MSOI thePost Numero 68

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Il Settimanale di M.S.O.I. Torino


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MSOI Torino M.S.O.I. è un’associazione studentesca impegnata a promuovere la diffusione della cultura internazionalistica ed è diffuso a livello nazionale (Gorizia, Milano, Napoli, Roma e Torino). Nato nel 1949, il Movimento rappresenta la sezione giovanile ed universitaria della Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale (S.I.O.I.), persegue fini di formazione, ricerca e informazione nell’ambito dell’organizzazione e del diritto internazionale. M.S.O.I. è membro del World Forum of United Nations Associations Youth (WFUNA Youth), l’organo che rappresenta e coordina i movimenti giovanili delle Nazioni Unite. Ogni anno M.S.O.I. Torino organizza conferenze, tavole rotonde, workshop, seminari e viaggi studio volti a stimolare la discussione e lo scambio di idee nell’ambito della politica internazionale e del diritto. M.S.O.I. Torino costituisce perciò non solo un’opportunità unica per entrare in contatto con un ampio network di esperti, docenti e studenti, ma anche una straordinaria esperienza per condividere interessi e passioni e vivere l’università in maniera più attiva. Elisabetta Botta, Segretario M.S.O.I. Torino

MSOI thePost MSOI thePost, il settimanale online di politica internazionale di M.S.O.I. Torino, si propone come un modulo d’informazione ideato, gestito ed al servizio degli studenti e offrire a chi è appassionato di affari internazionali e scrittura la possibilità di vedere pubblicati i propri articoli. La rivista nasce dalla volontà di creare una redazione appassionata dalla sfida dell’informazione, attenta ai principali temi dell’attualità. Aspiriamo ad avere come lettori coloro che credono che tutti i fatti debbano essere riportati senza filtri, eufemismi o sensazionalismi. La natura super partes del Movimento risulta riconoscibile nel mezzo di informazione che ne è l’espressione: MSOI thePost non è, infatti, un giornale affiliato ad una parte politica, espressione di una lobby o di un gruppo ristretto. Percorrere il solco tracciato da chi persegue un certo costume giornalistico di serietà e rigore, innovandolo con lo stile fresco di redattori giovani ed entusiasti, è la nostra ambizione. Jacopo Folco, Direttore MSOI thePost 2 • MSOI the Post

N u m e r o

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REDAZIONE Direttore Jacopo Folco Vicedirettore Davide Tedesco Caporedattori Giusto Amedeo Boccheni, Pilar d’Alò, Pauline Rosa Capi Servizio Rebecca Barresi, Luca Bolzanin, Sarah Sabina Montaldo, Daniele Pennavaria, Leonardo Scanavino, Giulia Tempo, Martina Terraglia, Chiara Zaghi Media e Management Samantha Scarpa Redattori Federica Allasia, Erica Ambroggio, Elena Amici, Daniele Baldo, Lorenzo Bardia, Giulia Bazzano, Lorenzo Bazzano, Andrea Bertazzoni, Giusto Amedeo Boccheni, Luca Bolzanin, Giulia Botta, Maria Francesca Bottura, Adna Camdzic, Matteo Candelari, Claudia Cantone, Giulia Capriotti, Emanuele Chieppa, Giuliana Cristauro, Lucky Dalena, Alessandro Dalpasso,Francesca Maria De Matteis, Luca De Santis, Sabrina Di Dio,Ilaria Di Donato, Sofia Ercolessi, Simone Esposito, Guglielmo Fasana, Kevin Ferri, Giulia Ficuciello, Alessandro Fornaroli, Lorenzo Gilardetti, Ann-Marlen Hoolt, Michelangelo Inverso, Vladimiro Labate, Giulia Marzinotto, Simone Massarenti, Efrem Moiso, Virginia Orsili, Daniele Pennavaria, Ivana Pesic, Edoardo Pignocco, Sara Ponza, Jessica Prieto, Carolina Quaranta, Giacomo Robasto, Daniele Reano, Jean-Marie Reure, Clarissa Rossetti, Michele Rosso,Daniele Ruffino , Martina Santi, Federico Sarri, Leonardo Scanavino, Martina Scarnato, Samantha Scarpa, Francesca Schellino, Viola Serena Stefanello, Lola Ferrand Stanley, Giulia Tempo, Martina Terraglia, Elisa Todesco, Francesco Tosco, Tiziano Traversa, Fabio Tumminello, Chiara Zaghi, Francesca Maria De Matteis, Martina Unali, Elisa Zamuner. Editing Lorenzo Aprà Copertine Amandine Delclos, Carolina Elisabetta Zuniga Vuoi entrare a far parte della redazione? Scrivi una mail a thepost@msoitorino.org!


EUROPA 7 Giorni in 300 Parole BELGIO 1 giugno. 19° Eu-China Summit a Bruxelles. L’Unione Europea spera che la Cina resti nell’accordo di Parigi, nonostante il passo indietro degli Usa.

FRANCIA 29 maggio. Emmanuel Macron ha incontrato a Versailles il presidente russo Vladimir Putin. Transizione e stabilità sono gli obiettivi condivisi nella la lotta al terrorismo. Macron ha avvertito che “l’uso di armi chimiche in Siria sarà oggetto di rappresaglia e di risposta immediata”. Putin assicura “misure” per ottenere la verità completa sui sospetti di repressione di omosessuali in Cecenia e sulle ONG in Russia, Macron aggiunge: “vigileremo sui diritti umani”. Duro l’attacco di Macron nel discorso finale contro alcuni media russi. GERMANIA 30 maggio. Alla vigilia del G20, Angela Merkel ha incontrato a Berlino il premier indiano Narendra Modi per le tradizionali consultazioni governative tra i due Paesi. Durante l’incontro il Cancelliere ha sottolineato l’importanza delle relazioni con gli Usa; infine, ha dichiarato che le relazioni con l’India non sono da intendersi “contro” quelle transatlantiche.

“BE AWARE”: IL CAPORALATO È UN PROBLEMA, PER TUTTI

I dati sul lavoro illegale che mettono a nudo l’Europa

Di Giulia Capriotti Il 31 maggio è stato presentato al Parlamento europeo il rapporto Desk in occasione dell’incontro sulle buone prassi contro lo sfruttamento del lavoro in agricoltura. Il rapporto, condotto dal Milan Center for Food Law and Policy e presentato nel progetto “Be Aware” in collaborazione con Coop, mette in rilievo le situazioni del lavoro illegale nei vari Stati membri dell’Unione Europea. Secondo i dati EFFAT (European Federation of Food, Agricuture and Tourism), ai primi posti troviamo Portogallo, Romania e Bulgaria, con tassi di lavoro irregolare superiori al 40%. Al seguito, con tassi superiori al 20%, Italia, Polonia, Spagna e Grecia, mentre a chiudere la fila sono Austria, Francia e Germania, con valori pari o inferiori al 10%. Un caso particolare è quello dei Paesi Bassi, con valori che si attestano attorno al 13,7% ma che arrivano al 40% nelle aree in cui si svolgono attività stagionali. A essere reclutati in questo campo sono soprattutto migran-

ti polacchi costretti a retribuzioni “in nero”. Le cause di una condizione così diffusa sono molteplici. Dalle problematiche che insorgono nella filiera agroalimentare, che incidono sui prezzi dei prodotti agricoli, alla stagionalità intrinseca del lavoro agricolo, per cui in alcuni periodi aumentano sia le richieste da parte dei lavoratori sia il peso fiscale delle imprese. Fattori come questi portano i datori di lavoro a scegliere il lavoro informale, spesso finendo per intrecciarsi con attività illegali. In particolare, nei Paesi del bacino mediterraneo la crescita economica e sociale è spesso rallentata da forme di lavoro informale, non ufficiale e irregolare. La proposta dei promotori del progetto è un’uniformazione, a livello europeo, delle normative riguardanti il lavoro nero. Questo potrebbe essere una prima vera occasione, per i Paesi europei, di scambio e di confronto sulle buone pratiche in materia, ma anche un primo passo per arginare il fenomeno del caporalato e dello sfruttamento nel lavoro d’agricoltura.

