MSOI thePost Numero 78

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Il Settimanale di M.S.O.I. Torino


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MSOI Torino M.S.O.I. è un’associazione studentesca impegnata a promuovere la diffusione della cultura internazionalistica ed è diffuso a livello nazionale (Gorizia, Milano, Napoli, Roma e Torino). Nato nel 1949, il Movimento rappresenta la sezione giovanile ed universitaria della Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale (S.I.O.I.), persegue fini di formazione, ricerca e informazione nell’ambito dell’organizzazione e del diritto internazionale. M.S.O.I. è membro del World Forum of United Nations Associations Youth (WFUNA Youth), l’organo che rappresenta e coordina i movimenti giovanili delle Nazioni Unite. Ogni anno M.S.O.I. Torino organizza conferenze, tavole rotonde, workshop, seminari e viaggi studio volti a stimolare la discussione e lo scambio di idee nell’ambito della politica internazionale e del diritto. M.S.O.I. Torino costituisce perciò non solo un’opportunità unica per entrare in contatto con un ampio network di esperti, docenti e studenti, ma anche una straordinaria esperienza per condividere interessi e passioni e vivere l’università in maniera più attiva. Elisabetta Botta, Segretario M.S.O.I. Torino

MSOI thePost MSOI thePost, il settimanale online di politica internazionale di M.S.O.I. Torino, si propone come un modulo d’informazione ideato, gestito ed al servizio degli studenti e offrire a chi è appassionato di affari internazionali e scrittura la possibilità di vedere pubblicati i propri articoli. La rivista nasce dalla volontà di creare una redazione appassionata dalla sfida dell’informazione, attenta ai principali temi dell’attualità. Aspiriamo ad avere come lettori coloro che credono che tutti i fatti debbano essere riportati senza filtri, eufemismi o sensazionalismi. La natura super partes del Movimento risulta riconoscibile nel mezzo di informazione che ne è l’espressione: MSOI thePost non è, infatti, un giornale affiliato ad una parte politica, espressione di una lobby o di un gruppo ristretto. Percorrere il solco tracciato da chi persegue un certo costume giornalistico di serietà e rigore, innovandolo con lo stile fresco di redattori giovani ed entusiasti, è la nostra ambizione. Jacopo Folco, Direttore MSOI thePost 2 • MSOI the Post

N u m e r o

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REDAZIONE Direttore Jacopo Folco Vicedirettore Davide Tedesco Caporedattori Giusto Amedeo Boccheni, Pilar d’Alò, Pauline Rosa Capi Servizio Rebecca Barresi, Luca Bolzanin, Pierre Clément Mingozzi, Luca Imperatore, Sarah Sabina Montaldo, Daniele Pennavaria, Leonardo Scanavino, Giulia Tempo, Martina Terraglia, Chiara Zaghi Media e Management Daniele Baldo, Guglielmo Fasana, Anna Filippucci Redattori Federica Allasia, Erica Ambroggio, Elena Amici, Daniele Baldo, Lorenzo Bardia, Giulia Bazzano, Lorenzo Bazzano, Andrea Bertazzoni, Giusto Amedeo Boccheni, Luca Bolzanin, Giulia Botta, Maria Francesca Bottura, Adna Camdzic, Matteo Candelari, Claudia Cantone, Giulia Capriotti, Emanuele Chieppa, Giuliana Cristauro, Lucky Dalena, Alessandro Dalpasso,Francesca Maria De Matteis, Luca De Santis, Sabrina Di Dio,Ilaria Di Donato, Sofia Ercolessi, Simone Esposito, Guglielmo Fasana, Kevin Ferri, Giulia Ficuciello, Alessandro Fornaroli, Lorenzo Gilardetti, Ann-Marlen Hoolt, Michelangelo Inverso, Vladimiro Labate, Giulia Marzinotto, Simone Massarenti, Efrem Moiso, Virginia Orsili, Daniele Pennavaria, Ivana Pesic, Edoardo Pignocco, Sara Ponza, Jessica Prieto, Carolina Quaranta, Giacomo Robasto, Daniele Reano, Jean-Marie Reure, Clarissa Rossetti, Michele Rosso,Daniele Ruffino , Martina Santi, Federico Sarri, Leonardo Scanavino, Martina Scarnato, Samantha Scarpa, Francesca Schellino, Viola Serena Stefanello, Lola Ferrand Stanley, Giulia Tempo, Martina Terraglia, Elisa Todesco, Francesco Tosco, Tiziano Traversa, Fabio Tumminello, Chiara Zaghi, Francesca Maria De Matteis, Martina Unali, Elisa Zamuner. Editing Lorenzo Aprà Copertine Amandine Delclos, Carolina Elisabetta Zuniga Vuoi entrare a far parte della redazione? Scrivi una mail a thepost@msoitorino.org!


EUROPA 7 Giorni in 300 Parole

INCONTRO TRA I LEADER EUROPEI A TALLINN

Vertice su digitale, web tax e sul futuro dell’Europa

Di Giuliana Cristauro SPAGNA 4 ottobre. Il re Filipe VI con un breve discorso si rivolge alla nazione, rimarcando l’illegalità del referendum catalano sull’indipendenza, definito un “inaccettabile tentativo di appropriazione delle istituzioni storiche della Catalogna”. Il sovrano, nel suo appello all’unità nazionale, invita alla ricerca di compromesso e alla responsabilità delle istituzioni. ITALIA 27 settembre. Il Ministro dell’Interno, Marco Minniti, presenta il Primo piano nazionale di integrazione per favorire l’inclusione sociale dei soggetti beneficiari della protezione internazionale. Un documento che elenca i doveri “di chi accoglie” (garantire uguaglianza, accesso all’istruzione ed alla formazione professionale, promuovere interventi di integrazione) e i doveri “di chi è accolto” (imparare la lingua italiana, rispettare le leggi e i valori costituzionali, partecipare alla vita economica e culturale del paese). IRLANDA 30 settembre. Centinaia di persone in marcia a Dublino (March for choice) per chiedere un cambiamento della legislazione irlandese sull’aborto, tra le più restrittive in Europa. Il governo ha annunciato la possibilità, nel 2018, di un referendum per

I leader europei si sono incontrati a Tallinn il 28 e il 29 settembre per prendere parte al vertice sull’economia organizzato dalla presidenza estone del Consiglio europeo. L’obiettivo principale del vertice è stato la creazione di progetti di innovazione che rendano l’Europa un leader mondiale nel campo del digitale. I temi salienti dell’incontro sono stati il futuro dell’Europa e la Web Tax, ossia la proposta di legge che regola la tassazione sui guadagni delle grandi aziende che operano sul web. Tra i presenti anche la premier inglese Theresa May, che ha ribadito una linea di riavvicinamento all’Europa dichiarando la necessità di una “forte e nuova partnership sulla sicurezza” con l’Unione Europea. Non ha invece preso parte all’incontro il primo ministro spagnolo Mariano Rajoy, rimasto a Madrid per via del referendum sull’indipendenza della Catalogna. Il vertice si è svolto in due giorni. Nella sera del 28 settembre il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk ha convocato una cena volutamente ‘informale’ per permettere ai capi di Stato e di governo di dar luogo ad un dibattito franco e aperto per fare il punto della situazione sulle prospettive di riforma europee.

Nella mattinata di venerdì, il presidente della Repubblica estone, Kersti Kaljulaid, ha aperto la discussione con un intervento introduttivo. Si sono susseguite dunque due sessioni di lavoro. Durante la prima si è tenuto il pranzo di lavoro sul futuro dei governi ed è stata presentata la EU sanctionsmap. Durante la seconda sessione di lavoro si è dibattuto sul futuro dell’economia. Infine, il premier estone Jüri Ratas ha dato avvio alle conclusioni. In occasione del summit il presidente francese Emmanuel Macron e la cancelliera tedesca Angela Merkel si sono incontrati per un bilaterale, durante il quale la Merkel ha definito il recente discorso alla Sorbona del leader francese “un buon impulso”; ha inoltre aggiunto che tra Germania e Francia vi è “un ampio consenso” sulla direzione da prendere per l’Europa, tralasciando i dettagli da discutere con chiaro riferimento alla zona euro. Anche il Premier italiano Paolo Gentiloni, dopo l’incontro con Macron e la Merkel, ha affermato che “Francia, Germania e Italia cercano di lavorare insieme per contribuire a dare binari ad una discussione interessante e ambiziosa sul futuro dell’Europa”. Infine, a proposito della Web Tax, egli ha sottolineato la necessità di cooperazione forzata tra i 28 paesi Ue anche in mancanza di un accordo all’unanimità. MSOI the Post • 3


EUROPA lasciar decidere ai cittadini se abolire l’ottavo emendamento della Costituzione che equipara il “diritto di vita del nascituro” al “diritto alla vita della madre”. REGNO UNITO 4 ottobre . Theresa May interviene al Congresso del Partito Conservatore a Manchester dichiarando che il governo britannico è pronto “ad ogni evenienza” nei negoziati sulla Brexit. Il discorso del Primo ministro inglese arriva all’indomani della risoluzione del Parlamento europeo, in base alla quale non sono ancora stati fatti si sufficienti progres nelle trattative per l’uscita del Regno Unito dall’Europa (lack of sufficient progress on divorceterms). FRANCIA 3 ottobre. La legge antiterrorismo è stata approvata in prima lettura dai deputati francesi (415 voti contro 127 contrari) per rinforzare la sicurezza nazionale e la lotta al terrorismo. Il Ministro dell’Interno, Gerard Colombo, commenta positivamente il testo, sperando che sia un primo passo verso l’uscita dallo stato d’Emergenza. I gruppi comunisti e il partito di Melanchon, che hanno votato contrariamente, manifestano perplessità sul rispetto dei diritti dell’uomo. ROMANIA 4 ottobre. Nelle piazze di Bucarest, migliaia di persone hanno manifestato contro un progetto di legge del governo che ridurrebbe gli stipendi pubblici, sottraendo i contributi dagli stipendi dei lavoratori (attualmente, invece, pagati dai datori di lavoro). A cura di Claudia Cantone

