MSOI thePost Numero 77

Page 1

29/09 - 05/09

Il Settimanale di M.S.O.I. Torino

Elezioni Giappone


2 9 / 0 9

-

0 5 / 0 9

MSOI Torino M.S.O.I. è un’associazione studentesca impegnata a promuovere la diffusione della cultura internazionalistica ed è diffuso a livello nazionale (Gorizia, Milano, Napoli, Roma e Torino). Nato nel 1949, il Movimento rappresenta la sezione giovanile ed universitaria della Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale (S.I.O.I.), persegue fini di formazione, ricerca e informazione nell’ambito dell’organizzazione e del diritto internazionale. M.S.O.I. è membro del World Forum of United Nations Associations Youth (WFUNA Youth), l’organo che rappresenta e coordina i movimenti giovanili delle Nazioni Unite. Ogni anno M.S.O.I. Torino organizza conferenze, tavole rotonde, workshop, seminari e viaggi studio volti a stimolare la discussione e lo scambio di idee nell’ambito della politica internazionale e del diritto. M.S.O.I. Torino costituisce perciò non solo un’opportunità unica per entrare in contatto con un ampio network di esperti, docenti e studenti, ma anche una straordinaria esperienza per condividere interessi e passioni e vivere l’università in maniera più attiva. Elisabetta Botta, Segretario M.S.O.I. Torino

MSOI thePost MSOI thePost, il settimanale online di politica internazionale di M.S.O.I. Torino, si propone come un modulo d’informazione ideato, gestito ed al servizio degli studenti e offrire a chi è appassionato di affari internazionali e scrittura la possibilità di vedere pubblicati i propri articoli. La rivista nasce dalla volontà di creare una redazione appassionata dalla sfida dell’informazione, attenta ai principali temi dell’attualità. Aspiriamo ad avere come lettori coloro che credono che tutti i fatti debbano essere riportati senza filtri, eufemismi o sensazionalismi. La natura super partes del Movimento risulta riconoscibile nel mezzo di informazione che ne è l’espressione: MSOI thePost non è, infatti, un giornale affiliato ad una parte politica, espressione di una lobby o di un gruppo ristretto. Percorrere il solco tracciato da chi persegue un certo costume giornalistico di serietà e rigore, innovandolo con lo stile fresco di redattori giovani ed entusiasti, è la nostra ambizione. Jacopo Folco, Direttore MSOI thePost 2 • MSOI the Post

N u m e r o

77

REDAZIONE Direttore Jacopo Folco Vicedirettore Davide Tedesco Caporedattori Giusto Amedeo Boccheni, Pilar d’Alò, Pauline Rosa Capi Servizio Rebecca Barresi, Luca Bolzanin, Pierre Clément Mingozzi, Luca Imperatore, Sarah Sabina Montaldo, Daniele Pennavaria, Leonardo Scanavino, Giulia Tempo, Martina Terraglia, Chiara Zaghi Media e Management Daniele Baldo, Guglielmo Fasana, Anna Filippucci Redattori Federica Allasia, Erica Ambroggio, Elena Amici, Daniele Baldo, Lorenzo Bardia, Giulia Bazzano, Lorenzo Bazzano, Andrea Bertazzoni, Giusto Amedeo Boccheni, Luca Bolzanin, Maria Francesca Bottura, Adna Camdzic, Matteo Candelari, Claudia Cantone, Giulia Capriotti, Emanuele Chieppa, Giuliana Cristauro, Lucky Dalena, Alessandro Dalpasso,Francesca Maria De Matteis, Luca De Santis, Sabrina Di Dio,Ilaria Di Donato, Sofia Ercolessi, Simone Esposito, Guglielmo Fasana, Kevin Ferri, Giulia Ficuciello, Alessandro Fornaroli, Lorenzo Gilardetti, Ann-Marlen Hoolt, Michelangelo Inverso, Vladimiro Labate, Giulia Marzinotto, Simone Massarenti, Efrem Moiso, Virginia Orsili, Daniele Pennavaria, Ivana Pesic, Sara Ponza, Jessica Prieto, Carolina Quaranta, Giacomo Robasto, Daniele Reano, Jean-Marie Reure, Clarissa Rossetti, Michele Rosso, Martina Santi, Federico Sarri, Leonardo Scanavino, Martina Scarnato, Francesca Schellino, Viola Serena Stefanello, Lola Ferrand Stanley, Giulia Tempo, Martina Terraglia, Elisa Todesco, Francesco Tosco, Tiziano Traversa, Fabio Tumminello, Chiara Zaghi, Francesca Maria De Matteis, Elisa Zamuner. Editing Lorenzo Aprà Copertine Amandine Delclos, Carolina Elisabetta Zuniga Vuoi entrare a far parte della redazione? Scrivi una mail a thepost@msoitorino.org!


EUROPA 7 Giorni in 300 Parole BELGIO 26 settembre. È iniziato a Bruxelles il processo contro Salah Abdeslam, uno degli attentatori di Parigi. Abdeslam era stato infatti rinviato a giudizio in Belgio dopo la sparatoria contro la polizia avvenuta durante la sua fuga. L’accusa è di “tentato omicidio in contesto terroristico”.

FRANCIA. 27 settembre. Macron ha tenuto un discorso sulla “nuova Europa” alla Sorbona di Parigi. Il Presidente francese ha esposto la necessità di creare un esercito comune europeo ed una procura europea antiterrorismo. È, inoltre, convinto che il miglioramento della protezione delle frontiere e dell’accoglienza e gestione dei rifugiati siano di fondamentale importanza. Forti sono state le contestazioni degli studenti. GERMANIA 26 settembre. Dopo aver ottenuto il 12,6% dei voti alle elezioni di domenica, il partito populista tedesco AFD si è affermato come la terza forza politica del Paese. Dopo questo risultato, tuttavia, Frauke Petry, ex leader del partito, ha annunciato di non voler far parte del gruppo parlamentare. Questo ha lasciato pensare ad una crisi interna o ad una possibile scissione del

LA CATALOGNA AL VOTO?

La Spagna in crisi per un referendum non riconosciuto Di Elena Amici La Catalogna potrrebbe andare alle urne domenica 1° ottobre per votare sull’indipendenza dalla Spagna. Il referendum è stato dichiarato illegale dalla Corte Costituzionale, e il primo ministro Mariano Rajoy ha promesso che farà “tutto il necessario per fermare il voto”. In un crescendo di tensioni, e fra le proteste del consiglio esecutivo catalano, il governo spagnolo ha fatto chiudere diversi siti internet dedicati al referendum. Vi è aria di vera e propria crisi costituzionale e il Governo ha deciso di mantenere la linea dura, appoggiato dal resto del Paese. In Catalogna, la spinta indipendentista è relativamente recente. Dopo la morte di Franco e il ripristino della Generalitat de Catalunya all’interno del nuovo e democratico Stato spagnolo, la Catalogna si è costituita come una comunità autonoma, bilingue e con una propria forza di polizia. Misure più significative, come il raggiungimento dell’autonomia fiscale, nel corso degli anni sono state bloccate dal governo centrale o dalla Corte Costituzionale. Durante la crisi del 2008, la richiesta di maggiore autonomia si è progressivamente trasformata in voci di secessione. L’avanzare del risentimento verso il Governo, visto sempre più come un peso sulla ricca Catalogna, ha portato a un primo tentativo di referendum nel 2014, poi sospeso in quanto incostituzionale.

Nell’attuale Parlamento catalano la maggioranza dei seggi è tenuta da una coalizione indipendentista, ma rimane importante sottolineare la mancanza di un vero partito a favore della secessione, come invece succede in Scozia. La coalizione si è creata solo negli ultimi anni, e l’idea dell’indipendenza non gode della maggioranza assoluta. Inoltre, vi sono marcate divisioni tra città e campagne, fra ceti sociali e gruppi linguistici. All’estero, la narrativa dell’autodeterminazione dei popoli, sostenuta dagli attivisti catalani per raccogliere consensi a livello internazionale, non convince tutti. La stessa Unione Europea, spesso garante dei diritti dei popoli, si è rifiutata di scavalcare l’autorità spagnola e sembra preferire considerare l’imminente referendum come un semplice problema interno a uno Stato membro. In caso di secessione, la Catalogna dovrebbe uscire dall’UE e dal mercato unico per poi rinegoziare l’entrata, una prospettiva quasi impossibile, visto l’inevitabile veto della Spagna. In una situazione così complessa, alcuni propongono di riconoscere il diritto della Catalogna a una maggiore autonomia; altri insistono il fatto sull’accettare che manchi il consenso necessario a dare legittimità ideologica ad una decisione che altererebbe considerevolmente le vite di milioni di persone.