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EUROPA LA NUOVA FRANCIA SOTTO ACCUSA

Inchiesta della procura di Parigi contro la neo-ministra de Sarnez

ITALIA 26 maggio. Il 26 e il 27 maggio si è tenuto a Taormina il 43° vertice del G7, guidato dal Presidente del Consiglio Paolo Gentiloni. Temi trattati: politica estera e sicurezza, clima, economia internazionale e crescita sostenibile. Al termine i leader hanno siglato la Dichiarazione del G7 di Taormina sulla Lotta al Terrorismo e all’Estremismo violento. Trump ha ceduto sul protezionismo, ma ha annunciato il ritiro degli Stati Uniti dall’accordo di Parigi. 31 maggio. Il presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, ha accolto a villa Madama il primo ministro canadese Justin Trudeau. Al termine dell’incontro i due hanno tenuto una conferenza stampa. È stata ribadita l’importanza dei legami transatlantici e dei valori comuni. REGNO UNITO 30 maggio. Primo dibattito dal piccolo schermo fra i due principali protagonisti della sfida elettorale che si terrà l’8 giugno per eleggere il 57° Parlamento del Regno Unito: la premier tory, Theresa May, e il leader radicale del Labour, Jeremy Corbyn. Dopo il dibattito Corbyn rimonta negli ultimi sondaggi. A cura di Giuliana Cristauro

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Di Simone Massarenti Prime grane per il governo del presidente della Repubblica francese Emmanuel Macron: la procura di Parigi ha aperto un’inchiesta ai danni della ministra per gli Affari Europei Marielle de Sarnez accusata, insieme a 19 eurodeputati transalpini, di frode nella gestione degli assistenti parlamentari di Strasburgo. La denuncia, avanzata dall’europarlamentare del Front National Sophie Montel, ha subito scatenato l’ira della Ministra, che in una nota pubblica ha affermato che è pronta a denunciare la Montel per “calunnia e diffamazione”. La lettera, inviata all’ufficio europeo antifrode (OLAF), testimonia la volontà del Front National di Marine Le Pen di “portare nel calderone della procura” tutti i partiti francesi, al fine di osteggiare la nascita del nuovo governo Macron. Nella lista inviata alla procura, oltre alla Ministra, spiccano altri nomi eccellenti, tra i quali Bruce Hortefeux, ex Ministro dell’Interno del governo di Nicolas Sarkozy, e altri 18 europarlamentari appartenen-

ti a vari schieramenti (destra, sinistra, ecologisti). In questa lista, redatta per la prima volta nell’inchiesta parlamentare del 22 marzo scorso, compare anche il nome di Marine Le Pen, accusata di aver stipendiato illecitamente i propri collaboratori con i fondi UE. Dure le reazioni della ministra de Sarnez, che ha richiesto l’utilizzo del “principio di eguaglianza” per tutelare gli interessi del governo Macron. L’attenzione non è però direttamente rivolta alla figura della de Sarnez, bensì alla sua ex collaboratrice in Parlamento Philippine Laniesse, ad oggi sua capo ufficio stampa. Il quotidiano Le Parisienne commenta che la vicenda rischia di essere “esplosiva” in vista delle elezioni politiche dell’11 giugno prossimo, seguendo la già imbarazzante vicenda dei presunti favoritismi alla compagna dell’attuale ministro della Coesione Territoriale Richard Ferrand. Gli ultimi sondaggi danno comunque il partito En Marche!al 29%, mentre il Front National perde consensi, crollando al 18%.


NORD AMERICA 7 Giorni in 300 Parole STATI UNITI 27 maggio. La commissione di intelligence del Senato, da cui dipende l’indagine sulle presunte interferenze della Russia alle elezioni del 2016, ha chiesto allo staff della campagna di Trump di raccogliere e presentare tutti i documenti relativi alla Russia a partire dal 2015. 27 maggio. È morto Zbigniew Brzezinski, consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti durante la presidenza di Jimmy Carter.

29 maggio. Trump, nonostante le richieste di dimissioni avanzate dai democratici, ha annunciato la sua piena fiducia nei confronti del genero Jared Kushner, coinvolto nel Russiagate.

31 maggio. Secondo alcune fonti Trump avrebbe deciso di ritirare gli Stati Uniti dagli accordi di Parigi sul cambiamento climatico. Ancora da definire le procedure per la denuncia del trattato. Immediata la risposta dei democratici, che accusano il Presidente di essere una minaccia per il pianeta.

I GIOVANI LEADER DEL G7 Emmanuel Macron e Justin Trudeau, uniti verso il progresso globale

Di Erica Ambroggio “L’amicizia franco-canadese ha un nuovo volto. Tocca a noi raccogliere le sfide della nostra generazione!”. Con queste parole, il neo presidente francese Emmanuel Macron ha commentato l’incontro avvenuto venerdì 26 maggio con il primo ministro canadese Justin Trudeau. A margine del G7 di Taormina e per la prima volta faccia a faccia, i due leader hanno avuto l’occasione di confrontarsi su molte delle tematiche che li rendono politicamente così vicini. L’evidente ottimismo trasmesso dai due giovani politici ha invaso i temi caldi del G7. Clima, terrorismo e cooperazione economica, oggetto del summit, sono stati argomento di un diretto confronto. Entrambi rivolti alla cementificazione delle proprie reciproche relazioni, Trudeau e Macron hanno sottolineato l’importanza dei comuni valori che legano le loro nazioni, rivolgendo l’attenzione verso i futuri incontri che li vedranno protagonisti. Sul clima, entrambi si sono detti favorevoli e pronti a lottare per la difesa di quanto stabilito a Parigi nel 2015. La seconda ed ultima giornata di lavori, terminati sabato 27 maggio, ha riportato, infatti, la questione

del cambiamento climatico sul tavolo delle trattative. A tal proposito, Donald Trump non ha espresso una formale adesione all’accordo, lasciando la questione in sospeso. Sul piano dei rapporti commerciali, i due Presidenti si sono manifestati inclini ad un rafforzamento ed ampliamento delle reciproche relazioni economiche, con chiaro supporto al Comprehensive Economic and Trade Agreement (CETA), ratificato di recente. Questa propensione al libero scambio commerciale si inserisce nella più vasta intesa raggiunta al termine dell’incontro di Taormina, nella quale è stato ribadito “l’impegno a mantenere i mercati aperti e combattere il protezionismo”. Per quanto concerne la lotta al terrorismo, i due hanno promosso la collaborazione costante e finalizzata all’uso della tecnologia per la prevenzione del radicalismo e il monitoraggio delle eventuali attività estremiste. L’alleanza franco-canadese, riflettendosi nei giovani promotori dei valori progressisti, sembra destinata ad avanzare nel migliore dei modi. “Felice di proseguire questo dialogo, amico mio”, la risposta del Premier canadese all’entusiasmo dimostrato dal Capo di Stato francese. MSOI the Post • 5


NORD AMERICA TRUMP PRONTO A LASCIARE L’INTESA SUL CLIMA G7 dall’esito negativo: gli Stati Uniti potrebbero respingere l’Accordo di Parigi

Di Federico Sarri CANADA 29 maggio. Justin Trudeau è stato ricevuto dal Papa dopo il G7 di Taormina. Il Premier canadese ha sollevato con Francesco la questione dei maltrattamenti degli indigeni nelle scuole residenziali cattoliche. 29 maggio. Il presidente Justin Trudeau ha visitato Amatrice e ha donato circa 2 milioni di dollari canadesi per sostenere la ricostruzione. 30 maggio. A pochi giorni di distanza dal G7 di Taormina, il Presidente canadese e il Primo Ministro italiano hanno ribadito le loro visioni comuni, specialmente per quanto riguarda il clima. A cura di Lorenzo Bazzano

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Gli Stati Uniti potrebbero uscire dall’accordo sul clima di Parigi di dicembre 2015. A rivelarlo sono alcuni media statunitensi, che però avvertono: “Trump non è nuovo a repentini cambi di idee”. Potrebbe essere questo il risultato più rilevante del G7 che si è appena concluso a Taormina. Ovvero, il mancato accordo tra 6 leader mondiali e Donald Trump. Secondo il sito di informazione Axios, il Presidente avrebbe infatti rivelato al capo dell’Environmental Protection Agency Scott Pruitt l’intenzione di uscire dall’Accordo di Parigi sul clima. Un progetto che, in tema ambientale, ha un precedente: durante la sua prima amministrazione, George W. Bush aveva rinunciato al Protocollo di Kyoto firmato nel 1997. “Gli Stati Uniti stanno rivedendo le proprie posizioni sul cambiamento climatico, pertanto non si trovano nella condizione per unirsi al consenso su questo tema” è quanto si legge nel comunicato finale del G7. Così, mentre Trump sembra intenzionato a smantellare le politiche energetiche del predecessore Obama, firmatario dell’accordo di Parigi, gli altri G6 si impegnano a: ridurre i gas serra, creare un mercato dell energia

trasparente e sicuro e puntare sulle opportunità economiche e occupazionali della trasformazione del mercato energetico. Sulla questione, l’entourage di Trump dà segnali divergenti. Steve Bannon, consigliere strategico, spingerebbe per uscire dall’Accordo (che entrerà in vigore solo nel 2020). La figlia del Presidente, Ivanka, sosterrebbe la necessità di aderire all’intesa. Trump, in bilico, e prende tempo. Lo fa lasciando il tavolo del G7 senza una posizione chiara e con un tweet in cui annuncia che prenderà la decisione definitiva in settimana. Dal canto proprio, i leader europei non hanno accolto con favore il cambio di rotta statunitense. La cancelliera tedesca Angela Merkel ha definito la discussione “insoddisfacente”. Il neo Presidente francese Emmanuel Macron, più ottimista, spera che gli Stati Uniti torneranno sui propri passi. Trump, intanto, torna in patria soddisfatto: “Abbiamo segnato un home run” ha dichiarato, a caldo. In compenso, le indagini sul Russiagate – i presunti contatti tra lo staff di Putin e quello di Trump, in campagna elettorale – ora coinvolgono anche il genero e consigliere esecutivo dell’ex tycoon, Jared Kushner.


