che hanno buttato giù il World Trade Center’. D’altronde, il sodalizio tra gli Stati Uniti e la potenza mediorientale prosegue dal 1940, nato e cresciuto lungo intoccabili pilastri economici e mili-

tari. Il Regno Saudita non sembra considerare preoccupante il recente passato di incitamento alla ostilità del nuovo Presidente eletto verso la comunità musulmana. POTUS si è inoltre espresso sull’Iran, al quale ha attribuito la responsabilità di aver alimentato per decenni conflitti settari e terrore, sollecitando i capi di stato presenti ad isolare l’Iran politicamente ed economicamente, nella speranza che un giorno il popolo iraniano riceva il ‘governo onesto che merita’. Risulta quindi decisa la virata ideologica del Presidente americano, che fino a pochi mesi fa considerava il popolo iraniano una potenziale minaccia per la sicurezza nazionale, insieme ai cittadini di Iraq, Libia, Somalia, Sudan, Siria e Yemen, il cui ingresso negli Stati Uniti è stato bloccato per circa due mesi dal cosiddetto Muslim Ban. I media internazionali hanno riportato alla luce i (non troppo) vecchi tweet e dichiarazioni sull’Islam pubblicati da POTUS e dal suo staff. Sui social media spopolano meme e fotografie di Trump impegnato in danze tradizionali del Golfo, in attesa dei prossimi passi del Presidente nelle tappe successive della sua missione.


RUSSIA E BALCANI 7 Giorni in 300 Parole CROAZIA 22 maggio. Nel corso delle elezioni amministrative croate nessun candidato alla carica di sindaco ha ottenuto il 50% dei voti. Si attende il ballottaggio tra due settimane per avere i risultati definitivi di questa sfida cruciale. L’esito delle amministrative, infatti, viene considerato come un test sul gradimento del premier conservatore Plenkovic. KAZAKISTAN 22 maggio. Il leader romeno, Grindeanu, ha incontrato i dirigenti della KazMunayGas, compagnia statale kazaka del petrolio e del gas, confermando le intenzioni del proprio governo di consentire gli investimenti della società kazaka nel proprio territorio. MACEDONIA 20 maggio. Il Ministero dell’Interno macedone ha sospeso 16 poliziotti a causa del comportamento tenuto dagli stessi in occasione degli scontri avvenuti lo scorso 27 aprile nel Parlamento. Gli agenti avrebbero tenuto un comportamento passivo, non ostacolando l’irruzione dei manifestanti nell’aula del Parlamento.

RUSSIA 20 maggio. Il Ministro dello Sviluppo Economico russo, Oreshkin ha annunciato il ricorso al WTO contro le sanzioni imposte “ai servizi e ai cittadini russi sul mercato ucraino dal 2014”.

UNA SCONFITTA VINCENTE

Il Premier croato consolida il suo ruolo nonostante il risultato delle amministrative

Di Andrea Bertazzoni Domenica 21 maggio si è tenuto il primo turno delle elezioni amministrative croate, le quali si sono svolte in un clima molto teso: la votazione è stata percepita come una sorta di banco di prova per il primo ministro croato Andrej Plenković, sul quale pende ancora la spada di Damocle delle elezioni anticipate. Il partito del Premier Unione Democratica Croata (HDZ) è riuscito a raggiungere il ballottaggio in 12 delle 20 principali città, tra cui Zara. A Vukovar, invece, l’HDZ si è assicurato la vittoria conquistando già al primo turno il 61% dei voti. Anche i socialdemocratici, tuttavia, definiscono positiva la giornata di domenica, dopo aver confermato la roccaforte Fiume e aver vinto nella città di Osijek. Nella capitale, dove il partito di Plenković raccoglie un misero quinto posto, (5,6%) superato addirittura dalla candidata dell’estrema destra Bruna Esih, il cui 11%, secondo alcune voci, sarebbe stato favorito anche da diversi falchi tiratori dello stesso partito al governo. In occasione del secondo turno del 4 giugno a Zagabria si sfideranno il sindaco uscente Milan Bandić, in carica quasi senza sosta dal 2000 e famoso per i suoi innumerevoli procedimenti

giudiziari in corso, e Anka Mrak Taritaš, esponente del Partito popolare croato (HNS). Lo scenario che va delineandosi dopo l’esito di domenica è dunque molto incerto e, se il ballottaggio confermerà i risultati del primo turno, si creerà un contesto nel quale hanno vinto tutti e, al contempo, nessuno. Ciononostante non sarebbe un azzardo affermare che il primo ministro Plenković può contare su un periodo di relativa tranquillità. A inizio maggio si era creato un certo caos politico quando il Premier aveva dato il benservito al Ministro degli Interni, al Ministro della Giustizia e al Ministro dell’Energia. Il loro partito, il Ponte (Most), ha deciso di revocare l’appoggio che garantiva la maggioranza al governo, il quale si è visto improvvisamente bombardato da una serie di petizioni e mozioni di sfiducia che ne hanno minacciato la stabilità. Alla luce della fragilità del governo e dell’esito complessivo delle elezioni amministrative, Andrej Plenković non dovrebbe dormire sonni tranquilli. Tuttavia, dopo che la Commissione europea ha chiuso proprio lunedì le procedure di infrazione per deficit eccessivo nei confronti del Paese balcanico, secondo alcuni esperti, il Primo Ministro non avrebbe nulla da temere. MSOI the Post • 9


RUSSIA E BALCANI 22 maggio. Al Vertice delle Economia del Mar Nero (BSEC), Russia e Turchia hanno raggiunto un accordo commerciale firmando per la soppressione delle restrizioni imposte reciprocamente. Secondo quanto riporta la TASS, il documento è stato firmato dai Vice Premier dei due Paesi, con la presenza dei rispettivi capi di governo.