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PER LA COMMISSIONE UE IL VOTO CATALANO È ILLEGALE “Questione interna alla Spagna. Fiducia a Rajoy”

Di Giulia Marzinotto 2 ottobre, Bruxelles: “Se venisse organizzato un referendum in linea con la Costituzione spagnola significherebbe che il territorio che si separa si troverebbe fuori dall’Unione europea”. Questa la dichiarazione del portavoce della Commissione europea, Margaritis Schinas, all’indomani del contestatissimo referendum per l’indipendenza della Catalogna, tenutosi domenica 1 ottobre nella Regione e che ha visto vincere il “Sì” a favore dell’indipendenza con il 90 per cento dei voti. Dopo alcune ore di silenzio, l’intervento della Commissione Europea ha chiarito nuovamente la sua posizione circa la natura della questione – “interna della Spagna” – e rinnovato la “fiducia nella leadership del primo ministro Mariano Rajoy per gestire questo processo difficile nel pieno rispetto della Costituzione spagnola e dei diritti fondamentali dei cittadini lì contenuti”. Dopo aver ribadito che “il voto di ieri per l’indipendenza non è legale”, il portavoce Schinas ha aggiunto che “la Commissione credeche questi siano tempi per unità e stabilità, non per argo-

menti divisivi e frammentazione”. Il Consiglio UE, che si è espresso sulla questione attraverso le parole del suo presidente, Donald Tusk, ha affermato condividere gli argomenti costituzionali del Primo Ministro spagnolo, invitandolo a trovare “i mezzi per evitare una nuova escalation e un nuovo uso della forza”, alla luce delle violenze da parte della polizia sui manifestanti che hanno portato ad un bilancio superiore agli 800 feriti, secondo il Ministero della Salute catalano, e che hanno sconvolto l’opinione pubblica europea. Per il Parlamento Europeo il primo ad esprimersi è stato il leader dei Socialisti e democratici al Parlamento europeo, Gianni Pittella, che pur sottolineando il carattere di illegalità del ‘non-referendum’, ha definito quello precedente come “un giorno triste per la Spagna e per l’intera Europa”, accusando Rajoy di “non aver fatto niente per evitare le violenze”. Il capogruppo dei liberali dell’Alde, GuyVerhofstadt, ha auspicato “una soluzione negoziata nella quale siano coinvolte tutte le parti politiche, inclusa l’opposizione al Parlamento catalano”.


NORD AMERICA 7 Giorni in 300 Parole

RIMANERE UNITI

Le parole di Trudeau, in risposta all’attacco di Edmonton, invitano a non soccombere all’odio

CANADA 1 ottobre. Un attacco terroristico nella città di Edmonton, capitale dello stato dell’Alberta, ha avuto luogo domenica scorsa. Un uomo, alla guida di un’auto, ha investitoun agente di polizia che stava dirigendo il traffico, accoltellandolo successivamente. Una seconda auto invece, presumibilmente guidata dallo stesso uomo, ha investito quattro pedoni. Dopo una breve fuga, l’attentatore è stato arrestato ed è ora in custodia alla polizia canadese.

Di Erica Ambroggio

STATI UNITI 2 ottobre. A Las Vegas. Un uomo ha sparato da una camera d’albergo del Mandaly Bay Hotel contro la folla durante un concerto di musica country. Il bilancio, per ora, è di 59 morti e oltre 500 feriti, consegnando così l’episodio alla storia come la peggiore strage negli Stati Uniti provocata da armi da fuoco. L’attentato, seppur rivendicato nelle ore successive dallo Stato Islamico, non è considerato atto di terrorismo di matrice islamista. Secondo un’ultima indagine, sembra che l’attentatore, Stephen Paddock, sembra abbia sparato continuamente per un periodo dai 9 agli 11 minuti. Intanto, l’evento ha fatto risorgere il dibattito sul gun control.

Alle ore 20.15 (LT) di sabato 30 settembre, la 107A Avenue è divenuta teatro di un improvviso attacco. Poco distante dal Commonwealth Stadium di Edmonton, all’interno del quale era in corso una partita di football, una Chevrolet Malibu bianca, si è scaraventata contro una un’auto della polizia e l’agente di servizio. In seguito allo schianto, il conducente dell’auto, sceso dal veicolo, si è accanito con un coltello sull’agente a terra Mike Chernyk per poi dirigersi a piedi verso la 92 Street. Il nome dell’aggressore e proprietario del veicolo è stato immediatamente trasmesso alle restanti pattuglie in servizio. Poco prima della mezzanotte, un furgone bianco U-Haul ha superato con violenza un posto di blocco situato a nord della città. Riconosciuto l’aggressore, le forze di polizia si sono dirette in un caotico inseguimento per le strade del centro, dove diversi

Gli Stati Uniti hanno espulso 15 diplomatici cubani dal territorio americano. Dopo aver ritirato

“I nostri pensieri sono con i feriti, le loro famiglie e con tutti coloro che sono stati colpiti da questo insensato attacco di violenza”. Con queste parole, il primo ministro Justin Trudeau, si rivolge alla comunità locale in risposta all’attacco terroristico subito dalla città di Edmonton, capitale della provincia canadese dell’Alberta.

passanti sono stati investiti dalla furiosa guida dell’attentatore. Al termine della corsa l’aggressore è stato bloccato e arrestato dalle forze dell’ordine. Oltre all’agente Chernyk, sono state ferite altre 4 persone. L’autore del gesto sarebbe un richiedente asilo di origine somale, 30 anni, noto alla polizia locale di Edmonton e alla Royal Canadian Mounted Police (RCMP) per le proprie ideologie estremiste. “All’epoca non vi erano gli elementi necessari per procedere contro di lui, non venne considerato una minaccia per la comunità”, ha dichiarato Marlin Degrand, della RCMP, durante una conferenza stampa tenutasi domenica 1 ottobre. Il sindaco di Edmonton, Don Iveson, ha invitato, tuttavia, a mantenere la calma ricordando come il terrorismo sia finalizzato alla creazione del panico, quale arma di distruzione della serenità quotidiana delle persone. Le stesse parole e gli stessi sentimenti sono stati espressi dal primo ministro Trudeau: “Non possiamo e non permetteremo che l’estremismo violento affondi le proprie radici nella nostra comunità. La forza del Canada deriva dalla sua diversità e non ci faremo intimidire da coloro che cercano di dividerci promuovendo la paura”.

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NORD AMERICA più della metà dei propri diplomatici a L’Avana, ora il governo americano ha deciso di dichiarare persona non grata 15 funzionari cubani, affermando che il governo cubano non è riuscito a proteggere diplomatici americani da misteriosi attacchi acustici.

O.J. SIMPSON SCARCERATO

L’ex star del football sconterà il resto della pena in libertà vigilata

Di Lorenzo Bazzano L’ex campione di football Oj Simpson è uscito di carcere 9 anni dopo essere stato accusato di tentativo di furto a un hotel di Las Vegas nel 2008. Lo sportivo era già stato sotto i fari dei media internazionali dopo un processo che gli ha attirato l’attenzione mondiale, dal quale Simpson è stato assolto nel 1995 dalle accuse dell’omicidio di sua moglie e di un amico.

Nuovo grattacapo per l’amministrazione Trump: da quanto emerge da una recente indagine, Jared Kushner, consigliere di Trump e marito della figlia Ivanka, avrebbe usato un indirizzo mail terzo per comunicazioni riservate della Casa Bianca con ufficiali dell’amministrazione. A cura di Leonardo Veneziani 6 • MSOI the Post

O.J. Simpson, celebre ex giocatore di football, è stato rilasciato dal carcere di Lovelock, in Nevada, in cui stava scontando una pena di 33 anni per rapina a mano armata e sequestro di persona. La rapina per cui Simpson fu condannato nel 2008 avvenne l’anno precedente, al Palace Station Hotel di Las Vegas. Simpson e due suoi complici tentarono di rubare due cimeli sportivi che l’ex giocatore di football rivendicava come suoi. Simpson giustificò il gesto affermando anche che voleva rimpossessarsi dei preziosi memorabilia poiché all’epoca le sue finanze erano in crisi. Durante il processo, Simpson negò che durante l’irruzione nell’albergo egli o i propri complici avessero delle armi da fuoco, ma una successiva confessione di uno dei conniventi determinò la condanna del giocatore di football. La decisione di scarcerare O.J. era prevista dalla stessa sentenza di condanna, che stabiliva la possibilità di rilascio sulla parola, una volta trascorsi 9 anni. “Ho vissuto nel nulla per gli ultimi nove anni facendo niente” ha dichiarato Simpson, ormai settantenne, appena uscito dal carcere. Le autorità giudiziarie incaricate di vigilarlo hanno dichiarato che molto probabilmente vivrà a Las

Vegas, e non in Florida come si era precedentemente ipotizzato. In questi giorni la notizia della scarcerazione di O.J. Simpson ha fatto riaffiorare il ricordo di quello che negli Stati Uniti è stato definito ‘il processo del secolo’, che lo ha visto assolto in sede penale per l’omicidio della sua ex moglie Nicole Brown e del di lei compagno Ronald Goldman, ma che in sede civile gli è valso una condanna a risarcire la famiglia Goldman per 33,5 milioni di dollari. Come ricorda il NYT, le vicende giudiziarie che hanno coinvolto O.J. Simpson hanno polarizzato il dibattito pubblico statunitense intorno al delicato tema delle discriminazioni razziali. Mentre la comunità bianca accolse con grande sgomento l’assoluzione in sede penale di O.J., la comunità afroamericana la interpretò come una sorta di riscatto, dopo decenni di discriminazioni da parte delle autorità giudiziarie. La stessa configurazione si è specularmente riproposta di fronte alla severa condanna del 2008. Gli avvicendamenti giudiziari di O.J. Simpson hanno di volta in volta offerto al pubblico americano un pretesto per discutere della sempre latente e irrisolta questione del razzismo negli Stati Uniti, che ancora oggi, sembra evidente, lascia emergere profonde fratture sociali.