MEDIO ORIENTE 7 Giorni in 300 Parole EGITTO 26 maggio. Attacco contro un autobus, rivendicato da ISIS. Copta la maggioranza dei passeggeri. Secondo le autoritá 29 i morti; Amaq, l’agenzia stampa di ISIS riporta invece 32 vittime. 30 maggio. Il presidente al-Sisi approva una nuova legge che imporrá nuove e piú dure restrizioni alle NGO nel Paese. Secondo Gamal Eid, direttore dell’Arab Network for Human Rights Information, questa legge “elimina la societá civile in Egitto”. IRAQ 30 maggio. Attentati a Baghdad. Un’autobomba presso una gelateria ha causato 10 morti e 22 feriti. Una seconda esplosione si è verificata di fronte alla direzione del servizio pensionistico statale. 9 morti e 36 feriti. Gli attentati sono stati rivendicati da ISIS. 31 maggio. Ancora un attentato nell’area di Baghdad, di nuovo rivendicato da ISIS. Colpita la cittá di Hut. 13 morti e 22 feriti. 1° giugno. Combattenti ISIS bloccano le strade intorno alla Grande Moschea di al-Nuri, a Mosul. Si tratta della moschea da cui al-Baghdadi aveva si era auto-proclamato califfo nel 2014. LIBIA 28 maggio. Ansar al-Sharia ha annunciato la sua dissoluzione. Il gruppo armato era stato responsabile dell’attacco di Benghazi del 2012. MAROCCO. 29-30 maggio. 40 arresti per i disordini che hanno scosso il Rif settentrionale del Paese da mesi. Arrestato anche il leader della protesta, Nasser Zefzafi, accu-

L’IRAN RI-SCEGLIE IL PROGRESSO Hassan Rohani: 57% di preferenze

Di Lucky Dalena La stragrande maggioranza degli elettori iraniani (il 57%) ha, ancora una volta, scelto Hassan Rohani alla guida del Paese. Raisi, il suo diretto rivale, ha ottenuto 15 milioni di voti, contro i 23 del vincitore. Questo successo per Rohani è la conferma di un apprezzamento degli Iraniani per le sue politiche durante il precedente mandato, che, come promesso nella campagna elettorale di quattro anni fa, miravano ad aprire l’Iran al mondo, migliorando la posizione del Paese all’interno della comunità internazionale. Non è un caso, infatti, se proprio durante il suo mandato nel 2015 è stato firmato lo storico accordo sul nucleare con gli USA e cinque altre potenze mondiali in cambio dell’interruzione delle sanzioni. In queste elezioni, ancora una volta, gli Iraniani proriformisti hanno votato per l’apertura dell’Iran da un punto di vista internazionale e, soprattutto, contro l’estremismo. “Oggi, il mondo saprà che gli Iraniani hanno scelto il percorso dell’interazione con il resto del mondo, lontano da estremismi e violenze” ha dichiarato Rohani durante il suo discorso della vittoria. Per Rohani, infatti, queste elezioni sono state una sorta di referendum su

quale direzione, interna ed internazionale, l’Iran dovrebbe prendere. Coloro che si sono fatti portatori di queste voci, però, sono principalmente le classi medie: i ceti più poveri hanno infatti preferito Raisi, più concentrato sui problemi della gente comune e del Paese piuttosto che le questioni diplomatiche. Un’alleanza progressista aperta agli Stati occidentali, quindi, caratterizzerà l’Iran nei prossimi 4 anni. Resta però da verificare come il mondo e l’Iran stesso risponderanno: è ancora incerto il futuro delle relazioni Iran-USA che, sebbene si siano aperte grazie all’asse Obama-Kerry con Teheran, non è detto manterranno questa tendenza sotto l’amministrazione Trump. Inoltre, date le precarie condizioni di salute dell’Ayatollah Khomeini, è da vedere anche come il suo eventuale successore influenzi gli equilibri domestici. Tra i possibili candidati, infatti, ci potrebbe essere proprio Raisi, e la transizione di potere sarebbe stata più semplice con i conservatori in una posizione preminente. Gli interrogativi sono molti, quindi, e sebbene questa sia una grande vittoria per Rohani, è necessario seguire i successivi sviluppi prima di cantare vittoria sul serio per il futuro dell’Iran. MSOI the Post • 7


MEDIO ORIENTE sato di aver minato la sicurezza nazionale.

ULTIME NOTIZIE DAL FRONTE

Resoconto e prospettive dell’assedio di Mosul

PALESTINA 27 maggio. Circa un migliaio di detenuti palestinesi di al-Fatah interrompono lo sciopero della fame durato 40 giorni. Accettata solo la richiesta di 2 visite familiari al mese. SIRIA 28 maggio. Un attacco aereo - probabilmente portato avanti dalla coalizione USA - uccide 13 persone nell’area di Raqqa. 29 maggio. L’UE ha prolungato di un anno le sanzioni contro il presidente Bashar al-Assad, affermando le misure restrittive continueranno finché non cesseranno le repressioni cotnro i civili. 30 maggio. 15 morti durante un bombardamento ISIS su Dayr az Zor, nella parte occidentale del Paese, ai confini con l’Iraq. 31 maggio. Sottomarino russo lancia missili contro ISIS nell’area di Palmira. Intanto, gli USA inviano armi ai combattenti curdi del YPG, in vista delle operazioni per la riconquista di Raqqa. SUDAN 30 maggio. Il governo ha messo al bando l’importazione di prodotti agricoli e animali dall’Egitto. Nessuna ragione apparente per la decisione. TURCHIA 30 maggio. Coprifuoco imposto nella regione di Diyarbakir, come parte di un’azione di sicurezza contro il partito curdo PKK. A cura di Martina Terraglia

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Di Jean-Marie Reure

secondo le stime.

Nel 2014, gli uomini del califfato conquistano Mosul, seconda città d’Iraq per dimensioni. Lì il “califfo” Al Baghdadi proclama la nascita di ISIL. Nel 2016 il premier al Abadi lancia una grande offensiva per riconquistare la città. Frattanto l’ISIL ha perso terreno. In Iraq, ad oggi, 12.791 bombardieri si sono levati in volo per colpire obiettivi sul territorio. 76.649 bombe sono deflagrate. Le stime più basse sulle perdite civili contano 3.681 morti.

Secondo le dichiarazioni dei vertici militari, la capitolazione della città sarebbe prossima. È tuttavia evidente che le operazioni procedano a rilento. Secondo Tom Robinson, dirigente di OXFAM, la situazione delle persone intrappolate fra i due fuochi peggiora: prive di acqua, luce e gas a causa dei combattimenti, difficilmente raggiungibili e prive di aiuti umanitari, migliaia di persone sarebbero di fronte all’impossibile scelta fra restare e morire o fuggire. L’ ONG prevede l’esodo di altre 200.000 persone.

A Mosul il califfato non si arrende. La coalizione supportata dagli USA – che vede cooperare Forze di sicurezza Irachene, Peshmerga curdi, milizie sciite e milizie tribali sunnite – non è ancora riuscita a espugnare del tutto la città. Nel gennaio 2017 le truppe penetrano nella prima cintura della città, da Est. 400.000 civili circa rimangono intrappolati. L’avanzata rallenta, minacciata da autobombe, cecchini, civili utilizzati come scudi e mine improvvisate. A febbraio una nuova offensiva scaccia l’ISIL dalla parte ovest della città. Ci avviciniamo ora al centro storico della città, dove le vie sono più strette e si combatte di strada in strada. Dall’inizio dell’offensiva più di 700.000 civili hanno lasciato la città, ma ne rimangono molti, tra i 200 e i 400.000

Mosul cadrà, ma cosa ne sarà delle popolazione? Domani, saranno i civili a dover ricostruire la città: case, scuole e edifici pubblici, ma anche una comunità distrutta. A Falluja si levano le prime voci di protesta: la corruzione dilagante fa sì che, secondo alcuni, uomini che prima erano dalla parte dell’ISIL ora siano membri delle varie milizie e si occupino ora della “sicurezza” della popolazione. In una città come Mosul, più popolata, ove i miliziani si trovano con le spalle al muro, non hanno intenzione di arrendersi e hanno a disposizione un numero cospicuo di “scudi umani” che li proteggono da incursioni aeree, che cosa accadrà domani?