23 maggio. Interrogato dalla Commissione di intelligence della Camera, Brennan, ex capo della CIA, ha dichiarato che “Mosca interferì senza pudore nel voto americano”. Il capo dell’FSB - i servizi segreti russi - secondo quanto riferito dallo stesso Brennan, negò ogni interferenza di Mosca nelle elezioni dello scorso novembre. L’ex capo della CIA ha anche menzionato il presidente Trump, che potrebbe aver violato i protocolli dell’intelligence. SLOVENIA 22 maggio. Jansa è stato rieletto segretario del Partito Democratico Sloveno (SDS), rappresentante l’ala conservatrice del Paese. Jansa, che guida tale forza politica ininterrottamente dal 1993, ha ricevuto consensi unanimi, essendo l’unico candidato. SERBIA 20 maggio. È stato istituito un nuovo Ufficio con la specifica mansione di occuparsi delle relazioni della Serbia con Russia e Cina. Probabile guida di tale Ufficio sarà, secondo quanto diffuso dai media locali, il presidente uscente Nikolic. A cura di Ilaria Di Donato 10 • MSOI the Post

NUOVE SFIDE PER L’UCRAINA? Poroshenko decide di bloccare l’accesso ai principali social media russi

Di Adna Camdzic Recentemente, il presidente ucraino, Petro Poroshenko, ha approvato un decreto che comporta il blocco di alcuni social network e servizi online russi molto utilizzati in Ucraina. Si tratterebbe di nuove misure che si inseriscono sul filo rosso delle sanzioni imposte da parte del governo di Kiev nei confronti di persone fisiche e giuridiche legate a Mosca, in risposta all’annessione russa della Crimea e al suo coinvolgimento nel conflitto militare nella regione del Donbass. Da marzo 2014 sono state numerose le sanzioni introdotte contro la Russia, tanto che, ad oggi, risultano coinvolte circa 450 società e 1.200 persone che vivono sul territorio ucraino. Il decreto del 15 maggio si rivolge ai fornitori di servizi Internet ucraini a cui viene chiesto di bloccare l’accesso ai servizi di alcune aziende russe per tre anni. Tra i target vi sarebbero i due social media Vkontakte e Odnoklassniki, l’omologo russo di Google, Yandex e il servizio di posta elettronica gratuito Mail.ru Group. Secondo quanto riportato da un articolo pubblicato sul Guardian, il quale fa riferimento alle statistiche della compagnia Alexa, tutti e 4 si collocano tra i 10 siti più utilizzati in Ucraina. Le motivazioni del blocco sono state rese pubbliche dallo stesso Poroshenko in un messaggio

sul proprio profilo di Vkontakte (VK). A detta del Presidente, si tratterebbe di misure di sicurezza preventiva volte a contrastare l’azione della propaganda russa. L’Ucraina, coinvolta al momento in una “guerra ibrida”, una guerra di informazione contro la Russia, sta cercando di adottare risposte che siano “adeguate alle sfide”. Se, da una parte, il rischio che i social network possano aiutare a diffondere disinformazione è concreto, dall’altra tali misure potrebbero rivelarsi controproducenti. Esse, infatti, colpiscono decine di milioni di utenti, tra cui anche coloro che in questi anni hanno sfruttato VK come fonte di informazione sui combattimenti in corso nell’Ucraina orientale. Inoltre, sarà molto difficile attuare le restrizioni di accesso a tali servizi, dato che esistono diversi modi per eluderle, e probabilmente gli utenti ucraini non tarderanno a farlo. Non sono mancate, infine, le reazioni di attivisti per i diritti umani e giornalisti. Essi hanno evidenziato gli aspetti antidemocratici del decreto, facendo notare che si tratta di un attacco alla libertà di espressione. Le misure adottate da Poroshenko sono state paragonate alle restrizioni imposte in Paesi come Cina, Iran, Turchia o nella stessa Russia, il vicino da cui l’Ucraina vorrebbe tanto cercare di distinguersi.


ORIENTE 7 Giorni in 300 Parole

NEPAL: TRANSIZIONE VERSO LA DEMOCRAZIA Il popolo chiamato alle urne

AUSTRALIA 22 maggio. È stato sottoscritto a Canberra dall’ambasciatore italiano Pier Francesco Zazo e dal ministro australiano per l’Industria, Arthur Sinodinos, l’Accordo di cooperazione bilaterale nei campi della scienza, della tecnologia e dell’innovazione, che consentirà ad Italia e Australia di ampliare, estendere e rafforzare le già ottime relazioni bilaterali.

CINA 24 maggio. La Cina sta costruendo la quarta portaerei il cui spiegamento dovrebbe avvenire in 6 anni, in quello che appare come un altro segnale diretto al rafforzamento militare per i contenziosi legati al mar Cinese meridionale. 24 maggio. Moody’s ha tagliato il rating della Cina ad A1 da Aa3 a causa dei timori sul rallentamento della crescita economica e sull’aumento del debito governativo. COREA DEL SUD 23 maggio. Il presidente sudcoreano Moon Jae-in ha chiesto aiuto a papa Francesco nell’organizzazione di un vertice con la Corea del Nord. Il capo dell’associazione dei vescovi di Seul si è recato in Vaticano

Di Alessandro Fornaroli Le elezioni che stanno avendo luogo in Nepal in questi giorni potrebbero essere il prodromo di una definitiva transizione democratica. L’ultima volta che si è chiamato il popolo a esprimersi è stato nel lontano 1997: i candidati, con mandato quinquennale, si sarebbero dovuti ripresentare nel 2002, cosa che non avvenne per lo scoppio della guerra civile. Essendo il loro term scaduto, per i quattro anni successivi furono scelti direttamente dai partiti dei burocrati: personale tecnico che – secondo fonti interne – avrebbe favorito gli interessi delle élite, diffondendo la corruzione nel Paese. La situazione di incertezza sembrava essersi risolta con il patto che nel 2006, sotto il re Gyanendra, aveva posto fine alla guerra interna tra maoisti e monarchia. A partire da quell’anno, con l’elezione di un’assemblea costituente, si avviò un processo di pace concretizzatosi con l’emanazione di una nuova Costituzione nel 2015. Il nuovo testo costituzionale, che ha dato il via ad una transizione dalla monarchia Hindu a una Repubblica laica, prevede un esecutivo ripartito su tre livelli di governo: nazionale, regionale e locale. Ad aprile si è deciso di dividere