MEDIO ORIENTE 7 Giorni in 300 Parole IRAN 4 Ottobre. Atterra in Iran il presidente turco Recep Tayyip Erdogan per incontri con il suo omologo Hassan Rouhani e l’Ayatollah Ali Khamenei su questioni di sicurezza regionale e sul risultato del referendum nel Kurdistan Iracheno. Il premier ha dichiarato in precedenza di sperare in un accordo con l’Iran su misure di contrasto al voto per l’indipendenza, mossa che solleva timori ad Ankara riguardo un possibile effetto domino su 15 milioni di curdi turchi. IRAQ 4 Ottobre. L’esercito iracheno ha lanciato l’offensiva finale per la ripresa della città di Hawija, a ovest di Kirkuk, una delle due aree ancora nella morsa del sedicente Stato Islamico. L’altra zona sotto il controllo degli estremisti di Daesh si trova al confine siriano; nel resto del paese l’autoproclamato califfato ISIL risulta collassato dal luglio scorso, dopo la liberazione di Mosul ad opera di forze irachene e americane. KURDISTAN IRACHENO 2 Ottobre. Si è tenuto un referendum per l’indipendenza della Regione Autonoma del Kurdistan in Iraq. Con oltre il 70% di affluenza, la vasta maggioranza della popolazione ha appoggiato l’indipendenza. A differenza del precedente referendum del 2005, anch’esso risultato a favore, il voto recente è stato promosso dal governo regionale curdo. Non si sono fatte attendere tensioni nella regione: milizie turco-irachene presidiano il confine e l’Iraq ha chiuso lo spazio aereo verso il Kurdistan.

L’EGITTO RICONCILIA HAMAS E AL-FATAH Speranza tra i palestinesi per lo storico riavvicinamento

Di Sofia Ercolessi Una folla gioiosa ha accolto il primo ministro dell’Autorità Nazionale Palestinese Rami alHamdallah, in visita dal 2 ottobre nella Striscia di Gaza. Il viaggio è una tappa fondamentale della riconciliazione tra AlFatah, il partito della West Bank sostenuto dalla comunità internazionale, e Hamas. Gli abitanti della Striscia di Gaza sperano che, oltre a rinforzare politicamente tutta la Palestina, il riavvicinamento possa migliorare la loro difficile condizione: Israele ed Egitto hanno imposto un embargo alla regione, l’attraversamento dei confini è molto problematico e la situazione economica non è certo rosea. Le recenti misure prese da Al-Fatah per accelerare l’unificazione, tra cui spiccano i tagli all’energia elettrica, hanno inasprito la vita della popolazione. Il processo di riunificazione è strettamente legato alla situazione politica regionale ed è in gran parte orchestrato dall’Egitto. Dopo aver preso il potere nel 2013, il presidente egiziano Abdel Fattah Al-Sisi aveva usato il pugno di ferro contro i Fratelli Musulmani e Hamas, nato come costola proprio della Fratellanza, era considerato un nemico giurato

del regime. Tuttavia, l’Egitto ha recentemente deciso di usare il proprio potere contrattuale nei confronti di Hamas per convincerlo a mutare posizione. Così, negli ultimi mesi il movimento si è mostrato sempre meno intransigente: a maggio, in particolare, ha rilasciato un programma strategico in cui per la prima volta accettava per lo Stato palestinese i confini del 1967 (precedenti la guerra dei Sei Giorni), invece che quelli più ampi del 1947. A riprova della sua aderenza alla strategia egiziana, nello stesso documento Hamas evitava anche di menzionare legami diretti con la Fratellanza Musulmana. La posizione di debolezza del movimento è inoltre aggravata dall’isolamento del Qatar, suo principale sponsor, dopo la crisi provocata in primis proprio da Arabia Saudita ed Egitto. A livello regionale, con questa strategia l’Egitto riesce quindi a negare uno strumento di potere non solo al Qatar ma anche all’Iran, paese che forniva armi al movimento. A livello internazionale, il regime di Al-Sisi può vantarsi di aver indebolito un movimento considerato terrorista per fare spazio a un partito supportato dall’ONU, mentre a livello interno ha inferto un altro colpo alla Fratellanza Musulmana.

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MEDIO ORIENTE QATAR 3 Ottobre. Il Ministro degli Affari Esteri Iraniano JavadZarif atterra a Doha in visita all’Emiro Tamim Al Thani e il Ministro degli Esteri Mohammed Al Thani. La visita giunge in seguito al recente restauro delle relazioni diplomatiche tra la Repubblica Islamica e l’Emirato; prosegue invece dal giugno scorso l’embargo aereo, marittimo e terrestre da parte di Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Bahrain ed Egitto. Il Qatar è accusato di sostenere l’estremismo islamico ed è stato condannato per i suoi rapporti con l’Iran, già nel mirino dei paesi arabi responsabili del blocco per la sua potenza nucleare e la presenza militare in Siria e Iraq. TERRITORI PALESTINESI OCCUPATI 4 Ottobre. Le autorità Israeliane hanno chiuso i territori occupati della West Bank e la Striscia di Gaza per 11 giorni in occasione della festività ebraiche del Sukkot. La misura colpisce circa 4 milioni di Palestinesi, una parte dei quali in possesso di permesso lavorativo Israeliano e perciò bloccata all’interno dei territori senza accesso alle proprie fonti di sostentamento. La misura risulta illegale secondo il diritto umanitario internazionale; il blocco infatti non ostacola soltanto l’accesso al lavoro, ma anche alle strutture sanitarie e aiuti di emergenza. Il Ministro della Difesa israeliano ha assicurato un corridoio per gli aiuti umanitari e i casi medici, ma le eccezioni dovranno prima ottenere approvazione dal COGAT, l’autorità per il Coordinamento delle Attività Governative nei Territori Occupati. A cura di Clarissa Rossetti 8 • MSOI the Post

LE DONNE SAUDITE AL VOLANTE DEL CAMBIAMENTO

Un decreto reale concede alle donne di poter guidare, ma resta ancora molta strada da fare

Di Martina Scarnato È ufficiale: anche in Arabia Saudita si vedranno donne al volante per le strade. Un decreto reale emanato martedì 26 settembre per volontà del principe Mohammad bin Salman ha difatti rimosso il divieto di guidare per le donne. Tuttavia, il decreto non avrà un effetto immediato: le prime patenti, richiedibili dalle donne senza previo permesso da parte dei loro “guardiani” maschi, verranno rilasciate soltanto a partire da giugno 2018. Non sono comunque mancati i casi di attiviste intimidite e messe a tacere dal governo per non diffondere l’idea che tale concessione sia stata ottenuta con le pressioni politiche e che non fosse il frutto della mera benevolenza del sovrano. In seguito alla diffusione della notizia, si è subito parlato di una vera e propria rivoluzione di carattere culturale, la quale potrebbe avere delle probabili ripercussioni anche sulla sfera socio-economica. In particolare, si è sottolineato come sia nelle volontà del principe Salman da una parte cercare di modernizzare il Paese e dall’altra rispondere alle pressioni sulla monarchia, rimuovendo quindi un divieto considerato ormai anacronistico.

In effetti, tale decreto è in linea con un programma di riforme soprattutto economiche che il sovrano vorrebbe implementare entro il 2030. Permettere alle donne di guidare potrebbe aumentare la componente femminile nella forza lavoro (attualmente di circa il 22%). Ad oggi, molte lavoratrici saudite spendono una buona parte del salario per pagare degli autisti personali o dipendono da un parente uomo per recarsi al lavoro, con tutti i limiti del caso. Tuttavia non bisogna dimenticare che l’Arabia Saudita resta uno dei regni più conservatori del mondo. In passato, molti esponenti del clero avevano sostenuto che permettere alle donne di guidare fosse contrario alla cultura saudita; successivamente all’emanazione del decreto, alcuni hanno risposto benedicendo l’operato del sovrano, a patto che le nuove regolamentazioni siano “in accordo con la legge islamica”. Sono comunque molte le sfide che dovranno affrontare le donne saudite: infatti, anche se nel 2015 hanno ottenuto il diritto di votare, hanno ancora bisogno del consenso di un “guardiano maschio” (normalmente un membro della famiglia) e, in alcuni casi, di un accompagnatore, ad esempio per poter ottenere un passaporto o studiare all’estero.