MSOI the Post • 3


EUROPA partito. Sono state invece deluse le aspettative di Angela Merkel che si aspettava un risultato migliore, la quale ha però ribadito che restano la forza politica maggiore del Paese. REGNO UNITO 26 settembre. Si è tenuto l’incontro tra la premier britannica Theresa May ed il presidente del Consiglio Europeo Donald Tusk, in parallelo con il quarto round degli accordi sulla Brexit. La presidenza estone ha inoltre annunciato un’accelerazione nei negoziati prevedendo altri due round sulla Brexit prima del vertice UE del 19/20 ottobre. SPAGNA 27 settembre. Continuano le manifestazioni di protesta, ormai pacifiche, in Catalogna. Il governo spagnolo ha inviato un contingente di migliaia di poliziotti sul territorio. Il ministro dell’Interno catalano, Jouaquim Forn, ha sostenuto che si è trattato di un tentativo per creare maggiori disordini. Ferma resta la posizione del governo, l’ambasciatore spagnolo a Roma ha dichiarato che il 1° ottobre non si terrà il referendum perché è illegale. UNIONE EUROPEA 25 settembre. Il Commissario dell’Unione Europea alla Migrazione ha dichiarato che continua ad esser attuale la necessità che gli Stati dell’Unione continuino nel loro impegno di solidarietà per alleviare la pressione su Grecia ed Italia. In attesa di una riforma strutturale del regolamento di Dublino tutti dovrebbero essere pronti a gestire il flusso migratorio. A cura di Giulia Ficuciello 4 • MSOI the Post

MERKEL RICONFERMATA, GERMANIA PIÙ INSTABILE

Crollo della SPD, l’estrema destra entra nel Bundestag

Di Matteo Candelari I risultati delle elezioni del 24 settembre presentano un esito meno scontato del previsto. La Cancelliera uscente, Angela Merkel, riesce a eguagliare il suo predecessore Helmut Kohl e bissare i 16 anni di governo. Tuttavia, la vittoria della CDU è più amara del solito. Rispetto alle politiche del 2013, quando il partito della Merkel prese il 41,5%, la CDU ha perso circa 3 milioni di voti, arrivando al 32,9% delle preferenze. Sebbene si tratti pur sempre di una vittoria, è innegabile che la Cancelliera si aspettasse numeri diversi. In secondo luogo, la Merkel ora deve fare molta attenzione al partito agli euroscettici e nazionalisti dell’AfD. Per la prima volta dal secondo dopoguerra un partito di estrema destra riesce a entrare in parlamento, diventando la terza forza politica per numero di voti. All’altro grande partito tradizionale, i socialdemocratici della SPD, è andato addirittura peggio. Nonostante la guida di Martin Schulz, SPD ha conseguito il peggior risultato dal secondo dopoguerra, ottenendo il 20,5% dei suffragi. Il pessimo esito è in linea con la crisi esistenziale che stanno vivendo i partiti socialdemocratici di tutta Europa. La batosta elettorale è stata interpretata da Schulz

come un segnale di malcontento sulla grande coalizione. Per tale motivo il leader della SPD ha dichiarato che il suo partito si schiererà all’opposizione. Vista la rinuncia dei socialdemocratici, l’unica alternativa possibile è la cosiddetta ‘coalizione Giamaica’, nome che deriva dai colori dei partiti della CDU, FDP e Verdi, simili a quelli della bandiera dello Stato caraibico. Tuttavia, una coalizione di questo tipo sarebbe molto complicata. I liberali del FDP sono molto distanti dalle posizioni dei Verdi su moltissime questioni. Sebbene nessuno dei due partiti abbia finora chiuso la porta a una coalizione di questo tipo, le trattative per formare il governo Merkel IV si preannunciano molto i difficil . La Cancelliera, però, ha più volte dato prova della sua abilità nello scendere a compromessi e tenere unite forze anche molto diverse tra loro, riuscendo sempre a garantire quella stabilità di cui i tedeschi sono maestri. La Merkel ha voluto ribadire la propria disponibilità a dialogare con tutte le forze responsabili e democratiche, lasciando la porta aperta anche a un eventuale ripensamento della SPD. Quel che è certo è che le trattative per la formazione della coalizione di Governo prenderanno parecchio tempo.


NORD AMERICA 7 Giorni in 300 Parole

STATI UNITI E NORD COREA: UNA NUOVA GUERRA FREDDA?

Cosa significa realmente lo scontro Trump-Kim Di Alessandro Dalpasso

STATI UNITI 23 settembre. Il presidente Donald Trump critica i campioni dello sport americano che contestano la presenza del tycoon alla Casa Bianca o protestano contro le violenze della polizia verso gli afroamericani. Così il presidente americano ha chiesto alla NFL, la lega professionistica del football americano, di licenziare i giocatori che non cantano l’inno. Immediata la risposta della squadra dei Golden State Warriors, che annullano la loro visita alla Casa Bianca. Il 24 settembre tutti i campioni delle squadre di football Jacksonville Jaguars e Baltimore Ravens si sono inginocchiati in segno di protesta. 25 settembre. Scaduto il bando sui musulmani, l’amministrazione Trump ha annunciato una nuova stretta sugli ingressi negli Stati Uniti. Le nuove misure riguardano 8 Paesi: oltre a Iran, Somalia, Libia, Yemen e Siria compaiono ora anche Ciad, Corea del Nord e Venezuela. Scompare dalla lista il Sudan.

26 settembre. Il progetto di leg-

Nelle ultime settimane abbiamo assistito ad una escalation nelle provocazioni tra Stati Uniti e Corea del Nord. Tuttavia, osservando con attenzione l’attuale scenario, emerge chiaramente come, ad ogni momento di deterioramento dei rapporti tra Washington e Pyongyang, sia però corrisposta semplicemente un’intensificazione degli insulti, verbali e personali, tra Donald Trump e Kim Jong-Un. “Dotard”, “little rocket man”, “mentally deranged”, fino ad arrivare al discorso fatto dal Presidente statunitense dal podio delle Nazioni Unite. In particolare, durante il suo intervento all’Assemblea Generale, il presidente Trump ha deriso ulteriormente il suo omologo nordcoreano minacciando poi di “distruggere totalmente” il suo Paese se avesse continuato con i test missilistici. Ha fatto dunque seguito la dichiarazione del ministro degli Affari Esteri di Pyongyang, Ri Yong Ho, che ha dichiarato che quest’ultima affermazione darebbe tutto il diritto al Paese asiatico di reagire, arrivando anche, se necessario, ad abbattere gli aerei statunitensi quando si trovassero anche solo nelle immediate vicinanze dello spazio aereo nordcoreano. Questa situazione, simile ad una nuova Guerra Fredda, sta però avendo effetti contrapposti sulle due sponde del Pacifico. Il regime di Kim beneficia del

sostegno dell’opinione pubblica, secondo le informazioni di intelligence di Seul. Al contrario questo teatrino verbale sta costando molto caro, in termini di consenso, a Trump. Secondo un sondaggio commissionato da Fox News, storicamente più vicina agli ambienti repubblicani, attualmente il 55% degli americani intervistati disapprova l’operato del Presidente, con significativo aumento rispetto allo scorso luglio, quando lo stesso dato si attestava al 44%. Nessuno dei due Paesi si dovrebbe logicamente augurare un conflitto armato. Da un lato il Presidente americano è ben consapevole che un attacco ai siti nucleari comporterebbe una immediata ritorsione contro la Corea del Sud e la sua capitale, mentre, probabilemente, Kim JongUn vuole l’atomica come deterrente, non per usarla e rischiare una situazione in cui impersonerebbe, questa volta per davvero, un “pazzo suicida”. Invece, quel che sfugge dietro questo gioco delle parti è una questione più seria e realmente allarmante: una nuova corsa agli armamenti in una zona del mondo che potrebbe un giorno vedere combattersi, se già non accade, gli Stati Uniti e la Cina. Giappone, Vietnam e anche l’Australia, alleati in questo contesto degli USA, si stanno preparando ad una nuova guerra fredda fra le due superpotenze nel teatro del Pacifico, per gli anni a venire. MSOI the Post • 5


NORD AMERICA ge per abolire e sostituire l’Obamacare non ha i voti in Senato e quindi affonda, vanificando il tentativo di smantellare una delle eredità di Barack Obama. I Repubblicani hanno così perso l’autorità di approvare la riforma con una maggioranza semplice, opzione che scade il 30 settembre. Centinaia di attivisti e disabili avevano protestato di fronte al Congresso per chiedere il mantenimento dell’Obamacare. 27 settembre. Chuck Rosenberg, il responsabile della Drug Enforcement Administration (DEA), l’agenzia federale antidroga statunitense, ha annunciato le sue dimissioni dopo i contrasti con il presidente Donald Trump. Rosenberg aveva contestato l’affermazione di Trump secondo la quale non ci sarebbe niente di male che i sospettati vengano trattati duramente dopo essere stati fermati dalla polizia e fatti salire su un mezzo delle forze dell’ordine. 27 settembre. Donald Trump ha svelato il piano di riforma fiscale, che mira a portare la corporate tax dal 35% al 20% e a ridurre a tre gli scaglioni per gli individui (12%, 25%, 35%). POTUS ha spiegato che si tratta di “un codice più semplice e più giusto” che riporterà posti di lavoro e benessere dall’estero. CANADA 26 settembre. La protesta del mondo degli sportivi contro Donald Trump raggiunge anche il Canada. I Saskatchewan Roughriders, che giocano nella lega professionistica canadese, hanno voluto sostenere i loro colleghi della National Football League formando una catena umana lungo le linee laterali del campo. A cura di Lorenzo Bazzano 6 • MSOI the Post