le elezioni in due fasi per cercare di limitare le agitazioni lungo il confine meridionale con l’India, dove il gruppo etnico dei madesi si rifiuterà di partecipare fino all’approvazione di un emendamento che tuteli i loro interessi. I partiti di rappresentanza locale hanno infatti affermato che intralceranno ogni iniziativa governativa nella loro regione, se non verrà apportata una modifica costituzionale a loro favore. La prima tornata delle elezioni dei rappresentanti è avvenuta il 14 maggio scorso e il capo della commissione elettorale centrale, Ayodhii Prasad, ha annunciato che si è conclusa con un’affluenza pari al 71%. Il sistema elettorale attuale presenta elementi propri dell’elezione diretta e del sistema proporzionale, senza soglia di sbarramento minima per l’elezione a livello federale e statale. Con tale meccanismo, le coalizioni politiche diventano uno strumento fondamentale: una novità nella cultura politica del Paese. Il Nepal è stato storicamente caratterizzato da una forte polarizzazione politica, che ha spesso portato i partiti a basarsi su programmi ideologizzati nel tentativo di convincere l’elettorato. Oggi, tuttavia, i candidati tendono piuttosto a privilegiare il voto di scambio e il legame tra il singolo politico e la comunità locale.

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ORIENTE per sottoporre la richiesta al Pontefice. Moon Jae-in ha deciso di rivolgersi a Bergoglio perché colpito dal ruolo da lui svolto nella normalizzazione dei rapporti tra USA e Cuba.

FILIPPINE 24 maggio. Offensiva dei separatisti islamici, decapitato il capo della polizia. Il presidente delle Filippine, Rodrigo Duterte, ricorre alla legge marziale per 60 giorni contro i ribelli affiliati all’ISIS: è il via libero al regime duro che invocava anche per la lotta alla droga. GIAPPONE 24 maggio. Un ramo del parlamento nipponico ha approvato un disegno di legge anti cospirazione che, secondo il governo di Shinzo Abe, sarà fondamentale per contrastare il terrorismo e la criminalità organizzata, specialmente in vista dei Giochi Olimpici del 2020. MONGOLIA 20 maggio. Tappa storica per la Chiesa in Mongolia e per la Prefettura apostolica di Ulaanbaatar. Si celebra infatti un doppio anniversario. Il primo è il 25° delle relazioni diplomatiche tra la Santa Sede e la Repubblica di Mongolia. Il secondo è il 25° della presenza della Chiesa Cattolica nel Paese. A cura di Luca De Santis

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KIM JONG-UN, LA COREA DEL NORD VERSO GLI ARMAMENTI DI MASSA

Il Leader Supremo ha ordinato la costruzione massiccia dei nuovi missili balistici Pukguksan-2

Di Tiziano Traversa

La determinazione ferrea del leader nordcoreano nel perseguire i propri scopi bellici non fa che alimentare il fuoco della tensione tra i paesi limitrofi. Il Giappone teme per la propria stabilità e chiede alla comunità internazionale di esercitare maggiori pressioni. Il neo-presidente sudcoreano Moon JaeNonostante i dubbi sollevati da in ha promesso che proverà alcuni esperti statunitensi – che ad aprire un dialogo con Pyondubitano dell’efficacia del nuo gyang, a patto però che si vedavo missile a propellente solido no nella controparte i segnali di – Kim ha ordinato la costruzio- un mutato atteggiamento. ne di massa del Pukguksan-2. Anche Pechino ha chiesto alla L’ordine del leader è quello di Corea del Nord un’attenuazione costruire in breve tempo un delle provocazioni missilistiche. grande numero di tali missili a medio-lungo raggio, in modo da Tuttavia, Kim non ha alcun inrendere la Corea del Nord più teresse ad avviare dei round temibile a livello internazio- negoziali, dal momento che – nale. secondo molti analisti internazionali – non possiede mezzi Pyongyang continua, dunque, pacifici per avere la meglio sulla strada dell’accrescimento sugli avversari. Sono invece aldegli armamenti, e questa volta tri gli strumenti di cui è dotata lo farà su larga scala, nonostan- la Corea del Nord: i missili, le te le richieste avanzate in questi testate nucleari e il famoso misgiorni dal Consiglio di Sicurezza sile intercontinentale (ancora delle Nazioni Unite. in progettazione), che potrebbe L’ONU ha condannato seve- raggiungere gli USA. ramente le azioni della Corea del Nord, in quanto atti Il “Leader Supremo” è fermache rischiano di compromettere mente convinto che una magla pace e la sicurezza dell’Asia giore potenza militare possa orientale. Il Consiglio di Sicu- dare al suo Paese una maggiorezza ha pertanto chiesto la re credibilità internazionale; sospensione definitiva dei test una convinzione che può mettemissilistici, minacciando nuove re a repentaglio pace e sicurezsanzioni. za internazionali. Il 21 maggio, dopo aver assistito all’ennesimo test missilistico, il leader nordcoreano Kim Jongun si è detto felice dell’ottimo risultato raggiunto: il nuovo prototipo ha tutte le caratteristiche tecniche necessarie per poter essere prodotto in serie.