RUSSIA E BALCANI 7 Giorni in 300 Parole ARMENIA 2 ottobre. Il Commissario europeo per l’allargamento e la politica europea di vicinato, Johannes Hahn, ha incontrato a Jerevan il presidente Serzh Sargsyan, il primo ministro Karen Karapetyan e il ministro degli esteri Edward Nalbandian. Durante l’incontro, si è discusso del quadro politico del Partenariato Orientale in vista del vertice dello stesso previsto per il 24 novembre a Bruxelles. Inoltre, a margine dell’incontro, si sono impegnati a firmare un accordo per rafforzare la cooperazione tra UE e Armenia. KIRGHIZISTAN 2 ottobre. È iniziata la trattiva tra il governo russo e kirghiso per l’apertura di una seconda base militare russa in Kirghizistan. Il primo ministro kirghiso SaparIsakov ha dichiarato: “La Repubblica del Kirghizistan ritiene che la soluzione migliore per garantire la sicurezza, non solo del Kirghizistan, sia avere una base militare, gestita in cooperazione con i russi, al confine tra Kirghizistan e Afghanistan”. Il Cremlino, per il momento, non ha commentato, tuttavia le trattative continuano. RUSSIA 29 settembre. Arrestato a Mosca il blogger-oppositore Alexei Navalny e il suo braccio destro Leonid Volkov, con l’accusa di “aver esortato la partecipazione ad eventi non autorizzati”. Qualche giorno più tardi, Navalny è stato condannato ad una pena di 20 giorni di carcere. Si tratta della sua terza incarcerazione quest’anno. SERBIA 29 settembre. Il cancelliere austriaco Christian Kernha dichia-

LA MALEDIZIONE DEL PONTE BOLSHOY

A due anni dalla morte di Nemtsov ora la vittima è Skripnichenko

Di Adna Camdzic Verso le 23:30 del 27 febbraio 2015 avveniva l’omicidio di Boris Nemtsov, vice premier alla fine degli anni Novanta e noto leader dell’opposizione all’attuale presidente Vladimir Putin. Venne trovato morto sul ponte Bolshoy Moskvoretsky, colpito da un’arma da fuoco mentre passeggiava nel centro di Mosca, non lontano dal Cremlino. Nonostante nel luglio di quest’anno il governo abbia condannato cinque uomini ceceni, individuati come esecutori materiali dell’assassinio, tuttora il movente e il vero responsabile non sono stati chiariti e il desiderio di ottenere giustizia da parte di migliaia di russi non si è placato. Già nelle settimane successive al delitto si è avviata una battaglia attorno al memoriale eretto per onorare la memoria del defunto, mai autorizzato dal Cremlino, che ha impedito la costruzione di qualsiasi tipo di simbolo permanente per il politico ucciso. Foto, candele e fiori posizionati sul ponte sono stati in più occasioni rimossi dalle autorità russe e sono stati spesso oggetto di atti di vandalismo. Il memoriale è così diventato luogo emblematico della lotta di contestazione a Putin. Novecento giorni dopo, nello stesso punto in cui Nemtsov

perse la vita, si è registrato un altro episodio altrettanto drammatico. La sera del 15 agosto scorso un attivista di nome Ivan Skripnichenko ha subito un attacco mentre sorvegliava il memoriale. Identificato come il “custode” del memoriale, perché si occupava quotidianamente e in maniera volontaria della sua preservazione, a detta dei familiari, Skripnichenko sarebbe stato aggredito da un uomo sconosciuto che lo avrebbe colpito sul volto, provocando la frattura del naso. Secondo quanto riportato dal Telegraph, in seguito all’episodio di violenza, l’attivista è stato accompagnato presso il pronto soccorso di Mosca, rilasciato il giorno dopo e successivamente sottoposto ad una ulteriore operazione il 22 agosto. Il 23 agosto è stato dichiarato deceduto. Da quanto affermato dai media russi Skripnichenko sarebbe morto a causa di una cardiopatia. A distanza di due mesi non è ancora stato rintracciato il colpevole dell’atto di violenza e i medici rifiutano di mostrare l’autopsia ai familiari del defunto. Il caso è divenuto il tragico simbolo di quello che gli attivisti di opposizione assimilano ad una campagna di violenza ed intimidazione condotta contro di loro da gruppi di nazionalisti ed alimentata dalla retorica governativa pre-elezioni.

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RUSSIA E BALCANI rato che si deve accelerare il processo di integrazione della Serbia nell’Unione europea, affermando che “La Serbia è parte dell’Europa e un partner naturale dell’Unione Europea”. Con i problemi in vista per l’UE (Brexit in primis), Kern ha sottolineato che “La Serbia è forza trainante nei Balcani e Paese chiave per l’intera regione. Per questo il suo ingresso nella famiglia europea deve essere accelerato”. 2 ottobre. È iniziata la visita ufficiale di 2 giorni del presidente greco Prokopis Pavlopoulos a Belgrado. Gli obiettivi della visita sono il rafforzamento della cooperazione fra Grecia e Serbia e degli sforzi comuni per consolidare la stabilità, la pace e la sicurezza nei Balcani.

TURKMENISTAN 2 ottobre. Il presidente russo Vladimir Putin ha incontrato il presidente turkmeno Gurbanguly Berdimuhamedow al fine di firmare un accordo di cooperazione tra i 2 Stati, in ambito politico (garantire la pace nell’Asia Centrale), economico e energetico. A cura di Davide Bonapersona

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SERBIA: LO STATO DELLA LIBERTÀ DI STAMPA

La protesta della stampa indipendente e le debolezze del sistema

Di Vladimiro Labate Una schermata completamente nera, al centro poche parole in bianco: “Questo è quanto succede quando manca la libertà di stampa”. È così che i siti di circa 150 testate, associazioni giornalistiche e ONG serbe si sono presentati per un’ora giovedì 28 settembre, quando è andata in scena questa insolita protesta del giornalismo indipendente serbo. Destinatario della contestazione era il presidente della repubblica Aleksandar Vucic, accusato di aver creato in Serbia, insieme al suo establishment politico, un clima di intimidazione e pressione politica che soffoca la libertà di stampa all’interno del Paese. La questione nasce intorno a due episodi: il 18 settembre, il partito del ministro della difesa Vulin, membro della coalizione di governo, in una nota, ha definito Stevan Dojčinović, capo-redattore del network Krik, “un drogato che dovrebbe essere sottoposto a controlli”, dopo che il suo giornale aveva pubblicato un’inchiesta sul ministro stesso. Qualche giorno dopo, in seguito alla chiusura per fallimento del settimanale locale da lui diretto, Vukašin Obradović, ex direttore dell’Associazione dei giornalisti indipendenti serbi (NUNS), è entrato in sciopero della fame per protestare contro la chiusura del suo giornale e il declino della libertà

di stampa nel Paese, suggerendo che dietro questo atto ci fossero delle pressioni politiche. Queste vicende e lo stato della libertà di stampa in Serbia hanno quindi spinto molti mezzi di informazione a inscenare questa protesta. Nonostante le aperture europeiste di Vucic, per l’informazione serba la situazione non è migliorata; anzi, secondo Reporters sans Frontières (RSF), dal 2014, sotto il governo di Vucic, sarebbe persino peggiorata. Stando ad un’inchiesta del giugno 2017 condotta da RSF e dal Balkan Investigative Reporting Network (BIRN), i problemi maggiori per il giornalismo serbo riguardano la mancanza di pluralismo, dovuta ad un’eccessiva concentrazione del pubblico in pochi mezzi di informazione sia locali sia nazionali, e la mancanza di mezzi finanziari. I media, in particolare a livello locale, sono ancora fortemente dipendenti dal finanziamento pubblico, che viene erogato in modo opaco e arbitrario; questa dipendenza impedisce una completa autonomia ed espone il sistema alle pressioni della politica. A ciò si aggiunge un clima di ostilità e sospetto: le voci critiche devono subire gli attacchi verbali di Vucic e dei suoi alleati, che le accusano di essere sostenute da stranieri per danneggiare il governo e destabilizzare il Paese.


ORIENTE 7 Giorni in 300 Parole CINA 29 settembre. Il governo di Pechino ha ordinato la chiusura delle compagnie nordcoreane che operano in territorio cinese. Il ministro dell’economia cinese ha decretato 120 giorni di tempo per la chiusura. La decisione ha lo scopo di rafforzare le sanzioni votate all’unanimità dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite l’11 settembre. COREA DEL NORD 4 ottobre. Durante gli attacchi degli hacker statunitensi contro i sistemi informatici di Pyongyang, la Corea del Nord è riuscita ad ottenere un nuovo accesso alla rete attraverso una compagnia di telecomunicazioni russa. È la prima azienda non cinese a cui i nordcoreani si sono appoggiati, fino ad ora i servizi internet di Pyongyang venivano forniti esclusivamente da Pechino.