LA CORSA CHE NON FINISCE MAI Le rinnovate primarie per la leadership Dem

Di Alessandro Dalpasso Le ultime elezioni presidenziali hanno portato in dote una vittoria, sorprendente ma netta, di Donald Trump e dallo scorso 8 novembre l’attività del 45º Presidente è stata caratterizzata da un’impronta personale marcata. Con esternazioni provocatorie e non convenzionali, Trump si è prodigato per portare avanti le sue idee e quelle del partito in campo sociale ed economico, con una precisa visione anche sul piano internazionale. Siamo abituati a vedere un nuovo Presidente osteggiato, per le sue proposte, dalle opposizioni interne alle Camere, soprattutto su tematiche spinose come l’immigrazione o le relazioni di vicinato con Canada e Messico. Ciò a cui non siamo soliti assistere sono le “primarie permanenti” nel partito di chi le elezioni le ha perse. Sebbene non possa concorrere per un ulteriore mandato, più di una volta Obama si è esposto in prima persona. Uscendo dallo stereotipo dell’ex Presidente che si dedica a cause benefiche ed apolitiche, più di una volta è rientrato nell’agone politico. Basti pensare a quando, dal resort nel Pacifico del Sud dove si stava godendo le vacanze post mandato, si espose in prima persona chiedendo ai repubblicani di non votare per

l’abolizione della sua riforma sanitaria. La conseguenza primaria è che varie personalità di primo piano in casa DEM cercano di essere uomini e donne “di Obama” quando si tratta di partecipare a questo o quel dibattito o iniziare a concorrere per le prossime nomine o elezioni. All’interno del partito è poi tornata in campo Hillary Clinton. Dopo aver perso le elezioni, e aver detto che non concorrerà mai più alla nomination, ha iniziato a girare il Paese (e il vicino Canada) per presentare il libro che contiene le memorie della sua campagna elettorale, intitolato “What Happened”. Oltre a promuovere la sua ultima fatica letteraria, questo tour ha il tacito scopo di riabilitare la sua immagine dopo l’inaspettata sconfitta elettorale; anche perché, nonostante le smentite, che abbia ancora ambizioni di tipo elettivo lo si potrebbe intuire da chi sta indicando come principale causa “interna” della sua sconfitta: Bernie Sanders. L’indipendentista del Vermont, dal canto suo, non risponde direttamente alle critiche ma si limita a continuare a sostenere in pubblico le sue idee (“Il partito [democratico] dovrebbe scegliere le persone e non le multinazionali”), ma nel frattempo ha declinato l’invito del leader della minoranza al Senato, Chuck Shumer, di unirsi alla leadership del partito.


MEDIO ORIENTE 7 Giorni in 300 Parole ARABIA SAUDITA 26 settembre. Il principe Mohammed bin Salman ha concesso, con un decreto reale, il diritto di poter guidare alle donne. Tuttavia le prime patenti potranno essere rilasciate soltanto a partire dal giugno 2018.

KURDISTAN IRACHENO: PROVE GENERALI PER L’INDIPENDENZA? Affluenza record da Erbil a Kirkuk per il referendum considerato illegale da Baghdad

Di Lorenzo Gilardetti

IRAN 23 settembre. La televisione di Stato Irib ha mostrato il video dell’esecuzione di un nuovo test missilistico. Si tratterebbe di un missile balistico Khorramshahr, mostrato per la prima volta durante la parata militare tenutasi a Teheran il giorno precedente. IRAQ 25 settembre. Si è tenuto, nonostante la sospensione per verificarne la costituzionalità della Corte suprema, il referendum consultivo sull’indipendenza del Kurdistan in Iraq, annunciato lo scorso 21 settembre. Si è registrata un’alta affluenza alle urne, seppur i dati siano discordanti: secondo la commissione di Erbil dal 72 al 78% degli aventi diritto ha espresso il suo voto. Secondo i risultati diffusi dalla televisione curda Rudaw il 26 settembre, il 93% dei votanti si sarebbe espressa a favore dell’indipendenza del Kurdistan. L’Iraq ha escluso dei negoziati sull’indipendenza della regione e ha ordinato alle autorità curde di cedere il controllo sui suoi aeroporti internazionali.

Il 25 settembre 2017 è divenuta una data storica per il Kurdistan iracheno (provincia autonoma dal 1991): si è tenuto, a dispetto dell’annullamento da parte del governo di Baghdad, il referendum per l’indipendenza indetto dal leader del PDK Barzani, presidente della regione dal 2005. Il voto, che ha coinvolto il 78% dei 5 milioni di persone aventi diritto, ha assunto i contorni di un vero e proprio plebiscito, i cui risultati si sono attestati sul 92% di “sì” all’indipendenza. Immediate le reazioni, che hanno unito anche Stati rivali come Siria, Iraq, Turchia e Iran nella volontà di non riconoscere la validità del referendum. Il Parlamento iracheno ha votato il dispiegamento di truppe nei territori contesi di Kirkuk e il presidente al Abadi ha ribadito che i problemi della provincia, già largamente autonoma, non potrebbero che peggiorare con una maggiore indipendenza. Erdoğan (preoccupato che l’esito possa portare i Curdi in Turchia a intraprendere iniziative indipendentiste) ha richiamato entro i confini nazionali i Turchi residenti nella regione e si è detto pronto a inviare forze armate. L’Iran ha sospeso il traffico aereo da e verso il Kurdistan ira-

cheno, proficuo e commercialmente indispensabile per Erbil. Il Parlamento curdo non ha accettato di rimandare il referendum come richiesto da Baghdad, che ne voleva valutare la validità: nel 2014 dovette rinunciarci per via dell’avanzata del sedicente Stato Islamico verso la regione. Adesso, con Daesh che non costituisce una minaccia, il Kurdistan – forte del grande contributo bellico dato dai peshmerga – vorrebbe approfittare della debolezza di un Iraq che ha risentito profondamente del conflitto. Lo stesso Barzani, che da un lato tranquillizza la comunità internazionale affermando che si tratta di un punto di partenza per avviare negoziati pacifici di separazione, dall’altro esclude l’ipotesi di un passo indietro verso quello che definisce «uno Stato settario e teocratico». Intanto, gli USA, posti tra due fuochi (il sostegno ai peshmerga contro Daesh, ma alleati dell’Iraq in Medio Oriente e coesi con la Turchia nella NATO), mostrano solidarietà ad Al-Abadi, sebbene complichi ulteriormente la posizione di Washington il sostegno ai Curdi da parte di Netanyahu, di fatto unico leader internazionale schieratosi a favore dell’indipendenza curda.

MSOI the Post • 7


MEDIO ORIENTE ISRAELE 26 settembre. Tre guardie israeliane sono state uccise, e una quarta ferita, ad Har Adar, in Cisgiordania. L’autore dell’attacco sarebbe un palestinese con regolare permesso di lavoro in Israele. Hamas ha celebrato l’attacco, affermando che “si è aperto un nuovo capitolo dell’Intifada di Al-

Quds”, cominciata nell’ottobre 2015. 27 settembre. L’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) è stata ammessa nell’Interpol. Tra i voti contrari figurano quelli degli USA e di Israele. LIBIA 26 settembre. Il generale Haftar ha incontrato a Roma il ministro della Difesa Roberta Pinotti e il ministro degli Interni Marco Minniti per discutere sulla gestione dei migranti, in particolare sulla questione del contrasto ai flussi migratori illegali. TURCHIA 22 settembre. Il corpo senza vita dell’attivista e cronista Arouba Barakat, 60 anni, e quello di sua figlia Hala, di 22, sono stati ritrovati presso la loro casa ad Uskudar, sulla costa orientale di Istanbul. A dare l’allarme sarebbero stati degli amici che non le vedevano da giorni. Arouba Barakat faceva parte del Consiglio Nazionale Siriano, che si oppone al presidente Al-Assad. A cura di Martina Scarnato 8 • MSOI the Post

DIPLOMAZIA DI PRESTIGIO

Le contromosse di Doha dopo la rottura delle relazioni con i Paesi della Penisola Arabica

Di Jean-Marie Reure

World Forum.

Il 5 giugno scorso i vicini del Qatar imponevano un duro embargo sul piccolo Stato del Golfo, accusato di collaborazione e finanziamento di attività legate al terrorismo internazionale, nonché di prendersi troppe libertà in campo economico e diplomatico, specie per quanto concerne il vicino Iran. La settimana è però iniziata nel migliore dei modi per lo sceicco qatarino Tamad bin Hamad Al Thani: di ritorno dal suo primo viaggio all’estero dopo i fatti della primavera scorsa, è stato accolto in patria da una folla più numerosa e più festante che mai.

Quella di Tamad è una diplomazia di prestigio, che le piccole dimensioni dello Stato e le importanti cifre che è capace di muovere gli permettono di portare avanti. I suoi, pur sempre molto ricchi, vicini difficilmente sarebbero stati capaci di fare tanto, sia per motivi storici sia per una politica di investimento molto più ristretta. Nondimeno gli indici economici sono scesi di circa un punto percentuale, la banca di Doha ha perso circa il 2,6% e l’inflazione ha ripreso a salire. Mentre l’Arabia Saudita ci guadagna, il Qatar dà cenni di una lieve sofferenza. Tutti sembrano volere un accordo, ma nessuno veramente lo cerca. È un gioco sottile, e fra gli Stati della Penisola Arabica la tensione sale.

Il viaggio, che l’ha impegnato sopratutto in Europa e Turchia, non è stato certo dei più brevi. Dopo aver parlato con i principali leader europei, con l’alto commissario UE Mogherini e i Ministri degli Esteri di Italia, Russia, Australia e Ucraina, lo sceicco ha concluso un accordo con il Regno Unito: 24 cacciabombardieri Typhoon abbelliranno la flotta aerea di Doha. Dopo aver ottenuto un notevole endorsement da parte del presidente francese Macron, la flotta navale del piccolo Stato si esercita con quella francese. Infine, lo sceicco ha parlato alle Nazioni Unite e al US-Islamic

Ma questa profusione di dichiarazioni, i discorsi innanzi agli alti consessi internazionali e perfino le molte dichiarazioni di intenti non hanno fatto che avvicinare il Qatar all’Iran. Questo embargo voleva proprio rescindere i legami esistenti fra i due Stati, ma ha portato all’esatto contrario. Al di là dei legittimi dubbi sull’efficacia delle sanzioni, gli ultimi sviluppi potrebbero far riflettere sull’efficacia delle politiche adottate.