AFRICA 7 Giorni in 300 Parole COSTA D’AVORIO 23 maggio. A Bouakè, importante polo commerciale della regione, sono avvenuti degli scontri fra polizia e ribelli che hanno causato quattro vittime. I disordini hanno provocato il blocco dell’accesso sud della città per più di 24 ore. Questo episodio non fa che aggravare l’instabile situazione economica della città, anche importante centro universitario, che gli investitori europei stanno abbandonando sempre più per la poca sicurezza e la paura di scontri armati. KENYA 24 maggio. Cinque membri della scorta del governatore di Mandera, nel nord del Paese, sono morti in un attentato terroristico. L’auto, in cui oltre ai soldati si trovava anche la massima autorità, è andata a contatto con un ordigno esplosivo. Il governatore è rimasto illeso dall’incidente. Quasi contemporaneamente tre poliziotti sono rimasti vittime di un incidente analogo. Entrambi gli attentati non sono stati ancora rivendicati, ma si sospetta che all’origine degli atti terroristici ci sia il gruppo Shebab, molto attivo in Kenya. MALI 24 maggio. Tensioni fra il comitato che sostiene l’accordo di pace, rappresentato dall’algerino Ahmed Boutache, e l’alleanza dei gruppi ribelli (CMA), il cui portavoce è Alghabass Ag Intalla. L’algerino accusa la CMA di essere la causa delle difficoltà nell’applicare i trattati di pace in Mali. Il gruppo di ex ribelli rifiuta di sottostare alle regole imposte dall’accordo in quanto sostiene che dietro al comitato di Ahmed Boutache ci sia il volere

SI INTENSIFICA LA GUERRA CIVILE IN CENTRAFRICA Sono più di 100 le vittime degli ultimi attentati, tra cui 5 Caschi Blu

Di Sabrina Di Dio Risale a lunedì 8 maggio l’ennesimo attentato messo a punto da un gruppo di miliziani cristiani Anti-Balaka contro gli operatori umanitari dell’ONU. I ribelli hanno aperto il fuoco contro un convoglio che trasportava i peacekeepers della Missione multidimensionale delle Nazione Unite nella Repubblica Centrafricana (MINUSCA), che oggi conta 12.000 soldati. Un membro dei Caschi Blu è morto sul colpo, mentre altri 4 sono stati rapiti e trovati senza vita qualche giorno dopo. Ma il grosso delle vittime è stato registrato nel feroce attacco ai civili musulmani della città di Bangassou. Nella notte del 13 maggio, 600 AntiBalaka sono entrati nella città e hanno assassinato gli abitanti del quartiere musulmano. Per compiere il loro crimine indisturbati, i ribelli hanno assediato con armi pesanti la base ONU a Bangassou, per impedire che i soldati uscissero ad aiutare la popolazione. Questi attentati non sono una novità. È dal 2013 che la Repubblica Centrafricana vive in una condizione di continua guerra civile fra i due gruppi religiosamente opposti, i Seleka e gli Anti-balaka. I Seleka, di maggioranza musulmana, nel 2013 riuscirono a conquistare la

capitale Bangui spodestando il presidente François Bozizé e permettendo a Michel Djotodia di autoproclamarsi Presidente: il primo Presidente islamico della storia del Paese. Tuttavia il nuovo regime commise crimini umanitari che causarono l’insorgere delle forze cristiane legate all’ex presidente, ovvero gli Anti-Balaka. Essi ottennero le dimissioni di Djotodia, ma gli scontri tra le due fazioni non sono ancora cessati. Nel 2013 le vittime sono state più di 2.400 e, in soli due anni dall’inizio della guerra, più di 900.000 profughi hanno abbandonato il Centrafrica. Anche nel 2017 le violenze sembrano non voler finire: nei primi 5 mesi vi sono stati 33 attentati contro gli operatori umanitari nel Paese e di conseguenza ben 5 organizzazioni internazionali hanno abbandonato la Repubblica Centrafricana. Questo inserisce la Repubblica Centrafricana nella lista dei Paesi più pericolosi ed instabili del mondo. Gli aiuti economici e militari inviati dalla comunità internazionale non sono bastati a limitare gli scontri. Si potrebbero dunque ipotizzare strategie diverse, come quella di intervenire direttamente sui finanziamenti delle fazioni, che derivano in larga misura dal traffico illegale di diamanti. MSOI the Post • 13


AFRICA del governo algerino. NIGER 24 maggio. Il membro dell’opposizione Amadou Djibo è comparso davanti ai giudici del tribunale di Niamey. L’accusa è di aver incoraggiato i militanti di Moden Lumana Fa a rovesciare il governo di Mahamadou Issoufou, dal 2011 presidente del Niger. L’imputato, Presidente del Front pour la restauration de la démocratie et la défense de la République, continua a negare tutte le accuse. REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO 25 maggio. L’Europa si mobilita contro il ripresentarsi del virus Ebola, che da 10 giorni è tornato a minacciare il Paese africano, causando cinque vittime. Dato l’isolamento della zona colpita dal virus, l’Unicef ha chiesto all’Unione Europea un supporto logistico. Come risposta è stato inviato un aereo diretto a Buta con personale medico e dei farmaci all’avanguardia. SOMALIA 23 maggio. Nella città costiera di Bosaso, il sedicente Stato Islamico ha colpito per la prima volta in Somalia con un attentato suicida. La sera del martedì un kamikaze ha azionato la sua cintura esplosiva, uccidendo 5 persone secondo le dichiarazioni ufficiali. Nel territorio somalo è presente in maniera consistente il gruppo terroristico di Shebab, al quale si aggiunge ora la presenza dell’ISIS. A cura di Francesca Schellino

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YAHYA JAMMEH E I FONDI SOTTRATTI

La corte penale del Gambia congela i beni dell’ex presidente

Di Francesco Tosco Yahya Jammeh, è nuovamente sotto i riflettori: l’ex Presidente del Gambia è stato infatti accusato di appropriazione indebita. L’indagine preliminare si concentra sul periodo di governo intercorso tra il 2006 e il 2017, nel quale Jammeh avrebbe dirottato sui propri conti personali il denaro destinato a due fondi statali. Si parla di 4 milioni di dollari sottratti ad un fondo per la sicurezza sociale ed almeno 50 milioni di un fondo per progetti speciali, depositato alla Banca Centrale del Gambia.

che hanno coinvolto anche le forze armate dell’Unione Africana, la volontà popolare del Gambia è stata rispettata. Jammeh ha deciso di lasciare il Paese con la famiglia per stabilirsi in Guinea Equatoriale, al di fuori dalla giurisdizione della Corte Penale Internazionale.