GIAPPONE 6 ottobre. Tokyo, in un clima sempre più teso a causa della vicina realtà nordcoreana ha deciso di acquistare 56 missili a media gittata dagli Stati Uniti, la decisione è stata presa nell’ordine

L’AMERICA PRIMA, LA DEMOCRAZIA POI Yingluck condannata in absentia, Prayut alla Casa Bianca

Di Giusto Amedeo Boccheni Quando ancora si chiamava Siam, l’odierna Tailandia (letteralmente, <<terra dei liberi>>) è stata l’unico Paese capace di resistere alla colonizzazione occidentale. Nel 1833, la dinastia Chakri, aprì alle relazioni con gli Stati Uniti, ponendo le basi per un’alleanza, che ha resistito alla seconda guerra mondiale e alla guerra fredda. La recente storia tailandese è stata però segnata da una sequela di colpi di stato e semi-dittature militari. Dal penultimo golpe, nel 2006, non era più accaduto che un capo di governo della Terra dei Sorrisi fosse invitato alla Casa Bianca. Dal putsch del 2014, la Tailandia sembra essersi avvicinata alla Cina. Il commercio in artiglieria e l’accesso ai porti militari è oggetto di contesa e alcuni giovani generali filocinesi cominciano a sostituire chi ha combattuto in Vietnam al fianco degli americani. C’è chi, con questa premessa, ha ritenuto la visita a Trump del Primo Ministro Prayut Chan-o-cha, tenutasi il 2 ottobre, un buon segno per l’affermazione della democrazia nel sudest asiatico. Il Presidente statunitense, che aveva invitato Prayut mesi fa, con altri leader discussi della regione, come Rodrigo Duterte, Najib Razak, o Nguyễn Xuân Phúc, mira a promuovere

una politica comune per affrontare la minaccia nordcoreana e a ridurre il disavanzo commerciale con la Tailandia, evitando al Paese l’etichetta di manipolatore di valuta e riaprendo alla vendita di armi e veicoli militari. Altri hanno però condannato l’evento. L’“America first” trumpiana, che vuole la promozione degli interessi economici americani prima dei principi democratici, potrebbe sortire effetti indesiderati se applicata a Paesi come la Tailandia, in cui molti diritti umani e politici sono aspramente soppressi, o apertamente negati, come, ad esempio, il trionfo dell’influenza ideologicopolitica cinese. Appena una settimana fa, Yingluck Shinawatra, la Premier destituita con il coupe del 2014, è stata condannata in absentia a 5 anni di carcere per negligenza nella gestione di una misura per l’acquisto e la rivendita ad opera del governo della produzione nazionale di riso, conclusasi in perdite esorbitanti ed episodi di corruzione. Seppur controversa, Yingluck, come il fratello prima di lei, rappresentava una speranza democratica per molti tailandesi. Il benvenuto americano al governo che l’ha cacciata rende tutto più amaro. Per dirlo con le parole del Ministro degli Esteri tailandese: “Se non fossimo buoni, probabilmente non ci avrebbero invitati”.

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ORIENTE di incrementare le forze di difesa in caso di attacchi di Pyongyang. Il Dipartimento di Stato USA ha confermato l’acquisto per 113 milioni di dollari. Sarà anche incrementato il supporto logistico di Washington al Giappone, questo per garantire maggiore protezione al personale militare statunitense che opera sul territorio nipponico. INDIA 3 ottobre. Tre uomini, tra cui un militare sono rimasti uccisi in un attacco suicida nella provincia del Kashmir, la zona è coinvolta in rivolte, spesso armate, dagli anni 80 e da tempo gli indiani accusano il Pakistan di sostenere i militanti. L’esplosione che ha causato tre morti e parecchi feriti è avvenuta vicino all’aeroporto di Srinagar dove i militanti indipendentisti hanno un campo fortificato. MYANMAR 5 ottobre. Un gruppo di militanti nel campo dei diritti umani ha condannato con durezza i militari birmani accusandoli dell’uccisione di decine di Rohingya. I testimoni parlano di soldati che hanno abusato di donne e bambini, di diverse violenze nei confronti della popolazione e dalla distruzione di diversi villaggi. Il documento, che parla esplicitamente di crimini contro l’umanità, è stato già discusso da organizzazioni delle Nazioni Unite che si occupano di diritti umani. VIETNAM 4 ottobre. Incontro a tra il primo ministro vietnamita e il premier del Laos. I due Presidenti si sono incontrati per rafforzare la cooperazione bilaterale. Il Vietnam ha assicurato il proprio appoggio alle politiche che il Laos sta affrontando in questo periodo di riforme interne. A cura di Tiziano Traversa 12 • MSOI the Post

L’ESODO DEI ROHINGYA

Il prologo della tragedia è velato dall’incertezza

Di Alessandro Fornaroli Da diverse settimane le minoranze etniche presenti nello Stato di Rakhine, nel Nord-Ovest del Myanmar, hanno dovuto abbandonare il Paese per trovare rifugio in Bangladesh e, seppure in misura minore, in Malesia. È difficil edall’estern discernere gli eventi che hanno portato quasi mezzo milione di persone, perlopiù hindu e musulmani di etnia rohingya, ad abbandonare le loro case. Secondo quanto affermato dal Dhaka Tribune, l’accesso a diverse aree di Rakhine è stato negato perfino a giornalisti locali. Per questo motivo, la ricostruzione della vicenda non può che basarsi, per ora, su fonti che non possono garantire la stessa imparzialità, quali le dichiarazioni di ufficiali del governo birmano o le prime testimonianze dei rifugiati. La pacifica convivenza tra gruppi religiosi è un problema di vecchia data per Rakhine: musulmani, hindu e buddisti hanno dovuto condividere per secoli la medesima terra, spesso senza riuscirci. All’origine delle violenze, potrebbe esserci stato un attacco dell’Arakan Rohingya Salvation Army (ARSA), condotto contro le forze di sicurezza locali. Secondo il quotidiano indiano Swarajya, oltre 150 militanti rohingya avrebbero avviato uno scontro coordinato colpendo la postazione militare del 552° battaglione di fanteria leggera e 24 stazioni di polizia. Il governo

a maggioranza buddista avrebbe allora risposto ordinando il rogo dei villaggi. Poco prima che la crisi umanitaria scoppiasse, la minoranza musulmana aveva sollevato proteste per poter abbandonare la red card, recentemente concessa loro dal Governo, e ottenere la green card, che attribuisce ai non-cittadini uno status quasi equivalente, in particolare permettendo ai possessori di partecipare a libere elezioni. Quest’ultima carta spetta già da tempo alla minoranza etnica hindu, ma non invece ai rohingya musulmani, che contestano da tempo l’atteggiamento di divide et impera a cui il governo ricorre. Secondo alcune testimonianze raccolte in Bangladesh, alcuni rifugiati sono convinti che sia stato l’esercito tailandese, di concerto con la maggioranza buddista di Rakhine, ad attaccare i villaggi hindu, sfruttando il malcontento di questa etnia per legittimare ritorsioni contro la minoranza musulmana. Il governo malese, sostenendo la causa Rohingya al pari di quello tailandese, ha annunciato un programma pilota che prevede la concessione ai rifugiati di 300 carte verdi e la possibilità di impiego nel settore manifatturiero e agricolo. Le Nazioni Unite si sono unite alle condanne proferite dagli stati limitrofi al Myanmar, definendo i fatti di Rakhine “pulizia etnica”.


AFRICA 7 Giorni in 300 Parole NIGERIA 1 ottobre. Domenica l’ex colonia britannica ha festeggiato la sua indipendenza ottenuta nel 1960. Chi non ha partecipato ai festeggiamenti sono stati gli abitanti del Biafra, che reclamano da tempo l’indipendenza della loro regione, situata nel sud-est del Paese. Nell’ultimo periodo la tensione è aumentata dopo che l’esercito nazionale ha assaltato per due volte l’abitazione di Nnamdi Kanu, leader dell’IPOB (movimento indipendente per le popolazioni indigene del Biafra). Il 15 settembre, inoltre, le autorità hanno inserito l’IPOB nell’elenco delle organizzazioni terroristiche, dichiarandola “più pericolosa” di Boko Haram. CAMERUN 1 ottobre. Nella città di Bamenda, nella parte occidentale del Paese, migliaia di persone hanno manifestato per chiedere l’indipendenza della propria regione. Due giorni prima le autorità nazionali avevano dichiarato il blocco di tutte le frontiere terrestri e marittime e disposto mille poliziotti supplementari per controllare le manifestazioni. Durante le dimostrazioni si sono verificanti scontritra le forze di polizia e gli indipendentisti e più di 8 persone hanno perso la vita. Tra la notte del 2 e il 3 ottobre una bomba è esplosa nella città di Bamenda, fortunatamente senza causare ulteriori vittime.