RUSSIA E BALCANI 7 Giorni in 300 Parole BULGARIA 29 maggio. La Bulgaria sta valutando la possibilità di istituire quattro zone di movimento per limitare la circolazione dei profughi. Ciò determinerebbe per i migranti l’impossibilità di lasciare la regione dove per prima hanno richiesto protezione internazionale, fino al completo espletamento della domanda di asilo. Aspra la critica delle associazioni per i diritti umani, a giudizio delle quali la misura è sproporzionata e limitatrice dei diritti fondamentali. CECENIA 29 maggio. Macron incontra Putin a Versailles e pone l’accento sulla necessità di rispettare “tutte le minoranze”, riferendosi a “LGBT in Cecenia” ed alle “ONG in Russia”. Putin, secondo quanto riferito dallo stesso Macron, avrebbe promesso una verifica sulle attività svolte dalle autorità locali cecene contro i gay. MACEDONIA 29 maggio. Zaev ha presentato la squadra del nuovo governo, a cui il Parlamento dovrà concedere la fiducia. L’esecutivo è composto dai socialdemocratici e da partiti rappresentanti la minoranza albanese. I socialdemocratici hanno comunicato le priorità del nuovo governo: riforme volte a trasformare la Macedonia in senso democratico, nonché quelle volte ad accelerare l’integrazione europea del Paese. MOLDOVA 27 maggio. I liberali abbandonano la coalizione di governo filo- europea a seguito dell’arresto di Chirtoaca, sindaco di Chisinau e nipote del

LO SPETTRO RUSSO

Il Montenegro entra a far parte della NATO lasciando scontento un vecchio alleato

Di Daniele Baldo Nel corso dell’ultimo summit della NATO tenutosi il 25 maggio a Bruxelles, il neo presidente americano Donald Trump si è trovato sotto il centro dei riflettori, soprattutto per via delle sue posizioni critiche nei confronti dell’Alleanza atlantica. Un attore che è rimasto in secondo piano è invece il Montenegro, nonostante abbia partecipato al summit come membro di fatto della NATO. Il processo di adesione del Paese alla NATO si è avvicinato infatti alla sua conclusione: dopo la firma degli accordi negoziali nel maggio del 2016 e l’approvazione di tutti i Parlamenti nazionali dei membri della NATO, il 29 aprile il Governo montenegrino ha dato il via libera finale all’ingresso nell’Alleanza, che dovrebbe concludersi ufficialmente il 5 giugno. Era dal 2009, con l’ingresso di Croazia ed Albania, che la NATO non accoglieva nuovi membri. L’entrata del Montenegro all’interno dell’Organizzazione appare come un ulteriore segnale di avvicinamento ai valori e alla politica dell’Europa. Dopo lo scioglimento della Jugoslavia nel 1992 e la dichiarazione di indipendenza dalla Serbia nel 2006, il Montenegro ha vissuto un lungo periodo di vicinanza con la Russia, con la quale ha condiviso la religione cristiano ortodossa, la lingua e

la cultura. Per oltre un decennio l’influenza russa nel settore commerciale ed economico ha consentito un ingente afflusso di denaro e turisti nel Paese balcanico. Nonostante ciò, la presa di Mosca non ha coinvolto con successo la sfera politica del Montenegro. Le vicende politiche montenegrine hanno infatti spinto il Paese sempre più verso ovest, culminando nel 2012, con la richiesta di adesione all’Unione Europea. Tuttavia, l’entrata nella NATO viene vista da una parte della popolazione come un tradimento verso degli alleati storici come la Russia e la Serbia. I sostenitori della NATO, tra cui il premier Markovic, sperano che il ruolo strategico del Montenegro, che di fatto toglie uno sbocco sul mare alla Russia, riesca a ridare stabilità ad un Paese che è sempre rimasto in bilico dopo le elezioni tenutesi lo scorso ottobre. Preoccupa la presunta ingerenza esterna della Russia, accusata dal governo di aver architettato il tentato omicidio contro il Primo Ministro per impedire l’ingresso del Paese nell’Alleanza atlantica. Accuse di questo tipo potrebbero paralizzare un Parlamento che, a più riprese, ha cercato di boicottare il governo di Markovic, che non potrà contare sulla NATO per risolvere la crisi politica che ha colpito il Montenegro. MSOI the Post • 9


RUSSIA E BALCANI UN PASSO VERSO LA FINE DELLA CRISI POLITICA

leader dei liberali, Ghimpu. La decisione, annunciata dallo stesso Ghimpu, mette a dura prova la durata della coalizione governativa. RUSSIA 31 maggio. Navalny perde la causa in cui era imputato per diffamazione ai danni del miliardario Usmanov, accusato di intascare “bustarelle” sotto forma di finanziamenti. Sebbene la Corte abbia intimato la rimozione del materiale accusatorio, Navalny ha dichiarato che non intende eliminare i propri video e che farà ricorso avverso tale decisione, scaturita da un processo che, a suo avviso, non ha nulla di giudiziario. SERBIA 26 maggio. Incontro del presidente Vucic con gli ambasciatori dei Paesi dell’UE per discutere dell’integrazione europea del Paese e delle difficoltà nel dialogo con il Kosovo. Vucic ha sottolineato la volontà di concludere il cammino della Serbia verso l’Europa. + 31 maggio. Aleksandar Vucic ha giurato come nuovo presidente della Serbia ribadendo il suo impegno a lavorare per le riforme, per l’integrazione europea del Paese e a favore della pace e della stabilità. Il 30 maggio si è dimesso dalla carica di Premier. Il nome del nuovo Primo Ministro si saprà entro il 18 giugno. SLOVENIA 26 maggio. Colloquio telefonico tra il presidente sloveno Pahor e il presidente della Russia Putin. I due leader hanno approfittato del 25° anno delle relazioni bilaterali per rimarcare l’importanza delle relazioni fra i due Paesi. A cura di Ilaria Di Donato 10 • MSOI the Post

In Macedonia il socialdemocratico Zaev riceve l’incarico di formare il nuovo governo

Di Giulia Bazzano In Macedonia sembra essersi chiuso, almeno per il momento, il ciclo di tensioni ed instabilità nel quale era piombata la repubblica balcanica. Lo stallo politico, iniziato con le elezioni del dicembre scorso e la mancata definizione di una maggioranza stabile, si è concluso con l’incarico di creare il nuovo governo conferito ai socialdemocratici. Le elezioni avevano visto vincitore il partito conservatore VMRO-DPME di Nikola Gruevski, il quale, però, aveva vinto con un margine di vantaggio piuttosto esiguo e si trovava in bisogno dell’appoggio del partito DUI, prima forza politica della minoranza albanese. La DUI ha però negato questo appoggio, sostenendo la seconda forza politica del paese, l’opposizione dei socialdemocratici di Zoran Zaev (SDSM). Questo aspetto aveva impedito la creazione di una coalizione e, dunque, di un governo. Il presidente Ivanov aveva rifiutato categoricamente la possibilità che a governare potesse essere proprio la coalizione tra SDSM e DUI: secondo Ivanov, un ruolo così centrale per il partito albanese avrebbe minato “l’unità, integrità e sovranità territoriale” della Macedonia. Il

leader

socialdemocratico

Zaev aveva presentato il suo accordo di coalizione in marzo. La collaborazione con la minoranza albanese risultava particolarmente di successo principalmente grazie alla sua apertura verso le richieste dei partiti DUI, Besa ed Alleanza per gli Albanesi. Proprio questa apertura aveva spaventato le fazioni più nazionaliste e conservatrici della Macedonia. La tensione era salita al punto che il 27 aprile un gruppo di sostenitori del VMRO-DPME ha fatto irruzione in Parlamento aggredendo deputati e giornalisti. La motivazione principale era, infatti, l’elezione a presidente del Parlamento dell’albanese Xhaferi. A soli due anni dallo scandalo delle intercettazioni e delle proteste di piazza, la paura di una nuova crisi irreversibile era tanta. La volontà di garantire stabilità e un futuro politico al Paese è ciò che ha probabilmente spinto il presidente Ivanov a concedere l’incarico di formare un governo a Zaev. Quest’ultimo ha assicurato che il governo diventerà operativo il prima possibile. Egli, inoltre, ha chiaramente espresso la sua volontà di superare le tensioni tra i gruppi parlamentari, in primis all’interno degli stessi partiti della minoranza albanese e, dunque, della sua coalizione.


ORIENTE 7 Giorni in 300 Parole

CINA 27 maggio. I Ministri degli Esteri di Russia e Cina hanno raggiunto un accordo di intervento pacifico ai problemi causati dalla Corea del Nord. “Gli interventi militari non dovranno essere un’opzione risolutiva, in quanto causerebbero ulteriori problemi e conseguenze molto serie” ha dichiarato il ministro cinese Wang Yi. 1 giugno. È entrata in vigore la legge sulla cybersecurity, che sposterà su server cinesi i dati online di chi vive e lavora in Cina. Influenzati dal cambiamento anche i VPN, utilizzati per bypassare i limiti del web cinese. La misura ha sollevato le proteste delle camere di commercio internazionali, preoccupate per i problemi di costo, sicurezza e privacy che questo spostamento comporterà. COREA DEL NORD 29 maggio. Il Paese ha nuovamente effettuato il lancio di un missile balistico nel Mar del Giappone. La denuncia proviene dalla Corea del Sud; la comunità internazionale ha annunciato un’azione comune, mantenendo comunque i principi di prudenza e non belligeranza. GIAPPONE 31 maggio. In aumento la produzione industriale, che ad aprile ha registrato un +4% rispetto al mese precedente, favorito dal mercato dell’auto. In

DAESH NEL SUDEST ASIATICO

Duterte proclama la legge marziale a Mindanao

Di Giusto Amedeo Boccheni La scorsa settimana sono trapelati i dettagli di una telefonata tra i leader statunitense e filippino, nel corso della quale Trump si è affabilmente congratulato per la – sanguinaria – guerra alla droga di Duterte. Le associazioni umanitarie, le forze di opposizione e i contrappesi istituzionali per ora non sono valsi granchè a contrastare il discusso operato dell’esecutivo filippino. La situazione, peraltro, si è fatta più delicata, da una settimana a questa parte. A Marawi, città a maggioranza musulmana dell’isola di Mindanao, è infatti scoppiata una sanguinosa guerriglia, dopo la tentata cattura di Isnilon Hapilon, capo di Abu Sayyaf (AS), organizzazione terroristica vicina a Daesh. Le truppe di AS, affiancate dal grupp o Maute, si erano radunate nell’area con l’obiettivo di sferrare un attacco all’inizio del Ramadan. Il 23 maggio, Duterte ha imposto la legge marziale nell’intera isola. Tra 60 giorni sarà necessario il vaglio di Parlamento e Corte Suprema; il Presidente ha però affermato che intende estendere la legge marziale a tutto il Paese, per il tempo che riterrà necessario. Lo Sean Spicer filippino, Ernesto Abella, ha avuto un bel dire per mitigare le parole del Presidente.