RUSSIA E BALCANI 7 Giorni in 300 Parole

MACEDONIA: PRIORITÀ ALL’INTEGRAZIONE NELLA NATO Zaev vuole riprendere il cammino del Paese verso l’UE e il patto nord atlantico

Di Ilaria Di Donato AZERBAIGIAN 25 settembre. Secondo decine di attivisti e secondo il presidente della Nefes LGBT Azerbaijan Alliance Javid Nabiyev, sarebbero state arrestate più di 100 persone appartenenti alla comunità LGBT. Queste ultime sarebbero state perseguitate anche all’interno delle loro abitazioni private e obbligate a fornire generalità e indirizzi di amici e conoscenti LGBT. La polizia di Baku afferma di aver solamente effettuato una “campagna contro la prostituzione e la diffusione di malattie”. MACEDONIA 25 settembre. Le autorità macedoni hanno deciso di non implementare la riforma del sistema pensionistico. Nonostante i ripetuti contatti e le esortazioni da parte del Fondo Monetario Internazionale in merito all’aumento dell’età pensionabile, il Ministero delle Finanze ha comunicato che il governo socialdemocratico si atterrà al programma illustrato durante la campagna elettorale. RUSSIA 25 settembre. La SDF (Forze democratiche siriane), sostenuta dagli Stati Uniti, ha accusato la Russia di aver attaccato una loro postazione nei pressi della provincia di Deir Ezzor. L’Osservatorio siriano per i diritti umani ha denunciato la

Il percorso della Macedonia verso l’integrazione nell’UE e nella NATO potrebbe sbloccarsi sotto la guida del socialdemocratico Zoran Zaev. La risoluzione della disputa è, infatti, in cima ai propositi del nuovo governo. Il primo passo verso tale obiettivo è la ripresa dei rapporti con i Paesi limitrofi: Zaev, all’indomani dell’insediamento, ha riaperto i negoziati con Atene e Sofia, nodi cruciali per la dinamica avanzata della Macedonia. Il merito del governo di Zaev sta anzitutto nell’aver segnato l’epilogo del periodo più drammatico della storia recente del Paese. Nel 2015, il leader socialdemocratico rese pubbliche alcune registrazioni che provavano la corruzione e le gravi violazioni dell’allora premier Gruevski; la sua iniziativa ha portato ad una crisi di governo con scambi di battute al vetriolo tra le istituzioni e le opposizioni. L’evoluzione della diatriba ha visto comparire sulla scena anche l’Unione Europea e gli Stati Uniti che, facilitando un negoziato fra le parti, hanno guidato la Macedonia ad elezioni anticipate l’anno successivo. Neppure le urne hanno però dipanato l’intricata situazione. Gruevski vinse ma senza i numeri per governare, mentre i socialdemocratici, alleati con alcuni schieramenti della mino-

ranza albanese, avrebbero potuto prendere il potere se il presidente Ivanov non gliel’avesse negato, con l’accusa di voler dividere il Paese su questioni etniche. Il timore di una guerra civile, alimentato dal generale clima di tensione, ha infine indotto Ivanov a cedere, consentendo a Zaev di inaugurare la stagione del proprio governo. Zaev, subito conscio della necessità di un sostegno internazionale, ha rilanciato la priorità di un’integrazione euro-atlantica, invitando a tal fine Bulgaria e Grecia a una distensione dei rapporti. L’iniziativa ha portato a firmare a Skopje un trattato di buon vicinato con la Bulgaria, in virtù del quale la Macedonia rinuncia a ogni pretesa sulla minoranza macedone in Bulgaria ottenendo in cambio il placet di Sofia all’avvicinamento macedone all’UE e alla NATO. Sono state altresì avanzate proposte di risoluzione con la Grecia circa l’annosa questione del nome della Macedonia, tanto che il ministro degli Esteri greco, Kotzias, si è detto entusiasta dell’intenzione del governo macedone di entrare nella NATO, definendo l’azione positiva per tutta l’area balcanica. Non altrettanto distesi invece i rapporti con la Serbia, che non ha gradito l’azione macedone di avvicinamento all’Europa: a fine agosto, l’intera ambasciata serba a Skopje è stata richiamata in patria, con una drastica azione senza precedenti.

MSOI the Post • 9


RUSSIA E BALCANI morte di 58 persone. Il Ministero della Difesa della Federazione Russa ha subito respinto le accuse mosse dalla coalizione anti-Assad. SLOVACCHIA 25 settembre. Dalla piazza Hviezdoslav di Bratislava è partito il Veľký protikorupčný pochod (“Grande corteo contro la corruzione”), il terzo negli ultimi 6 mesi. L’evento ha avuto ancora una volta lo scopo di chiedere le dimissioni del ministro degli Interni Robert Kaliňák, del capo della polizia Tibor Gašpar e del procuratore speciale Dušan Kováčik, i quali sarebbero strettamente legati ai più grandi scandali scoppiati negli ultimi anni. Nonostante l’invito degli organizzatori, alla protesta non ha partecipato il primo ministro Robert Fico. UCRAINA 23 settembre. Attentato ai danni di Aleksander Timofeiev, Ministro delle Entrate e delle Imposte della autoproclamata Repubblica Popolare di Donetsk, il quale è sopravvissuto all’ordigno esplosivo detonato nella sua vettura. Pochi giorni prima era stata trovata una bomba anche nei pressi dell’abitazione del Primo Ministro. 22 settembre. L’ex presidente della Georgia ed ex governatore della regione di Odessa, Mikheil Saakashvili, è stato condannato al pagamento di 3720 grivnie (130 dollari) per aver superato il confine polacco ed essersi recato in territorio ucraino assieme a decine di sostenitori. A fine luglio, il presidente ucraino Petro Poroshenko gli aveva revocato la cittadinanza ucraina, vietandogli di rientrare nel Paese. A cura di Andrea Bertazzoni 10 • MSOI the Post

L’UCRAINA, LA RUSSIA E IL GAS Gazprom e l’importanza dei gasdotti ucraini.

Di Elisa Todesco Le relazioni fra Russia e Ucraina negli ultimi anni non sono state le più idilliache, sia dal punto di vista geopolitico sia dal punto di vista energetico. Basti ricordare quello che ormai è il lontano 2009, anno in cui l’ex presidente russo Medvedev aveva imposto a Gazprom, il colosso russo del gas naturale, il blocco del gas verso i gasdotti ucraini. L’allora decisione dell’Ucraina aveva scatenato il panico negli Stati europei, Italia compresa, che dipendono maggiormente dal passaggio ucraino per gli ingenti approvvigionamenti da Mosca, obbligandoli a ricorrere alle scorte energetiche che avevano accumulato per fronteggiare una qualsiasi situazione di blocco dei rifornimenti. Era intervenuta addirittura l’Unione Europea, minacciando tramite Barroso, al tempo Presidente della Commissione Europea, azioni giudiziarie contro entrambi i Paesi qualora i rifornimenti di gas non fossero stati ristabiliti urgentemente. L’episodio sembra ormai lontano, così come lontano sembra un periodo in cui l’Unione Europea dovette subire il blocco delle forniture di gas: nel 2011 venne inaugurato il gasdotto Nord Stream, che collega Vyborg in Russia a Greifswald in

Germania, garantendo ai Paesi europei l’approvvigionamento necessario e bypassando, almeno in parte, i naturali territori di transito nella rotta, ovvero Ucraina e Polonia (parte del gas in transito fra Russia e UE, infatti, continua a passare tramite le linee “tradizionali”). Tuttavia, anche il gasdotto Nord Stream non è immune da problemi e ha bisogno di regolari manutenzioni. Almeno una settimana l’anno, infatti, il gasdotto viene chiuso. La soluzione russa per ovviare il problema sarebbe stata la creazione di un secondo gasdotto nel Mar Baltico, il cosiddetto Nord Stream 2, a lungo osteggiato da Paesi come la Polonia, i quali non volevano perdere le royalties derivanti dal passaggio del gas sul proprio territorio, e dall’Unione Europea stessa che, interessata alla diversificazione dei propri fornitori energetici, voleva evitare di aumentare la dipendenza energetica europea dalla Russia. Per questo, la Russia si è riscoperta, ancora una volta, dipendente dall’Ucraina e da Naftogaz per poter accedere al lucroso mercato europeo. Nelle scorse settimane Gazprom ha aumentato di oltre 315 milioni di m3 il quantitativo di gas che dovrebbe passare per l’Ucraina, e Naftogaz si è detta pronta a gestire la richiesta.