ETIOPIA 2 ottobre. Il festival di Irreecha si è trasformato in tragedia. Si tratta di una festa tradizionale Oromo, l’etnia maggioritaria

ETIOPIA: SI INTENSIFICANO LE TENSIONI TRA OROMO E SOMALI Instabilità e disordini nella zona durano ormai da 25 anni

Di Simone Esposito Solo nelle ultime settimane, sono state centinaia le vittime e decine di migliaia gli sfollati risultanti da scontri sul confine tra le regioni etiopiche degli oromo e dei somali. Oromia e Somali sono le regioni più grandi dell’Etiopia per estensione e condividono il confine interno più lungo del Paese, che è tuttora oggetto d’irrisolute dispute territoriali. Il modello costituzionale etiope – federalista, strutturato su basi etnico-linguistiche – comporta una politicizzazione delle linee di separazione etnica, che secondo i critici causerebbe l’intensificarsi anche di rivalità minori. Mentre gli scontri tra i due gruppi sono stati frequenti negli ultimi 25 anni, il rimbalzare di accuse tra funzionari governativi è senza precedenti e potrebbe far degenerare la situazione. Il portavoce del governo regionale oromo avrebbe infatti accusato la Liyu, l’unità speciale della polizia della regione somala, nonché il vicino Somaliland, di essere responsabili degli attacchi di questi giorni. Il governo somalo, invece, imputerebbe le violenze al Fronte di Liberazione Oromo, considerata un’organizzazione terroristica in Etiopia. A causa delle forti proteste

verso l’autorità statale che hanno scosso il Corno d’Africa durante il 2016, il governo etiope ha imposto uno stato di emergenza di 10 mesi, revocato questo luglio. Mentre il massimo stato d’allerta avrebbe calmato le aree oromo più irrequiete, non ha impedito gli scontri transfrontalieri tra le due regioni. Nel 2004, un referendum per decidere del destino dell’area contesa a sud-est del Paese ne ha assegnato l’80 percento all’Oromia. Il fatto che ancora oggi il risultato del voto non sia stato applicato rappresenta sicuramente uno dei fattori dietro questa disputa territoriale. Resta inoltre poco chiaro, anche nel dibattito pubblico interno, chi sia precisamente dietro i recenti attacchi. L’accesso limitato alle zone interessate dal conflitto rende molto difficile provare le accuse. Il primo ministro etiope Hailemariam Desalegn ha ordinato che le forze di sicurezza regionale vengano ritirate dal confine tra le regioni e che siano invece i federali a pattugliare le zone interessate. Nel territorio si pensa però da tempo che il governo federale non abbia fatto abbastanza per controllare la situazione, e non è chiaro come quest’ultima misura possa essere sufficiente a prevenire il diffondersi del conflitto.

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AFRICA del Paese. L’etnia da anni protesta contro il Governo centrale accusandolo di espropriare le loro terre e di favorire altre etnie. Durante i festeggiamenti ci sono state tensioni tra i manifestanti e le forze armate causando almeno 52 morti.

CAMERUN:LA LOTTA SECESSIONISTA DELLA MINORANZA ANGLOFONA Le proteste a 61 anni esatti dalla nascita della Repubblica

Di Francesca Schellino

MADAGASCAR 3 ottobre. Nel Paese 30 persone sarebbero morte dopo aver contratto la peste. L’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) mette in guardia sui possibili rischi di contagio. Inoltre, l’Organizzazione ha immediatamente messo a disposizione un fondo d’urgenza di 300.000 dollari e inviato personale specializzato per affrontare l’emergenza.

RUANDA 4 ottobre. Diane Rwigara, la giovane donna che aveva tentato di presentarsi alle presidenziali di fine agosto contro Paul Kagamé è stata arrestata. Insieme alla madre e alla sorella è stata accusata di incitare le folle all’insurrezione. In un’intervista rilasciata prima del suo arresto la donna ha affermato “Sono punita per essermi opposta contro l’oppressione del governo e per aver espresso la mia opinione”. A cura di Jessica Prieto 14 • MSOI the Post

Domenica 1 ottobre i manifestanti della parte anglofona del Camerun hanno simbolicamente proclamato l’indipendenza della loro regione dal potere centrale, ribattezzando il nuovo stato “Ambazonie”, un nome che corrisponde al vecchio “Camerun del sud”. In concomitanza con la dichiarazione degli indipendentisti, ci sono stati molti scontri che hanno portato all’uccisione di sette manifestanti da parte delle forze di polizia. I manifestanti dichiarano di sentirsi emarginati a causa della politica di “francofonizzazione” portata avanti dai governi susseguitisi dal 1961 a oggi. Molti leader dell’ex Camerun del sud accusano la politica di centralizzazione del presidente Ahmadou Ahidjo che, togliendo l’autonomia di gestione alle autorità anglofone, ha spostato il potere decisionale nella regione francofona. Di conseguenza il Camerun del sud sarebbe stato escluso dall’elaborazione di decisioni vitali per il Paese. La situazione si è aggravata con l’ascesa al potere di Paul Biya, presidente del Camerun dal 1982, il leader politico al potere in carica da più tempo al mondo. Biya è noto per le violazioni dei diritti umani nel corso del suo lungo regime. Inoltre, egli stesso è francofono, così come la maggioranza dei suoi collaboratori. Questo ha

provocato l’ostilità da parte degli anglofoni, i quali sostengono di non essere adeguatamente rappresentati dall’attuale governo. Gli scontri arrivano dopo mesi di tensioni e restrizioni nei confronti della minoranza anglofona, che dal 17 gennaio non può accedere a Internet. Il provvedimento, tra le altre cose, impedisce alle banche di lavorare ed effettuare prelievi di denaro. Negli ultimi giorni è stato messo in atto il divieto di circolazione per le strade delle città anglofone. L’infrazione di questo decreto è severamente punita: un taxista è stato ucciso a freddo dalla polizia per aver circolato nella regione sottoposta al divieto. Il governo di Yaoundé ha denunciato le violenze dei manifestanti e ha dichiarato di considerare nulla qualsiasi dichiarazione d’indipendenza. Issa Tchiroma-Bakary, portavoce governativo, ha criticato gli obiettivi e i metodi utilizzati dai secessionisti. Gli scontri fra secessionisti e governo centrale, che sono avvenuti nel giorno d e l l ’ a n n i v e r s a r i o dell’unificazione delle zone anglofone e francofone del Camerun, avvenuta nel 1961 per intercessione delle Nazioni Unite, portano tristemente alla memoria i conflitti passati tra le due zone del Paese.


SUD AMERICA 7 Giorni in 300 Parole MESSICO 27 settembre. I costi stimati per i lavori di ricostruzionenecessari, dopo la drammatica sequenza di terremoti, equivalgono a oltre 38 miliardi di pesos, circa 2 miliardi e 100 milioni di dollari. Il presidente PeñaNieto ha dichiarato che la situazione ha la massima priorità e ha aggiunto: “Continueremo con le operazioni di ricerca e salvataggio e, laddove sia possibile, entreremo nella fase di ricostruzione.”

COLOMBIA 30 settembre. Il governo colombiano e l’Esercito di Liberazione Nazionale (ELN) sono giunti ad un accordo che prevede un’interruzione delle operazioni militari da entrambe le parti per 101 giorni. Il presidente Juan Manuel Santos ha però specificato che l’ELN dovrà anche bloccare i sequestri, gli attacchi alle infrastrutture e la posa di mine. CUBA 3 ottobre. L’espulsione di 15 diplomatici cubani da parte degli Stati Uniti, in seguito ai misteriosi attacchi al personale dell’ambasciata americana all’Havana, è stata definita “irresponsabile e avventata”. Il ministro degli Esteri cubano Rodriguez ha aggiunto che la decisione è stata “arbitraria e di carattere politico” poiché secondo lui non esistono prove di questi attacchi.

IL NARCOTRAFFICO MESSICANO NON SI FERMA L’ennesima strage causata della guerra tra narcos

Di Anna Filippucci Il 26 settembre, a Chihuahua, capitale dell’omonimo stato messicano, è stato riportato un attacco contro un centro di riabilitazione per tossicodipendenti durante il quale sono state uccise 18 persone. A perpetrarlo sono stati degli uomini con il volto coperto che, intorno alle ore 21, vestiti con divise militari e muniti di fucili da assalto hanno compiuto la strage. Due giorni dopo, la polizia locale ha confermato che la responsabilità è del gruppo narcotrafficante Los Aztecas; ad annunciarlo è stato il responsabile della sicurezza cittadina Oscar Aparicio che, inoltre, ha riferito che si tratterebbe di una rappresaglia nei confronti dei Los Mexicles, un altro gruppo organizzato. Infatti, tra le vittime dell’attacco sono state identificati alcuni membri della banda dei Los Mexicles che sarebbero stati uccisi in risposta all’arresto di René Gerardo Santana Garza, detto “El 300”, boss del cartello La Linea, la narcobanda nata dalla disarticolazione del cartello di Juarez e alleata con Los Aztecas. La guerra tra narcos in Messico, negli ultimi 10 anni, conta più morti che la guerra in Afghanistan iniziata da G.W. Bush: sono 91.529 le vittime di questa piaga che non accenna a guarire.

Nel 2016, come riportato dal quotidiano Milenio.com, si è visto un ritorno ai livelli record dei primi anni del decennio: 10.967. In 7 degli stati del Messico, in particolare Guerrero, Chihuahua, Michoacán, Estado de México, Guanajuato, Sinaloa y Veracruz, il 60% delle vittime di omicidi è legata alle faide tra gruppi di narcotrafficanti. Lo stato del Chihuahua è in testa a questa triste classifica: con i numeri del 2016 si è arrivati a contare 21.112 omicidi, un quarto di quelli registrati in tutto il Paese. Secondo quanto riportato dalla Cnn, il Messico è il principale fornitore di droghe negli Stati Uniti, in particolare di marijuana, metanfetamina e cocaina. La cocaina messicana, per esempio, copre il 90% del narcomercato statunitense. In totale, si calcola che dall’export negli USA i cartelli messicani guadagnano tra il 19 e i 29 miliardi di dollari all’anno. Anabel Hernández, una giornalista investigativa messicana che si occupa di narcotraffico e corruzione, autrice di “La terra dei Narcos. Inchiesta sui signori della droga” (2014), durante un’intervistaha commentato: “È venuta l’ora di ridisegnare nel profondo ciò che siamo come individui e come società, e portare la pace in Messico. Ciò è possibile solo se si combatte la corruzione e l’impunità”. MSOI the Post • 15


SUD AMERICA ECUADOR 3 ottobre. L’Alta Corte dell’Ecuador ha ordinato l’arrestodel vicepresidente Jorge Glas, accusato di corruzione nell’ambito dello scandalo legato alla multinazionale brasiliana Odebrecht. Gli agenti di polizia hanno scortato Glas nel carcere di Quito. Si tratta di una misura cautelare, perché secondo il procuratore generale Mancheno esiste un reale pericolo di fuga.