Duterte ha poi invitato i militari a operare senza remore, arrivando persino a giustificare lo stupro: in ogni caso, lui se ne sarebbe assunto la responsabilità. Di nuovo, Abella ha sdrammatizzato, ma il vice presidente Robredo ha condannato le parole di Duterte, irrispettose di vittime e soldati. Al 30 di maggio, 61 terroristi, 19 civili e 18 membri delle forze di sicurezza hanno perso la vita a Marawi. Su qualche tetto sventola la bandiera dello Stato Islamico. Circa 2.000 persone rimangono intrappolate nelle loro case. Il resto della popolazione è stato evacuato nella vicina Iligan, ma si temono infiltrazioni dei militanti. Il Fronte di Liberazione Nazionale Moro si è unito al Governo nella battaglia e Duterte ha lanciato l’appello affichè anche altri avversari convenzionali partecipassero, in cambio di paga e terre. Altre organizzazioni musulmane filippine (MILF, NUCP), insieme alla Croce Rossa, si sono adoperate nel dare sostegno alla popolazione colpita, domandando però la cessazione dell’impiego di attacchi aerei, fonte di molte casualità tra i civili. I ribelli comunisti, infine, con cui Duterte ha nuovamente interrotto le negoziazioni di pace in Olanda, hanno fortemente condannato l’imposizione della legge marziale.

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ORIENTE parallelo si registra un surplus di posti di lavoro, in particolare di manodopera.

MONGOLIA E SUDEST ASIATICO? Perplessità sull’ammissione all’ASEAN dopo le dichiarazioni di Duterte

Di Luca De Santis

INDIA 1 giugno. Il summit annuale India-Russia vede all’ordine del giorno la cooperazione economica tra i due Paesi per i prossimi decenni, che si tenterà di rivitalizzare dopo diversi anni di stallo. Di recente, i rapporti tra le nazioni hanno compiuto passi avanti in ambito commerciale, energetico-nucleare e finanziario. MYANMAR 27 maggio. Le autorità buddiste del Paese ha bandito il movimento ultranazionalista di monaci Ma Ba Tha, accusato di diffondere odio etnico-religioso: il gruppo dovrà porre fine alle sue attività, e rimuovere il proprio materiale propagandistico dagli spazi pubblici entro il 15 luglio. A cura di Carolina Quaranta

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Martedì 23 maggio, il presidente filippino Rodrigo Duterte ha suscitato lo stupore e le polemiche di molti, quando – nel corso di una conferenza stampa – ha suggerito una possibile adesione da parte di Mongolia e Turchia all’associazione delle nazioni del sudest asiatico (ASEAN). L’ASEAN conta attualmente 10 Paesi collocati nell’Asia sudorientale: Brunei, Cambogia, Indonesia, Laos, Malaysia, Myanmar, Filippine, Singapore, Tailandia e Vietnam. Tuttavia Duterte, in una conferenza stampa dopo il suo arrivo a Davao, ha rivelato che il presidente turco Recep Tayyip Erdogan e il primo ministro della Mongolia Jargatulga Erdeneba avevano entrambi dichiarato di volere che le Filippine, che presiedono l’ASEAN quest’anno, “sponsorizzassero” il loro tentativo di aderire all’associazione. Al pari del caso turco, anche l’adesione della Mongolia all’ASEAN potrebbe risultare problematica, dal momento che il Paese non rispetta appieno i requisiti territoriali necessari: la questione non è solo geografica, ma anche legale. L’articolo 6 della Carta dell’ASEAN, infatti, specifica che “la posizione nella regione geografica riconosciuta dell’Asia sudorientale” è uno dei quattro criteri per l’applicazione e l’ammissione

all’ASEAN. La Carta, entrata in vigore nel 2008, è diventata a tutti gli effetti un documento giuridicamente vincolante per i dieci Stati membri (tra cui le Filippine). Come nota la Carta, gli Stati membri dovrebbero concordare l’ammissione di nuovi Paesi. Infatti, contrariamente a quanto ha indicato Duterte, l’ammissione di nuovi membri nel sistema dell’ASEAN deve passare attraverso un lungo e complesso processo di raggiungimento del consenso. Dovrebbe, insomma, trattarsi di una decisione concordata all’interno dell’organizzazione regionale, nel tentativo di raggiungere un voto quanto più possibile unanime: la scelta non dovrebbe essere determinata unilateralmente dalla presidenza. L’allargamento ASEAN era già stato controverso con l’adesione di Cambogia, Laos, Myanmar e Vietnam. All’epoca, infatti, alcuni tra i cinque Stati membri originari – Indonesia, Malaysia, Filippine, Singapore e Thailandia – avevano obiettato che un simile allargamento rischiava di rallentare il processo di integrazione regionale. Probabilmente, secondo alcuni analisti locali, per la Mongolia sarebbe strategico un partenariato formale con l’ASEAN – forse proprio quello che il Paese aveva suggerito alle Filippine – piuttosto che una piena adesione.


AFRICA 7 Giorni in 300 Parole

BURUNDI 31 maggio. Il Paese è in ginocchio da 2 settimane a causa di una grave carenza di petrolio. La società burundiana Interpetrol avrebbe acquistato le azioni delle 2 maggiori aziende importatrici di petrolio: l’azienda kenyana KenolKobil e la compagnia sudafricana Engen. In questo modo Interpetrol avrebbe ottenuto il monopolio in quanto unico distributore di petrolio nel Paese, ma non sarebbe più in grado di essere solvente per l’acquisto di carburante. GIBUTI 29 maggio. È stato inaugurato il porto più moderno dell’intero continente. Il porto di Doraleh è stato finanziato in parte dal Gibuti e in parte dalla Cina, in quanto rappresenta un punto chiave del commercio marittimo della via della seta.

REPUBBLICA CENTRAFRICANA 31 maggio. La direttrice esecutiva del Fondo Monetario Internazionale, Christine Lagarde, ha visitato il Paese per vedere i miglioramenti apportati al Centrafrica grazie ai massicci

LE SABBIE DEL SAHEL

La sicurezza al centro dell’agenda francese per la regione

Di Guglielmo Fasana Lo scorso 19 maggio, il neo-eletto presidente della Repubblica Francese, Emmanuel Macron, si è recato in visita alle truppe francesi di stanza a Gao (Mali), nella sua prima visita ufficiale al di fuori dei confini europei. Il Mali si trova di fronte al rischio di precipitare in una nuova spirale di violenza, a causa della perfettibile attuazione degli accordi di Algeri del 2015. Questi miravano, in origine, ad una riconciliazione tra le istituzioni centrali di Bamako e il nord del Paese, controllato dai ribelli Tuareg. Riconciliazione che, in pratica, non è mai avvenuta. Il numero di soldati dell’esercito regolare che ogni settimana perdono la vita combattendo si attesta a 5, senza contare le vittime tra i Caschi Blu delle Nazioni Unite, anch’essi impegnati sul terreno e bersaglio della violenza dei gruppi estremisti jihadisti. L’esasperazione della popolazione locale è anche acuita dalla corruzione dilagante a tutti i livelli dell’amministrazione pubblica. In questo clima di tensione, Macron si è presentato ad alcuni dei 1.600 membri delle forze armate suoi connazionali, annunciando che l’operazione militare alla quale partecipano,

Barkhane (dal nome di una duna sabbiosa tipica della regione), sarebbe continuata fino alla sconfitta delle frange estremiste che mettono in questione la sicurezza e la stabilità del Paese. Emmanuel Macron ha inoltre parlato di una prossima “accelerazione” degli investimenti francesi nella lotta al terrorismo, esortando anche i partner europei a fare altrettanto; in particolare, le sue parole erano rivolte a Berlino e alla Cancelliere Merkel, contando sul fatto che la Germania opera già in Mali, con circa 1.000 uomini, ritenuti tuttavia insufficienti dai quadri francesi. Tra i cosiddetti investimenti figura anche l’invio di nuovi elicotteri, necessari, come ha precisato il generale Xavier de Woillemont, per non trasformare l’intera operazione in uno sforzo logistico inutile, vista la determinazione francese nel mantenere una presenza a lungo termine. Se Barkhane non si insabbierà sulle dune del Sahel, come del resto missioni simili hanno fatto in passato in altre aree del globo, Macron, in concerto con i suoi omologhi europei e della regione, potrebbe riuscire a porsi al di sopra della questione e proporre una soluzione che permetta di affrancarsi dalla diplomazia delle armi.