ORIENTE 7 Giorni in 300 Parole BANGLADESH 22 settembre. Il primo ministro del Myanmar Sheikh Hasina ha denunciato la condizione di IDP (Internally Displaced Persons) che riguarda oltre 420.000 birmani, fuggiti dallo Stato di Rakhine in seguito a un inasprimento delle loro condizioni di vita. Il Capo di Stato ha chiesto che venga ammesso il rientro della minoranza e concessa loro la cittadinanza. Le Nazioni Unite hanno inoltre classificato l’evento come “pulizia etnica”; a questo proposito il Consiglio di sicurezza si sta muovendo per la creazione di aree di sicurezza sotto la supervisione ONU, veto cinese escluso. CINA 26 settembre. È stata inaugurata una nuova tratta ferroviaria che collega Zhengzhou con l’Europa. La rete precedentemente esistente, è stata estesa da Amburgo a Monaco. Mentre la prima linea farebbe riferimento all’Europa dell’Est e alla Russia, la seconda rappresenta un collegamento con i Paesi occidentali. La provincia di Henan, trasformata in hub logistico a tale scopo nel 2013, avrebbe già completato 784 viaggi dalla stima di $4.08 miliardi. GIAPPONE 25 settembre. Shinzo Abe ha annunciato lo scioglimento della camera bassa del Parlamento giapponese (poi formalizzatosi giovedì 28, dopo il rientro dei deputati dalla pausa estiva) e le conseguenti elezioni anticipate, previste per ottobre. I sondaggi vedono il partito dell’attuale Presidente (LDP) in vantaggio (44% voti) mentre l’8% delle espressioni spetterebbe al principale partito di oppo-

DIRITTI LGBT IN AUSTRALIA

Gli australiani si esprimono sul matrimonio egualitario Di Luca De Santis Lo scorso 12 settembre, in Australia, è iniziato un sondaggio postale a partecipazione volontaria, con ad oggetto un solo quesito: “Dovrebbe la legge essere cambiata per permettere a persone dello stesso sesso di sposarsi?”. I risultati – ignoti fino al 15 novembre – non saranno vincolanti, ma avranno un peso politico non indifferente. La campagna per il “sì”, andata avanti per mesi, vede tra i suoi più fervidi sostenitori anche il nuotatore Ian Thorpe. L’atleta originario di Sidney, che fin dal suo coming out ha militato attivamente a favore dei diritti LGBT, ha girato insieme al suo compagno un video in cui spiegava come registrarsi per poter votare. Una parte degli attivisti LGBT, tuttavia, si trova in disaccordo con questa tipologia di votazione. La consultazione – che avviene via posta – è equiparata a un sondaggio informale tra i cittadini e, secondo alcune organizzazioni LGBT australiane, questo modo di procedere non sarebbe altro che una manovra di deresponsabilizzazione del Parlamento. Dal canto suo, il premier Malcolm Turnbull difende la scelta, sostenendo che il plebiscito non sia un modo per “mantenere la promessa fatta al popolo australiano”, consultandolo prima di promulgare una legge sul matrimonio egualitario. Secondo

una

previsione

del

Newspoll, pubblicata sul The Australian, i sondaggi propenderebbero per il “sì” – con il 63% dei votanti a favore dei diritti LGBT anche nelle politiche matrimoniali. La parte della popolazione contraria, però, non ha esitato a far sentire la propria voce: la campagna per il “no” ha portato all’affissione di alcuni manifesti raffiguranti due uomini sul punto di colpire con delle cinture color arcobaleno un bambino. Denis Hart, arcivescovo di Melbourne e presidente della Conferenza Episcopale Australiana, conferma in una lettera pastorale che il matrimonio, per la Chiesa Cattolica, è l’unione permanente tra un uomo e una donna, finalizzata alla formazione di una famiglia. Quanto al fatto che molti considerino la legalizzazione delle unioni tra coppie dello stesso sesso uno strumento per garantire l’uguaglianza per ogni relazione, l’arcivescovo Hart sottolinea che i diritti umani sono importanti tanto quanto lo sono le responsabilità umane: gli australiani dovrebbero riflettere sull’impatto delle proprie decisioni sulle generazioni future. L’opinione di Hart è particolarmente rilevante se si pensa che il primo credo per numero di fedeli in Australia è il cattolicesimo (22,6% della popolazione) e che in varie occasioni, l’Arcivescovo ha ribadito il primato dei valori religiosi sulle questioni politiche e sociali.

MSOI the Post • 11


ORIENTE sizione. Altri sondaggi mostrano una simpatia verso il partito del sindaco di Tokyo Yuriko Koike (Kibo no To, cioè “Partito della Speranza”).

IL GIAPPONE ALLE URNE

Il Premier interpella i cittadini con un anno di anticipo

Di Carolina Quaranta

NUOVA ZELANDA 23 settembre. Si sono chiusi i seggi per eleggere i membri del Parlamento. I primi sondaggi vedono in testa il partito nazionale di centrodestra del premier conservatore Bill English. Dopo 9 anni alla guida del Paese, il partito ha ottenuto 58/120 seggi (46%), 3 in meno rispetto a quelli necessari per avere la maggioranza. La soluzione è stata individuata nella coalizione con il partito labourista di Jacinta Arden (New Zealand First), noto per aver realizzato un’impennata della curva di consenso ottenendo 45 seggi. PAKISTAN 22 settembre. Dietro i 5 attacchi terroristici di Karachi e della provincia del Baluchistan si celerebbe l’organizzazione Jamaat ul Ansar al-Sharia Pakistan. Le informazioni su tale gruppo sono ancora superficiali. Inizialmente le autorità avevano ipotizzato un collegamento con altri movimenti attivi in Tunisia e Libia, ma non vi sono prove tangibili sono sufficienti. Il portavoce Abdullah Hashmi, arrestato lo scorso mese, avrebbe sottolineato una vicinanza ad Al Qaeda. A cura di Alessandro Fornaroli

12 • MSOI the Post

Lo scorso lunedì 25 settembre, il premier giapponese Shinzo Abe ha annunciato la sua intenzione di indire elezioni anticipate. Per ottenerle, è stato necessario sciogliaere la Camera bassa. La misura, intrapresa il 28 settembre, con un anno di anticipo sulla fine del mandato, comporta per effetto dell’articolo 54 della Costituzione, la chiusura della Camera superiore e richiede che si convenga a nuove elezioni entro 40 giorni. Fortemente criticata dalla minoranza e definita dai media locali “un azzardo”, la mossa di Abe è in linea con il suo obiettivo da tempo perseguito di rivoluzionare la politica militare del Paese, partendo dalla modifica dell’articolo 9 della Costituzione, il cui scopo originale era impedire la formazione di un esercito giapponese. Nel rispondere al clima di terrore, creato dalle recenti provocazioni di Kim JongUn, infatti, Abe ha promosso una politica estera più forte: “Non dobbiamo cedere alle minacce di Pyongyang: spero di guadagnare la fiducia del popolo nelle elezioni”. Abe conta così di riuscire a consolidare un risultato politico che solo da poco, per effetto di un rimpasto di governo, ha potuto raggiungere: con i due terzi dei deputati e la maggioranza

qualificata potrebbe infatti modificare la Costituzione. In questo modo, senza dover avanzare interpretazioni sempre più estensive del testo costituzionale, il governo avrebbe mano libera per riformare definitivamente le Forze di Autodifesa e passare ad una fase più assertiva del cosiddetto “pacifismo attivo” già caldeggiato dal Presidente. Abe guarda con fiducia alle urne. Nell’estate 2017, il consenso attorno alla sua persona è salito dal 30 al 50%. Stando all’opposizione, tuttavia, il Primo Ministro avrebbe indetto elezioni anticipate per difendersi da un recente scandalo. Abe e sua moglie avrebbero illecitamente favorito un amico nell’istituire una scuola legata al gruppo lobbistico ultranazionalista Nippon Kaigi. Il Premier deve, inoltre, fronteggiare una nuova candidata: la governatrice di Tokyo Yuriko Koike. Anch’ella membro sino a poco tempo fa Partito Liberal Democratico e già Ministro di Difesa ed Ambiente nell’amministrazione Abe, Koike ha annunciato la fondazione del Partito della Speranza. e La data ufficial delle elezioni non è ancora stata annunciata, ma secondo le principali agenzie di stampa giapponesi si andrà alle urne il prossimo 22 ottobre.


AFRICA 7 Giorni in 300 Parole COSTA D’AVORIO 26 settembre. Un commissariato di polizia nel nord di Abidija è stato attaccato da un commando armato. Non ci sono stati né morti né feriti. L’episodio fa parte di una serie di attentati che, da giugno scorso, colpiscono le forze di polizia della città.

IL GHANA E L’ENERGIA ALTERNATIVA Il Paese raccoglie la sfida dell’efficienza energetica

Di Guglielmo Fasana

CAMERUN 27 settembre. Human Rights Watch ritiene responsabile il governo del Camerun, ed in particolare il presidente Yaoundé, di avere espulso circa 100.000 rifugiati nigeriani fuggiti da Boko Haram, violando così gli accordi internazionali sull’accoglienza. Nel rapporto ufficiale, inoltre, sono numerose le accuse nei confronti dell’esercito regolare che avrebbe perpetrato assalti armati, violenze e torture ai danni dei profughi nelle zone frontaliere del Paese. GUINEA 25 settembre. La Commissione Elettorale Indipendente della Guinea (CENI) ha deciso, dopo 12 anni senza scrutini, di fissare come data per le prossime elezioni quella del 4 febbraio 2018. ETIOPIA 26 settembre. Il governo accusa il vicino Somaliland, territorio semi-autonomo nel nord della Somalia, di aver costretto alla fuga, con l’uso della forza, circa