PERÙ 4 ottobre. L’associazione no profit Estudio para la Defensa de losDerchos de la Muier ha denunciato una grande operazione di sterilizzazione di donne inconsapevoli, avvenuta tra il 1995 e il 2000, sotto il governo di Alberto Fujimori, per esercitare un controllo sulle nascite. Le donne sottoposte a questa procedura sarebbero circa 236.000. L’ex presidente Fujimori si trova attualmente in carcere dove sta scontando una pena di 25 anni. A cura di Elisa Zamuner

LA STRAGE DI AYOTZINAPA IN MESSICO Come dare voce a una realtà drammatica

Di Sveva Morgigni Ayotzinapa è una località messicana tristemente nota per l’omonima strage, avvenuta il 26 settembre 2014, la cui memoria è celebrata da tre anni ogni primo d’ottobre. Le vittime furono degli studenti dell’Escuela Normal Rural Raúl Isidro Burgos, ma le dinamiche che hanno portato alla strage sono ancora oggi sconosciute. Secondo la ricostruzione ufficiale dei fatti, i ragazzi erano in viaggio per raggiungere Città del Messico, dove avrebbero partecipato a una manifestazione per ricordare il massacro di Tlatelolco, nel ‘68. Durante il viaggio, però, i tre autobus su cui erano a bordo gli studenti sono stati bloccati dalle forze dell’ordine locali, che li avrebbero attaccati ferocemente provocando la morte di 6studenti,e ferendone gravemente 25.Gli altri 43, di cui non si sono più avute notizie, sarebbero invece stati rapiti e consegnati ai Guerreros Unidos, un gruppo criminale della zona che li avrebbe uccisi e ne avrebbe poi bruciati i resti. Secondo le indagini indipendenti, nel rapimento, esecuzione e occultamento dei resti degli studenti sarebbero coinvolti anche le Forze dell’Ordine federali, l’Esercito ed esponenti del Governo a vari livelli. Nel tentativo di dissipare i sospetti che gravavano sulle Istituzioni ai più alti livelli, il procuratore generale della Repubblica, Jesús Murillo

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Karam, si sarebbe occupato di fabbricare la cosiddetta “verità storica”, la ricostruzione ufficiale del massacro, favorevole al Governo. Il presidente Enrique Peña Nieto s’impegnava, infatti, a proiettare all’estero un’immagine di un Paese progredito, dove lo stato di diritto potesse trionfare sui narcotrafficanti e la corruzione. Ayotzinapa ha, invece, messo in crisi il suo programma politico e propagandistico, mettendotragicamentein luce il clima di violenza in Messico. Il caso Ayotzinapa, secondo gli osservatori, è considerato un classico esempio di complicità tra politica, forze di sicurezza co e narcotraffi , un male che da decenni affligge il Paese. La strage di Ayotzinapa ha rinforzato la necessità di mobilitarel’attenzione internazionale su quello che accade in molte parti dell’America Latina, dove le sparizioni forzate rimangono troppo spesso impunite. Questo ha spinto gli studenti e i familiari degli studenti assassinati a girare il mondo per chiedere ai Paesi che hanno relazioni diplomatiche, politiche ed economiche con il Messico di esigere garanzie sul rispetto dei diritti umani. Come ricorda Omar García, studente di Ayotzinapa,“oggi sappiamo che la cosa più importante è portare avanti una lotta collettiva, perché da soli lottare è impossibile”.


ECONOMIA LA “BEAUTIFUL NORMALIZATION” DELLA FED

A pochi mesi dalla fine del suo mandato, la Yellen cambia rotta in politica monetaria

Di Luca Bolzanin La Federal Reserve, tramite la voce della sua presidente Janet Yellen e di parte del suo entourage, annunciando di voler proseguire nel progetto di abbandono delle recenti politiche monetarie, ha provocato - senza però sconvolgere i mercati finanziari - l’innalzamento delle aspettative di mercato riguardo un imminente aumento dei tassi di interesse. L’effetto è stato rafforzato dall’annuncio, di mercoledì scorso, di un “piano” per la riforma e la riduzione delle tasse negli Stati Uniti. Ciò avviene in un contesto di forti incertezze sulla composizione e guida del Consiglio dei governatori. Questo, tuttavia, accresce le probabilità che la Fed riesca a proseguire con successo nella sua politica di normalizzazione della politica monetaria, dopo essersi affidata per anni a misure sperimentali. I mercati hanno reagito quasi raddoppiando la probabilità di un altro aumento dei tassi nel 2017, facendo raggiungere rendimenti record ai Treasury bonds a 2 anni. Ciò ha generato un trend al rialzo anche per i bond a scadenza più lunga, con la crescita dei rendimenti dei titoli di Stato statunitensi che si è estesa a Germania e Giappone.

Il proposito della Fed di proseguire nel suo lungo percorso verso una “beautiful normalization” è una conseguenza indiretta della situazione precaria del Consiglio dei governatori, dove si registra un insolito numero di posti vacanti (tra cui quello di vicepresidente) e con il mandato della presidente (improbabile una sua riconferma da parte di Trump) che scadrà nel febbraio dell’anno prossimo. Questa situazione ha, prevedibilmente, determinato il sorgere di forti interrogativi sulla linea di policy che verrà presa dalla Banca centrale statunitense. Come se non bastasse, a ciò si aggiunge una lunga lista di incertezze di ordine geopolitico, politico ed economico. In primo luogo, il pericolo derivante dalla minaccia nucleare nordcoreana non accenna a scemare, e ancora non è chiaro in che modo la crescita dei populismi e dei nazionalismi in Occidente potrà influenzare le relazioni economiche regionali e globali, per non parlare dell’ormai indispensabile “passaggio di poteri” nella politica economica dei singoli Paesi, ossia l’abbandono di deleghe eccessivamente ampie alle Banche centrali in favore di misure pro-crescita a più ampio raggio.

Per quanto riguarda l’assetto economico, le dichiarazioni della Yellen sottolineano come non sia ancora stato risolto il “mistero” della bassa inflazione, mostrando ancora una volta incertezze strutturali, fra cui quelle associate al cambiamento tecnologico e demografico, la sfiducia verso le istituzioni e gli esperti e l’implementazione della Brexit. Nel novero dei timori legati all’economia figurano anche complesse problematiche globali, che non si limitano al rischio di protezionismo: dall’indisposizione generalizzata dei Paesi ad assorbire apprezzamenti prolungati della propria valuta, alle incertezze associate al fatto che più Banche centrali di rilevanza sistemica procedano a una normalizzazione della politica monetaria, come sta facendo proprio la Fed. Per non esasperare la situazione, i mercati devono essere consapevoli che alla Fed resta ancora molto lavoro da fare, e che il successo finale dipenderà non soltanto da quello che farà, ma da quello che succederà intorno ad essa, sia a livello nazionale sia internazionale, evitando così di mettere a repentaglio la stabilità finanziaria delle stesse Banche centrali.

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ECONOMIA WIKINOMICS: MARK ZUCKERBERG SI SCHIERA CON IL GIORNALISMO PROFESSIONALE

Le testate ufficiali fatturano poco mentre le fake news prendono il sopravvento

Di Francesca Maria De Matteis Mark Zuckerberg scriveva il 23 agosto in un post su Facebook: “Giving people a voice is not enough without having organizations dedicated to uncovering new information and analyzing it.” Paradossi. La domanda di notizie aumenta, ma gli utili delle testate diminuiscono a vista d’occhio. Il numero di articoli e titoli accattivanti che invogliano alla lettura è enorme, ma ci si può fidare? È evidente che negli ultimi anni il mondo del giornalismo, e dell’informazione più in generale, stanno attraversando un momento di crisi profonda. Il cartaceo passa di moda, conseguenza naturale dello sviluppo tecnologico, e le fake news proliferano. Fake news. Classico esempio di ciò che spesso viene definito “post-verità”: si impone come verità pur non essendolo. Ma non è necessario dover leggere un libro di etica della comunicazione per capire che le cosiddette “false notizie” non fanno altro che fuorviare ed accrescere il livello di confusione in una società la cui avvedutezza viene già messa a dura prova in molti altri contesti. 18 • MSOI the Post