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AFRICA investimenti di cui è stato destinatario. Il Centrafrica, infatti, a partire da luglio 2016, ha ricevuto 116 miliardi di dollari che verranno rilasciati nel corso di 3 anni. Grazie a quest’intervento la crescita del Paese è del 4,5% e sono state attuate molte riforme democratiche. REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO 30 maggio. Il ministero della salute della RDC ha approvato l’uso del vaccino sperimentale contro l’ebola. Il vaccino non ha ancora ottenuto la licenza, ma i suoi risultati sono promettenti. RWANDA 30 maggio. È stata adottata una misura secondo cui i candidati alle elezioni presidenziali del 14 luglio devono sottoporre ogni aggiornamento sui loro social network ad una commissione. Se i 7 commissari elettorali reputano il messaggio “contro la legge” allora non verrà pubblicato. L’opposizione critica questa forma di “censura preventiva”, sostenendo che sia un modo per non far diffondere critiche all’attuale presidente Paul Kagame. Egli governa il Rwanda dal 2000 e ha recentemente modificato la Costituzione per correre un terzo mandato. SUD SUDAN 30 maggio. Iniziano i processi ai militari accusati di aver stuprato 5 operatrici umanitarie e di aver fucilato un giornalista. Il crimine è avvunuto lo scorso 11 luglio in un resort dove alloggiano spesso operatori umanitari stranieri, il Terrain Hotel. A cura di Sabrina Di Dio

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G7, GRANDE ATTENZIONE PER L’AFRICA

I leader africani a Taormina per lavorare con i Sette Grandi

Di Chiara Zaghi Sabato 27 maggio, durante la giornata conclusiva del G7 di Taormina, sono stati invitati alcuni leader africani alla sessione di lavoro outreach, prevista dal primo ministro Paolo Gentiloni. Il focus della prima parte della giornata è stato proprio sulla sicurezza, la stabilità e lo sviluppo del Continente africano. I 5 leader africani di Guinea, Niger, Kenya, Tunisia e Etiopia, hanno avuto modo di confrontarsi con i rappresentanti delle 7 potenze mondiali e con Jean-Claude Juncker, Presidente della Commissione dell’Unione Europea, e Donald Tusk, Presidente del Consiglio Europeo. L’obiettivo della sessione di lavoro è stato creare una partnership a tutto campo e condivisa nei confronti dell’Africa, questione rimarcata, negli ultimi anni, anche nella politica estera italiana. Gentiloni ha infatti dichiarato: “La scelta di Taormina e della Sicilia già dice quanto sia importante per noi il rapporto con l’Africa. Ci troviamo nel cuore del Mediterraneo, un mare in cui convergono tradizioni, credi religiosi e tre continenti”. La cooperazione deve essere attuata apportando innovazione e sviluppo del capitale umano oltre che fisico. In tal senso, è stata fondamentale la presenza dei

vertici di alcune Organizzazioni Internazionali come le Nazioni Unite, il Fondo monetario internazionale, la Banca Mondiale, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, la Banca africana di sviluppo. Queste istituzioni potranno infatti sostenere e monitorare i buoni propositi gli Stati riuniti hanno professato. Il discorso può anche essere applicato ad altri due temi trattati al G7 e di interesse internazionale: la lotta al terrorismo e i flussi migratori. Nei dettagli, la collaborazione con l’Africa riguarda la prevenzione e la risposta alla crisi e ai conflitti, la creazione di un ambiente stabile per gli investimenti, l’ampliamento all’accesso all’energia, la garanzia all’istruzione e a un lavoro dignitoso, la sicurezza alimentare, il miglioramento dei servizi sanitari e l’uguaglianza di genere. Nel Comunicato finale i Paesi del G7 dichiarano che la cooperazione è necessaria per “costruire una società più resiliente in una rapida evoluzione del mondo. Il nostro obiettivo è lavorare in collaborazione con il Continente africano, sostenere l’agenda dell’Unione Africana 2063”. Quanto affrontato e definito a Taormina, verrà ripreso e approfondito il 7 e l’8 luglio, in occasione del G20 che si terrà in Germania.


SUD AMERICA 7 Giorni in 300 Parole

BRASILE 30 maggio. Caos politico e giudiziario per le accuse di corruzione al presidente Temer, aggravate da nuove prove contro il deputato Rocha Loures. Dilagano le manifestazioni per le dimissioni del Presidente: il 29 maggio a Rio de Janeiro in migliaia hanno partecipato ad un corteo, seguito da un grande concerto a Copacabana, per chiedere nuove elezioni presidenziali dirette. CILE 31 maggio. Cile e Thailandia negoziano nuove condizioni del Trattato di Libero Commercio (TLC), in vigore dal 2015, promuovendo relazioni commerciali e cooperazione in materia di ambiente, lavoro e uguaglianza di genere. Alla prima riunione della Commissione a Bangkok ha partecipato l’ex presidente Eduardo Frei Montalva, in qualità di Ambasciatore Speciale nelle relazioni con l’Asia. COLOMBIA 29 maggio. Posticipata di 20 giorni la consegna delle armi dei guerriglieri FARC, la cui scadenza era fissata al 29 maggio, secondo i termini dell’accordo di pace. Esteso a 60 giorni, il permesso a 7.000 combattenti di restare nelle 26 zone di “normalizzazione”, controllate dagli ispettori ONU.

UNA RIVOLUZIONE BRASILIANA?

Manifestazioni e intervento dell’Esercito a Brasilia

Di Anna Filippucci Il 24 maggio a Brasilia violente proteste nei confronti del Presidente in carica hanno spinto il Governo ad autorizzare, tramite decreto, l’intervento dell’Esercito per sedare la rivolta. L’obiettivo della folla armata di pietre e slogan offensivi, era di raggiungere il Palazzo presidenziale Planalto. Alcuni membri del Parlamento hanno reso nota la propria preoccupazione riguardo l’uso dell’Arma per sedare le manifestazioni, considerata una misura estrema. Innanzitutto, avrebbe reso evidente la perdita del controllo da parte del Governo e, in secondo luogo, a molti ricordato le misure adottate durante la dittatura militare (1964-1985). Le accese critiche hanno spinto il presidente Temer a ritirare il decreto il giorno seguente, nonostante le manifestazioni non fossero terminate.

e la caduta del Governo diventano una possibilità sempre più concreta. Parallelamente agli scandali, è in corso un tentativo di riforma economica che mira a rendere più liberale il sistema vittima di una persistente recessione, aggravata dalle precedenti misure di austerity. La caduta del Governo significherebbe ritardare o affossare del tutto tale riforma e provocherebbe, molto probabilmente, un crollo della Borsa.

Queste manifestazioni sembrano richiamare l’idea romantica di Rivoluzione, di una Nazione unita che si batte per un governo legittimo. Ma la realtà è un po’ più complessa: le grandi disuguaglianze della società brasiliana non permettono un alto livello di coesione sociale e d’intesa sugli obiettivi. Inoltre, sul piano politico manca un’opposizione forte: solo il Partito dei Lavoratori (PT), unendosi ai sindacati, aveva lanciato un appello a manifestare contro Temer, mentre il Partito I motivi delle proteste sono da Socialdemocratico si era asteinquadrarsi nella situazione di nuto dal commentare l’inchiesta crisi politica ed economica nei confronti del Presidente. che il Paese sta attraversando. Temer potrebbe cadere, ma Il presidente Temer è ufficial dopo si riuscirebbero a trovare mente sotto accusa e indagato un accordo politico e un Goverper corruzione, così come gran no tali da soddisfare le esigenze parte dei membri della sua am- della popolazione e rilanciare ministrazione. L’impeachment l’economia del Paese?