Ancora una volta è la Belt and Road Initiative a fare notizia per quanto riguarda il Continente africano e le sue ambizioni di sviluppo economico-sociale. Stando a quanto riporta Zhang Weidong, program manager per lo United Nations Development Program (UNDP) in Cina, la comunità internazionale ripone un alto grado di fiducia nell’abilità degli Stati africani, che beneficiano dell’iniziativa nell’incrementare le loro competenze in materia di energie rinnovabili. Il funzionario ONU si trovava per l’appunto in Ghana per presenziare ad un forum organizzato dalla Ghana’s Energy Commission, avente come obiettivo la presentazione alle autorità locali delle istituzioni cinesi incaricate dello sviluppo delle energie alternative. Sebbene sia notoriamente la Cina ad essere in vantaggio sulla questione degli appalti energetici in Africa, anche altri Paesi si stanno affacciando, tramite le loro compagnie, su questo mercato per proporre i loro progetti innovativi e potenzialmente benefici per la collettività. È proprio questo il caso di un’impresa con sede in Israele, la Yam Pro Energy, scelta dal Ghana per costruire un impianto per la generazione di energia elettrica tramite il moto ondoso

proprio sulle coste di Accra, la capitale del Paese. L’idea, proposta dagli israeliani, è stata ritenuta la migliore in lizza perché, almeno sulla carta, garantisce un rifornimento continuo di energia elettrica mantenendo inalterati i delicati ecosistemi marini che popolano la costa occidentale dell’Africa. La decisione che ha portato i ghanesi ad affidare il futuro delle coste del Paese non è arrivata affatto in modo rapido: si tratta infatti di un negoziato portato avanti per diversi anni dalle due parti in causa. Alla fine, i benefici provenienti da questa tipologia di risorsa energetica si sono rivelati paradossalmente maggiori di quelli garantiti dal solare o dall’eolico. Inoltre, pur essendoci un investimento iniziale non indifferente dovuto all’installazione dei macchinari, i costi di gestione e della manutenzione sono estremamente bassi. La costruzione dell’impianto non comincerà che nel tardo 2017 e, in vista dell’apertura dei cantieri, il Ghana ha provveduto a fornire le concessioni edilizie, mentre la Yam Pro Energy ha stipulato una partnership con le imprese fornitrici di energia a livello locale. In totale, le famiglie che beneficeranno da tale iniziativa saranno più di 10.000. MSOI the Post • 13


AFRICA 3.000 persone appartenenti all’etnia Oromo. Il governo ha fatto avverte che utilizzerà mezzi militari e politici per fermare l’escalation di violenza che sta investendo il Paese confinante.

IL TOGO RIFIUTA IL NEPOTISMO

Il Paese manifesta contro la riforma costituzionale proposta da Gnassingbé

Di Chiara Zaghi KENYA 21 settembre. La commissione elettorale del Kenya ha stabilito la data delle prossime elezioni del Paese, che cadranno il prossimo 26 ottobre. La decisione arriva dopo che la Corte Suprema, il 1° settembre scorso, ha invalidato le elezioni tenutesi ad agosto per i brogli elettorali che avrebbero portato alla vittoria di Uhuru Kenyatta. REPUBBLICA CENTRAFRICANA 20 settembre. Il presidente Touadera ha chiesto, di fronte all’Assemblea Generale dell’ONU a New York, supporto ed aiuto per il proprio Paese, scosso da maggio scorso da una crescente ondata di violenza ed instabilità. 23 settembre. La città di Bocaranga, famosa per la produzione di diamanti, è stata attaccata da un gruppo di miliziani appartenenti al gruppo ribelle 3R (Retour, Réclamation et Réhabilitation). Il numero delle vittime non è ancora noto. La città era già stata attaccata e saccheggiata a febbraio scorso dallo stesso gruppo ribelle, l’unico che non si è presentato al vertice di Roma dello scorso giugno, in cui erano riuniti tutti gli altri 13 gruppi ribelli attivi nella Repubblica Centrafricana, per siglare un accordo di pace. 14 • MSOI the Post

Il nuovo progetto di riforma costituzionale avanzato dal presidente del Togo, Faure Essozimna Gnassingbé, ha infiammato l’opinione pubblica del Paese. Da fine agosto le strade di Lomè, capitale del Togo, e di Sokodé, sono invase da manifestanti che protestano contro le decisioni del governo e chiedono la riadozione della Costituzione così come formulata nel 1992. Le proteste hanno creato forte tensione tra il partito del Presidente, Unione per la Repubblica, e l’opposizione guidata da Jean-Pierre Fabre (leader di Alleanza Nazionale per il Cambiamento) e Tikpi Atchadman (fondatore del Partito Nazionale Panafricano, che riunisce ben 113 piccoli partiti d’opposizione). Oggetto principale delle proteste, è stato il contenuto dell’articolo 59 del nuovo testo della Costituzione, che riguarda la limitazione del mandato presidenziale. Obiettivo del Presidente, infatti, è quello di abrogare il divieto di candidarsi per più di due mandati consecutivi. La mancata approvazione della riforma costituzionale da parte dell’opposizione in Parlamento non ha fatto raggiungere la maggioranza di 4/5 richiesta per il progetto di riforma. Per questo il Presidente è stato

obbligato ad un referendum. Il Partito Nazionale Panafricano si è dichiarato entusiasta per l’obiettivo raggiunto, nonostante rimanga il timore che la chiamata alle urne possa non avvenire regolarmente. Durante le elezioni del 2005 e del 2015, infatti, il Presidente Gnassingbé è stato accusato di aver commesso brogli nel corso della consultazione elettorale. La famiglia Gnassingbé domina il Paese da 50 anni. L’attuale Presidente ha infatti ereditato la carica dal padre Étienne Eyadéma che, nel 1967, aveva preso il potere con un colpo di Stato. L’elettorato ha assunto ormai un atteggiamento aspramente critico nei confronti di questa pratica di nepotismo. La popolazione teme adesso che, attraverso la riforma costituzionale proposta, il potere continui a rimanere nelle mani della stessa famiglia, allontanando la democrazia dal Paese. L’esito del referendum è però imprevedibile. Continuano le manifestazioni nel Paese e le conseguenti repressioni da parte delle forze di polizia, che durante uno scontro hanno causato la morte di un bambino. Il cima disordinato e le richieste avanzate della popolazione sono state bollate dal governo come un “tentativo di colpo di Stato”.


SUD AMERICA 7 Giorni in 300 Parole BRASILE 21 settembre. Inizia l’occupazione della “favela” Rocinha, la più grande di Rio de Janeiro. A partire da questa data, per i successivi quattro giorni sono stati dispiegati 950 soldati nella regione, teatro da oltre una settimana di violenti sparatorie fra gang rivali di narcos. La polizia, continuando le indagini, ha successivamente individuato la casa del boss del traffico locale, Rogerio Avelino da Silva, conosciuto come Rogerio 157.

CARAIBI 23 settembre. La diga di Guajataca a Porto Rico a iniziato a cedere a causa delle alluvioni dovute al passaggio dell’uragano Maria. Secondo le prime informazioni, l’opera avrebbe “subito un cedimento strutturale”. Intanto l’uragano Maria avanza e dopo la devastazione di Porto Rico punta a nord verso l’arcipelago delle Bahamas. Il bilancio dei morti nelle isole caraibiche per il passaggio dell’uragano Maria è salito a quota 27. CUBA 26 settembre. A l’Avana, il Consiglio Nazionale delle arti plastiche di Cuba ed il Centro di Arte Contemporaneo Wifredo Lam hanno deciso di posporre per il 2019 la celebrazione del XIII Biennale de L’Avana. Successivamente un annuncio ufficiale di conferma è stato diffuso dall’Avana; la decisione è dovuta ai danni importanti causati dall’uragano Irma al patrimonio culturale.

INDULTO PER FUJIMORI?

La politica peruviana si divide sulla scarcerazione dell’ex Presidente

Di Daniele Pennavaria In Perù si riaccende il dibattito riguardo all’ex presidente Alberto Fujimori e alla possibilità di un indulto per motivi di salute. Il politico 79enne è in carcere dal 2009 per violazione di diritti umani, corruzione e uso di fondi pubblici a fini illeciti, ma è dal 2013 che, per complicazioni del suo stato di salute, alcuni membri di Fuerza Popular, il partito guidato dalla figlia Keiko Fujimori, avevano richiesto che gli fosse concesso uno sconto di pena. Le tre richieste precedenti erano state respinte, ma l’attuale presidente, Pedro Pablo Kuczynski, ha dichiarato di essere disposto a valutare questa possibilità in seguito al ricovero di Fujimori dello scorso 10 settembre. Quest’apertura di Kuczynski, già dibattuta durante l’estate, ha scatenato una dura critica, che vede politici e membri della società civile schierati contro la scarcerazione. Sono ben pochi a vedere di buon occhio una simile misura e il dissenso verso l’indulto è stato manifestato trasversalmente da esponenti anche di opinioni politiche molto diverse. Una reazione più prevedibile è stata quella delle piazze. Decine di migliaia di persone si sono riversate nelle strade

di Lima, Arequipa, Cajamarca, Cuzco e Huancayo per protestare contro la possibilità dell’indulto. Secondo molti questo è un segnale evidente che la società peruviana non crede che la scarcerazione sia un “perdono per cause mediche” come ha dichiarato Kuczynski, né che possa essere un passo per il processo di riconciliazione verso gli esponenti del regime, che non hanno dimostrato nessun pentimento. Analizzando il contesto politico peruviano c’è chi suppone che Kuczynski stia valutando quest’opzione, costosa dal punto di vista del consenso popolare, per spostare a suo favore il peso di alcuni membri del Congresso. Fuerza Popular, infatti, con i suoi 72 parlamentari su 130, detiene una maggioranza che si è rivelata più volte problematica per l’attuale Presidente. La posizione del Governo è estremamente complicata, visto il continuo scontro con il Congresso e le dimissioni, dopo solo un anno in carica, di ben quattro ministri. In ogni caso, non è detto che anche concedendo l’indulto Kuczynski ottenga il supporto augurato, perché, mentre perderebbe i consensi di chi rifiuta la scarcerazione, i fujimoristas non appoggerebbero comunque le sue scelte politiche.