Jammeh è salito al potere con un colpo di Stato nel luglio del 1994. Nel 1996 ha abbandonato l’esercito per fondare l’Alleanza patriottica per il riorientamento e la costruzione (APRC). Con questo partito, ha sempre vinto le elezioni fino al 1 dicembre scorso, quando, inaspettatamente, un ex agente immobiliare di nome Adama Barrow lo ha sconfitto con il 43% dei voti.

Durante la conferenza stampa del 22 maggio scorso nella capitale, Banjul, il ministro della Giustizia Aboubacar Tambadou ha annunciato che, per evitare la liquidazione dei beni o l’occultamento dei fondi prima che l’indagine potesse essere conclusa, è stato ordinato il congelamento di tutte le proprietà dell’ex Presidente. Un elenco dei beni colpiti è stato fornito in occasione di una conferenza stampa: 131 proprietà immobiliari, 88 conti bancari, 14 società intestate all’ex Presidente o a un prestanome. Tambadou ha voluto precisare che l’indagine è soltanto agli inizi e che, per quel che risulta dagli atti, i 54 milioni di dollari sinora bloccati sarebbero soltanto la punta dell’iceberg.

L’ex Presidente, che in un primo momento era intenzionato a rifiutare l’esito delle elezioni, è stato convinto dalla Comunità degli Stati dell’Africa Occidentale a cedere il potere. Dopo alcune difficili mediazioni,

Presto si apriranno altre inchieste sulle presunte violazioni dei diritti umani perpetrate da Jammeh, contro gli avversari politici del ventennio in cui è stato a capo del Paese.


SUD AMERICA 7 Giorni in 300 Parole

ARGENTINA 23 maggio. Il presidente Macri ha partecipato al summit One Belt One Road, iniziativa strategica della Cina tesa a migliorare i rapporti di cooperazione tra Stati. “Il nostro obiettivo è quello di raddoppiare a produzione di cibo nei prossimi anni” ha dichiarato Macri invitando i suoi omologhi a intensificare i rapporti relativi al commercio e al miglioramento dell’integrazione tra gli Stati. BRASILE 24 maggio. Nuovi guai per il presidente del Brasile, Michel Temer, già finito nella bufera lo scorso venerdì per una vicenda di presunta corruzione e ostruzione alla giustizia. Il suo consigliere speciale alla Presidenza, Tadeu Filippelli, e due ex governatori del Distretto Federale brasiliano, sono stati arrestati nel corso di un’operazione di polizia che ha scoperto uno schema di frode milionario. Continua in tutto il Paese la protesta contro il Presidente. COLOMBIA 24 maggio. In seguito alla decisione della corte costituzionale di limitare il fast track, meccanismo eccezionale che permetterebbe di approvare rapidamente le riforme pattuite, le Commissioni di pace di Camera e Senato hanno deciso di istituire un “Paino B” per salvare il processo di pace in corso con le FARC. ECUADOR 24 maggio. Il nuovo presidente Lenin Moreno si è insediato

BRASILE: PRESIDENTE SOTTO INCHIESTA Temer indagato per lo scandalo ‘Lava Jato’

to per corruzione passiva, ostruzione alla giustizia e Michel Temer è uf- associazione illecita, reo di ficialmente sotto indagi- aver ostruito le indagini su ne. Cunha e l’aver gestito un giro La Corte Suprema del Brasile di tangenti tra imprenditori ha accolto la proposta della sempre in seno allo scandalo procura brasiliana ad aprire Petrobras. un fascicolo contro il Presidente dopo aver visionato la Il Capo gruppo del Partito registrazione, fornita da due dei Lavoratori alla Camera e imprenditori indagati, che lo quello del PSDB (Partito Soincastrerebbe nello scandalo cial Democratico) hanno già Petrobras. reso noto che chiederanno un A procedere con la delibera è nuovo impeachment. stato il giudice Edson Fachin, La risposta da Brasilia non che aveva già seguito la maxi si è fatta attendere: duraninchiesta Lava Jato portando te un discorso alla nazione, all’arresto di diversi im- Temer ha fatto sapere che prenditori e uomini politi- non si dimetterà, richiedenci di spicco nel Paese e addi- do alla Corte Suprema che rittura all’impeachment della qualsiasi accusa su di lui presidente Rousseff. venga fatta cadere, poiché le prove fornite dai due imAll’elenco degli indagati si prenditori sarebbero false e aggiunge così anche il fu contraffatte, nonché atte a Vice Presidente di Stato, destabilizzare ulteriormente che assieme al già condan- il precario andamento politinato presidente della Ca- co della nazione. mera dei Deputati Eduardo Cunha componeva il blocco L’inchiesta Lava Jato, non anti-Rousseff. Cunha aveva ancora conclusa, ha sinora guidato la grande coalizione coinvolto entrambi gli schieche ha messo ai voti e fatto ramenti politici del Brasile e, cadere il Governo socialde- fra gli altri, sono stati indagamocratico, mentre Temer, ti due ex Presidenti, 8 Micon le sue improvvise dimis- nistri, 73 Parlamentari e sioni, aveva creato una crisi diversi imprenditori che ruopolitica rivelatasi poi letale. tano attorno al Parlamento. Il Presidente è ora indagaDi Daniele Ruffino

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SUD AMERICA a Quito dopo una accesa campagna elettorale denominata “Tutta una vita”, basata sulla lotta contro la violenza familiare e la povertà. Moreno ha affermato di voler proseguire le politiche del predecessore Correa incentrate sull’eliminazione della corruzione, la riduzione delle diseguaglianze sociali e la promozione del benessere sociale.

MESSICO: LIBERTA’ DI STAMPA IN PERICOLO?