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SUD AMERICA HONDURAS 29 maggio. La ressa tra migliaia di tifosi presso il National Stadium di Tegucigalpa ha causato 4 morti e 25 feriti. Circa 600 agenti di polizia hanno utilizzato gas lacrimogeni per disperdere la folla, generando panico e alimentando il caos. MESSICO 30 maggio. Il Movimento Zapatista, grazie al Congresso Nazionale Indigeno (CNI), decide di partecipare alle elezioni presidenziali 2018, presentando la candidatura della rappresentante María de Jesús Patricio Martinez: “Noi non puntiamo ai voti, ma alla ricostituzione dei nostri popoli”. PANAMA 30 maggio. Muore a 83 anni l’ex dittatore Manuel Noriega, presso l’ospedale Santo Tomás di Città di Panama, in cui era stato ricoverato d’urgenza il 7 marzo, dopo essere stato rilasciato dal carcere a gennaio. Al governo dal 1983 al 1989, venne incarcerato con l’accusa di traffico di droga e corruzione, a Panama; fu poi trasferito negli Stati Uniti e in Francia. VENEZUELA 31 maggio. Continuano manifestazioni e scontri antiMaduro a Caracas, dopo la sentenza della Corte Suprema di Giustizia (TJS) che lascia il via libera al Presidente di costituire una Assemblea Nazionale Costituente, senza previo referendum consultivo. Sale a 66 il numero di vittime, dopo la morte di un attivista dell’opposizione di 21 anni, nello Stato di Anzoategui. A cura di Giulia Botta

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L’ASCESA DEL FRENTE AMPLIO

I “democratici ribelli” che affascinano i giovani e coloro che vogliono cambiare il Cile

Di Sara Ponza Il Frente Amplio è la nuova forza politica del Cile, dove sta riscuotendo un forte consenso sia tra le masse popolari sia fra i giovani. La coalizione, fondata agli inizi del 2017, è composta da 12 organizzazioni, 5 delle quali sono movimenti universitari, e 7 partiti politici tra cui il Partido Igualdad, il Partido Humanista e il Partido Pirata de Chile. I suoi membri si definiscono “democratici ribelli” e non si identificano con nessuna delle aree politiche tradizionali. Il loro obiettivo, come ha dichiarato il portavoce Tomás Hirsch, è quello di arrivare al potere sfruttando i social network e quindi apportare le modifiche necessarie per porre fine al modello neoliberale imposto dalla dittatura (197390) e poi portato avanti dai governi democratici. Sul sito del movimento il messaggio ai cittadini cileni, in particolare ai giovani, è chiaro: “Ti invitiamo a trasformare il Cile – Costruiamo insieme una forza politica e sociale capace di creare un paese per tutti in cui il recupero dei nostri diritti è la base per una nuova società democratica”. Il programma verte principalmente sul creare un governo pragmatico e responsabile, che coinvolga la cittadinanza nelle decisioni volte a definire il presente e il futuro.

“Noi non siamo anti-istituzionali, ma contrari all’attuale apparato istituzionale perché, mantenendo l’eredità della dittatura, non è democratico”, dichiara la candidata senatrice del Movimento Autonomista Manuela Veloso evidenziando il distacco dagli attuali partiti politici. A livello internazionale la coalizione si dichiara vicina alle posizioni di Podemos in Spagna. Beatriz Sánchez, una delle candidate alle primarie per la guida della Coalizione, sottolinea però che, malgrado la prossimità al partito di Pablo Iglesias, il Frente rimane un “progetto prettamente cileno”. Il Cile starebbe dunque vivendo un nuovo ciclo di attivismo politico: il popolo si trova per la prima volta dal 1988, anno del “NO” a Pinochet, davanti a una scelta che non ricade più tra dittatura e democrazia, ma tra libero mercato e diritti sociali. Dopo decenni di maggioranze a favore di governi neoliberali, in pochi mesi si è sviluppata quella che ormai è la terza forza politica del Paese. Il ptimo test per il Frente Amplio saranno le primarie di giugno, che vedranno concorrere Sánchez, giornalista, e Mayol, sociologo, entrambi indipendenti. La vera prova arriverà però con le elezioni presidenziali, a novembre di quest’anno.


ECONOMIA LA DOPPIA SEDE SOCIETARIA ALL’ESTERO

Oggi vanno di moda Olanda e Regno Unito, mentre l’Italia rimane poco attraente

Di Edoardo Pignocco Sempre più, oggigiorno, società e persone fisiche spostano la loro sede/domicilio fiscale all’estero. E questa, sicuramente, non è una novità, dal momento che l’Italia rimane uno dei Paesi fiscalmente più esigenti, non solo a livello europeo, ma anche globale. Ma soffermiamoci sulle società. Cerchiamo di capire, in modo sintetico ma chiaro, quali siano le ragioni che spingono gli imprenditori e gli amministratori ad emigrare all’estero, dal punto di vista civilistico/amministrativo e fiscale. Non è sufficiente, infatti, la recenteintroduzionedellaflattax,che permette ai “paperoni” italiani, che soddisfano determinati requisiti, di tornare ad investire in Italia con un prelievo fiscale di 100 mila euro fissi. Una normativa fiscale, questa, che ha suscitato parecchi dubbi di costituzionalità, in quanto violerebbe i principi dell’art. 53 della Costituzione, ossia l’imposizione per capacità contributiva e la progressività dell’imposta. Oltre il trasferimento della sede legale, è interessante notare un altro fenomeno più peculiare, ovvero la scissione della sede legale in amministrativa e fiscale. Questo avviene perché

si cerca di sfruttare, in modo corretto, i vantaggi che i diversi Paesi offrono alle imprese. Per quanto riguarda la sede amministrativa/civilistica, ossia quella legale, il Paese più gettonato è, senza dubbio, l’Olanda. A discapito degli altri, i Paesi Bassi hanno, infatti, una struttura civilistica molto aperta e flessibile. Fra tutte, spicca il famoso voto plurimo. Esso permette ai soci di controllo, che detengono la sede legale in Olanda, di decidere quanto valgono le loro azioni (il valore può oscillare da 1 a 10 euro)! Si può capire, dunque, l’importanza dello strumento offerto dal diritto societario olandese. Non è un caso che il gruppo italoamericano FCA abbia trasferito la sua sede amministrativa da Torino ad Amsterdam. In questo modo, la holding Exor, nonostante controlli solo al 30% FCA, con il meccanismo del voto plurimo è in grado di difendere il suo controllo, potendo estendere il valore nominale delle sue azioni fino a 10 euro. E questo senza alcun tipo di costo. È da sottolineare, inoltre, come questa normativa dia la possibilità, all’impresa che ne usufruisce, di difendersi da eventuali OPA ostili, dal momento che il “dark knight” dovrebbe pagare il valore della partecipazione fino a 10 volte di

più. Per quanto riguarda la sede fiscale, invece, la meta preferita dalle società è il Regno Unito. Infatti, i britannici sono passati da un’imposta societaria del 28% nel 2010, al 21% nel 2014 e al 20% nel 2015. In Europa, e non solo, è il Paese che vanta l’imposizione fiscale più bassa. Ma non basta. Le grandi aziende che operano sulla rete, quali Google, Amazon, Airbnb, ecc. hanno sfruttato delle scappatoie legali per pagare molto meno del 20%. Addirittura l’1%! Questo a causa della diatriba su come tassare i redditi online. Basti solo pensare che Airbnb paga al fisco britannico 46 mila euro. Non è un caso, dunque, che nell’ultimo G-7 di Bari, uno degli argomenti principali fosse l’istituzionedi una web tax. In conclusione, è ormai prassi per i grandi gruppi aziendali “spacchettare” la loro sede legale in diversi Paesi per trarne il massimo beneficio economico, spostando le holding finanziarie in Olanda, per poi tassarle nel Regno Unito. L’esempio per eccellenza è FCA che, da Torino, si è spostata sia Amsterdam sia a Londra. Ma non è finita: l’azienda automobilistica, infatti, è anche quotata a New York. MSOI the Post • 17


ECONOMIA BIOECONOMIA E BIORAFFINERIE IN EUROPA Gela: riconvertire e sperimentare, nel rispetto dell’ambiente

Di Francesca Maria De Matteis Gela: ieri e oggi. Il polo petrolchimico gelese nasce per favorire lo sviluppo economico e sfruttare le risorse di petrolio greggio della zona nel 1960 e, tre anni dopo, entra in funzione. Nonostante gli evidenti risvolti positivi per l’industria e l’economia italiana, il polo di Gela ha causato ingenti stravolgimenti ambientali e paesaggistici in un’area di importanza archeologica, oltre che turistica. Dopo che, nei primi anni 2000, il sito era stato costretto ad una progressiva riduzione dell’attività produttiva, dal 2014, Eni ha dato inizio ad un importante progetto che prevede di rimettere in funzione l’impianto, in accordo con la Regione Sicilia per lo sfruttamento delle risorse presenti nel sottosuolo. Bioeconomy in transition. Dal 25 al 27 maggio 2017 si è tenuto, proprio a Gela, un workshop internazionale sul futuro delle bioraffinerie e la bioeconomia in Europa. “Bioeconomy in transition” ha sottolineato come sia una priorità strategica la riconversione di vecchi impianti industriali in centri all’avanguardia, che riducano l’impatto nocivo che le loro attività hanno sull’ambiente. Lo sviluppo 18 • MSOI the Post

locale, la crescita e le opportunità occupazionali sono stati i principali temi sui quali si sono confrontati ricercatori europei e rappresentanti delle istituzioni italiane ed europee. Le aspettative condivise dagli organizzatori dell’evento (Eni, il Comune di Gela e l’Università degli Studi di Roma Unitelma-Sapienza) si concentrano intorno alla speranza di riuscire ad attrarre investitori ed attenzioni. Bioeconomia. La necessità di introdurre vincoli ecologici all’interno dell’economia, è stata sottolineata dalla teoria innovativa di Nicholas Georgescu-Roegen. Ristrutturare radicalmente l’economia in chiave sostenibile è l’obiettivo della bioeconomia, che, in Europa, con un fatturato di 2.000 miliardi di euro, offre 22 milioni di posti di lavoro. Un futuro low carbon. Tra il 2009 e il 2014, in Europa sono stati costretti alla chiusura, a causa di una profonda crisi del settore, 19 raffinerie sulle 98 presenti sul territorio del continente. È, dunque, una stringente necessità, ormai, quella di avere a disposizione spazi in grado di accogliere la sperimentazione delle tecnologie più avanzate. Il sito di Gela rappresenta,