MSOI the Post • 15


SUD AMERICA MESSICO 24 settembre. Un’altra forte scossa di terremoto, di magnitudo 5.7, ha colpito la costa pacifica del Messico, più a sud rispetto alle scosse deglii giorni scorsi. Lo riferisce l’istituto geologico americano. L’epicentro è stato individuato nella porzione di mare antistante alla costa di Paredon, ad una profondità di 60 chilometri. VENEZUELA 26 settembre. Sono stati riportati altri atti di violenza compiuti da gruppi oppositori di estrema destra nella capitale del Venezuela, dopo varie settimane di calma. Tali episodi fanno seguito alle elezioni dell’Assemblea Costituente del 30 luglio. Gruppi di persone incappucciate hanno creato, buttando spazzatura sulle strade e impedendo con il loro corpo la circolazione dei veicoli, un ingorgo su Calle Elice de Chacao. L’impatto sulla circolazione cittadine è stato tale richiedere l’intervento della Guardia Nazionale Bolivariana (GNB). ECUADOR 26 settembre. Il ministro degli Affari Esteri Maria Fernanda Espinosa ha presentato a Parigi, di fronte all’Assemblea Nazionale, una proposta di normativa che impone il rispetto di un certo numero di standard alle imprese multinazionali, nell’ambito della tutela dei diritti umani. Lo stesso progetto, promosso dal Paese sudamericano e dal Sudafrica, era già stato presentato nel 2013 all’Assemblea delle Nazioni Unite. Si tratta di un’iniziativa ambiziosa, che mira a creare una regolamentazione del settore condivisa a livello internazionale. A cura di Anna Filippucci

16 • MSOI the Post

IL VENEZUELA SEMPRE PIU’ ISOLATO

Il governo di Maduro deve fronteggiare diverse crisi diplomatiche

Di Elisa Zamuner Le relazioni diplomatiche tra Venezuela e Stati Uniti d’America sono sempre più conflittuali. Il 25 settembre, infatti, il presidente Donald Trump ha annunciato l’estensione del controverso travel ban ad altri tre Stati: Ciad, Corea del Nord e Venezuela. Per quanto riguarda lo Stato sudamericano, a essere realmente esclusi dalla possibilità di entrare negli Stati Uniti sono soltanto il presidente Maduro, alcuni funzionari governativi e le loro famiglie. La nuova versione del travel ban entrerà in vigore il 18 ottobre e la notizia ha scatenato forti reazioni. Il ministro degli Esteri venezuelano Jorge Arreaza ha fortemente criticato la decisione di Trump, sostenendo che si stia comportando come “l’imperatore del mondo” e definendo la restrizione come un atto di “terrorismo psicologico e politico”. La tensione tra i due Stati è tangibile. Solo il mese scorso erano state annunciate delle sanzioni economiche repressive nei confronti del governo Maduro, vietando operazioni con debito e capitale emessi dal governo venezuelano, a causa di quella che lo studio ovale definisce una politica anti-democratica. La Casa Bianca aveva anche aggiunto che queste restrizioni “tutelano l’economia degli USA

dalla corruzione del Venezuela”. Anche in questo caso Arreaza aveva accolto la notizia con scetticismo, domandandosi se l’obiettivo non fosse quello di creare una crisi umanitaria, e lo stesso Maduro, la scorsa settimana, commentando la notizia del travel ban aveva definito Trump “il nuovo Hitler della politica internazionale”. Ma le difficoltà che il Venezuela incontra nelle relazioni internazionali non si limitano agli USA. Il 22 settembre il Canada ha imposto delle restrizioni economiche contro i funzionari venezuelani considerati responsabili del deterioramento dei valori e delle istituzioni democratiche; questa decisione mira a far sì che Maduro ristabilisca l’ordine costituzionale e, infatti, la ministra degli Affari Esteri canadese Chrystia Freeland ha definito la manovra una misura per “difendere la democrazia e i diritti umani nel mondo”. Intanto, l’alto rappresentante dell’UE per gli Affari Esteri Federica Mogherini ha affermato che anche l’UE sta preparando le basi per una discussione tra gli Stati membri sulla situazione venezuelana e sul come porsi rispetto a essa. Il presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani ha dichiarato che “condannare non basta” e ha sottolineato la necessità di intervenire in modo mirato per “dare voce a tutti coloro che vengono perseguitati dal regime”.


ECONOMIA STRESS TEST

Settanta banche tedesche bocciate

Di Ivana Pesic In seguito alla crisi finanziaria del 2008 scoppiata negli Stati Uniti, vennero pensati gli stress test, strumenti volti a garantire, in caso di eventuali crisi successive, maggiore stabilità alle banche e per accertare che nessun istituto, da solo, minacci la stabilità dei mercati finanziari. In Europa, è la Banca Centrale Europea a sovrintendere alla gestione degli stress test al fine di comprendere, grazie alla valutazione del capitale detenuto in riserva dalle banche, se, effettivamente, gli istituti di credito siano in grado di reggere periodi di grande stress economico e finanziario. L’European Banking Authority, per misurare la solidità patrimoniale delle banche, prende in considerazione il Common Equity Tier (Cet-I), un indicatore in termini percentuali che mette in rapporto il capitale di un istituto creditizio con le sue attività - ponderate per il rischio - impiegate sul mercato. Più alto è il Cet-I di un istituto, maggiore è la sua solidità patrimoniale.

condotti, infatti, su un fronte “caldo” del credito tedesco, ovvero quello del real estate: nei principali centri abitati della Germania sono stati registrati rialzi dei prezzi immobiliari tra il 15% e il 30% oltre il livello giustificato dai fondamentali.

Durante i test, oltre a tener conto dello scenario prevedibile grazie ad un’analisi dei trend di mercato, vengono simulate situazioni sfavorevoli ipotizzando, per esempio, un crollo delle borse o una pesante recessione. Per superare il test, le banche devono mantenere un Cet-I superiore al 5,5% anche in uno scenario avverso. Qualora una banca non superi l’esame, a questa viene ordinato di dotarsi di una nuova dose di capitali per irrobustirsi e migliorare la propria situazione patrimoniale.

Contestualmente a tale ricerca è stato sottolineato come il problema di fondo rimanga quello della bassa redditività delle banche tedesche. Se i tassi di interesse rimanessero stabili fino al 2021, i ritorni rotali delle banche si ridurrebbero del 40%.

Recentemente, la Bundesbank ha sottoposto al test gli istituti tedeschi con attivi inferiori a 30 miliardi di euro (quelli esclusi dall’ombrello BCE) e a settembre ha reso pubblici i risultati: delle 1.550 banche analizzate, sono state sessantotto ad essere bocciate, questo senza comunicare i nomi degli enti più fragili. Questi ultimi, non rispettando i minimi prudenziali previsti, avrebbero difficoltà a resistere ad eventuali shock relativi ai tassi di interesse e al mercato immobiliare. Gli stress test in questione sono stati

La comunicazione al mercato degli esiti degli stress test non era stata richiesta dalla BCE. Altre banche centrali stanno conducendo test analoghi, senza però nulla divulgare. Questa dimostrazione di grande trasparenza da parte della Bundesbank è stata da alcuni interpretata come un avvertimento alla BCE, a cui verrebbero così preannunciati i rischi a cui si andrebbe in contro tramite la prosecuzione della politica monetaria espansiva della BCE stessa, ormai da tempo nel mirino dei tedeschi.

MSOI the Post • 17


ECONOMIA L’AMMISTRAZIONE TRUMP IMPONE PESANTI DAZI AI DANNI DI BOMBARDIER

L’iniziativa ai danni dell’azienda canadese infiamma il dibattito nordamericano

Di Giacomo Robasto Il presidente americano Donald Trump, nel corso della campagna elettorale che lo ha portato al trionfo nel novembre 2016, ha più volte sottolineato la volontà di adottare una politica economica di stampo protezionistico, che è stata presto riassunta nel celebre slogan “America First”. Una volta insediato, infatti, ha proseguito gli annunci in questo senso, ribadendo la necessità per gli USA di riformare il NAFTA (accordo di libero scambio tra Messico, Stati Uniti e Canada che ha totalmente abolito i dazi doganali a partire dal gennaio 1994) e proponendo di allentare le relazioni commerciali con la Cina. Per dare seguito a queste idee, uno dei primi provvedimenti concreti proposti dalla nuova Amministrazione statunitense è consistito nell’applicazione di dazi doganali fino al 220% ai danni del produttore canadese di aeromobili commerciali e treni Bombardier. Infatti, secondo quanto riportato dal colosso aerospaziale statunitense Boeing, già ad aprile scorso, Bombardier avrebbe beneficiato di lauti sussidi pubblici erogati non