Crollano i fatturati. Anche se tra le testate internazionali più famose troviamo qualche eccezione (il Financial Times e il Wall Street Journal riescono ancora a vantare un consistente numero di abbonati), sono molte quelle che hanno visto diminuire velocemente le proprie entrate. E se questa è l’era del digitale, sorprende scoprire che, per esempio, solo il 20% degli introiti di un giornale come il New York Times provenga dagli abbonamenti online. Pur rimanendo una delle testate più influenti nel panorama attuale, il fatturato di quest’ultimo è sceso del 22% nel quinquennio 2005-2010. Facebook Journalism Project. Consapevole dell’importanza acquisita anche nel campo dell’informazione dal social network che lui stesso ha inventato, anche Mark Zuckerberg ha dichiarato guerra alle false notizie, dimostrandosi alleato del giornalismo professionale. “As more people get more of their news from places like Facebook, we have a responsibility to create an informed community and help build common understanding.” - ha scritto sempre il 23 agosto scorso in un suo post. Il nuovo progetto che lo vede im-

pegnato, chiamato Facebook Journalism Project, ha come obiettivo principale la garanzia dell’attendibilità delle fonti cui risale l’articolo o la notizia che si sta leggendo. O, quantomeno, rintracciarne con chiarezza la provenienza. Primi esperimenti. La rivoluzione in difesa del giornalismo professionale sembra quindi essere ufficialmente in atto e inizia a trovare i primi alleati: entro la fine del 2017 verranno raccolti ed analizzati i feedback dei primi editori coinvolti dal progetto. Parte del progetto, infatti, mira ad incrementare gli abbonamenti ai giornali tradizionali, sia cartacei sia online. La sottoscrizione su Facebook a una testata sembra essere destinata a garantire non solo l’abbonamento al lettore, ma anche che i soldi da lui versati verranno ricevuti interamente dagli editori. Se parlando di libertà di espressione e pensiero sembra lecito potersi chiedere se tali libertà non includano anche il diritto di mentire, quando si parla di giornalismo professionale e distribuzione ufficiale di notizie la risposta non può che essere un deciso “no”.


DIRITTO INTERNAZIONALE ED EUROPEO EFFETTO CATALOGNA

Il pericolo del contagio separatista in Europa

Di Elena Carente Scozia, Kurdistan, Catalogna. Nonostante ne venga contestata la legittimità, i referendum sull’autodeterminazione si susseguono. Benché ciascuna di queste consultazioni si inscriva in un contesto storico e geopolitico diverso, contano tutte su una base comune: la richiesta di un “diritto allo Stato”. Il diritto internazionale ha la pretesa di regolare la creazione (giuridica e non de facto) di un nuovo Stato sulla base di criteri oggettivi specifici: una comunità viene riconosciuta se costituita da un territorio e da una popolazione, soggetta a potere politico organizzato (primo parere del 29 novembre 1991 della Commissione arbitrale per la pace nell’ex Jugoslavia). Se la formazione dello Stato dipende dalla combinazione di queste tre condizioni necessarie e fortemente interdipendenti, la sua effettiva esistenza è legata a una dimensione più soggettiva. L’esistenza dello Stato resta infatti puramente teorica se non è accompagnata da una reazione diplomatica da parte di Stati terzi: l’atto unilaterale, discrezionale, del riconoscimento. L’art.1 della Carta ONU prevede, tra gli obiettivi delle Nazioni Unite, lo sviluppo di “relazioni amichevoli fra le nazioni basate sul rispetto del principio di

uguaglianza dei diritti dei popoli e il loro diritto all’autodeterminazione”. Tuttavia, gli Stati sono generalmente riluttanti all’idea di un vero e proprio “diritto allo Stato” e un’applicazione sistematica ed efficace del “diritto dei popoli all’autodeterminazione” viene considerata sinonimo di destabilizzazione dell’ordine nazionale (e internazionale). L’Europa non sfugge a questa regola: la legittimità delle rivendicazioni indipendentiste (in Catalogna, ma anche nelle Fiandre, Corsica, Paesi Baschi, Scozia, Italia ecc.) viene contestata sia dall’UE che dai suoi stati membri. Infatti, il rischio di un contagio separatista aprirebbe la strada alla frammentazione di una zona europea in cerca di integrazione. Il Partito Nazionale Scozzese ha fatto dell’indipendenza della Scozia il suo principale obiettivo. Votando per restare all’interno dell’UE, gli scozzesi hanno mostrato ancora una volta il disaccordo con il resto del Paese. Una nuova consultazione è prevista per il 2018. Se gli scozzesi persistessero, lo scenario sarebbe analogo a quello catalano. In Italia il referendum fissato per il 22 ottobre in Veneto e Lombardia potrebbe avere effetti non irrilevanti. Si tratta di un referendum consultivo per richiedere maggiore autonomia. L’obiettivo è soprattutto eco-

nomico dal momento che queste due regioni concentrano un quarto del PIL italiano ma potrebbe avere dei risvolti politici. In Belgio i partiti nazionalisti fiamminghi non hanno abbandonato le armi, anche se l’Alleanza Fiamminga cerca, piuttosto che una separazione, di svuotare lo Stato belga della sua sostanza, per renderlo un guscio vuoto dove le competenze principali appartengono alle regioni. Sebbene la spinta indipendentista in questi paesi non sia forte come quella Catalana, è un primo campanello d’allarme per gli Stati dell’Unione e per tutta la comunità internazionale, comunità che rimane un club chiuso, che non vuole integrare nuovi membri. Ogni soggetto del diritto internazionale (Stati e organizzazioni internazionali) sceglie unilateralmente di considerare la creazione di uno Stato. Considerando le reazioni diplomatiche (negative) ai referendum catalani e curdi, questa condizione di riconoscimento rappresenta un ostacoloimportante alla creazione di uno Stato sovrano. L’assenza di riconoscimento internazionale colloca lo Stato in una situazione di esistenza “virtuale” e lo rende incapace di mantenere relazioni legali con altri Stati sulla scena internazionale. MSOI the Post • 19


DIRITTO INTERNAZIONALE ED EUROPEO STX - FINCANTIERI: “THE WIN-WIN AGREEMENT THAT WE WON”

Gentiloni e Macron presentano l’accordo raggiunto a Lione: chi è il vero vincitore della partita?

Di Federica Sanna Dopo alcuni mesi di tensione politica, Italia e Francia hanno finalmente raggiunto un accordo sull’acquisizione di STX-France da parte di Fincantieri. Il compromesso e la mediazione hanno portato ad un risultato definito positivo da entrambi i Presidenti: si pone fine, infatti, a una difficile situazione che ha interessato i due paesi a livello interno e ha rischiato di destabilizzare ulteriormente il già delicato equilibrio europeo. L’accordo prevede la divisione delle azioni tra Fincantieri e SFX, le quali godranno di una quota di 50% ciascuna. L’1% della quota francese sarà “prestata” a Fincantieri per un periodo transitorio, durante il quale la gestione italiana sarà sottoposta a un regolare controllo che potrà portare la Francia, allo scadere dei 12 anni, a reclamare la quota mancante delle sue azioni e riacquistare quindi il controllo dell’impresa. Se la Francia non procederà con il reclamo, l’1% diventerà definitivamente italiano, in caso contrario, Fincantieri potrà esercitare il diritto di trasferire ai francesi anche il resto delle sue quote, provocando una sicuramente difficile situazione finanziaria. Dal punto di vista normativo, l’accordo restituisce alla vicen20 • MSOI the Post

da piena conformità con le disposizioni di diritto internazionale in materia di investimenti esteri. L’azzardato tentativo francese di nazionalizzare l’impresa al fine di evitarne l’acquisizione italiana, infatti, può essere considerato in violazione del principio di non discriminazione. Sebbene l’Art. 65 TFUE consideri legittime le restrizioni alla libera circolazione di capitali in caso di misure giustificate da motivi di ordine pubblico o pubblica sicurezza, è difficile inquadrare il comportamento di Macron in questa prospettiva: si tratta, piuttosto, di una volontà strettamente politica, tesa ad evitare di porre un’attività economica francese sotto il controllo italiano. Politicamente, Macron e Gentiloni possono entrambi dichiararsi vincitori: il Presidente francese può rivendicare di aver ottenuto la voluta modifica dell’accordo negoziato dall’Italia con il precedente governo francese, in base al quale Fincantieri avrebbe ottenuto il 66% delle quote di STX. “Abbiamo raggiunto un accordo alla pari, 50 e 50”, ha dichiarato Macron. Allo stesso modo, il Primo Ministro italiano può vantare l’effettivo controllo acquisito sull’industria francese: “Fincantieri avrà la disponibilità diretta del 51% e quindi un pieno controllo su STX”. All’apparenza contraddicendosi con il chiaro

obiettivo di dimostrare l’abilità strategica del proprio governo, un esame più attento della situazione rivela un’apprezzabile ricerca del compromesso che permette di superare una difficile sfida interna e di ristabilire una certa stabilità al panorama politico europeo. La delicatezza della situazione nasce, inoltre, dal fatto che STX impiega più di 2500 lavoratori ai quali devono essere fornite garanzie di tutela a prescindere dal tipo di accordo raggiunto dai governi. La soluzione trovata prevede una periodica revisione dell’intesa, in occasione della quale la Francia valuterà, tra l’altro, il rispetto degli impegni in merito all’occupazione degli impiegati coinvolti. La presenza di tale clausola evidenza una positiva preoccupazione da parte dei negoziatori circa la tutela dei diritti economici e sociali, troppo spesso emarginati in nome del liberismo. In conclusione, gli avvenimenti della STX e Fincantieri rimarcano l’attenzione sulla sfida della creazione di una politica comune degli investimenti nell’ambito dell’UE, che punti alla creazione di un framework normativo unitario che permetta di superare gli attuali antagonismi politici nazionali e tutelare gli interessi dei più deboli.


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