Tra il 15 e il 19 maggio due giornalisti sono stati uccisi e uno è scomparso

Di Elisa Zamuner

H O N D U R A S 21 maggio. Un’alleanza di partiti politici all’opposizione ha scelto il famoso conduttore televisivo Salvador Nasralla come proprio candidato alla presidenza. Questi si troverà a sfidare l’attuale presidente Juan Orlando Hernández, considerato come favorito per la rielezione. Nasralla è stato nominato dal blocco politico Opposizione Contro la Dittatura, che comprende il partito Libertà e Rifondazione, il Partito Anticorruzione ed il Partito Liberale. VENEZUELA 25 maggio. Tibisay Lucena, presidente del Consejo Naconal Electoral, ha annunciato che a fine luglio saranno indette le votazioni per l’elezione della Assemblea Costituente. 22 maggio. Due giovani sono stati uccisi Maracaibo e Ciudad Bolivar a seguito delle proteste antigovernative contro il presidente Maduro. Le vittime della complicata situazione politica salgono a 63. A cura di Sveva Morgigni e Sara Ponza

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Lunedì 15 maggio, Javier Valdez Cárdenas, corrispondente della Jornada nello Stato di Sinaloa e fondatore del giornale locale Ríodoce, è stato ucciso in pieno giorno. Valdez Cárdenaz, impegnato nella denuncia al narcotraffico e alla corruzione, è il sesto giornalista a essere assassinato in Messico nel 2017. Poche ore più tardi è stato ucciso anche Jonathan Rodriguez, reporter di Jalisco, mentre venerdì 19 è stata denunciata la scomparsa di Salvador Adame, cronista dello stato messicano del Michoacán. In generale, secondo la Committee to Protect Journalists, associazione per la difesa della libertà di stampa nel mondo, dal 1992 al 2017 sono stati uccisi 90 giornalisti, di cui 50 per motivi legati al proprio lavoro; inoltre, l’organizzazione Articolo 19, anch’essa attiva per la libertà di espressione, ha dichiarato che il Messico è il Paese con il più alto numero digiornalisti scomparsi; solo a Jalisco e a Tamulipas sono stati registrati rispettivamente 5 e 6 casi dal 2003. Enrique Peña Nieto ha annunciato di volere intervenire: “Come Presidente del Messico vi posso assicurare che agiremo con fermezza e determinazione

per arrestare e punire i responsabili”. Peña Nieto ha inoltre aggiunto di voler rafforzare la procura speciale creata nel 2010 a tutela dei giornalisti. Le affermazioni del Presidente sono arrivate in seguito alle proteste fatte da decine di giornalisti che, nei giorni successivi all’uccisione di Valdez Càrdenas, si sono riuniti in Città del Messico per chiedere una risposta più forte da parte del governo dinanzi a questi crimini. L’opinione pubblica e le ONG hanno però accoltole dichiarazioni dell’esecutivo con un certo scetticismo, denunciando un altissimo livello d’impunità (circa del 98%) per coloro che assassinano i cronisti in Messico. Secondo un’analisi di Reporters sans Frontières (RSF), il Messico si posiziona al 147° posto nella classifica dei Paesi basata sul grado di libertà di stampa, proprio a causa di una costante atmosfera di paura e violenza: “Quando dei giornalisti si occupano di argomenti collegati alle organizzazioni criminali o alla corruzione politica, questi diventano immediatamente degli obiettivi e sono spesso ammazzati a sangue freddo.” RSF segnala, inoltre, che spesso le indagini che riguardo questi casi sono molto difficili a causa dellacorruzionedilaganteanche tra le forze dell’ordine.


ECONOMIA MAXI MULTA A FACEBOOK

Condannata per aver fornito informazioni fuorvianti

Di Ivana Pesic Il 19 febbraio 2014 Facebook aveva annunciato l’acquisto della piattaforma di messaggistica istantanea WhatsApp, a fronte del pagamento di un corrispettivo pari a 19 miliardi di dollari. Da sempre il CEO di Facebook, Mark Zuckerberg, e quello di WhatsApp, Jan Koum, hanno condiviso l’obiettivo dichiarato di offrire un prodotto efficace per mettere in contatto tra di loro tutti gli esseri umani. La fusione dei due colossi risulta, in tale ottica, un passaggio naturale: ad oggi, Facebook conta 1,98 miliardi di utenti attivi mensilmente e WhatsApp circa 1,2. Si stima, inoltre, che una persona su tre in tutto il mondo utilizzi una o l’altra piattaforma almeno una volta ogni due settimane. Anche valutando l’operazione in funzione dell’operatività, è ragionevole sostenere che l’acquisizione di WhatsApp rappresenti per Facebook l’opportunità di completare il proprio servizio (la condivisione di contenuti user-related) con uno di comunicazione più diretto rispetto al precedente, anche considerato lo scarso successo dell’applicazione di messaggistica Messenger. Il 29 agosto 2014 l’operazione venne ufficialmente notificata

alla Divisione Concorrenza della Commissione Europea la quale, il successivo 3 ottobre, pubblicò un report dichiarante la regolarità della procedura di concentrazione. È bene sottolineare come, interrogata dalle istituzioni europee, Facebook dichiarò, in tale circostanza, che le due piattaforme avrebbero lavorato autonomamente, senza scambio di informazioni circa gli utenti dei due servizi, implementando inoltre la crittografia delle chat di WhatsApp. Però, circa due anni dopo la pubblicazione del report, per la prima volta dalla sua fondazione, venne aggiornata la policy sulla privacy di WhatsApp. Agli utenti venne notificata una modifica dei termini e delle condizioni di utilizzo dell’app che annoverava, tra le altre cose, la condivisione con Facebook del numero di telefono registrato su WhatsApp. Un aut-aut: senza condivisione dei dati con Facebook, il servizio offerto da WhatsApp non sarebbe più stato accessibile. La ragione di tale cambiamento di policy è da ricercare nella natura di Facebook stessa: tale azienda genera i suoi profitti virtualmente solo mediante le pubblicità. Seguendo il principio della pubblicità “cucita su misura” sulla quale si basa

il funzionamento dei cookies, risulta evidente come, per Facebook, sia di fondamentale importanza conoscere le preferenze commerciali dei propri utenti. Quale canale più efficace per scoprirle, se non l’analisi delle conversazioni degli utenti di Whatsapp? Per quanto sensata su di un piano strettamente aziendale, questa operazione appare decisamente poco trasparente e, quantomeno, in netto contrasto con quanto affermato da Facebook nel 2014. Proprio in virtù delle informazioni fuorvianti fornite, il 18 maggio 2017 l’Antitrust europeo ha sanzionato la società con una maxi multa da 110 milioni di euro. Si tratta di “un chiaro segnale alle società che devono rispettare le regole UE, incluso l’obbligo di fornire informazioni corrette”, ha dichiarato la commissaria alla concorrenza Margrethe Vestager, aggiungendo che la multa imposta è “proporzionata e deterrente”. Tale sanzione doveva essere inizialmente di quasi 250milioni di euro (stando alle regole UE sulle fusioni, Bruxelles può imporre sanzioni pari all’1% del fatturato annuo della società incriminata), ma è stata poi ridotta a 110 milioni, in quanto Facebook ha dichiarato di aver commesso l’infrazione, collaborando con la Commissione.