18 • MSOI the Post

solo da Ottawa e dal Québec, ma anche dal Regno Unito, dove Bombardier risulta il principale datore di lavoro nel settore manifatturiero dell’Irlanda del Nord, impiegando solo a Belfast circa 4500 dipendenti. Proprio grazie alle sovvenzioni pubbliche, Bombardier sarebbe riuscita a vendere i nuovi aeromobili della Serie C ad un prezzo inferiore a quello di produzione, in particolare a Delta Airlines, finora l’unica e, verosimilmente, ultima grande commessa da 75 unità arrivata dagli Stati Uniti. Il prezzo di listino per gli aeromobili di Serie C si aggira in partenza intorno ai 79,3 milioni di dollari, anche se spesso le compagnie aeree beneficiano di sconti che possono arrivare fino al 45%. Tenendo conto che, sempre secondo Boeing, Delta avrebbe pagato circa 19 milioni per ogni aeromobile, se davvero messi in pratica, i dazi ai danni di Bombardier porterebbero il prezzo di ogni aereo sul mercato americano a 62 milioni di dollari, facendo risultare i prezzi più che triplicati. La disputa, nelle argomentazioni di entrambe le parti in causa, richiama le battaglie di Boeing contro il colosso franco-tedesco

Airbus negli anni Novanta: una decisione statunitense definitiva sulle tariffe è attesa soltanto l’anno prossimo, da parte della International Trade Commission statunitense, che determinerà se davvero ci sia stato un danno a produttori nazionali quali Boeing. La decisione è tutt’altro che scontata: Boeing sostiene che la Serie C vada in concorrenza diretta con il Boeing 737-800, a corridoio singolo. Ma essa non produce in realtà velivoli da 110-130 passeggeri o a capienza minore simili ai Bombardier, elemento sottolineato dalla stessa acquirente Delta. Per Bombardier, però, qualunque ritardo e ostacolo oggi rischia di costare caro: l’azienda, che è in difficoltà ormai da qualche anno, ha rischiato il fallimento nel 2015 e sta attraversando un piano di risanamento, avviato nel 2016, nonostante abbia ancora debiti per 9 miliardi di dollari e con all’attivo pochi ordini per la sua C-Series. Martedì scorso, ha inoltre sofferto un altro colpo dalla nascita di un nuovo colosso ferroviario in Europa, con la combinazione delle attività nel settore di Alstom e Siemens, che la scalzano dalla leadership continentale in Europa.


DIRITTO INTERNAZIONALE ED EUROPEO QUALE FUTURO PER LA GIUSTIZIA PENALE INTERNAZIONALE? Un tempo foriera di sogni e speranze, oggi si trova in affanno, tra molte critiche e sospetti

Di Pierre Clément Mingozzi Pur avendo origini antiche – basti pensare che uno dei primi tentativi di processo internazionale risale a metà ‘400 e riguardò il governatore Peter Von Hagenbach –, e fermo restando l’indiscusso diritto-dovere di uno Stato sovrano di giudicare (e punire) l’autore di un crimine, tuttavia, è solo verso la metà del ventesimo secolo che si è iniziato a consolidare – come risposta giuridica ai maggiori crimini che la storia dell’umanità ricordi –, un profilo di concreta giurisdizione “under international law”. È con l’istituzione dei tribunali ad hoc (ovvero ex post factum) che la giustizia internazionale ha compiuto un grande passo in avanti, a partire dalla nascita del Tribunale militare internazionale di Norimberga. Istituito nel 1945 al fine di punire i “major war criminals of the European Axis” per aver commesso crimini contro la pace, crimini di guerra e contro l’umanità, tale tribunale fu fondamentale per dare un’importante legittimità giuridica ad altri tribunali ad hoc che successivamente vennero fondati tramite risoluzione come organi sussidiari del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite quali: il Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia (ICTY) e il Tribunale

penale internazionale per il Ruanda (ICTR). Tuttavia, si è dovuto attendere fino al 2002 affinché potesse entrare in vigore quello che, pur se con constanti e crescenti critiche, è considerato il più grande successo della comunità internazionale riguardo la giustizia penale internazionale: lo Statuto di Roma e la creazione della Corte penale internazionale (CPI). Tali tribunali hanno apportato elementi di primaria importanza allo sviluppo progressivo della giustizia internazionale. Fondamentale, per esempio, è stato il contributo del Tribunale internazionale per l’ex Jugoslavia nel dare per la prima volta consistenza autonoma al crimine di genocidio – sino ad allora considerato “semplicemente” come una branca dei crimini di guerra –; oppure la volontà, da parte del Tribunale penale internazionale per il Ruanda, di sancire definitivamente l’autonomia del crimine contro l’umanità grazie all’art. 3 del suo Statuto. Oggi però la situazione è molto più complicata e le speranze riposte nella giustizia penale internazionale sembrano affievolirsi: quest’ultima non gode più di ottima salute. Costi elevati, scarsi risultati processuali, giustizia “di parte”, assenza di

fondamenti giuridici. Critiche sul funzionamento è l’effettività di questi Tribunali sono sempre state sollevate. Ad esempio, la Corte penale internazionale è dal momento della sua istituzione che si trova sotto attacco. Nonostante abbia recentemente condannato l’ex vice presidente congolese Jean-Pierre Bemba per crimini di guerra e contro l’umanità, non può tuttavia vantare grandi risultati: è il quarto giudizio in 15 anni di funzionamento. Senza contare le critiche che piovono dai paesi africani per aver agito, sinora, solo nei confronti di questo continente. Medesimo problema per le Corti straordinarie Cambogiane (ECCC). Istituite nel 2006 per punire i crimini commessi sotto il regime di Pol Pot, prevedono di chiudere verso la fine di quest’anno, dopo aver emesso, in undici anni, cinque atti di accusa (tre condanne e due non luogo a procedere). E non è l’unico caso. Anche i Tribunali internazionali per il Ruanda e l’ex Jugoslavia prevedono di chiudere entro l’anno, imponendo di fatto una domanda: qual è il futuro della giustizia penale internazionale? Dovrà considerarsi una parentesi chiusa oppure potrà ancora avere possibilità di sviluppo? Alla comunità internazionale l’ardua risposta.

MSOI the Post • 19


DIRITTO INTERNAZIONALE ED EUROPEO IL CAMBIAMENTO CLIMATICO: UNA SFIDA MONDIALE Dall’Accordo di Parigi a COP23

Di Chiara Montano Dal momento che il cambiamento climatico è forse la sfida più importante del nostro tempo, a causa delle conseguenze che ne derivano e della velocità con cui le stesse si propagano, i governi di tutto il mondo stanno adottando delle misure per contenere questo fenomeno estremamente dannoso. La conferenza sul clima di Parigi (COP21) ha avuto luogo nel dicembre 2015. In quell’occasione, 195 Paesi hanno adottato il primo accordo universale e giuridicamente vincolante sul clima mondiale. L’obiettivo primario dell’accordo è quello di ridurre le emissioni. I Governi, infatti, hanno concordato di mantenere la temperatura mondiale ben al di sotto di 2°C rispetto ai livelli preindustriali come obiettivo a lungo temine. Prima e durante gli accordi di Parigi, i Governi hanno presentato piani nazionali di azione per il clima, che hanno intenzione di attuare proprio al fine di raggiungere gli obiettivi preposti. La trasparenza dovrà essere alla base di questi accordi, per monitorare la condizione climatica in cui versano i Paesi aderenti. Per questa ragione, si è deciso che i Governi si 20 • MSOI the Post

riuniranno ogni cinque anni per fare rapporto sui progressi fatti e stabilire obiettivi ancora più ambiziosi. La cooperazione fra i Governi stessi giocherà necessariamente un ruolo fondamentale al riguardo. Nel novembre 2016, a Marrakech si è tenuta COP22, dove circa 200 nazioni hanno sottoscritto un documento, il cosiddetto “Manifesto d’azione di Marrakech”, in cui si afferma che l’applicazione degli accordi sul clima è un “dovere urgente”. La differenza rispetto a COP21 è stata essenzialmente la praticità: con COP21 sono stati stabiliti degli obiettivi, COP22 mirava alla loro realizzazione. Durante il ciclo di incontri tenutosi a Marrakech, infatti, si è parlato dei finanziamenti necessari per mettere in pratica le misure previste. Siamo così giunti alle porte di COP23, la conferenza sul cambiamento climatico che si terrà a Bonn, in Germania, il prossimo novembre e che rappresenta l’occasione per fare il punto su quanto è già stato fatto e su quanto c’è ancora da fare, al fine di stabilire obiettivi sì ambiziosi, ma anche realistici. Nonostante la “mezza marcia indietro” del Presidente degli Stati Uniti relativamente agli

accordi di Parigi, l’UE dichiara che gli investimenti e le azioni devono comunque procedere. Attualmente, nell’Unione europea è in discussione un regolamento sulla condivisione degli sforzi, che riguarda la maggior parte dei gas a effetto serra, responsabili di circa il 60% delle emissioni, stando ai dati del 2014. Questo regolamento rappresenta lo strumento climatico più potente dell’Unione europea. L’obiettivo del Regolamento sulla condivisione degli sforzi è ridurre il livello di emissioni causate da quei settori esclusi dal sistema di scambio di emissioni (ETS), quali i traporti, soprattutto quelli aerei (le attività di trasporto aereo costituiscono circa il 3% delle emissioni totali di gas a effetto serra dell’UE), l’agricoltura, gli edifici e la gestione dei rifiuti. Le emissioni di questi settori, infatti, dovrebbero essere ridotte del 30% entro il 2030. Il Parlamento europeo ha adottato la propria posizione relativamente al Regolamento sulla condivisione degli sforzi, che interesserà il periodo 20212030, il 14 giugno 2017. Ci si attende che il Consiglio adotti la propria posizione durante la Presidenza estone, quindi entro il 31 dicembre 2017.


MSOI the Post • 21


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.