per questo, un impianto pilota in Italia e in Europa, verso un futuro low carbon. Tale obiettivo rientra nel progetto dell’Unione Europea “Roadmap for moving to a low carbon economy 2050”, che punta sulle energie pulite, senza danneggiare la produttività. Le sfide. Al fine di farlo diventare uno dei centri produttivi green più importanti d’Italia, il polo industriale di Gela di Eni riceverà un investimento di 2,2 miliardi di euro, per essere trasformato in una raffineria di seconda generazione. Il sito, infatti, sarà in grado di abbattere le emissioni del 70% rispetto al ciclo tradizionale, e potrà vantare una capacità produttiva di 75.000 tonnellate annue. Tra le principali sfide dell’impianto, c’è la produzione di un carburante di nuova generazione, il bio olio, proveniente dai rifiuti organici. Sarà possibile, così, abbattere le emissioni di fumi, migliorando le prestazioni del motore, senza dover rinunciare alla qualità del prodotto. Il polo accoglierà, inoltre, un sistema di pannelli a concentrazione solare, frutto delle ricerche condotte per Eni, dal Politecnico di Milano, in collaborazione con il Massachusetts Institute of Technology di Boston.


DIRITTO INTERNAZIONALE ED EUROPEO STRATEGIC LITIGATION E CORTI INTERNAZIONALI Quando il diritto diviene strumento di cambiamento sociale

Di Luca Imperatore Con il termine Strategic Litigation, anglicismo più comunemente impiegato rispetto all’italiano Contenzioso Strategico, si fa riferimento ad una pratica relativamente recente che sta assumendo connotati straordinariamente rilevanti nel panorama del diritto contemporaneo. Sebbene non sia ancora emerso un consensus diffuso circa la definizione più idonea per questa fattispecie, si può sommariamente spiegare come il ricorso dinnanzi ad un’istanza internazionale, con lo scopo di perseguire un adattamento dell’ordinamento statale, in relazione ai cambiamenti imposti dalla continua evoluzione della realtà sociale. Falliti i tentativi di ottenere un’equa soddisfazione all’interno del proprio Stato, un dato ricorrente può – senza soffermarsi qui sui requisiti richiesti – proporre ricorso dinnanzi ad un organo internazionale, sia a carattere giurisdizionale (come la Corte europea dei diritti dell’uomo) sia a carattere quasi-giurisdizionale, come i comitati ONU ‘treaty-based’. Il Contenzioso Strategico si pone un obiettivo che travalica l’interesse tradizionale del singolo ricorrente, con lo scopo di ottenere un effetto ampli-

ficato di cui possa godere una più ampia comunità. In tal senso, questa modalità di ricorso cerca di avanzare interpretazioni giurisprudenziali che introducano elementi di novità rispetto all’esperienza pregressa, oppure che spingano nella direzione dell’adozione di normative interne in alcuni ambiti specifici. Il Contenzioso Strategico cerca di dare risposte ai bisogni emergenti della società, compensando il tradizionale approccio ex post del diritto. È il caso, ad esempio, della fecondazione assistita, dei diritti delle coppie omossessuali o dei vuoti normativi derivanti da particolari fenomeni quali la moderna immigrazione. Negli esempi citati, infatti, il ricorso ad un organo internazionale, con esito favorevole, può determinare un’influenza positiva che supera il soddisfacimento dei singoli ricorrenti e che va a vantaggio dell’intera comunità. Al netto delle difficoltà tecniche alla sottoposizione di un ricorso in tali fori –quali la necessità dello status di vittima od il divieto di actiopopularis, ad esempio in relazione alla Corte EDU–, la Strategic Litigation, può divenire un importante mezzo per far breccia nell’ordinamento interno e conseguirne una qualche modifica. A titolo esemplificativo, il ricorso proposto alla Corte di Strasburgo nel caso Cusan

e Fazzo c. Italia del 2014, ha richiamato l’attenzione del legislatore in materia di assegnazione del cognome materno ai figli, dibattito che ha portato alla storica sentenza 286/2016 della Corte costituzionale, che ha modificato la precedente impostazione nel nostro Paese. Sulla medesima scia, sono molteplici i casi citabili che dimostrano l’efficacia, sebbene non immediata, del contenzioso strategico. Fra gli altri, Oliari e altri c. Italia in materia di unione civile tra persone dello stesso sesso o Cestaro c. Italia in relazione all’assenza del reato di tortura nel nostro ordinamento, tutti portati di fronte alla Corte di Strasburgo. Naturalmente, l’impiego di tale modalità è subordinata all’identificazione del giusto stakeholder nonché di un valido sistema statale in cui far valere tale pretesa. In conclusione, la Strategic Litigation sta divenendo un mezzo importante per l’ampliamento, la modifica e l’adattamento della giurisprudenza degli Stati. Con esigenze, tempistiche e risultati differenti questa particolare modalità può, dunque, considerarsi un valido strumento messo a disposizione del diritto per far fronte adeguatamente alle sfide della contemporaneità. MSOI the Post • 19


DIRITTO INTERNAZIONALE ED EUROPEO MUSEI: LA LEGGE ITALIANA VIOLA LA LIBERA CIRCOLAZIONE DEI LAVORATORI?

La sentenza del TAR Lazio sospende la nomina dei direttori stranieri al vertice dei musei italiani

Di Federica Sanna Il 24 maggio il TAR del Lazio ha bocciato la nomina di cinque direttori non italiani alla guida di grandi musei nazionali, avvenuta in seguito a selezione tramite un bando internazionale. L’origine della decisione risiede nel fatto che il bando in questione non contiene alcuna deroga rispetto alle indicazioni espresse dall’art. 38 d.lgs. 165/2001, in base al quale i cittadini dell’UE possono accedere ai posti di lavoro presso le amministrazioni pubbliche che non implicano esercizio diretto o indiretto di pubblici poteri. Il ruolo di direttori di musei statali viene quindi considerato dal Tribunale alla stregua di un esercizio di pubblico potere. Al di là delle conseguenze politiche della decisione, definite dal Ministro Franceschini come “una figuraccia dell’Italia nel mondo”, rileva verificare la compatibilità della normativa italiana su cui si fonda la sentenza del TAR con il diritto dell’UE. L’art. 45 TFUE sancisce “l’abolizione di qualsiasi discriminazione, fondata sulla nazionalità, tra i lavoratori degli stati membri, per quanto riguarda l’impiego, la retribuzione e le altre condizioni di lavoro”. Allo stesso modo, il Re20 • MSOI the Post

golamento 492/2011 definisce il diritto di uguale precedenza tra cittadini dell’UE nell’accesso agli impieghi disponibili in uno Stato membro e dichiara l’inapplicabilità delle norme nazionali di carattere discriminatorio. Gli unici limiti previsti dal diritto comunitario alla libera circolazione dei lavoratori possono derivare da ragioni di ordine pubblico o in relazione all’impiego nelle pubbliche amministrazioni. Tale disposizione del TFUE è però stata interpretata in maniera restrittiva nella giurisprudenza della Corte di Giustizia, in base alla quale la non applicabilità del diritto non va estesa a tutti gli impieghi pubblici, ma soltanto a quelle mansioni che prevedono l’esercizio effettivo di pubblici poteri o atte alla tutela degli interessi generali dello Stato. Il citato decreto legislativo del 2001 fonda la sua disposizione, in base alla quale circoscrive l’accesso a determinate mansioni, proprio sul limite previsto dal diritto comunitario, non discostandosi quindi dalle previsioni normative del Trattato e del Regolamento. La normativa oggetto del ricorso in esame è però da individuare in un successivo decreto poi convertito

in legge, il cosiddetto Art Bonus del 2014, il quale si pone l’obiettivo di emanare “Disposizioni urgenti per la tutela del patrimonio culturale, lo sviluppo della cultura e il rilancio del turismo” e sul quale si fonda il processo di selezione dei direttori dei musei. Il testo del decreto, pur adeguando la normativa nazionale agli standard internazionali di tutela culturale mediante diverse deroghe alla legge del 2001, non prevede alcuna modifica rispetto al limite del diritto di accesso agli impieghi pubblici. Allo stato delle disposizioni legislative vigenti è quindi comprensibile la decisione del Tribunale amministrativo. La questione che è necessario porsi, di conseguenza, non è la fondatezza della sentenza ma l’ammissibilità della normativa italiana nel considerare un ruolo come quello dei direttori dei poli museali quale una mansione che comporta l’effettivo esercizio di pubblici poteri, e di conseguenza la compatibilità di tale previsione con il diritto e lo sviluppo giurisprudenziale europeo. Il MIBACT ha già annunciato un ricorso al Consiglio di Stato, ma forse l’unica sede in cui tale nodo potrà essere sciolto è la Corte di Giustizia dell’UE.


MSOI the Post • 21


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