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ECONOMIA LE ARMI MADE IN ITALY NON CONOSCONO CRISI

Numeri in crescita nel 2016, che evidenziano un aspetto poco noto del Belpaese

Di Giacomo Robasto È indubbio che la fine della Guerra Fredda, al crepuscolo degli anni Ottanta del secolo scorso, abbia avviato in Europa una periodo di disarmo che si è protratto per circa un quindicennio. Tuttavia, almeno nell’ultimo lustro, gli Stati del vecchio continente hanno gradualmente ripreso ad investire nell’industria bellica, mossi non soltanto dagli obiettivi di spesa militare interna fissati dai vertici NATO, ma anche attratti dalle grandi possibilità che le esportazioni offrono al settore della difesa. Tra gli Stati europei che spiccano in tal senso vi è senz’altro l’Italia, in cui il settore delle armi all’apparenza non conosce crisi. Infatti, come specifica l’ultimo rapporto annuale dell’istituto svedese SIPRI (Stockholm International Peace Research Institute), il giro d’affari interno del comparto è aumentato dell’11% tra il 2015 e il 2016 ed è addirittura quasi quintuplicato rispetto al 2014 (+452%). Inoltre, la relazione annuale in materia di armamenti redatta dalla Presidenza del Consiglio, presentata in Senato il 28 aprile scorso, sottolinea come le esportazioni italiane di armamenti nel 2016 abbiano

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toccato quota 14,6 miliardi di euro, con un incremento dell’85,7% rispetto ai 7,9 miliardi del 2015. Lo stesso documento riporta, poi, che grazie alla capacità di penetrazione nei mercati esteri e alla flessibilità dell’offerta, l’Italia risulta oggi terza nel mondo per numero di Paesi di destinazione delle vendite dopo USA e Francia e fra i primi 10 per valore delle esportazioni, salendo dalla nona all’ottava posizione dietro USA, Russia, Germania, Francia, Cina, Gran Bretagna e Israele. Il tono entusiastico di queste parole potrebbe venire meno, tuttavia, confrontando i Paesi destinatari delle armi italiane con quanto sancito dalla Legge n. 185 del 1990, che regolamenta il commercio di armi tra l’Italia e l’estero. Essa, infatti, vieta il transito e l’esportazione di armamenti verso i Paesi in stato di conflitto armato e dove siano in atto violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani. Tuttavia, esaminando la lista dei Paesi di cui l’Italia risulta fornitrice, è legittimo che emergano dubbi sulla totale applicazione della legge. Il maggior acquirente estero

risulta, infatti, il Kuwait (con esportazioni per 7,7 miliardi di euro), grazie alla maxicommessa di 58 Eurofighter alla Leonardo (ex Finmeccanica), seguito nel bacino medioorientale da Arabia Saudita (427,5 milioni), Qatar e Turchia, con commesse superiori ai 300 milioni di euro. Tutte nazioni, queste ultime, che hanno iniziato solo in tempi recenti a investire ingenti somme per creare le proprie forze armate quasi dal nulla. Inoltre, esse sono rette da regimi più o meno autoritari che reprimono sistematicamente la libertà d’espressione e i cui valori non rispecchiano affatto la legislazione italiana. Rimanendo in Europa, invece, nel 2016 si è registrato un incremento delle vendite soprattutto verso il Regno Unito e la Germania, quest’ultima impegnata in un importante riammodernamento delle forze armate. Se la compravendita di armi rappresenta senz’altro una grande fonte di guadagno per i Paesi produttori, non vanno dimenticate le assai maggiori responsabilità che essi hanno nello scacchiere geopolitico internazionale, a cui di certo l’Italia non si può sottrarre.


DIRITTO INTERNAZIONALE ED EUROPEO QUALE COMPETENZA PER GLI ACCORDI DI LIBERO SCAMBIO? La Corte di giustizia dell’UE muove verso la definizione di una competenza concorrente

Di Federica Sanna Il 16 maggio 2017 la Corte di Giustizia dell’Ue ha emesso un parere vincolante in cui dichiara la necessità che l’accordo di libero scambio firmato tra l’Ue e Singapore venga ratificato dai 38 parlamenti, nazionali e regionali, dei 28 Stati membri. Il cosiddetto EUSFTA (Eu-Singapore Free Trade Agreement) nasce dalla volontà dell’Ue di firmare un accordo con l’Associazione delle Nazioni del Sud Est Asiatico (ASEAN), la quale ha assunto nel tempo una determinante rilevanza economica: si stima infatti che nel 2030 l’area rappresenterà il quarto mercato unico più esteso al mondo. Compresa la difficoltà di concludere un accordo del genere in tempi ristretti, la Commissione Europea ha deciso di spostare l’attenzione sulla stesura di un trattato con il solo Singapore, con il quale gli scambi economici nel 2016 si sono attestati a 93.2 miliardi di dollari. Il trattato bilaterale, firmato nel giugno 2015, viene considerato dalla Corte un accordo “di nuova generazione”, perché comprende non solo le tradizionali disposizioni in merito alla riduzione delle barriere, tariffarie e non, nel settore degli scambi

di merci e servizi, ma è esteso alla tutela della proprietà individuale, agli investimenti, agli appalti pubblici, alla concorrenza e allo sviluppo sostenibile. Proprio la presenza di due disposizioni particolarmente innovative ha spinto la Corte di Giustizia a riconoscere una competenza concorrente tra Unione europea e Stati membri: la regolazione degli investimenti esteri non diretti, i cosiddetti investimenti “di portafoglio”, e l’istituzione di un regime di risoluzione delle controversie tra investitori e Stati. Il parere della Corte potrebbe avere importanti conseguenze. In primo luogo, sebbene i giudici sottolineino di non aver considerato nel merito la compatibilità con il diritto dell’Ue di un sistema di risoluzione dei conflitti tra Stati e imprese, la decisione rappresenta un freno verso la progressiva estensione delle clausole di protezione degli investimenti esteri. Molti Stati membri dell’Ue, infatti, potrebbero opporsi all’accordo preoccupati del fatto che per le aziende possa essere sufficiente minacciare una causa contro lo Stato per ottenere leggi a loro favorevoli. Inoltre, la posizione espressa dalla Corte avrà effetti sulla conclusione di accordi futuri da parte dell’UE, quali quello con il

Giappone, con il Messico e con il Regno Unito post-Brexit. Le conseguenze più rilevanti riguardano sicuramente il trattato con Londra, i cui tempi potrebbero allungarsi molto a causa della necessità di attraversare il processo di ratifica da parte degli Stati membri. Riconoscere una competenza concorrente in determinati settori significa, inoltre, affermare che nel corso dei negoziati, l’Ue dovrà necessariamente confrontarsi con gli Stati membri in merito a tali aspetti dell’accordo, complicando quindi ulteriormente la conclusione dello stesso. Il parere emesso, se da una parte rimane fermo su questioni di diritto, ha dall’altra un forte valore politico. Esso sollecita infatti la necessità di riconsiderare la politica delle istituzioni europee nell’ambito della conclusione di accordi di libero scambio. L’approccio solitario delle istituzioni dell’Unione nei confronti dell’espansione del libero mercato e della protezione degli investimenti esteri esige un ripensamento verso un più ampio coinvolgimento delle autorità nazionali, anche quando questo significa allungare il procedimento di conclusione di accordi bilaterali. MSOI the Post • 19


DIRITTO INTERNAZIONALE ED EUROPEO VERSO UN INTERNET RESPONSABILE Diritti fondamentali nell’era tecnologica

Di Stella Spatafora È internet uno spazio di assoluta libertà senza confini, “un’utopia del cyber-space” in cui l’individuo possa sentirsi forte e sovrano? La realtà prova il contrario. Internet è un fenomeno globale che travolge la quotidianità. Il filosofo Luciano Floridi parla del superamento di una netta divisione tra dimensione online e offline della nostra vita, l’identità è continuamente e ingenuamente offerta a internet, concedendo di controllarla e ridefinirla in una collezione di Big Data e algoritmi sempre più immediati e attenti. È necessario regolarizzare lo spazio tecnologico, rivalorizzando l’individuo e i suoi diritti. L’impegno dovrebbe attuarsi a più livelli includendo società civile, mercato e governi secondo un modello responsabile basato sull’equilibrio tra libertà, sicurezza e identità. È utile citare la sentenza della Corte di giustizia dell’Ue del 19 ottobre 2016 (C582/14) sull’interpretazione della Direttiva 95/46/CE. La domanda di pronuncia pregiudiziale riguarda la controversia tra il Sig. Breyer e la Repubblica federale di Germania la quale ha conservato l’indirizzo di Protocollo In20 • MSOI the Post

ternet (“indirizzo IP”) di Breyer a seguito della consultazione di siti internet dei servizi federali tedeschi. La Corte ha esaminato il “giusto bilanciamento tra la tutela delle persone fisiche, con riguardo al trattamento dei dati personali, e la libera circolazione di essi”, attribuendolo status di dati personali agli indirizzi IP dinamici, potenzialmente impiegati per individuare l’utente. È stato poi osservato che, in materia di cyber-crime, la legge federale tedesca dispone che nell’amministrazione di un sito internet possa legittimamente memorizzare i dati personali come tutela contro i cyber-attacks. La Corte ha chiarito che un indirizzo IP dinamico costituisce un vero e proprio dato personale. Inoltre, sul bilanciamento tra uso di tali dati e salvaguardia della sicurezza nel cyber-space l’art. 2 lett. f) della Direttiva, dichiara che “il trattamento di dati personali può essere effettuato soltanto quando è necessario per il perseguimento dell’interesse legittimo del responsabile del trattamento oppure del o dei terzi cui vengono comunicati i dati, a condizione che non prevalgano l’interesse o i diritti e le libertà fondamentali della persona interessata”. È stato dunque sancito, in chiave di responsabilità, il bilanciamento tra sicurezza, in quan-

to interesse generale, e diritti fondamentali della persona, come il diritto alla privacy e più largamente alla vita privata. Internet deve poggiare su un terreno solido e responsabile che consenta al singolo di sentirsi libero e tutelato. Oltre l’individuo, la dimensione tecnologica supera i confini nazionali in un’ottica extraterritoriale in cui occorre modernizzare gli standard multilaterali per renderli efficaci nell’era tecnologica. Uno sviluppo del virtuale realmente sostenibile” è fondamentale per tutelare non solo l’interesse del singolo, ma dell’intera comunità internazionale. La sfida è di pensare a internet come strumento legittimo garante di una sicurezza a tutto tondo basata sui diritti fondamentali e su principi democratici. In un mondo “data-driven” si rischia di ridurre sia la validità di internet come bene pubblico, sia il valore dei diritti umani. Il pensiero cartesiano ritiene che noi esistiamo in quanto capaci di pensare, decidere e controllare la nostra stessa esistenza. È dunque necessario individuare consapevolmente un’ubicazione nell’era tecnologica, per gestire il cambiamento senza rischio di esserne manipolati, fruendoresponsabilmente delle sue virtù.


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